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Autore: Geilie    28/08/2013    1 recensioni
Lo straniero indossa abiti eleganti, troppo per un bar come quello, e tiene la testa abbandonata all’indietro, occhi chiusi e sorrisetto sornione stampato in faccia, proprio come se i problemi del mondo gli pesassero quanto una piuma sul dorso di un gigante. E forse è davvero così.
Genere: Drammatico, Generale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta durante la Drabble Night organizzata per festeggiare il compleanno di Moon Lady e l'anniversario EFPiano di Maiwe. Il pacchetto è mio.

Fandom: Originali
Personaggi: il Diavolo, un barista
Prompt: immagine
Parole: 416 (Word)
Note: il titolo è, con poca originalità, tratto da Sympathy for the Devil dei Rolling Stones.



Hope you guess my name
 
È notte fonda. La luna è alta, la temperatura affatto.
Nel bar son rimasti solo fumo e silenzio. E lui, il barista, che con uno straccio gettato sopra la spalla destra rovescia le sedie di legno sui tavoli.
L’ultimo tavolo, quello nell’angolo in fondo, è lasciato sempre alla fine; quando il barista alza lo sguardo e fa per avvicinarsi, col passo pesante di chi quella routine la ripete ogni sera, è costretto a spalancare gli occhi e fermarsi lì dov’è.
C’è un uomo dove non dovrebbe esserci più nessuno, dove non c’era nessuno fino a un momento fa. Sedia reclinata, in bilico, e gambe allungate sul piano di legno del tavolo, una caviglia sull’altra; una mano in tasca, una sigaretta incastrata con grazia tra due dita dell’altra; un filo di fumo lattiginoso che si attorciglia pigro e risalta contro le ombre del locale. Lo straniero indossa abiti eleganti, troppo per un bar come quello, e tiene la testa abbandonata all’indietro, occhi chiusi e sorrisetto sornione stampato in faccia, proprio come se i problemi del mondo gli pesassero quanto una piuma sul dorso di un gigante. E forse è davvero così.
«Sapevi che sarei arrivato» dice, senza aprire gli occhi e, chissà come, senza perdere il sorriso neanche per un istante. Sembra quasi che non abbia avuto bisogno di muovere le labbra, per pronunciare quelle quattro parole, e forse è davvero così. La sua voce è dolce come l’ultimo sorso di vino concesso a un condannato a morte: sa di perdizione.
Il barista non osa rompere il silenzio. Lo straniero avvicina la sigaretta alla bocca, piano, senza fretta, e la ferma a un soffio dal viso per parlare di nuovo, stavolta appena un sussurro.
«Mi piace incontrare di persona i miei… clienti
Il barista rabbrividisce. Allunga la mano, tira via lo straccio dalla sua spalla e lo lascia cadere sul bancone; si slaccia il grembiule nero, lo appallottola, lo poggia accanto allo straccio.
Il bar si chiama Inferno e, per averlo, il suo barista ha venduto l’anima al Diavolo.
A quanto pare, è giunta l’ora di pagare il conto.
Lo straniero - il Diavolo - apre gli occhi, lo guarda e gli offre un tiro di sigaretta.
 
Finisce com’è iniziata, senza lampi di luce, senza fronzoli, senza fuoco e fiamme.
Un momento sono lì, il momento dopo nel bar rimangono solo fumo e silenzio - e un vago odore di zolfo.
La notte è fonda, la luna è alta e la vita va avanti.
La morte anche.
  
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