Anime & Manga > Fairy Tail
Ricorda la storia  |      
Autore: Amor31    28/08/2013    6 recensioni
Jellal era di nuovo prigioniero.
Sapeva di dover pagare per le sue colpe, sì.
Ma non pensava che la tortura potesse essere tanto feroce.
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza Scarlet, Gerard
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Incatenato
 
Una goccia.
Un’altra.
Il ticchettio dell’acqua sulla finestra.
Jellal sollevò a fatica le palpebre, ma le riabbassò subito. Nonostante si trovasse nella penombra, provava un dolore lancinante nel cercare di tenere gli occhi aperti.
Si sentiva spossato, debilitato; aveva perso la cognizione del tempo. Non aveva la più pallida idea di quanto fosse rimasto lì, imprigionato in quella stanzetta. Sapeva soltanto di essere osservato. Anche il suo più piccolo movimento sarebbe stato notato dal carceriere uscito dalla porta di fronte alla quale si trovava e Jellal non voleva che le torture ricominciassero.
Si trovava in una posizione abbastanza scomoda: aveva le braccia tese all’indietro, contro la parete; i polsi, cinti da grosse manette, erano bloccati da robuste catene che lo tenevano inchiodato al muro. Ormai non se li sentiva più, tanto erano intorpiditi.
Il mago provò a muovere impercettibilmente una mano, senza ottenere notevoli risultati. Tentò di azionare i muscoli delle gambe, ma anche questi non risposero all’impulso dato dal cervello. Jellal imprecò sottovoce.
Sforzandosi di mantenere uno sguardo vigile, il ragazzo si accorse di alcuni segni rossi che gli percorrevano il torace nudo: strisce scarlatte andavano dalle spalle ai pettorali, dal fianco sinistro al destro, dagli addominali alla zona più bassa del ventre. Il solo guardare quel colore lo inquietò ancor di più.
Solo in un secondo momento percepì un fastidioso bruciore dietro la schiena. Jellal credette di essere stato frustato: dopotutto, soltanto quel trattamento poteva essere responsabile di un tale tormento. Era come se lembi di pelle gli fossero stati strappati via di colpo, lasciando sanguinare la carne viva sotto i sottili e delicati strati di epidermide.
“Perché mi ha fatto questo?”, si domandò disperato. “Cosa ho fatto per meritarmi una simile penitenza?”.
Di colpe ne aveva accumulate tante, certo. Forse il suo più grande peccato era il semplice esistere. Ma i suoi nuovi amici lo avevano convinto del contrario, la sua amata Erza lo aveva rincuorato…
Allora per quale motivo si trovava incatenato in quella stanza? Perché il carceriere ce l’aveva con lui?
Jellal scosse la testa, sentendola vorticare. Stava sudando freddo, ma non sapeva se attribuire quella strana sensazione al caldo opprimente o al timore nei confronti dell’aguzzino.
“Presto tornerà”, si disse. “Mi ucciderà, lo sento. E non avrò nemmeno la possibilità di combattere… Queste dannate catene saranno la mia rovina!”.
Mosse entrambe le braccia, facendo oscillare le maglie di ferro; un tintinnio rimbombò nella stanza.
“Ben fatto, Jellal”, rifletté ironicamente. “Stai riuscendo ad attirare l’attenzione del tuo persecutore!”.
Provò di nuovo a far scivolare via i polsi dalle manette, ma ogni tentativo fu inutile: era impossibile liberarsi. Non c’era via di fuga. Sarebbe stato costretto ad affrontare chiunque fosse entrato dalla porta.
Per dei minuti che parvero interminabili il mago rimase immobile, con gli occhi fissi davanti a sé. Ricordò le fasi salienti della propria vita e sentì le lacrime salirgli fin sulle ciglia, pronte a cadergli sul petto. Sarebbe morto senza aver mai goduto appieno della compagnia di Erza, senza essere entrato nella grande famiglia di Fairy Tail, senza aver combattuto per essere riconosciuto ufficialmente tra i migliori guerrieri del continente…
“Che senso ha vivere senza amare e senza essere amati?”, si chiese, afflitto. “Non mi spaventa la morte, ma mi terrorizza il non poter rivedere ancora una volta Scarlet”.
Strinse i pugni con rabbia, cercando di farsi forza. Che cosa avrebbe pensato Erza vedendolo in quelle condizioni?
“No, io lotterò”, si disse. “Lotterò fino all’ultimo secondo. Questa è la mia vita e, nonostante sia stato un criminale, nessuno ha il diritto di fermare la mia esistenza!”.
Un cigolio lo fece trasalire. Jellal alzò gli occhi sulla porta e vide una figura avanzare lentamente, affiorando dall’oscurità. Al mago bastò questo per sapere di essere in presenza di un nemico dal grande potere.
-Vedo che ti sei svegliato-, iniziò lo sconosciuto. -Hai fatto un bel baccano con quelle-, disse, indicando le catene che bloccavano il prigioniero.
-Cosa vuoi da me?-, chiese semplicemente il ragazzo, mantenendo con fatica la calma.
-Voglio che tu non mi opponga resistenza-, spiegò sintetico il carceriere. -Non correrò il rischio di lasciarti fuggire di nuovo-.
-Di nuovo?-, domandò perplesso Jellal, spalancando gli occhi e sentendoli bruciare.
-Esattamente-, asserì l’altro. -Sono anni che ti rincorro inutilmente. Mi sono sempre ritrovato ad un passo da te, ma ogni volta sei riuscito a cancellare le tracce del tuo passaggio. Le cose stanno per cambiare. Oggi sei tu a portare le catene-.
Il mago, sempre più incredulo, non riusciva a comprendere ciò che l’aguzzino volesse dire.
-Eri nella Torre del Paradiso?-, chiese, sforzandosi di ricordare anche una sola immagine che potesse risvegliare una memoria assopita in un remoto angolo della sua mente.
-Che razza di domanda mi fai?-, replicò sgarbato quello. -Mi prendi in giro o cosa?-.
Jellal scosse ancora la testa, sicuro di non aver incontrato mai prima di allora quel tipo.
-Dove mi hai portato?-.
-Non lo vedi da solo? Sei nella mia stanza, al sicuro-.
-Preferirei imbattermi in Zeref, piuttosto che restare immobile ed aspettare di essere ucciso da te!-.
Il carceriere si irrigidì. Indossava una spessa armatura scintillante e un elmo gli nascondeva il volto, ma Jellal fu certo di aver notato qualcosa di bizzarro nei suoi movimenti.
-Credi che voglia ucciderti?-, chiese brevemente il persecutore.
-So che lo farai-, rispose il mago. -Altrimenti non avresti avuto motivo di portarmi qui, lontano dalle persone di cui mi fido-.
Lo sconosciuto non proferì parola. L’unica suono che di lì a poco risuonò nella camera fu la sua risata piena, che spiazzò definitivamente il povero Jellal.
-Bene, allora-, disse il carceriere. -Credo proprio che sarà necessario farti tornare la memoria. E quale modo migliore, se non la tortura?-.
L’aguzzino si avvicinò pericolosamente al prigioniero, ma prima di rivolgergli l’attenzione fece correre lo sguardo dai piedi di Jellal alla finestra imperlata di grosse gocce d’acqua.
-C’è tempesta, lì fuori-, affermò, parlando più con se stesso che con la vittima. -Non pensi che sia il caso di chiudere la persiana?-.
Non aveva finito la frase, che le imposte erano già chiuse. Non uno spillo di luce trapelava dall’esterno; la stanza era completamente buia.
Jellal sentì il carceriere armeggiare con qualcosa di indistinguibile e sentì il panico invadergli le viscere. Se c’era una cosa che aveva imparato ad odiare, quella era l’oscurità; inoltre, la consapevolezza di essere incatenato e dunque inerme non lo tranquillizzava affatto.
-Qual è il tuo più grande desiderio, Fernandes?-, gli chiese in un sibilo il persecutore.
-Uscire vivo da questo posto e tornare dalle persone che amo-, deglutì a malapena il mago, percependo l’inquietante presenza spostarsi al suo fianco.
-Le persone che ami…-, ripeté sprezzante il carceriere. -Non hai l’aria di essere un grande conquistatore-.
-Non lo sono mai stato-, replicò con freddezza Jellal, piccato da quelle insinuazioni. -Mi basta sapere di aver conquistato la donna giusta-.
Di nuovo, il mago ebbe la sensazione di sentire lo sconosciuto irrigidirsi e si chiese cosa lo avesse turbato delle parole che aveva pronunciato.
-Il suo nome?-.
-Scordatelo. Non uscirà dalle mie labbra; non ti lascerò farle del male-.
-D’accordo, come vuoi tu. Te la sei cercata, Fernandes-.
In un attimo il carceriere fu sopra di lui. Jellal sentiva il ferro freddo dell’armatura a contatto con la propria pelle, calda e sudata; un brivido gli percorse la schiena, stimolando il bruciore che si era appena calmato.
-Le cose si mettono male, per te-, lo informò il persecutore. -Non tentare di resistermi o dovrò ricorrere alle misure dell’ultima volta. Ricordi? Hai gridato finché non sei svenuto…-.
L’aver dimenticato ciò che era successo in precedenza non rendeva calmo il mago. Anzi, lo preoccupava di più, se possibile.
-C-cosa vuoi fare?-, domandò allarmato Jellal, sentendo l’indice dello sconosciuto sfiorargli lievemente il torace.
-Ora vedrai-.
Il carceriere sedette sul lettino su cui si trovava il ragazzo. Non emise un suono per i successivi cinque minuti, godendosi l’invisibile spettacolo dell’angoscia della sua vittima; sotto l’elmo, le labbra gli si distesero con fare compiaciuto.
-Sei spaventato, Fernandes-, gli disse con tono suadente. -Non credevo di provocare questo effetto-.
Jellal deglutì sonoramente, terrorizzato. Quell’uomo poteva essere capace di qualsiasi cosa, ne era certo, ma quali erano le sue reali intenzioni? Perché non lo aveva ancora colpito?
“Questo bastardo si nutre della paura delle proprie prede”, concluse, sentendo un misto di ira e timore farsi strada in lui e cingergli il cuore. “Devo mostrarmi impassibile, devo cercare di rimanere lucido…”.
Non gli fu possibile. Con un gesto repentino il carceriere gli aveva afferrato l’interno coscia, stringendo la presa come a saggiare la muscolatura del mago. Jellal ringraziò di avere ancora indosso i pantaloni, l’unica protezione rimasta a difenderlo.
-Se questa è la tua reazione, non riesco ad immaginare se e come uscirai alla fine della tortura-, lo derise lo sconosciuto. -Non ti facevo così timido, Fernandes-.
-Non sai niente di me!-, sbottò il mago, al limite della pazienza.
-Non ho ancora capito perché ti ostini ad assumere questo atteggiamento, ma non importa; sarà ancor più soddisfacente vederti cedere-.
Il carceriere si alzò e Jellal cercò di seguirne i movimenti con lo sguardo. Per quanto la camera fosse buia, riuscì ad orientarsi sentendo il cigolio dell’armatura del nemico; infine il ragazzo fu sicuro che lo sconosciuto avesse preso posto proprio di fronte a lui, ai piedi della brandina.
-È ora di finirla con i giochetti-, gli disse con veemenza l’aguzzino. -A noi due, Jellal-.
Per un attimo regnò il silenzio. Non sarebbe stato possibile neanche percepire i respiri dei due.
Ma poi il mago si rese conto con orrore che il carceriere era risalito sul letto, stavolta gattonando con aria incredibilmente minacciosa. Nonostante il terrore che lo attanagliava, Jellal pensò che quel tipo dovesse avere un peso notevole, altrimenti le molle del materassino su cui era semi disteso non avrebbero mai cigolato in quel modo, quasi protestando.
“Si avvicina”, si ripeté per tre volte, mordendosi il labbro inferiore per evitare di urlare: non voleva che il nemico lo deridesse, non desiderava che si nutrisse della sua paura. “Dannate catene, andate al diavolo!”, imprecò, agitando con più forza le braccia in un ultimo tentativo di libertà.
Un attimo dopo sentì il cuore sprofondargli nello stomaco.
Il carceriere si era posizionato tra le sua gambe, leggermente divaricate, e le stava accarezzando con lo stesso indice con cui poco prima gli aveva sfiorato i pettorali.
“Merda!”, pensò Jellal, trasalendo. Non solo era in balia di un perfetto sconosciuto, ma quello era oltretutto un sadico dai gusti particolari.
“Cosa accidenti faccio?”, si chiese il mago, mentre i battiti del proprio cuore intraprendevano una vera maratona. “Come posso bloccarlo?”.
Istintivamente contrasse i muscoli delle gambe, che ancora una volta non risposero all’ordine impartito dal cervello. In teoria avrebbero dovuto piegarsi e calciare via quel maledetto pervertito, ma di fatto erano rimaste ferme, intorpidite e stese sul lettino, lasciando che il carceriere continuasse a tastarle.
“E adesso che sta facendo?”, si domandò Jellal, sentendo l’uomo armeggiare a meno di mezzo metro dal suo viso.
-Ti avevo detto di lasciarti andare, Fernandes-, disse l’aguzzino, sistemandosi meglio tra le cosce del mago e rimanendo in equilibrio sulle ginocchia. -Sei più rigido di un pezzo di legno… Eppure in altre occasioni hai dimostrato di avere doti particolari in campo seduttivo-.
-N-non so a cosa ti riferisci-,balbettò di rimando il ragazzo.
-No, certo-, rise ironico l’altro. -Forse ti sto confondendo con qualcun altro. Dopotutto, non hai mai amato nessuno; la tua bocca non ha conosciuto il sapore di labbra diverse dalle tue-.
-Questo cosa vorrebbe dire?-.
-Che dovrò iniziarti io-.
Improvvisamente Jellal si ritrovò faccia a faccia con il carceriere. Il tempo sembrò fermarsi: un cigolio sinistro fece rabbrividire di nuovo il mago, che, impotente, non poté opporre in alcun modo resistenza. Sentì le mani dell’uomo corrergli lungo il torace, andando ad esplorare ogni centimetro della propria pelle; le dita si fermarono più di una volta lì dove spiccavano i segni rossastri e ad ogni tocco il ragazzo sentì un fuoco espandersi dall’epidermide in superficie fino al muscolo sottostante.
Jellal sussultò quando il persecutore spostò l’attenzione sul basso ventre. Aveva sempre creduto che quello fosse il punto più vulnerabile del suo corpo ed ora ne stava ricevendo conferma.
Lo sconosciuto accarezzò con estrema lentezza gli addominali inferiori, facendo rabbrividire e poi spalancare gli occhi al ragazzo, shockato dall’accorgersi che a poco a poco la parte superiore dei suoi pantaloni veniva scostata, lasciando scoperte regioni proibite.
Fu allora che le gambe ripresero a funzionargli. Le piegò di scatto, impedendo al carceriere di proseguire l’indesiderata esplorazione, e cercò di colpirlo.
-No, no, no-, lo bloccò prontamente l’uomo in armatura, artigliandogli le ginocchia e immobilizzandole sul letto. -Non è così che funziona. Non costringermi a farti del male-.
-Lasciami andare, maledizione!-, urlò Jellal, buttando fuori tutta l’aria contenuta nei suoi polmoni.
-Sta’ zitto!-, gli tappò la bocca con una mano. -Quando avremo finito te ne andrai. Ma prima di quel momento non osare chiedermi nulla del genere!-.
Un secondo dopo il carceriere si trovava a cavalcioni sul ragazzo, bloccandogli la vita. Disgustato da ciò che stava accadendo, il mago provò a scrollarsi di dosso il pesante persecutore, ma non ci fu nulla da fare: l’armatura di quel tipo era un vero e proprio macigno.
-Jellal, Jellal-, sospirò quello, -non riesci proprio a capire, vero? Sei dannatamente ostinato… Ma è questo che mi piace di te, in fondo-.
Riprese a sfiorargli i pettorali, sentendo fremere la pelle sotto le proprie dita, mentre il ragazzo tentava disperatamente di far cedere le catene che lo inchiodavano al muro. Un altro cigolio lo avvertì di un nuovo movimento dell’aguzzino, ma non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi che cosa avesse in mente.
D’improvviso sentì le labbra di quell’individuo premere contro le sue, cercando di forzarle con la punta della lingua. Jellal si lasciò prendere dal panico: provò ad urlare, ma l’unico risultato che ottenne fu spianare la strada alla bramosia dell’assalitore.
“Ecco cosa stava facendo!”, realizzò atterrito il mago. “Si stava togliendo l’elmo!”.
Aveva ragione, ma in parte: il carceriere aveva sollevato appena il casco di ferro, facendo sì che l’unica parte scoperta del viso fosse la bocca. Che adesso, dopo essere riuscita a strappare un bacio alla vittima, stava scendendo lungo il mento, lasciando una scia calda lungo il collo e raggiungendo i segni rossi che spiccavano sul petto.
Una strana sensazione invase Jellal, che mai aveva provato un tale vortice di emozioni tanto contrastanti: da una parte l’odio e il disprezzo per quell’essere, da un’altra la vergogna e la paura; infine, cosa che lo stupì più di tutto, un indescrivibile piacere derivante dal contatto tra la propria pelle e le labbra del carceriere. In tutta la sua vita il mago non si era mai sentito tanto spaesato. 
Aveva sempre sognato di aprirsi solo e soltanto con Erza, l’unica donna al mondo che fosse in grado di decifrare i suoi pensieri con una semplice occhiata; si era ripromesso di non cedere ad alcuna tentazione, seppure questa si fosse presentata: sarebbe rimasto puro –almeno fisicamente– per lei, per Scarlet.
Ma quei baci, quei tocchi rapidi e leggeri che adesso lo stavano torturando, gli stavano facendo perdere il controllo poco alla volta.
Possibile che fosse attratto da un altro uomo?
Possibile che il suo corpo dovesse essere profanato così, in una stanzetta buia, in presenza di uno sconosciuto?
Sì, sarebbe andata così.
Si era illuso di poter tornare a vivere una vita normale.
Aveva creduto di essere capace di raggiungere la luce.
Che sciocco.
Jellal era stato e rimaneva ancora un Mago Oscuro. E si sa, non è facile sconfiggere il proprio lato nero, se il candore ti acceca.
-A quanto pare ti sei arreso-, gli disse il carceriere, alzando la testa.
Il ragazzo non rispose. Ormai non gli importava più niente.
-E hai perso anche la lingua-, lo provocò quello, dandogli un colpetto sulla spalla sinistra.
Il giovane non dava cenni di vita. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, occhi dilatati nel buio.
-Che diamine…?-.
-Uccidimi-, ordinò Fernandes.
-Ma che…?-.
-Mi hai sentito-, ripeté con autorevolezza e sdegno. -Non ho intenzione di essere il tuo giocattolo. Prenditi pure la mia vita, se ci tieni; non ha senso andare avanti, ora che mi hai fatto questo-.
-Sei impazzito o…?-.
-Smettila! Mi hai portato via la dignità, mi hai tolto la possibilità di stare con la ragazza che amo! Che tu sia dannato!-.
Aveva scrollato prepotentemente le spalle, facendo tintinnare per l’ennesima volta le catene che gli serravano i polsi, mentre il carceriere, di nuovo irrigidito, si era scostato, alzandosi in piedi e allontanandosi.
-Non ti pensavo così stupido, Jellal-, disse quello. Il mago sentì i passi spostarsi alla sua sinistra, verso la parete su cui si apriva la finestra. -Un cieco saprebbe riconoscere i vecchi amici meglio di te-.
Tutto d’un tratto uno spiraglio di luce grigia colpì il volto del ragazzo, che rapidamente si voltò dall’altra parte per evitare che gli occhi si irritassero di nuovo. Quando si fu abituato al chiarore nella stanza, riuscì finalmente ad individuare l’aguzzino.
Lo sconosciuto se ne stava in piedi, accanto alla finestra; teneva le braccia conserte sul petto, cinto dalla robusta armatura che fino a qualche secondo prima aveva fatto penare non poco il mago. Jellal fece correre lo sguardo direttamente sul viso semi nascosto dall’elmo e rimase colpito dalle labbra carnose che vi spiccavano.
-Tu…?-, iniziò il giovane, perplesso e sorpreso allo stesso tempo.
-Allora? Hai qualcosa da dire in tua discolpa?-.
La gola gli divenne improvvisamente secca. Non avrebbe potuto articolare una singola parola.
-Non dirmi che hai di nuovo perso la memoria, perché non ci credo-.
Jellal alzò appena le spalle, come a scusarsi.
-Se vuoi ti ricapitolo cosa è successo-.
Il carceriere aspettò alcuni secondi prima di ricominciare a parlare.
-Sei stato ferito. Ti ho ritrovato qualche giorno fa, non molto lontano da qui. Ti ho fatto curare e spostare nella mia stanza non appena ti sei ripreso-.
-Come è successo?-, chiese il mago, sempre più spaesato.
-Ah, non chiederlo a me. Speravo che me lo dicessi tu, in realtà. Comunque sia-, continuò l’assalitore, -hai avuto fortuna. Evidentemente è il destino che ci vuole insieme-.
-Ma… Io non ti conosco. Perché continui a ripetere che…?-, protestò Jellal.
-Questa è proprio bella!-, esclamò innervosito il carceriere. -Te l’ho detto anche prima: finiscila con questo scherzo di cattivo gusto. Amarti non mi impedirà di darti una lezione-.
-Senti, non so chi tu sia, ma sono sicuro di non essere la persona che stai cercando-.
-Poche storie, Jellal-, lo zittì quello. -O forse vuoi dirmi che non mi riconosci solo perché indosso un’armatura nuova?-.
Il mago impallidì.
-Erza?-, disse, titubando.
-No, non ci posso credere! Chi credevi che fossi, eh?-, replicò piccata la guerriera, ex-quippandosi e tornando a vestire con la solita corazza. -Capisco che l’elmo possa trarti in inganno, dato anche l’incantesimo che camuffa la voce, però quando è troppo è troppo!-.
-Ma… E queste catene?-, chiese il ragazzo, senza spiegarsi il motivo per cui era stato bloccato in quel modo.
-Ho due spiegazioni in merito-, affermò la maga, sbuffando. -Innanzitutto quando ti ho fatto spostare in questa camera ci hai dato non pochi problemi. Eri molto agitato, ti contorcevi come in preda a degli spasmi: il Master pensava che fossi vittima di un sortilegio dall’effetto prolungato. Quindi mi ha ordinato di tenerti sotto stretta sorveglianza, facendo attenzione a non farti muovere dal letto. Alla fine ho optato per quelle manette, sì-, spiegò Erza, indicando i due punti della parte a cui erano agganciate le catene.
-La seconda motivazione?-, domandò sbalordito Jellal.
-A dire la verità, l’hai già sentita-, disse in un sussurro la ragazza, arrossendo e abbassando lo sguardo. -Non voglio perderti di nuovo. Mi sento sanguinare dentro ogni volta che ti vedo andare via-.
Per la prima volta da quando si era risvegliato, il mago sorrise. Tutte le sue paure e sofferenze erano state alleviate alla semplice vista di Erza, che ora non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.
-Quindi la tortura a cui mi hai sottoposto-, disse Jellal, senza smettere di sorridere, -faceva parte del tuo piano, vero?-.
Scarlet annuì debolmente con la testa.
-Prima o poi riuscirò a convincerti a rimanere con me, con o senza quelle catene-, sentenziò, alzando appena il viso e fissando il volto sereno dell’amato.
-Se posso esprimere la mia opinione, preferirei senza manette-, rise il giovane. -Per quanto tempo mi hai tenuto fermo in questa assurda posizione?-.
-Quarantotto ore-.
-Cosa?!-, esclamò Jellal. -E non pensi che sia arrivato il momento di liberarmi?-.
Erza mosse qualche passo verso di lui, pronta a lasciarlo andare. Prese la prima delle catene ed estrasse la spada, decisa a spezzare le maglie, ma poi si bloccò.
-Che c’è?-, le chiese il ragazzo, sbirciando il profilo della guerriera.
-Promettimi di non scappare-, sibilò lei. -Dimmi che rimarrai qui finché non ti sarai completamente ripreso-.
-Come vuoi tu-, asserì. Negli occhi aveva un bagliore che fece arrossire di nuovo Erza.
Meno di un minuto dopo Jellal si massaggiò energicamente i polsi, affinché il sangue vi tornasse a circolare normalmente. Non si sentiva più le mani né tantomeno le braccia. Aveva i muscoli in fiamme.
-Come ti senti?-, gli domandò Scarlet, rimanendogli vicina ed esaminandolo con occhio indagatore per cercare di capire se qualcosa non andasse.
-Sono stato meglio-.
-Scusami di nuovo per le catene, ma è stato necessario…-.
-Sta’ tranquilla. Ora che mi è tutto chiaro, non mi rimane che ringraziarti per esserti presa cura di me-.
Erza non proferì parola. Diede le spalle al ragazzo e s’incamminò in direzione della porta.
-Jellal-, gli chiese fermandosi, ma evitando di guardarlo, -che cosa intendevi quando hai detto che ti avevo tolto la possibilità di stare con la donna che ami?-.
Stavolta furono le guance del mago a prendere colore. Pregò che Scarlet non si voltasse e disse: -Se al tuo posto si fosse trovato un vero aguzzino, il suo comportamento mi avrebbe privato dell’integrità corporea. E questo è un valore a cui tengo profondamente-.
Erza si girò e sorrise, con aria sarcastica: -Perché, invece cos’è successo? Non hai detto addio a questa famigerata integrità?-.
Jellal avrebbe voluto sprofondare. E sì che aveva provato un grande piacere nel sentire le calde labbra della ragazza sfiorare la propria pelle.
-È diverso-, provò a ribattere. -Eri tu-.
-Ma l’ultima volta che ci siamo visti non mi hai detto di avere una fidanzata?-.
Era spacciato. Come avrebbe fatto a negare, riuscendo a non tradirsi?
-È così, infatti. Ma lei ancora non lo sa-.
Erza nascose un sorriso: le era bastato sentire quella frase dal tono infantile per capire cosa intendesse il mago.
-Sbrigati a dichiararti, allora-, lo incalzò. -Non tutte le donne sono disposte ad aspettare che i loro amanti rompano le catene con il passato-.
Notando l’espressione smarrita e preoccupata di Jellal, la ragazza provò un moto di gioia: sperava davvero di essere riuscita a convincerlo a parlare chiaramente una volta per tutte. Dunque quando fu sul punto di chiudere le dita attorno alla maniglia della porta per poter uscire e si sentì richiamare indietro, fu certa di avere la vittoria in pugno.
-Dimmi-, si rivolse cordiale al mago.
Non riuscì a credere ai propri occhi.
Il giovane si era alzato, reggendosi appena sulle gambe malferme. Gli effetti del sortilegio che gli era stato scagliato contro erano ancora evidenti ed Erza corse a sorreggerlo, per evitare di vederlo cadere davanti ai propri occhi.
-Siediti-, gli disse, riaccompagnandolo al letto e accomodandosi essa stessa sulla sponda del materasso. -Te l’ho detto, sei troppo debole per uscire. Sarà meglio che vada a chiamare il Master per decidere cosa fare-.
-No, aspetta-, la trattenne Jellal, afferrandole con delicatezza un polso. Anch’io ho una cosa da chiederti-.
Scarlet rimase immobile. Adesso era lei ad avere il cuore in panne.
-Mi sapresti dire cosa sono questi segni rossi?-.
La ragazza, che aveva trattenuto il respiro in attesa di un momento realmente magico, sospirò, quasi delusa. Ma non appena si ripeté la domanda di Jellal, provò la sensazione di avere le guance divorate dalle fiamme.
-Be’, ecco…-, esitò, fissando il pavimento e contorcendosi le mani, -cosa pensi che siano?-.
-Nella penombra mi sembrava sangue-, disse il giovane. -Ma adesso che posso toccarmi, pare che sia qualcos’altro-.
Si tastò una delle strisce che gli segnavano gli addominali e si accorse di poter eliminare senza difficoltà quelle tracce. Il colore gli sporcò la punta dell’indice e Jellal avvicinò la mano al viso, deciso a capire di cosa si trattasse.
-Ha un odore strano-, notò. -Mi prendi per pazzo se dico che sa di fragola?-.
Erza non fiatò. Era il suo turno di voler sprofondare.
-Non sei tu il pazzo-, disse, ancor più rossa. -È davvero alla fragola-.
-Come?-, chiese perplesso Jellal.
-Quello… È rossetto. Il mio rossetto-.
 Il mago, prima incredulo, poi rasserenato, si sforzò di non ridere. Guardò per un istante Erza e sorrise nel riconoscere la bambina che aveva incontrato per la prima volta molti anni prima.
“Non cambierai mai”, pensò. -E sai dirmi come ha fatto ad arrivare fin qui?-, le chiese, fingendo di essere infastidito-.
-No, no, be’… Era solo un vaso-, mormorò la ragazza, assottigliando la voce sempre di più.
-Scusa, non ho capito. Puoi ripetere, per favore?-.
-Un naso-.
-Erza, cerchi di prendermi in giro o…-.
-Era un bacio!-, esclamò Scarlet, alzando gli occhi al cielo e scattando in piedi.
-Questo è impossibile-, le fece notare Jellal. -Sono strisce, non…-.
Il mago si interruppe a metà frase, come colto da un’improvvisa illuminazione. Rimase seduto, radunando i pensieri, poi, seppur esitante, riuscì ad alzarsi, appoggiandosi alle spalle di Erza.
-Non era un bacio solo-, le sussurrò in un orecchio. -Queste sono scie di baci. Esattamente come hai fatto prima, quando mi hai bloccato la vita-.
La ragazza si irrigidì per la quarta volta da quando era entrata in quella stanza. Sentire le mani di Jellal poggiarsi leggere sui suoi fianchi la rendeva felice e nervosa allo stesso tempo.
-Non dovevo stare poi così male, se hai avuto il tempo di ridurmi così-, ridacchiò il mago, stringendola a sé. -Anzi, forse dovresti ammettere di aver approfittato della situazione in cui mi trovavo-.
Erza si voltò, ritrovandosi a venti centimetri dal viso del giovane. Si specchiò nelle sue iridi scure per una frazione di secondo, prima di riabbassare lo sguardo sul suo torace nudo e segnato.
-Non me lo avresti mai lasciato fare, se fossi stato in te-, si giustificò.
-Chi te lo ha fatto credere?-.
-Tu, ovviamente-, replicò Scarlet, dandogli un colpetto sul braccio. -Adduci sempre la scusa del volermi proteggere per starmi lontano, ma sai che non ce la faccio a vivere così. Non posso vederti comparire all’improvviso e sperare che tu rimanga finalmente con me, per poi saperti di nuovo lontano, in cerca di chissà quale Gilda Oscura, esposto a pericoli inimmaginabili. So bene che tra qualche giorno te ne andrai, perciò ho desiderato avere un ricordo di te. E i baci che ti ho dato sono stati la mia linfa, per quanto tu fossi incosciente-.
La guerriera lo abbracciò, affondando il viso nella spalla del ragazzo: se avesse potuto, avrebbe trasformato le proprie braccia nelle catene che fino ad una manciata di minuti prima avevano stretto il mago.
-Ma ora sono qui, con te-, la rassicurò Jellal, cingendole a sua volta le spalle con un braccio e depositandole un bacio sulla chioma scarlatta. -E ti assicuro che non avrai bisogno di tenermi incatenato: non voglio andarmene. Non ora. Non senza di te-.
Le alzò il mento e la guardò: il viso di Erza era sempre stato splendido, ma in quel momento irradiava una luce speciale.
La Luce della Speranza.
La Luce dell’Amore.
-Dammi la mano-, le disse, incrociando le proprie dita con quelle della ragazza. -Anch’io voglio un ricordo che mi accompagni sempre lungo il cammino-.
Tornarono verso il letto e si sedettero, senza dire nulla: qualsiasi parola sarebbe stata di troppo.
Jellal fece distendere Erza e la affiancò, scostandole i capelli dal volto. Avrebbe potuto restare in quella posizione per sempre, intento ad ammirare i lineamenti regolari della sua amata, ma sapeva di non avere molto tempo a disposizione. Ciononostante, aveva deciso di godersi appieno quel momento e non vi avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
-Per par condicio dovrei usare anch’io le catene, ma sai quanto le odi-, le disse, sorridendo.
Scarlet gli rispose con un’occhiata che esprimeva sia contentezza sia malinconia: consapevole che Jellal si riferisse alla prigionia nella Torre del Paradiso, si sentì colpevole di averlo immobilizzato al muro, per quanto l’ordine le fosse stato impartito dal Master per sicurezza.
-Spezziamole insieme, allora-, gli disse lei, accarezzandogli il viso. -Liberiamoci del passato una volta per tutte-.
Jellal non le lasciò terminare la frase. Catturò le sue labbra e la strinse al petto finché ad entrambi non mancò il respiro. Tocchi brevi e rapidi si susseguirono di lì in poi, tra ansimi e sorrisi di pura gioia.
No, non c’erano più vincoli legati al loro passato.
Quel bacio fu la liberazione di un ragazzo prossimo alla completa redenzione e di una giovane donna da sempre innamorata dell’uomo che la stava cullando con così tanta dolcezza.
Allo stesso tempo, però, un nuovo legame sorse tra di loro.
Certo, le antiche catene nere di malvagità si erano dissolte, ma qualcos’altro era nato.
Nessuno dei due amanti ebbe bisogno di parlare: avevano già capito.
Ad essere incatenati, stavolta, erano i loro cuori. L’uno accanto all’altro, in un eterno abbraccio fatto di amore e comprensione.
Quella sarebbe stata l’unica catena che mai nessuno sarebbe riuscito a spezzare.
 
 
 
 
Angolo dell’Autrice
Rieccomi con la seconda storia in questo Fandom ^^
Sempre rigorosamente Jerza, certo. Per gli altri pairing c’è sempre tempo, visto che sono inflazionati XD
Dunque, che dire di questa OS?
Se vi è piaciuta, passate a ringraziare Mokona_, che mi ha fornito un magnifico prompt: “catene”.
Per il resto, nulla da aggiungere. Spero davvero che abbiate apprezzato la storia o che quanto meno sia originale.
Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando.
Buone fan fiction a tutti,
 
Amor31
   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Fairy Tail / Vai alla pagina dell'autore: Amor31