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Autore: Soe Mame    27/08/2013    2 recensioni
Si dice che, nella notte tra il 31 Ottobre e l'1 Novembre, la linea che divide il mondo dei vivi e quello degli spiriti si assottigli.
Si dice che, se metti davanti alla tua casa una zucca dall'aspetto mostruoso con dentro una candela, potrai scacciare gli spiriti maligni che vagano nell'oscurità.
Si dice che Jack O' Lantern regni nella notte di Halloween.
[99% strettamente ispirata a Sadistic Pumpkin, di Rin&Len]
Genere: Sentimentale, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kaito Shion, Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

. TRI .



- Rin... -
Guardò Len, in ascolto.
- ... è molto tardi. - la sua voce sembrava... dispiaciuta?: - E' davvero notte inoltrata. Dovresti tornare a casa. -.
Un brivido.
Róisín scosse la testa, appiattendosi contro la croce: - No... - sussurrò: - No, io non... non tornerò. -.
Len sgranò gli occhi, stupito: - Come? -
- Non tornerò. - serrò le labbra, decisa. Le braccia tremavano.
- Ma saranno preoccupate per te! - insistette Len: - Le tue compagne, la tua istitutrice- -
- No. -
Il ragazzo sollevò le sopracciglia, incredulo.
- L'istituto è sostenuto dal signor Ben. - sembrò che il suo stomaco venisse dilaniato, la sua gola graffiata: - Senza di lui, l'istituto sarebbe solo una catapecchia vuota. Il signor Ben mi ha presa. Il signor Ben vuole adottarmi. Loro hanno detto di sì. -.
Quel nome aveva perso significato, tante volte l'aveva ripetuto.
Perfetto.
Ora non sentiva davvero più niente.
La luce del lumino tremava negli occhi di Len. Si fondeva con l'iride azzurra, veniva coperta da quel velo d'ombra che vi era sceso. Il suo volto era divenuto di pietra, senza alcuna espressione.
- Inoltre... - proseguì, la propria voce atona che fluiva fredda nelle orecchie: - ... non credo che a qualcuno possa mancare un lurido demone nel cui sangue scorre acqua di fogna. -.
Qualcosa parve colpire il viso di Len, spezzando l'oscurità che vi era scesa, trasformandola in un'espressione di stupore, di incredulità: - Demone...? - ripeté, disorientato.
Róisín annuì, piano: - E' così che mi vedono. Anche se la signora Madre mi ha detto che non è vero. Che ho un cuore buono. -. Quella definizione le suonava terribilmente ridicola.
- Un demone? - disse di nuovo Len, scandendo la parola, allibito: - ... tu? -.
Si portò una mano alla bocca, ma non riuscì a nascondere la risata. Róisín sbattè le palpebre, confusa.
- E questa emerita cazzata da dov'è uscita? - il ragazzo scoppiò a ridere, lei trasalì per quel termine tanto volgare.
- Oh, sì, Rin, sei proprio un perfido demone uscito dall'Inferno! - Len cercò di tornare serio, con scarsissimo successo: - Aaah, che olezzo di fogna! Che fragranza di zolfo! Sì, sì, Rin, sei proprio un demone cattivissimo! Dimmi, quante persone hai scuoiato e appeso per gli alluci? -
- N-nessuna! - farfugliò Róisín, disgustata al solo pensiero.
- E quante persone hai massacrato e infierito sui loro cadaveri? -
- Nessuna! -
- E quante persone hai torturato fisicamente e mentalmente? -
- Nessuna! -
- E quante persone hai raggirato per soddisfare i tuoi desideri egoistici? -
- Nessuna! -
- E quanti chili d'oro hai rubato per saziare la tua avidità? -
- Non ho mai rubato oro! E neppure soldi! -
- Hai sottratto il fidanzato a qualcuna, per pura volontà di vederla soffrire? -
- No! -
- Ah! - Len scosse la testa, con disappunto: - Mi deludi, Rin! Come demone, fai veramente schifo. Se vuoi imboccare questa strada, hai proprio sbagliato direzione! -.
Róisín sgranò gli occhi, disorientata da quel botta e risposta.
- Se te lo dico io, puoi crederci. - continuò il ragazzo, ancora scosso dalle risate: - Ho visto abbastanza demoni da saperli riconoscere all'istante. Tu non c'entri un beneamato ceppo con loro. Chi ti definisce così, è evidentemente un povero mentecatto che si bea di mostrare tutta la propria ignoranza. -.
La ragazza lo guardò, confusa, incapace di rispondere. Deglutì, confusa: - Eppure... sono tutti a definirmi così. Soltanto due mie amiche e la signora Madre dicevano che non è vero. -
- Beh, allora queste due amiche e questa signora sono le uniche persone intelligenti che hai incontrato. - fu la risposta divertita di Len. Lo vide cambiare posizione, distendendo le gambe: - Davvero, Rin, le persone che ti circondano sembrano tutte idiote. E l'angelo, e il demone, e che palle! - sbuffò, alzando gli occhi al cielo annuvolato: - Tu sei una fanciulla carina d'aspetto e buona d'animo. Non un pennuto lucente, non una bestia che puzza di uova marce. -
Róisín trasalì, nell'udire quella definizione: "Come fa a dire una cosa simile...?".
- Rin. - incontrò lo sguardo del ragazzo, sereno, limpido: - Tu sei davvero buona. Ho tanti talenti e so farli fruttare. Tra questi, con mia grande sorpresa, ho scoperto di avere anche la capacità di intuire che tipo di persona è quella che mi sta davanti. Non ho mai sbagliato. Fidati, Rin. Chi ti ha detto che hai un cuore buono, aveva ragione. Ignora i mentecatti, segui le parole di quella persona. -.
Róisín abbassò lo sguardo. Sentiva le guance calde. Tanto calde.
- ... se anche avessi questa capacità... - sussurrò: - ... c'è sempre una prima volta, per sbagliare. -
- Credo che... - la voce di Len si era abbassata, un mormorio che quasi si perdeva nel vento: - ... in questo caso, più che mai, non posso sbagliarmi. - riuscì a catturare il suo sguardo perplesso: - Tu sei troppo diversa da me, Rin. -.
Prima che Róisín potesse capire quelle parole, Len si era alzato, pulendosi i pantaloni.
- Bene! - esclamò lui, come rinvigorito: - E quindi, tornare all'istituto dei Piedi Blu è fuori discussione, vero? Possiamo vedere di portarti da qualche altra parte! Magari un orfanotrofio meno saccente... -
- Tu... - Len la guardò, Róisín esitò. Decise di chiederlo comunque: - ... tu non hai una casa? -.
Deglutì: "... forse non vuole portarmi a casa sua...".
Inaspettato, il ragazzo sorrise: - No! - trillò, ma quello era un sorriso amaro: - Non abbiamo una casa! Nessuno di noi! -. Aprì le braccia, inspirò a fondo: - Viviamo dove vogliamo, senza dover tenere conto di nessuno! -.
- Oh... - sì, forse se lo sarebbe dovuta aspettare. Un ragazzo in un cimitero, in piena notte, senza alcuna preoccupazione; i suoi vestiti, ora che ci faceva caso, erano minimo di quinta mano, probabilmente pescati nei sacchi di abiti destinati ai poveri come loro.
Quelle parole sembravano quelle di alcuni libri che aveva letto: parole di libertà, di assenza di regole, di poter fare tutto ciò che si vuole senza conseguenze.
Le era capitato di fantasticare su qualcosa del genere: vivere per conto suo, completamente libera. Sarebbe stato bello, probabilmente.
Ma la voce di Len, per quanto si sforzasse di essere allegra, non riusciva a nascondere quella nota di amarezza. La sentiva. La sentiva bene.
- ... mi... - mormorò, stringendo un pugno al petto: - ... mi dispiace. -.
Il ragazzo abbassò le braccia. I suoi occhi erano sgranati, stupiti: - Ti dispiace...? - ripeté, confuso.
Róisín annuì, piano: - ... non sei felice. Vero? - mormorò: - Sei... solo. Anche con gli altri, sei solo. -.
Sul volto di Len apparve un sorriso. Stavolta, quell'amarezza era ben visibile, anche nei suoi occhi.
- Avevo ragione. - sorrise, senza felicità: - Stavolta più che mai. -.
Róisín gli rivolse uno sguardo interrogativo.
Il ragazzo la indicò. Lei continuò a non capire.
- Quel tuo cuore... - disse, pacato: - ... brilla più dei diamanti. Custodiscilo, non farlo appassire mai. -.
La ragazza accarezzò il proprio petto.
Lì c'era il suo cuore.
Quello che faceva tanto male.
Che diffondeva il dolore a tutto il suo corpo.
- ... io... -
Ora non sentiva più il dolore.
Ora non sentiva più niente.
- ... l'ho buttato via. -.
L'espressione sul viso di Len non mutò. Un sorriso amaro, che tingeva anche i suoi occhi azzurri.
- Perché? - domandò, semplicemente.
- ... così... - Róisín inclinò appena la testa di lato: - ... non avrebbe più fatto male. Non avrei sentito più dolore. Sarebbe scomparso. Ed è successo. Ora non sento più nulla. Ora è tutto finito. Ora va tutto bene. -.
Il ragazzo s'inginocchiò d'innanzi a lei.
- Quindi, ora sei felice? - domandò.
Ora era tutto finito. Ora non sentiva più dolore. Non sentiva più niente. Era davvero tutto finito. Non sentiva più alcun dolore. Non sentiva più assolutamente niente.
Niente.
- ... non lo so. -.
Non c'era più niente.
Era tutto finito.
Tutto.

Ti chiedo
"Sei felice?"
E tu rispondi
"Non lo so."



Il sorriso non era svanito dal volto di Len. Era rimasto sulle sue labbra, nei suoi occhi, senza alcuna ombra di felicità.
- Sei davvero una ragazza strana, Rin. - lui sospirò, senza distogliere lo sguardo: - Conservi ad ogni costo le cose sporche, false e dolorose, e getti nel fango fresco le cose rare e di valore. Dovresti cominciare a fare il contrario, sai? -.
Róisín abbassò le palpebre, sentendosi leggerissima, incredibilmente leggera. Non rispose. Ormai era inutile pensare a cose simili. Non ne aveva più bisogno.
- L'hai buttato... - ripeté Len, in un sussurro: - ... non distrutto. -
Róisín schiuse le labbra, intuendo dove volesse arrivare.
- E' ancora qui intorno. - disse infatti il ragazzo: - Possiamo ritrovarlo. -.
"Ritrovarlo...?" piegò appena la testa di lato: "... che idea sciocca.".
- L'ho buttato via... - mormorò: - ... perché faceva troppo male. Era da lì che partiva ogni dolore. Era quello a farmi soffrire. -.
Il petto di Len tremò. Una risata. Róisín sbattè le palpebre, confusa: non si era aspettata una reazione simile.
- Beh, se l'hai gettato, un motivo deve esserci stato. - le fece notare lui, il sorriso che perdeva le sue tracce di amarezza: - Non credo tu sia tanto stupida da schiaffare il tuo cuore nel fango per noia. -
La ragazza trasalì.
- Quindi... - la tristezza era svanita da quel viso: - ... nulla ti vieta di riprendertelo. -
- Io... - le sembrava così ovvio. Le sembrava così stupido doverlo spiegare: - ... non voglio. -.
Scivolarono nel silenzio. Riusciva a sentire il respiro di Len, leggero e regolare, come una brezza discreta. Si accorse solo in quel momento del suo odore, una versione più delicata di un odore familiare, intenso; dopo qualche secondo, riuscì a ricollegarlo: era il profumo che sentiva nelle cucine durante la preparazione delle zucche.
- Perché? -
Aveva un buon profumo, Len. E una bella voce. Avrebbe preferito non rispondere, lasciarsi cullare da ciò che sentiva.
- ... farebbe di nuovo male. - mormorò. Non aggiunse altro. Non ce n'era bisogno.
- Sì. -
Róisín alzò lo sguardo - non si era accorta di averlo distolto. Come sospettava. Il suo cuore stava bene dove stava, nella terra bagnata, non nel suo petto.
Che continuasse a sanguinare in solitudine, senza più fare del male a lei.
- E farà male per ancora molto tempo. Ma... - Len sospirò: - ... andrà tutto bene, Rin. Alla fine, andrà tutto bene. Ne sono sicuro. -.
La ragazza aggrottò la fronte, scettica.
- E' ferito troppo in profondità per poter guarire del tutto... - continuò lui: - ... rimarrà per sempre una cicatrice. Ma non è giusto che tu rimanga ancorata per sempre ad oggi, questo oggi che diventerà uno ieri. Tu sei forte, Rin. -
- Io non- -
- Lo sei. Tu sei in grado di proseguire. Di vivere nonostante una cicatrice che, ogni volta che la toccherai, che la guarderai, ti ricorderà della ferita che ha chiuso. Tu non ti piegherai a chi ha cercato di distruggerti. Tu non ti arrenderai. - il suo sguardo si fece improvvisamente duro: - Tu non ti lascerai strappare la vita da chi ha un cuore talmente ributtante da disgustare l'Inferno. Tu vedrai il domani, Rin, lo vedrai annuvolato, lo vedrai coperto di nuvole per tanto tempo. Quando finalmente finirà la stagione delle piogge, quando vedrai il sole nel cielo limpido, potrai ridere davvero, come hai desiderato. Di ridere a pieni polmoni, di distruggere definitivamente chi ha cercato di ucciderti. Perché chi ti ha fatto del male non arriverà a quel giorno. Sarà dalla tomba di sterco in cui lui stesso si è inumato che sentirà la tua risata libera. Per questo hai bisogno del tuo cuore. Per poter andare avanti, per vivere quel giorno. -.
Róisín sgranò gli occhi. Strinse i pugni, i denti.
Era così...
Era tutto così...
- ... è notte. - sussurrò, la voce fredda: - ... non riuscirei a vederlo. Vagherei nel buio. Sarebbe solo una perdita di tempo. -
- Ti aiuterò. -
Guardò il ragazzo. Non sapeva perché, ma sapeva che l'avrebbe detto.
- ... ti ringrazio per avermi tenuto compagnia. - mormorò: - ... ma questa non è una cosa che ti riguarda. -
Il sorriso di Len - quel sorriso che solo di rado spariva, per pochi istanti - era sereno, come di nuovo erano i suoi occhi.
- Credo di sì, invece. -
Róisín inarcò un sopracciglio: "Che sta dicendo...?"
- Io... - una mano. Una mano di Len, tesa verso di lei: - ... cercherò per entrambi. Perché ti darò il mio. -.
Serrò le labbra.
Era tutto così...
Se fosse stato tutto vero, allora...
- Perché? - sussurrò, sentendo qualcosa di piccolo e bagnato premerle agli angoli degli occhi: - Perché faresti una cosa simile? -
- Perché mi sei simpatica. - un'altra risata bassa: - Non basta, come motivazione? -.
Sbattè le palpebre, più volte.
La mano di Len era poco più grande della sua, bianca. La luce del lumino, per quanto debole, riusciva a mostrarne i calli.
Tornò a guardare il ragazzo, esitante: - Saresti disposto a darmi il tuo cuore solo perché ti sono simpatica? -
- Non è un granché, come cuore... - lui rise di nuovo: - ... però è quello che voglio. - quegli occhi si puntarono nei suoi, azzurri, decisi: - Non voglio che tutto finisca. Voglio vederti anche domani. E dopodomani, e il giorno dopo. Voglio che ci sia un "domani". Che ritorni a vivere. Se non riuscissimo a trovare il tuo cuore, allora potrai vivere con il mio. - sorrise: - Anche se, te l'ho già detto, è un po' malandato e non troppo pulito. Ci sono tante macchie che non vengono via. -.
Róisín deglutì. Se fosse stato tutto vero, allora, forse...
- ... non credo che il tuo cuore possa essere un granché. - mormorò.
Len rise, ancora una volta: - Esattamente come ti ho detto. Un motivo in più per trovare il tu- -
- Intendevo... - lo interruppe, le labbra si curvarono appena: - ... che non può essere un cuore brutto o malvagio. Non il tuo. - riuscì a sorridere.
Con suo sorpresa, l'espressione stupita che apparve sul volto del ragazzo fu molto più accentuata di come si sarebbe aspettata: gli occhi sgranati, la bocca schiusa e, se non fosse stata piena notte, con poca luce, avrebbe pensato persino di averlo visto impallidire.
Lo guardò, interrogativa.
Len parve riscuotersi: - Quindi? - le domandò, posando lo sguardo sulla propria mano, ancora tesa verso di lei.
Stavolta, Róisín non sentì più il bisogno di pensare. Nel peggiore dei casi, sarebbe solo stato tutto inutile. Esattamente come rimanere lì, seduta, ferma.
Allungò la mano e posò le dita sul palmo del ragazzo.
Una leggera scarica elettrica.
Distolse le dita, titubante.
"... no." prese la sua mano: "Lui no.".
Con un sorriso, Len la aiutò a rialzarsi. Una volta che fu in piedi, Róisín sentì delle fitte poco gradevoli alle gambe. Non abbassò lo sguardo, se non per pulirsi la gonna con la mano libera.
Era in piedi. Andava ancora tutto bene.
La mano di Len era calda, piacevole.
- Rin. -
Tornò a guardarlo, il suo volto si era fatto serio.
- Potresti chiudere gli occhi? -
- Eh? -
- Solo per pochi istanti. - aggiunse il ragazzo, senza abbandonare la propria espressione: - Fin quando ti dirò di riaprirli. -.
Decise di accontentarlo. Si fidava. Non sapeva perché, ma si fidava.
Chiuse gli occhi, in attesa.
La mano dell'altro era ancora stretta nella sua.
Udì un respiro, come fatto vicino all'orecchio. La mano di Len perse calore. Non divenne fredda, ma meno calda. E quella che sentiva contro la sua pelle non era altra pelle. Sembrava quasi una stoffa, ma non sarebbe stata capace di capire quale.
Durò solo un istante.
La mano tornò calda, pelle contro pelle.
- Puoi riaprirli. -.
Róisín lo fece. Riaprì gli occhi, piano, ritrovando Len esattamente dove l'aveva lasciato; di diverso c'era solo l'altra mano, stretta a pugno, tra le dita si riusciva a vedere una debole luce gialla, quasi avesse catturato una lucciola.
Lo guardò, perplessa.
- ... ecco. - disse l'altro, semplicemente, con un sorriso imbarazzato: - ... puoi averlo tu. -.
"... il suo cuore...?"
La ragazza prese quel pugno, avvicinandolo a sé, osservandolo.
"E' davvero il suo cuore...?"
Riusciva a sentirne il calore. Qualsiasi cosa ci fosse in quel pugno, era caldo.
E lei cominciava a sentire davvero freddo. Anche con il lumino acceso.
Senza pensarci oltre, strinse quel pugno al petto, distendendogli le dita, facendole premere contro lo sterno. Ormai non le importava più niente di essere toccata lì da un uomo. Non le importava.
Eppure, sentì qualcosa di rovente sulle guance, un serpeggiare nello stomaco.
I polmoni si chiusero di colpo, costringendola ad aprire la bocca per cercare di prendere aria fredda. Il dolore alle gambe triplicò, tante lame fredde che si conficcavano nella carne, arrivando anche alle braccia. Tremò, un sapore disgustoso in bocca, acido.
Liberò la mano che stringeva quella di Len, portandola alla testa, pesantissima.
Vide del fuoco. Un fuoco costretto in un enorme camino, tanti lunghi oggetti di ferro. Vide pietre brillanti sparse su un tavolino. Vide case di legno, come ne aveva viste solo disegnate nei libri. Vide donne, e uomini, con vestiti che non appartenevano a quell'epoca.
Riaprì gli occhi. Non si era accorta di averli chiusi.
Lasciò la mano di Len, lui la ritirò in fretta.
Sentiva qualcosa sotto la pelle, nelle orecchie. Nel petto.
Un battito veloce, il sangue che ribolliva nelle vene.
Ogni battito sanguinava. Meno di prima, però. Era più sopportabile. Ma faceva male. Ogni cosa aveva ricominciato a far male.
- ... ecco. - Róisín accennò ad un sorriso, toccando quel posto dove sentiva battere quel cuore: - ... avevo ragione. Non è un cuore malvagio. -.
Se era davvero così, allora poteva fidarsi sul serio, completamente.
Quando tornò a guardare Len negli occhi, vide qualcosa, dietro quelle iridi chiare: sembrava un lampo di stupore, e qualcos'altro, ma non...
- Allora... - era tornato a sorridere, gentile: - ... possiamo iniziare a cercare? -.
Róisín annuì.
Prese la sua mano, sotto i suoi occhi stupiti.
Continuava a fare male. Faticava a camminare. Però, forse, se si fosse appoggiata a lui, sarebbe riuscita a proseguire.

La ragazza non riusciva a ritrovare il suo cuore perduto
"Cercherò per entrambi, perché ti darò il mio."
Quindi, voglio che finisca così
Perché voglio vedere entrambi, te e il domani



- Come lo troveremo? - chiese Róisín.
- Non credo sarà difficile. - Len sorrise, ancora una volta: - Brillerà. Sarà piccolino, ma dovrebbe vedersi bene lo stesso. -
- Dovrebbe...? -
- Magari è caduto nell'erba fitta, o il fango l'ha ricoperto. - alzò le spalle: - Bisognerà stare attenti ad ogni minimo bagliore. Certe cose hanno l'inquietante capacità di mimetizzarsi fin troppo bene, soprattutto quando le cerchi. -.
Róisín annuì. Non potè fare a meno di riportare la mente al giorno prima, quando si era imbattuta in quella zucca, proprio fuori dal cimitero.
"Ah!" si ricordò: "Non sono più tornata a controllare!".
Forse, all'alba, sarebbe potuta andare a vedere. Per pura curiosità. Forse Len avrebbe potuto aiutarla.
In quel momento, le tornò in mente un particolare: - ... ogni minimo bagliore? - si fermò.
Avevano iniziato a camminare da alcuni minuti, tra le tombe, portando con loro i due lumini che li avevano scaldati fino a quel momento, le mani giunte.
Quando si sentì tirare leggermente, Len si fermò, scoccandole uno sguardo interrogativo.
- ... e se... - Róisín si guardò intorno, nervosa: - ... e se apparissero dei fuochi fatui? -. Serrò le labbra: - Non voglio disturbarli... -
- Tranquilla. - la ragazza incontrò il suo sguardo, calmo: - Non avrebbero alcun motivo di attaccarti. Se dovessi vederli, beh... - alzò le spalle, divertito: - ... saluta. -.
Róisín non riuscì a trattenere una piccola risata.
- Lo terrò a mente. - disse, divertita.
Continuarono a camminare, udendo solo i loro passi nella fanghiglia, nell'erba. Róisín continuava a guardarsi intorno, cercando una qualsiasi piccola fonte di luce; non era facilissimo, considerata anche quella dei lumini.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, da quando si erano alzati. Le sembrava fossero passati pochissimi secondi. Eppure, guardando indietro, già non riusciva più a vedere quella croce di pietra, neppure all'orizzonte.
Una goccia. Su una spalla scoperta.
- Sta per ricominciare a piovere. - notò, alzando gli occhi al cielo buio.
- Sarà meglio andare a ripararsi. - propose Len: - Oltre a bagnarci, rischiamo anche che si spengano i lumini. -.
Róisín annuì, concorde.
- La chiesetta non dovrebbe essere lontana. - il ragazzo si guardò intorno per pochi istanti, prima di esclamare: - Ah! Eccola lì! E' più vicina di quanto pensassi! -
- Dici che è aperta? - domandò Róisín, per quanto sapesse essere una domanda alquanto stupida.
Len, difatti, annuì: - L'abbiamo vista prima. - spiegò: - Le porte sono chiuse, ma basta spingerle, per entrare. Non è sigillata. -.
Cambiarono direzione, verso la grande sagoma che si intravedeva nel buio. Non troppo grande, in realtà, ma senz'altro più grande di tutte le tombe lì intorno.
- I tuoi amici saranno andati a ripararsi lì? - s'incuriosì Róisín: "Timidi quanto vogliono, ma se piove e non ci sono altri luoghi in cui ripararsi...".
Per tutta risposta, Len alzò le spalle: - Non saprei. Forse sono andati tra gli alberi. -.
La ragazza gettò un rapido sguardo agli alberi: decisamente poco forniti di foglie. Solo incroci di rami secchi, decorazioni ideali per la notte di Halloween, nascondigli pessimi per la pioggia.
- Sai, Len... -
- Mh? -
- Comincio a credere che questi tuoi amici siano fantasmi. -.
Len si fermò.
- ... fantasmi? - ripeté lui, piano.
"Ma che gli prende?"
Róisín annuì: - Gli spiriti dei morti sepolti in questo cimitero. - spiegò: - Ti ho visto a tuo agio, qui. Forse, quindi, consideri gli spiriti che vagano qui come amici? Per questo sei così sicuro che non ci faranno del male? -.
Silenzio.
Gli occhi di Len erano sgranati, spiazzati. Fu solo un istante, prima che la sua espressione tornasse quella gentile di sempre: - Sai, Rin... - rise: - ... sei particolarmente attenta. -.
Lei inarcò un sopracciglio, confusa.
C'era una cosa che non le tornava, in tutto quello.
- ... sai... - mormorò, mentre riprendevano a camminare: - ... prima, quando... - le guance si fecero più calde: - ... mi hai dato il tuo cuore... ho visto delle cose strane. -
- Cose strane? -
La ragazza annuì: - Credo fossero tuoi ricordi. Il fatto è che... - lo guardò negli occhi, perplessa: - ... non mi risulta che Port Láirge e i paesi nei dintorni siano eccessivi cultori dell'antico. Anche perché neppure noi dell'istituto, che pure segue la tradizione irlandese, siamo solite indossare abiti di secoli fa. -.
Len ridacchiò. Sembrava sinceramente divertito.
- Forse hai visto i ricordi di qualche spirito. - disse, con un sorriso: - Soprattutto in questa notte, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia. In un momento come quello, puoi avere inavvertitamente percepito altre anime. -.
Róisín fece di sì con la testa.
"Potrebbe essere, sì..." ammise: "... però...".
- Eccoci. -
La voce di Len la distolse dai propri pensieri. A quanto pare, sì, erano giunti fino alla chiesetta. Come preannunciato dal ragazzo, da quello che riusciva ad intravedere grazie alla luce del lumino, le porte sembravano decisamente chiuse.
E le gocce iniziavano a cadere con meno distanza di tempo l'una dall'altra.
Un dubbio s'insinuò nella sua mente.
- Len... -
- Sì? -
- ... se pioverà... - strinse la sua mano: - ... il fango potrebbe coprire il mio cuore per sempre? -.
La stretta fu ricambiata: - O forse la pioggia lo laverà. -.
Róisín sorrise. Era bello poterlo pensare.
- Vado ad aprire la porta. - disse Len, distaccandosi: - Meglio se rimani indietro: è piuttosto vecchia, potrebbe caderci qualcosa in testa. -.
La ragazza annuì, lasciando che lui andasse avanti.
Portò la mano al petto, la mano fino a quel momento stretta in quella dell'altro. Non voleva perdere quel calore. Così avrebbe protetto anche il cuore di Len.
Lo sentiva battere. Ma il dolore era sempre più labile, sempre più lontano.
- Signorina! -
Il sangue si gelò.
Smise di respirare.
Il dolore la dilaniò.
Sanguinava. Sanguinava. Sanguinava di nuovo, da tutte quelle ferite che si erano riaperte insieme, in un istante.
Osò voltarsi, una mano sembrava stringerle la gola.
Il signor Ben era lì.
A meno di due metri da lei.
Era lui.
Era lì.
Lì dove non avrebbe potuto farle niente.
Non avrebbe potuto farle niente.
Non avrebbe potuto.
- Finalmente vi ho ritrovata! - esclamò. Fece un passo avanti. Róisín indietreggiò. Lo stomaco si strinse, le braccia e le gambe tremarono.
Aprì la bocca, per urlare. Non ne uscì alcun suono.
- Ci siamo davvero spaventati, quando non vi abbiamo più trovata nel vostro letto. -
Gli occhi le facevano male. Sentì il lumino scivolarle dalle mani, lo sentì cadere a terra.
La luce si spense.
- All'istituto sono tutte preoccupate. - il signor Ben si avvicinò ancora. Era troppo vicino. Non vedeva nient'altro.
- Tornate. - le disse, pacato: - Soltanto per stanotte. -
"Stanotte?"
- Domani non sarà più necessario, per voi, rimanere lì. -.
Scosse la testa.
Avrebbe voluto scuotere la testa. Ma era inchiodata al collo, alle spalle, al suo corpo congelato.
- Andatevene. -.
Riuscì a voltare la testa, al suo fianco.
Len.
Il ghiaccio si sciolse.
L'aria entrò nei polmoni.
- Non temere, ragazzo. - il signor Ben non si sprecò ad usare termini di cortesia, per un piccolo straccione: - Ti sono grato per averla protetta in questa notte buia. Ora Róisín sarà in buone mani. -.
"Mani...?"
Róisín strinse i pugni, il disgusto le scuoteva le membra. Repulsione. Lo stomaco si strinse, le gambe tremarono. Ma non sarebbe caduta in ginocchio. No.
- Non vuole tornare con voi. -
La voce di Len era fredda, fredda come mai Róisín l'aveva udita. I suoi occhi erano gelidi, spilli acuminati. Guardava il signor Ben.
- Non dire sciocchezze, ragazzo. - l'uomo sospirò, scuotendo la testa con fare paziente: - La signorina è molto confusa. Questo cambio di temperatura così repentino le ha causato dei problemi di salute, probabilmente dei deliri. All'istituto starà bene. Sarà visitata e curata al meglio. -
- Che faccia di culo. -
Róisín sbattè le palpebre. Ma non riuscì a non sentire qualcosa, in fondo al cuore - il cuore di Len? -, simile ad un accenno di risata.
Il signor Ben sembrava scandalizzato.
- So che cosa avete fatto a Rin. -
- Rin? -
- So che siete un porco che merita solo la castrazione con un'ascia arrugginita. - la voce di Len era un sibilo: - Se sperate che vi dia in pasto Rin, fate prima a tagliarvelo da solo. -.
Il volto del signor Ben si era adombrato.
Len fece un passo avanti, coprendo Róisín con un braccio.
- Andatevene. - ripeté.
La pioggia era iniziata. Ormai la ragazza sentiva solo quello scrosciare sempre più insistente.
- Signorina... - Róisín trasalì. Un brivido gelido lungo la schiena.
- Qualsiasi cosa vi abbia messo in testa quel ragazzaccio, non credetegli. Egli mira a conquistare la vostra fiducia, probabilmente per farvi del male. Non prestate orecchio alle sue parole false, tornate a casa. -.
La ragazza schiuse le labbra, indignata.
Quella fiamma che sentì dentro di sé era rabbia. Rabbia per parole del genere. Rabbia per simili parole dette da un essere tanto mostruoso. Rabbia per simili parole rivolte a Len.
Lo guardò, cercando una sua reazione. Ma lui era fermo, impassibile. Non la guardava. Il suo sguardo di ghiaccio non si staccava mai da quell'uomo.
- Non temete, signorina... -
Un suono. Sembrava un click. Non le piaceva.
Il cielo rimbombò.
Un lampo fece arrivare il giorno, per un istante.
La pistola brillò nella mano del signor Ben.
Róisín si portò le mani alle labbra. Scosse la testa, con violenza, facendosi male.
- ... se questo ragazzaccio insisterà, mi premurerò di far sì che non vi dia più alcun problema. -.
Guardò Len. La sua espressione non era cambiata.
"Non posso... non posso permettere..."
Le sue gambe si mossero da sole.
Aggirò il braccio di Len, percorse quella distanza che la separava da-
Uno strattone.
Trasalì, si voltò.
Len le aveva afferrato il polso, gli occhi di ghiaccio. Non disse niente.
- Ti prego... - gemette Róisín, qualcosa che non erano gocce di pioggia le bagnò le guance: - ... non morire. -.
Si sentì soffocare.
Una mano troppo grande, troppo conosciuta, le premeva contro la bocca. Era gelida. Si sentì tirare indietro, il suo polso abbandonò il calore della mano di Len. Vide quegli occhi azzurri attraversati da un lampo di paura.
"Paura?"
- Bene, ragazzo. -
Quella voce orribile era troppo vicina. Il calore di quel corpo era troppo vicino. Ogni cosa cominciò a girare. Non riuscì a muoversi. Niente le rispondeva più.
Era prigioniera. Si sentì congelare, dall'interno.
Un peso nello stomaco, acido e disgustoso, voleva uscire, ma non aveva la forza di farlo.
- Ora è meglio che tu te ne vada. Questa signorina non ha nulla a che spartire con te. -.
Batteva forte, il cuore di Len. Tanto forte. Faceva male, tanto male.
Batteva forte, la riscaldava ad ogni battito, scioglieva quel ghiaccio che la paralizzava.
E Len continuava a guardarli, impassibile, immobile.
Finché non tese una mano.
- Lasciatela. - suonava come un ordine: - E andatevene. -.
Il signor Ben sospirò.
Quella mano risalì, fino a premersi contro i suoi occhi, oscurandole la vista.
La voce di quell'uomo vibrò troppo vicina: - Risposta sbagliata. -.
Esplose.
Esplose vicino al suo orecchio, un tuono troppo forte, troppo vicino. Rimbombò nella sua mente, tante fitte dolorose nella testa.
Un tonfo.
Nel fango.
"No..."
Tremò: "No..."
Conficcò le unghie nella mano che la rendeva cieca, usò tutta la sua forza per aprire quelle dita.
Il lumino era rotolato a terra. Si era spento. Come il suo.
Len era nel fango, sotto la pioggia battente, sdraiato a terra.
"No..."
Eppure lo sentiva ancora, il cuore di Len. Batteva forte, così forte. Contro le ossa, contro il petto, tanto da far male. Continuava a scaldarla, lo stava facendo ancora.
Non era vero.
Non era tutto finito, non era vero.
Erano vivi, erano vivi entrambi.
Lo sentiva, dentro di sé, vivo e caldo.
Era lui a tenerla in vita, era lui a condurla fino all'alba di domani.
Non era tutto finito, non era vero.
Non poteva essere vero.
Non poteva.
- Su, signorina. E' ora di andare. -.

La ragazza non riusciva a ritrovare il suo cuore perduto
I miei occhi non mostrano un domani



Róisín scosse la testa.
Le lacrime di sangue, la pioggia che la accoltellava, rendevano sfocata la figura di Len, addormentata.
Era solo addormentato. Solo addormentato.
Si sarebbe risvegliato, l'avrebbe portata lontano.
Si strinse una mano al petto.
Il suo cuore batteva.
Vivo.
"Questo è suo..." singhiozzò: "Devo... devo restituirglielo. Dobbiamo ritrovare il mio, Len. Avevi detto che l'avremmo cercato insieme. Tu sei una persona buona, non dici bugie. Mi hai dato il tuo cuore, devo restituirtelo. Aiutami a ritrovare il mio. Fino ad allora, custodirò il tuo. Non permetterò che venga ferito.".

Allora basterà usare il mio, di cuore?



Strinse i denti e afferrò il polso del signor Ben, conficcò le unghie nella pelle, le mosse fino a lacerarla, a sentire il sangue sui polpastrelli. Aprì la bocca, la richiuse con violenza sulla mano, fino a sentire mandibola e mascella tremare, forse si sarebbero rotte. Un sapore metallico le bagnò la lingua, un grido le colpì le orecchie.
Si sentì strattonata.
Le unghie sfuggirono al polso, ma i denti non si staccarono.
Róisín sentì qualcosa mozzarle il respiro, un dolore violento all'altezza dello stomaco. Un altro, un altro ancora.
Chiuse gli occhi, strizzandoli.
Si aggrappò alla mano che stava lacerando, la pugnalò con quel poco di unghie che aveva.
Una pressione violenta sulla fronte. Non si staccò.
I capelli tirarono, sentì alcuni strapparsi.
Gemette contro la pelle sanguinante, strinse la bocca ancora di più.
Quell'uomo stava urlando qualcosa, ma lei non sentiva niente. Era diventata sorda. Non le importava. Che gli si spaccasse la gola, se ci teneva tanto a gridare.
Poi un colpo, più violento degli altri, sul viso.
Róisín si ritrovò nel fango, la testa che le faceva male dappertutto. Non vedeva più niente. Vedeva solo poltiglia sfocata.
Vomitò tutto il sangue che aveva in bocca, tossì.
Era tutto buio.
Non c'erano più lumini.
Non vedeva niente.
"Ma neppure lui mi vede!" il suo vestito bianco era in gran parte ricoperto di fango. Il rumore della pioggia era troppo forte perché la sentisse strisciare nel fango.
Doveva andare da Len. Doveva raggiungerlo.
Doveva camminare in ginocchio, veloce.
Cercò di alzarsi.
Le braccia non risposero.
"No!" sgranò gli occhi: "Non ora! Non ora! Vi prego!".
Guardò avanti, dove sapeva esserci Len. Il suo cuore batteva forte.
Dei rumori nel fango.
Si stava avvicinando.
"No!"
Strinse i pugni, cercò di alzarsi, il corpo non le rispondeva.
"Perché?" tremava, non riusciva ad impedirlo: "Perché? Perché? Perché?".
Una luce.
Róisín alzò lo sguardo, il cuore sussultò. Sgranò gli occhi.
Un'altra luce. Un'altra. Un'altra, un'altra, un'altra, un'altra ancora.
Fiamme grandi quanto una mano, che ardevano incuranti della pioggia. Sospese nell'aria.
- Che diavoleria...? -
Il signor Ben era spaventato.
Róisín sorrise. Si voltò: erano tante. Tante. Intorno a loro, illuminandoli come le candele di un gigantesco lampadario di cristallo.
Non le avrebbero fatto del male. I will-o'-the-wisp non le avrebbero mai fatto del male. Lo sapeva.
- ... salve. - mormorò, la voce uscì come un lieve sussurro, roca.
Il signor Ben sparò. Sparò, sparò di nuovo. Al niente.
Nessuna fiamma risentì dei proiettili.
- Andatevene. -.
Il cuore divenne più grande, più leggero. Róisín guardò Len: in piedi, davanti a loro, lo sguardo fermo.
"Lo sapevo..." sorrise: "Lo sapevo...".
Il signor Ben sbiancò.
- TU! - urlò, indietreggiando: - Tu sei un demonio! -.
Un demonio.
Len piegò appena la testa di lato.
Si raddrizzò. Mise una mano avanti, chiusa a pugno. Lo aprì: c'era qualcosa, sul palmo, qualcosa che Róisín non riuscì a distinguere.
- Questo è vostro, vero? - domandò Len, pacato: - Mi spiace l'abbiate sprecato. Proiettili di questo tipo costano. -.
Lo lasciò cadere nel fango.
Il signor Ben indietreggiò. Tremava. Róisín riusciva a vederlo.
- Ora, signore... - Len avanzò. Solo in quel momento Róisín notò qualcosa stretto nell'altra sua mano: un bastone da passeggio, con l'impugnatura ricurva.
"Da dove è saltato fuori...?" era certa che prima non ci fosse. Che prima, quando l'aveva difesa, Len non lo avesse.
- ... vi avevo concesso un'ultima possibilità, nonostante la vostra sorte fosse già stata decisa. -.
L'altra mano afferrò il bastone. Len tirò l'impugnatura.
Róisín trasalì: una lama.
- Avreste fatto meglio ad andarvene quando vi era possibile. - il ragazzo avanzò, la sua espressione gelida non cambiò.
Le fiamme divennero più calde.
Furiose.
Róisín sentì qualcosa afferrarla, strattonarla su dal fango. Un istante dopo sentiva qualcosa di freddo e metallico premerle contro una tempia.
- Ho ancora un colpo. - la voce del signor Ben era un sibilo ansimante. I suoi occhi erano spalancati, folli.
- Avvicinati e la signorina sarà vittima di un tragico incidente. -.
Róisín rimase immobile.
Le lacrime e la pioggia.
Le fiamme.
Non doveva avere paura.
Il cuore di Len batteva forte.
I suoi occhi erano ghiaccio rovente.
- Risposta sbagliata. -.
Il vento gonfiò un mantello viola.
Le fiamme brillarono su una cintura di diamanti.
Un occhio azzurro scomparve sotto la stoffa bianca.
Róisín sgranò gli occhi.
"Len..."
Un istante dopo era lì, ad una spanna dal suo viso.
Un gemito violento, un suono viscido.
"... quella persona, ieri..."
La lama uscì dal corpo dell'uomo.
L'uomo cadde nel fango.
Il gelo scomparve.
Róisín si voltò.
Una macchia scura si allargò dal petto dell'uomo.
Lei tornò a guardare il ragazzo.
La lama del bastone era sporca di sangue.
Catturò il suo sguardo azzurro, schiuse le labbra.
- Len... -
E capì.
- ... te... rn. -.
Il ghiaccio si sciolse dal volto di Len.
Un sorriso.
L'espressione che più gli si addiceva.
- Jack O' Lantern. - mormorò Róisín, posando una mano su una spalla dello spirito.
La mano guantata di bianco di Jack si posò sulla sua.
Era calda. Piacevole.
- Lieto di conoscerti, Rin. - sorrise.
Sembrava davvero felice.

Se è per te, io cadrò



- ... perché non mi hai detto...? - Róisín lo guardò nell'unico occhio visibile, quell'occhio che aveva visto la sera precedente.
Ecco dove aveva già sentito quella risata.
Len ridacchiò. Sì, era proprio quel suono che aveva udito.
- Tu mi avresti creduto? - le chiese.
La ragazza ci pensò per un istante: - ... chissà. - rispose, vaga. In effetti, non sapeva con certezza come avrebbe reagito.
Ma, in quel momento, la cosa non aveva più importanza.
- Rin. -
Lo guardò, confusa: aveva spostato la mano dalla sua spalla, senza tuttavia lasciarla.
- Ora è davvero tutto finito. Lui non ti farà più del male. -.
Róisín non volle voltarsi. Non voleva vedere cosa ci fosse alle sue spalle. Non voleva più saperne.
Annuì, semplicemente.
Len sorrise di nuovo: - Promettimi che... - le dita strinsero le sue: - ... sarai felice. -.
La ragazza sbattè le palpebre, non capendo: "Che razza di richiesta...?".
Annuì comunque, per quanto, lo sapeva, nei suoi occhi doveva esserci una forte luce interrogativa.
- Anche tu, però. - gli disse, seria.
Se si trattava davvero di Jack O' Lantern, allora...
Il cuore si appesantì.
- Lo sono. -
Róisín aggrottò la fronte. Forse quello sul volto di Len era il sorriso più luminoso che avesse mai visto.
- L'unica cosa che mi rattrista è non averti incontrata prima. - rise: - Non mi sarebbe dispiaciuto essere felice per più tempo. -.
Il cuore fu stretto in una morsa.
Non le piacevano, quelle parole.
- Cosa stai dicendo...? - farfugliò, un sospetto iniziava a serpeggiare nella sua mente.
Una voce, lontana.
Sembrava la voce di un uomo, una voce che, ne era sicura, non aveva mai sentito.
Len sciolse la presa sulla sua mano, per poi togliersi un guanto. Alzò la mano, esitante.
- ... posso toccarti il viso? - domandò, in un sussurro.
Sii scoperto durante la notte di Samhain...
Róisín annuì.
Le mani di Len erano calde, buone.
Quando sentì il suo calore sulla guancia, chiuse gli occhi, prese quella mano.
Andava bene.
Ora andava tutto bene.
- Sai, Rin... -
La sua voce. Gli piaceva sentirla così vicina, così gentile.
Il cuore tremava.
- ... le lanterne di questa notte servono per scacciare gli spiriti. -
Annuì. Lo sapeva.
- Creano barriere per noi impenetrabili. Continuiamo a vagare senza meta, senza poterci avvicinare a coloro che ci scacciano. Sempre. -
Róisín riaprì gli occhi. Sulla voce di Len era sceso un velo triste. Il suo sguardo, però, era ancora luminoso.
- Io sono lo spirito che guida gli altri nella notte di Halloween, la notte delle zucche. Sono il demonio maledetto che da secoli viene allontanato e scacciato, affinché nessuno venga contaminato dal mio cuore corrotto. -
La ragazza scosse la testa: lo sentiva battere dentro di sé, quel "cuore corrotto". Era limpido, leggero. Aveva sciolto il gelo con il suo abbraccio caldo.
Strinse la mano.
Len continuava a sorridere: - E' stato bello sentirsi dire, anche solo una volta, che ciò che batte nel proprio petto non è un cuore malvagio. -.
Tremò.
Róisín non riusciva a fermare il tremore che la scuoteva.
Non era pioggia, quella sul suo viso.
Scosse la testa.
- Però, sai... - Len alzò le spalle: - ... ti sei sbagliata, quando hai detto che mi sentivo solo. Lo sono stato, certo. Fino a quando qualcuno mi ha morso sul braccio. -.
Un singhiozzo.
Róisín scosse di nuovo la testa.
- Sei... - cercò di mantenere la voce ferma: - ... una zucca davvero dispettosa, Jack O' Lantern. -.
La risata.
Sì, era proprio la sua.
Ora la sentiva bene: nitida, vicina.
- Credevo che... - accennò ad un sorriso, lieve: - ... gli spiriti si concretizzassero solo nella notte di Samhain. -
- Nella nostra vera forma sì. - Len ridacchiò: - Nelle notti più vicine a quella data, qualcosa si può fare, con un travestimento adeguato. -.
Róisín si portò una mano alla bocca, per nascondere una risata: - Quel morso ti servirà da lezione per i prossimi Halloween, Jack O' Lantern. -.
Len sorrise, divertito.
Il cuore si strinse.
... strappa una vita...
Una luce.
Era incredibilmente vicina.
Róisín guardò alla sua sinistra.
Allontanò la mano di Jack dal suo viso, senza lasciarla.
Tra le sue dita, bruciavano fiamme rosse.
Sgranò gli occhi.
Guardò l'altra mano, quella ancora avvolta in un guanto. Bruciava.
Aprì la bocca, il cuore venne pugnalato. Strinse una mano al petto, quasi cercasse di volerlo tenere insieme, di non lasciare che i suoi pezzi cadessero e si disperdessero.
- Mi sarebbe piaciuto inventare qualcos'altro, per i prossimi Halloween. - Len sorrise: - Ma temo che non potrò essere presente. -.
Róisín scosse la testa, con forza.
- Avevi detto che avremmo cercato il mio cuore! - gemette. La voce era spezzata. Non le importava niente: - L'avevi detto! -.
Le fiamme avvolsero le braccia dell'altro.
I suoi piedi, le sue gambe, il suo mantello.
Len sembrava non sentire niente. Continuava a sorridere come se nulla fosse. E continuava a guardarla negli occhi.
- Sei davvero distratta, Rin. - ridacchiò: - Non farmi rimangiare le parole! Avevo detto che sei una persona attenta! -
- Cosa? -
Si portò una mano al petto, istintivamente.
Il cuore continuava a battere, violento, ferito.
Non c'era più il gelo, solo calore.
Trattenne il respiro.
"Questo... non è il cuore di Len..." strinse la stoffa del vestito, all'altezza del cuore. Dei due cuori che battevano nel suo petto.
Del cuore caldo che abbracciava quello che era stato congelato dalla notte.
Scosse la testa.
- Ricordati di custodirlo. - le disse Len, la benda sull'occhio che andava bruciandosi, i capelli afferrati dalle fiamme: - Me lo prometti, Rin? -.
... e cadrai all'Inferno.
- LEN! - lo strinse a sé, le braccia attorno al corpo divorato dal fuoco, il volto premuto nell'incavo del collo, il cuore contro il petto.
- Me lo prometti, Rin? - la sua voce, vicina al suo orecchio. Calma, gentile.
Róisín annuì: - Sì. Te lo prometto. Te lo prometto. - strinse i denti: - Tu resta qui. -.
La pioggia non avrebbe spento quelle fiamme. Lo sapeva.
Non erano fiamme che potevano essere spente dalla pioggia.
- Scusami. - sorrideva. Ancora. Lo sentiva nella sua voce.
Catturò il suo sguardo, quegli occhi azzurri.
- A proposito, Rin. - una mano si strinse alla sua: - Quei biscotti erano davvero buoni. Grazie. -.
Non li vide più, quegli occhi azzurri.
Il corpo di Len si fece troppo pesante.
Continuò a sostenerlo, a stringerlo contro di sé.
Scosse la testa.
- No... -
Scosse la testa.
- No, tu... -
Scosse la testa.
- Tu ora torni qui. Capito, Len? - un singhiozzo, tanto violento da farle male: - Non ti ho ancora restituito il tuo cuore! Len! Non puoi pretendere che custodisca anche il tuo! Smettila di fare la zucca dispettosa! Non sono un ente di beneficenza! Len! LEN! -
Affondò il viso tra le fiamme, sul suo petto.
Nell'aria calda del fuoco, non sentiva più la pioggia battente contro la pelle, il suo respiro.
Ogni cosa si era fermata in quell'istante freddo avvolto dalle fiamme.

In questa fredda, piovosa notte
Non posso vedere la stellata notte di Halloween
Con le lacrime che correvano lungo le guance della ragazza
Lei recuperò il suo cuore perduto



Il suono ritmico e continuo delle gocce di pioggia s'infranse.
Un altro suono, regolare e ripetitivo, spezzò l'atmosfera di immobilità.
Róisín alzò gli occhi, strinse a sé il corpo di fiamme.
Una figura.
C'era qualcun altro, in quel cimitero.
I fuochi fatui scomparvero di colpo, avvolgendo la zona in un'ombra nera allontanata solo dal fuoco tra le sue braccia.
La ragazza puntò gli occhi su quella figura fermatasi a pochi metri da lei, sulla soglia grigia tra la notte senza luna e le fiamme di un altro mondo.
Non lo vedeva bene. A stento riusciva a capire cosa fosse.
Vide qualcosa guizzare nel buio. Il lembo di un mantello scuro.
Alzò lo sguardo, cercando il viso di quella persona.
Le braccia tremarono.
Due braci ardevano lì dove avrebbero dovuto esserci gli occhi.
Deglutì, strinse Len ancora di più.
Sentiva qualcosa di gelido strisciare nelle vene, raffreddandole il sangue. Serrò le labbra, i pugni.
Le braci brillarono.
La figura fece un passo avanti, nella zona illuminata.
Sembrava un giovane. Ma aveva qualcosa di strano. Non solo gli occhi rossi come rubini sporchi di sangue.
Vide il suo volto: la sua espressione si era fatta stupita.
Un brivido le scosse le braccia e le attraversò la schiena, quando, dalle labbra schiuse, intravide dei canini bianchi troppo lunghi.
- Voi... - quella voce. L'aveva sentita.
Era un ricordo lontano, lontanissimo. Un ricordo non suo.
Le dita tra i capelli roventi di Len, premette la sua testa contro il proprio petto, ridusse gli occhi a fessure.
- ... potete vedermi? - domandò il giovane, sinceramente sorpreso.
Róisín deglutì. Oggettivamente, era una domanda assurda, ridicola. Ma aveva capito che non era affatto così. Temeva di sapere chi fosse quella persona.
Le sue parole, le parole che, secoli prima, rivolse a Jack O' Lantern ancora le rimbombavano nella mente.
Insieme al racconto della signora Madre, della leggenda sulla figura del re di Halloween.
Colui che ingannò il Demonio.
Lo stupore sul volto della creatura infernale si sciolse in una risata divertita: - Ma certo che potete vedermi. Anche se voi non siete destinata al mio Regno. - un altro passo avanti. Róisín avvolse la vita di Len con un braccio.
- Del resto... - rise il demone: - ... siete anche voi sospesa tra la vita e la morte. -.
Trasalì. Le labbra si schiusero, con un tremito.
- Cosa state dicendo...? - sussurrò, cercando di regolare il proprio respiro. Si sentiva soffocare.
L'altro sbattè le palpebre, di nuovo stupito. Ancora una volta, l'espressione fu rapidamente sostituita da una divertita: - Oh. Quindi il vostro tentativo di suicidio è svanito dalla vostra mente? -.
Qualcosa luccicava debolmente, vicino alla croce.
Róisín sgranò gli occhi.
Tanti chiodi lunghi un palmo di mano.
Abbassò lo sguardo, sul suo vestito bianco sporco di fango, vicino al volto troppo caldo di Len.
Ne prese uno. Lo guardò.
Sul suo vestito bianco incrostato di fango e sangue.
Il cuore faceva male. Troppo male.
La consapevolezza la pugnalò al cuore.
"Se lo gettassi via... se lo gettassi via, allora..."
Quel cuore che Len aveva ritrovato per lei.
Il suo cuore, vicino a quello di Len.
- A giudicare dalla vostra espressione, direi che vi siete ricordata. - il demone era lì, davanti a lei, in ginocchio.
Róisín sobbalzò, cercò di allontanarsi.
Ma si sentiva bloccata a terra. E il corpo di Len era troppo pesante per lei. Lo strinse ancora di più, con forza.
La creatura se ne accorse. Sorrise, pacata: - Comportamento piuttosto peculiare, quello di Jack, non trovate? Talmente egoista da non lasciare andare l'anima di cui si era innamorato. -.
Róisín sgranò gli occhi, incredula: - Come...? - sussurrò, la voce soffocata.
- La vostra non è una ferita mortale. - il demone guardò Len, divertito: - Ma, con il passare del tempo, senza cure, sareste comunque morta per il troppo sangue perso. Il re degli spiriti intrappolati tra la vita e la morte vi è stato vicino, impedendo alla vostra anima di lasciare il vostro corpo con la sua sola presenza. - sorrise, scoprendo i denti acuminati, un sorriso sinistro: - Quando ormai non era più in grado di trattenervi, quando la vostra anima stava per andare nel Regno a cui siete destinata, ha deciso di donarvi il suo cuore. Il cuore di uno spirito vagante, capace di intrappolarvi nella sua stessa condizione. Con il rischio di essere cancellato per sempre. - inclinò la testa di lato, quasi a volerlo rimirare: - Se vi fosse successo qualcosa, il suo cuore sarebbe scomparso. Come se non fosse mai esistito. Né Paradiso, né Inferno, né Limbo. Né reincarnazione. La fine definitiva. -.
Róisín portò una mano al volto di Len. Gli accarezzò una guancia, incurante delle fiamme.
Quelle fiamme non le facevano male. Le impedivano solo di vederlo bene come avrebbe voluto.
- Il vostro cuore non era mai andato perduto. -
La ragazza guardò la creatura, accorgendosi solo in quel momento di come la stesse fissando. Cercò di non mostrare alcuna reazione.
Ma aveva paura.
Il gelo c'era di nuovo.
- Quel che ha fatto Jack non è stato altro che proteggervi fino al momento in cui sareste stata in grado di capirlo e di ritrovarlo. Ritrovarlo, sì. Ma dentro voi stessa. - le labbra del demone si curvarono di nuovo: - Romantico, non trovate? Quasi mi dispiace doverlo portare nel mio Regno. -.
Róisín tremò.
Aveva visto giusto. Quel demone era giunto per portarsi via Len.
- ... so chi siete. - mormorò, senza distogliere lo sguardo, fermo in quegli occhi rossi: - ... l'ho visto nei ricordi di Len. -
- Len? -
- Ho visto tutto. So tutto. So del vostro patto. Delle tre condizioni. - strinse i denti, ma un gemito sfuggì comunque dalle sue labbra.
- La prima volta che ha desiderato strappare la vita ad un vivo. - disse il demone, tranquillo: - Sapeva di essere perduto, oramai. Ha comunque voluto svelarvi la sua vera identità. Probabilmente, voleva che voi lo conosceste davvero. -.
Un altro singhiozzo.
Non poteva abbassare lo sguardo. Non poteva. Non doveva.
- Ora... - il demone aprì una mano artigliata: - ... è il momento di restituire il cuore a Jack. -.
Róisín si portò una mano al petto.
Battevano forte, i due cuori.
Il suo cuore trasalì, nel rendersi conto di come quella fosse l'unica parte calda del proprio corpo.
Ancora la stava abbracciando.
"Voglio il tuo abbraccio, Len." dovette abbassare gli occhi, fino ad incontrare il suo viso, le fiamme: "Devo restituirti il tuo cuore. Grazie per... per quello che hai fatto per me.".
Si bloccò.
"... no." deglutì, gli occhi sgranati: "... non è ancora il momento.".
Alzò lo sguardo, catturò quegli occhi infernali.
- Non te lo porterai via. - sibilò.
"Tu hai impedito alla mia vita di spezzarsi..." serrò i denti, le labbra: "... non posso permettere che la tua vita venga distrutta.".
Il giovane ritrasse la mano, colto alla sprovvista.
- Prego? - domandò.
- Se io gli restituissi il cuore, ora... - mormorò Róisín: - ... tu lo porteresti via. Ma tu non puoi portarlo via. -.
Ne era sicura.
C'era qualcosa che le dava quell'assoluta certezza.
La creatura aggrottò la fronte. Accennò ad una risata, un tentativo di non scoppiarle a ridere in faccia: - Non avevate affermato di aver visto il nostro patto? - domandò: - Jack ha ucciso, senza alcun rimorso, con la volontà di strappare una vita. Si è lasciato riconoscere, durante la notte di Samhain. Come da patto che lui stesso ha accettato, è giunto il momento che mi segua nel mio Regno. -.
Róisín si morse un labbro.
Doveva fermarlo. Doveva impedirlo.
Sapeva di poterlo fare - di doverlo fare -, ma non sapeva come.
E quello era il Demonio.
La creatura con cui stava parlando, quella a meno di un metro da lei, che la stava fissando con i suoi occhi di rubino.
Se avesse sbagliato, Len sarebbe stato perduto per sempre.
E, forse, anche lei sarebbe stata bruciata dalle fiamme dell'Inferno.
Quelle stesse fiamme che stavano consumando Len, tra le sue braccia.
- So che saresti in grado di toccare le fiamme infernali senza riportare alcuna ferita. -
Trasalì.
Sgranò gli occhi.
Era vero.
Erano fiamme infernali. E non stava provando alcun dolore. La sua pelle era intatta, candida.
Avevano ragione.
- Sii forte, Róisín. Tu ne sei capace. -
Avevano ragione.
- Non aver paura. Mai. -
Avevano ragione.
Non doveva.
Non ne aveva.
Poteva.
- ... tu non puoi rubare un'anima. -.
Il demone sbattè le palpebre, visibilmente confuso.
Róisín non distolse lo sguardo: - Len mi ha donato il suo cuore. Se anche glielo restituissi, la sua anima apparterrebbe a me. E' stato lui a donarmela. E io l'ho accettata. Il cuore è soltanto un simbolo. Non puoi portare la sua anima con te. Perché lui appartiene a me. E io appartengo a lui. Se lui cadrà, cadrò anch'io. Se è vero che la mia anima non è destinata al tuo Regno, allora avresti rubato due anime che non ti appartengono. E questo non era in nessun patto. Questo violerebbe anche l'unica legge a cui tu devi sottostare. -.
La creatura sgranò gli occhi, digrignò i denti.
Róisín non potè impedire al suo cuore di tremare. Ma fu solo un attimo. Non poteva cedere.
Vide il demone serrare i pugni, il volto contratto in una smorfia d'ira.
- E poi... - proseguì lei, decisa: - ... le condizioni erano tre. L'uccidere e il farsi riconoscere erano solo la terza e la prima. C'era anche una seconda condizione che tu stesso hai posto a Len. - gli ricordò.
Un odore le invase le narici, entrò nei suoi polmoni, quasi soffocandola. Somigliava alla puzza delle uova marce.
Zolfo.
Le fiamme che avvolgevano Len si scurirono. Aumentò la presa su di lui, senza distogliere lo sguardo da quel volto demoniaco.
- Lui sapeva a cosa stava andando incontro, uccidendo e svelandosi. Lo sapeva. Ed era felice. -
Il sorriso di Len era svanito di rado, per brevi istanti. Quando guardava lei, era sempre sulle sue labbra, sincero e luminoso.
Anche tra le fiamme.
- Prima ancora di sporcare il suo pugnale di sangue... - capì, il cuore batteva con forza, deciso: - ... nel momento esatto in cui ha scelto di sacrificarsi per me, di perdere ogni cosa perché io vivessi libera, è stato perdonato per il male che ha fatto. Prima ancora di commettere quel delitto che l'avrebbe condannato, la sua anima era stata perdonata. Se anche Len morisse davvero, non sarebbe nel tuo Regno che andrebbe! -.
Il demone si alzò, come colpito violentemente.
Il suo volto era livido, i denti scoperti, quasi volesse attaccarla.
Róisín non si lasciò spaventare, stavolta.
Sapeva di stare dicendo la verità.
Sapeva di aver vinto.
- Len non ti appartiene! - esclamò, decisa: - Né ora né mai! Quindi, vattene! -.
- E' questo ciò che vuoi? - la voce della creatura era roca, bassa, disumana. La sentiva nella mente, come sussurrata vicino al suo orecchio: - Condannarlo ancora a vagare in eterno? E a lasciarti morire, dopo tutto quello che ha fatto per te? -
- Lui mi ha ridato la vita. - disse Róisín, la mano corse a stringere quella di Len: - Io la ridarò a lui. Un morto sul confine. Una viva sul confine. Lo seguirò. Lo seguirò per secoli, se sarà necessario. - inspirò a fondo: - Dopo tutto quello che ha fatto, non si libererà di me tanto facilmente. Voglio renderlo felice. Voglio che viva insieme a me. E, se questo significa rinunciare alla mia natura umana, se significa essere scacciata da chi vive, allora lo accetterò. Io vivrò, sì, ma non come umana. - strinse il ragazzo a sé: - Non sono già più un essere umano. Ma sono viva. -.
L'aveva capito.
Né viva, né morta. Un'anima e un corpo vivi nel Limbo. Il cuore di uno spirito errante, durante la notte di Samhain.
Poteva tornare un essere umano, se l'avesse voluto.
Ma aveva scelto di non farlo. Di vivere con chi le aveva ridato la vita.
Afferrò il bastone di Jack, la lama ancora scoperta, il sangue lavato via dalla pioggia. Lo conficcò nel terreno fangoso, tracciò una linea verticale, poi una orizzontale, sovrapposta.
Un urlo le invase la testa, Róisín alzò lo sguardo, verso il demone che arretrava, furioso, ferito.
- Vattene e lasciaci stare! - ripeté la ragazza: - Non ti apparteniamo! -.
Un lampo attraversò le nuvole, d'innanzi ai suoi occhi, abbagliandola per un istante.
Un tuono scosse il cielo, rimbombando come un terremoto, staccando la volta celeste, facendola precipitare.
Róisín si gettò su Len, coprendolo dal cielo che cadeva su di loro.
Quando il boato scomparve, la ragazza guardò in alto: il cielo era ancora lassù. Nulla era precipitato sopra di loro.
Si guardò intorno, il cuore che batteva forte: il demone era scomparso.
Sotto di lei, le fiamme erano scomparse. L'unica cosa che avvolgeva Len era il fango, pian piano lavato dalla pioggia fitta.
Esitante, Róisín si ritrasse, lasciando il ragazzo disteso a terra.
Era lì.
Le fiamme erano scomparse.
Il Demonio era scomparso.
E lui era lì.
Lei era lì.
Era davvero...
Tutto era davvero...
Pianse, lasciando che le lacrime le scavassero nelle guance. Gridò, lasciando che la puzza di zolfo nei suoi polmoni fosse sostituita da quello del fango, dell'erba bagnata, della pioggia, del freddo notturno. Singhiozzò, lasciando che i cuori battessero, liberi da tutto.
La pioggia si fece meno fitta.
Le gocce erano sempre più rade.
Finché non smisero del tutto di cadere.
Róisín ansimò, gli occhi le facevano male. Sentiva dolore ovunque.
Ma era felice.
Era felice come non lo era mai stata.
Il suo cuore batteva forte, tanto forte.
Con un sorriso, portò una mano al petto, spingendo appena. Un istante dopo, qualcosa di giallo brillava nella sua mano chiusa a pugno.
- Len... - rise, avvicinandosi a lui: - ... stavi dimenticando questo! -.
Premette il pugno contro il suo petto, lo aprì. La luce gialla scomparve.
Róisín sorrise: - Mi sa che l'ho un po' contaminato con i miei ricordi... - ridacchiò: - ... spero ti vada bene lo stesso. Anche se non sono granché interessanti. -.
Un'altra luce.
La ragazza alzò lo sguardo.
La linea dell'orizzonte si era tinta di rosso.
"L'alba!" capì, sgranando gli occhi.
Tornò a guardare Len.
Sorrideva.
Non aveva mai smesso di sorridere.
Gli accarezzò una guancia. Stavolta lo vedeva bene. Vedeva la sua pelle chiara, la sentiva calda sotto le sue dita.
- Devo fare alcune cose. - gli disse, in un sussurro: - Tu riposa. Stanotte tornerò qui. Non pensare di non presentarti. -.
Forse era stata un'allucinazione.
Ma le era parso che il sorriso di Len si fosse accentuato.
La luce dell'alba illuminò il cimitero, le ombre delle tombe, delle croci e della chiesetta si allungarono. Len non aveva ombra; la luce lo attraversò, rischiarando il suo corpo e facendolo brillare, come i diamanti sulla sua cintura.
Un istante dopo, Len era scomparso.
Róisín sorrise.
Si alzò.
Le gambe le facevano male. Tutto il corpo le faceva male. Ma non le importava.
- Forza, Rin... - mormorò: - ... ci sono alcune cose da sistemare. -.

Il ragazzo zucca
brillò e scomparve
quella figura è sicuramente... Jack O' Lantern



Narra la leggenda che, durante la notte di Halloween, gli spiriti intrappolati tra il regno dei vivi e quello dei morti vaghino senza meta.
Tra di loro vi è Jack O' Lantern, il corrotto ma astuto fabbro irlandese che riuscì ad ingannare il Demonio per ben due volte.
Il Re di Halloween, che ha fatto della zucca il suo stemma, quella stessa zucca che porta il suo nome e che lo allontana dai vivi.
Insieme alla sua corte, Jack O' Lantern vaga, regnando sulla notte di Samhain.
Vaga, con la sua corte, con la sua Regina.
Forse, un giorno, il suo errare finirà.
Narra la leggenda che la cosa non gli importi affatto.
Finché la sua Regina rimarrà con lui, allora potrà dirsi vivo, ovunque egli sia.
Narra la leggenda che la Regina di Halloween sia molto più dispettosa e testarda del suo Re.



Prego, prendine una
So che ti piacciono ancora
Stanotte, la tua adorabile zucca...

Eh?






E si giunge quindi alla conclusione di questa minilong alias oneshot-troppo-lunga, in un tripudio di deliri mistici - credo che mai come ora questa definizione calzi a pennello -, buoni sentimenti cioccolatosi à la Disney e favoletta simil-religiosa o forse no.
Vi sconsiglio di mangiare dolci, dopo aver letto questo capitolo. Se siete sopravvissuti.

Una piccola nota: i will-o'-the-wisp, o fuochi fatui, scientificamente parlando, sono delle fiammelle generate da alcuni gas rilasciati dai resti organici (corpi umani compresi) durante la decomposizione; nell'antichità, essi venivano generalmente scambiati per fantasmi. Altri nomi con cui vengono chiamati nel folklore inglese/irlandese, sono "hinkypunk", "hobby lantern" e "jack o' lantern".

Giunti a questo punto, voglio ringraziare chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui. XD
Quindi GRAZIE a Mistryss per aver messo la storia nelle Seguite e GRAZIE a Tayr Soranance Eyes per averla messa nelle Preferite. *^*
E, ovviamente, grazie a chiunque abbia letto! ^^

Non so se io sia riuscita a proseguire bene la struttura song-fic (anche perché, se ve lo state chiedendo, sì, la frase di chiusura del capitolo è la prima strofa della canzone. *...*) e, soprattutto, spero davvero di aver trattato tutte le tematiche delicate nel modo più giusto possibile.

A parte tutto, spero non vi sia venuto un travaso di zucchero che questo capitolo vi sia stato gradito. ^^
Per qualsiasi consiglio da darmi o critiche da farmi, dite pure. ^^
  
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