Lea_z_98 presenta
Una fanfiction di FAIRY TAIL
Astral Pyramids ~ I
Sigilli del Regno di Eden
Capitolo 2: Di ragazzi silenziosi,
vecchi regnanti e bizzarre quindicenni
Il bar era vuoto e triste. Solo la musica stonata di
un disco jazz, che il giradischi di origini preistoriche riproduceva a volume
basso e con suoni distorti, impediva che cadesse in un deprimente silenzio.
Un diciannovenne era seduto al bancone.
Era un bel ragazzo, di quelli che ti colpiscono a
prima vista: era alto ed aveva un fisico atletico, non troppo muscoloso; i
capelli, corti e spettinati, erano di varie gradazioni di grigio, alla base
argentate e poi giù, giù, sempre più scure. In particolar modo l’attenzione
veniva attirata da una lunga ciocca, che ricopriva l’occhio sinistro – che,
come il suo compagno destro, aveva un colore cinereo.
Un tipo tenebroso, nel complesso. Anche per i vestiti,
con quella canottiera con un cuore nero e incatenato, la giacca di pelle
(anch’essa nera), i pantaloni scuri e gli stivali, ancora grigi, che al posto
dei lacci avevano delle catene.
Insomma, quasi un uomo-catena.
Sollevò il bicchiere di birra. Bevve un sorso.
Sospirò.
- Che strana
cosa, la solitudine… - disse.
- Ciao!-
Il ragazzo si voltò.
La giovane che l’aveva chiamato era decisamente
carina. Una biondina con occhi grandi e vivaci, i capelli tagliati a caschetto,
il sorriso accattivante.
Ma niente che lo attirasse, dopotutto.
Quella si avvicinò con naturalezza e chiese, con una
bella voce squillante:
- Che dici,
posso sedermi qui accanto?-
L’uomo-catena fece spallucce e accennò a uno sgabello.
La ragazza lo prese come un sì e si sedette.
Poggiò i gomiti sul tavolo, poi poggiò il mento sui
palmi delle mani, infine piantò gli occhi addosso al diciannovenne.
- Ci
presentiamo?- fece.
Di nuovo, l’uomo-catena rispose con un gesto vago,
ruotando una mano lentamente nell’aria.
- Fantastico!
Io sono Betty. E tu, ti chiami…?-
- Ashuros.-
disse laconico l’altro, prendendo un sorso di birra.
- Ashuros. Carino. E
raccontami, dai, Ashuros, cosa fai nella vita, a parte frequentare questo bar?
- Beh…-
Il ragazzo sembrò cercare le parole giuste.
Betty attendeva, fiduciosa.
- Combatto
fino alla morte con cieca fedeltà affinché il mio padrone possa vedere
realizzati i suoi desideri. Dopo che con me ha stretto un patto, comunque.-
La ragazza parve restarci un po’ male. Non doveva
essere quello che si aspettava.
- Oh, beh,
immagino che sia un lavoro come un altro.- concluse infine - E quantomeno
sembra che debba essere ben pagato.-
- … Pagato?-
fece Ashuros, dubbioso.
Cadde il silenzio. Il disco era finito, girava a vuoto
sul piatto producendo solo fruscii incoerenti. Ashuros prese un altro sorso di
birra.
- Che sete!- esclamò
Betty.
Ashuros prese un altro sorso di birra.
- Già, che
sete! Se solo avessi qualcosa da bere…- continuò lei.
Ashuros prese un altro sorso di birra.
- Voglio
dire, se qualcuno mi offrisse da bere, sarebbe una cosa molto carina,
eh?-
- Oh, scusa.
Sono proprio un cafone.- fece l’altro, senza particolare convinzione.
Le allungò il proprio bicchiere.
- Ecco,
prendi pure. Ma non più di un paio di sorsi.-
Betty sgranò gli occhi. Biascicò un “non importa” e si
voltò a guardare in avanti, oltre il bancone.
Si chiese se ci fosse qualcosa che non andava.
Estrasse uno specchietto dalla borsetta e diede un’occhiata veloce per
verificare che il rossetto non fosse sbavato. Nello specchietto vide per un
attimo il suo interlocutore, e osservò un particolare curioso. Qualcosa di
appeso al suo orecchio; una catenina con un falcetto.
- Carino
quell’orecchino.- disse, sorridendo - Mi piace l’etnico. L’hai comprato in quel
negozio new age che c’è qua vicino, o…-
- Non l’ho comprato.
È mio e basta.-
Betty rise un po’ forzatamente, cercando di
convincersi che quella doveva essere solo una battuta. Allungò la mano per
prendere l’orecchino e osservarlo meglio, ma quando fu all’altezza del petto
dell’uomo si sentì confusa, avvertendo un’aria lugubre e tetra.
- Che… cosa…
è…?- balbettò, impressionata.
- Oh, quello.
Beh, credo che sia il mio potere.-
Betty ritirò lentamente la mano e abbassò gli occhi.
Decise di cambiare bruscamente argomento cercando di
vivacizzare la serata e rompere il ghiaccio una volta per tutte. Prese un
respiro profondo e si buttò.
- Senti,
Ashuros, la giornata è ancora lunga, e questo bar…- fece una risatina - … beh,
non è poi così vivace. Quindi che ne dici di uscire, magari anche ‘sta sera, andare
da qualche altra parte e folleggiare un po’? Eh? Yuu-huu!-
Il suo gridolino di entusiasmo non suscitò effetti
particolari. Ashuros continuò, con assoluta noncuranza, a bere dal suo
bicchiere di birra. Betty lo fissava, con un sorriso speranzoso.
Ashuros smise di bere.
Posò il bicchiere.
Restò qualche secondo in silenzio.
- Splendido.-
disse piatto - Ci sto.-
Dentro la testa di Betty, ottantamila tifosi alla
finale dei Mondiali si alzarono in piedi esultando per il gol della vittoria.
- Devo solo
avvisare Janet che farò tardi.-
L’arbitro fischiò e annullò il gol. Tifosi zittiti.
Betty assunse un’espressione corrucciata.
- E chi
sarebbe questa Janet?- domandò, gelida.
- La mia
padrona.-
Oh, bene.
Bravo il signor bevo-la-birra-da-solo-sono-un-gran-figo-rimorchiatemi-forza.
- Stasera
dobbiamo allenarci alla fusione.-
Fusione?
- Insomma,
sai? Quando due si toccano, e poi i loro corpi si uniscono, ed è come se
diventassero una cosa sola? Il termine adatto è Usion Raid.-
Oh, “Usion
Raid”. Lo chiamano così, adesso.
- Hai
presente?-
- Ne ho
sentito parlare.- sibilò la ragazza.
- Ecco. A me
scoccerebbe pure, ma Janet continua a seccarmi… ‘dai, proviamo la fusione!’,
‘Oggi dobbiamo fare pratica con la fusione!’. Una rottura. Non dovevo firmare
quel contratto.-
- Oh,
poveretto.- commentò sarcastica Betty - E sicuramente questa Janet è più
giovane e carina di me, vero?
- Più carina,
non saprei.- disse Ashuros, senza fare una piega - Giovane, per forza…-
Prese, di nuovo, un sorso della sua birra.
- Ha undici
anni.-
Fu come un’esplosione.
- ECCO! LO
SAPEVO!- ruggì inferocita Betty - PERCHE’ OVVIAMENTE, OVVIAMENTE, QUANDO UN
UOMO COMINCIA A PIACERMI, E’ NATURALE CHE DEBBA ESSERE UN DANNATISSIMO
PERVERTITO!-
- Ma io… -
provò ad obiettare Ashuros.
- ED IO CHE
PENSAVO CHE TU FOSSI CARINO! LA VERITA’ E’ CHE SEI UN PORCO! VOI UOMINI SIETE
TUTTI DEI PORCI!-
- Però non
volevo dire…-
- E NON
TROVERO’ MAI NESSUNO, E VIVRO’ SEMPRE DA SOLA, E MORIRO’ POVERA, VECCHIA E
BRUTTA, CIRCONDATA DA GATTI PUZZOLENTI, IN UNA CATAPECCHIA, COME UNA MISERA
ZITELLA! BOO-HOO-HOO!-
La ragazza scappò via, in lacrime, tenendosi il volto
fra le mani.
Ashuros rimase immobile, senza il tempo di reagire,
gli occhi sgranati, una mano inutilmente levata a mezz’aria, a cercare di
puntualizzare che forse c’era stato un piccolo equivoco. I singhiozzi di Betty
sparirono in lontananza.
Forse avrebbe dovuto spiegare meglio cos’era un Usion
Raid e che tale Janet non era altri che una delle persone per cui lavorava.
Ashuros abbassò la mano.
Riprese il bicchiere di birra.
Con un ultimo, lunghissimo sorso, lo finì.
Sospirò, ancora.
- Davvero…-
mormorò - Che cosa strana, la solitudine…-
***
Sono un uomo
fortunato.
Non molto
lontano dal bar dove si trovava Ashuros, iniziava una stradina in pendenza,
piena di ghiaia. Dopo mille giri e mille ostacoli, questa stradina conduceva ad
un castello grande, alto e medievale.
Questo castello
era sede di un’organizzazione segreta, ma temuta dai pochi che ne erano a
conoscenza: la EDEN; questa, però, la approfondiremo meglio più tardi. Per ora
torniamo alla storia.
Sono un uomo fortunato.
Muovendo il suo
primo passo nell’ala del castello, in cui avrebbe presto preso servizio, Cabras
Tonton non riusciva a pensare ad altro che a questo. La fortuna l’aveva
baciato. E adesso eccolo, pronto a iniziare il suo nuovo lavoro; alla tenera
età di cinquant’anni e tredici ore, già diventava un servo del grande Traish
Lambarn, il secondo dei capi dell’organizzazione. Ad un posto migliore non
poteva aspirare, visto e considerato che il primo, Star Shader, non si teneva
intorno nessuno quasi nessuno.
Insomma,
lavorare in quel castello era un ottimo trampolino di lancio. Una carriera
brillante lo aspettava, ne era certo. Pieno di entusiasmo, Cabras Tonton prese
un respiro profondo, spinse l’ultima porta, quella della sala del trono di sua
maestà (come lo dovevano chiamare i suoi dipendenti) Traish Lambarn, ed entrò,
a testa alta.
- Cabras a
rapporto, signore!- esclamò, saltando sull’attenti.
Sua maestà Traish
Lambarn, sul trono dove dormiva con la testa che cadeva sul petto, ebbe un
momentaneo sussulto, quindi riprese il suo russare irregolare e catarroso.
Intorno a lui,
diversi uomini ciondolavano oziosamente qua e là.
- Ah ‘bbelli!-
esclamò uno di loro, un ciccione alto ma con le braccia corte - C’avemo quello
novo.-
Qualche sguardo
si alzò pigramente a controllare; due del lavoratori fecero carta-forbici-sasso,
e alla fine uno di loro, probabilmente il perdente, cominciò a trascinarsi in
direzione del nuovo arrivato.
Cabras attese,
il petto gonfio d’orgoglio.
Sono davvero un
uomo fortunato.
- Ben arrivato.- sospirò l’individuo venuto ad
accoglierlo - Io sono Ggio Tergas. Ggio si scrive con due “G”, cerca di
ricordartelo. E tu hai detto che ti chiami…?-
- Cabras
Tonton, signore!- fece l’altro, scattando sull’attenti.
- Cabras… Tonton?- domandò Ggio, dubbioso.
- Sissignore,
signore! Per gli amici solo Cabras, signore!
Cabras; in
spagnolo: capra.
- Ascolta,
Cabras… tu l’hai seguito il corso accelerato di spagnolo prima di venire qui,
vero?
- Certo,
signore! Ero il migliore del mio corso, signore! Tutti gli altri si distraevano
durante le lezioni e stavano a sfogliare i dizionari per cercare le parolacce,
signore!-
Restò
pensieroso per un attimo.
- A dire
il vero,- disse infine - sono stati proprio loro a darmi quel soprannome,
signore!-
Tonton; in
francese: tonto.
- Non stento a
crederlo, Cabras.- concluse Ggio, poggiandogli una mano sul capo e sorridendo
paterno - Non stento a crederlo.-
Camminarono un
po’ in silenzio, Ggio che faceva strada, Cabras che lo seguiva come un fedele
cagnolino.
- A ben
pensarci, signore,- chiese ad un certo punto quest’ultimo - perché il signor
Lambarn desidera che noi impariamo lo spagnolo?-
- Oh, non
ne sono sicuro.- rispose svogliatamente l’altro - Ma credo che sia una di
quelle teorie da “Manuale del manager perfetto”… I suoni dello spagnolo
sarebbero particolarmente adatti per dare agli uomini uno spirito di
costruttiva motivazione e dedizione alla causa, o qualcosa del genere. Ti è
chiaro?-
- Olé,
signore!- esclamò sorridente Cabras.
Ggio Tergas lo
fissò stravolto per un istante.
- A quanto
pare con qualcuno funziona pure.- concluse, scuotendo la testa.
Giunsero a un
angolo della vasta sala. Uno dei dipendenti, con addosso un elmetto che poteva
benissimo venire dalla testa di qualche supereroe uscito da un filmetto
giapponese di serie B, era affaccendato a strofinare tra loro due grossi
quadrati di stoffa bianca in una tinozza.
- Ora ti presento
i tuoi nuovi colleghi.- disse Ggio - Lui è Lor Karies.-
- Posso
chiederle cosa sta facendo, signore?- domandò Cabras, fremente di emozione.
- Lavo i
pannoloni.- rispose seccamente Lor.
Un momento di
silenzio.
- Prego,
signore… ?-
- Lavo i
pannoloni! LAVO I PANNOLONI! Ed è inutile che tu stia qui intorno a curiosare,
novellino, non ti rivelerò certo la mia ricetta segreta per la miscela di
sapone capace di sbiancare anche le macchie di urina più rinsecchite!-
Cabras tese una
mano per puntualizzare che della suddetta ricetta non gliene importava un fico
secco, signore, ma Ggio lo trattenne:
- Devi
capire, Cabras, che essendo un nuovo arrivato devi fare gavetta. All’inizio
sperimenterai dei compiti… un pochino più ingrati; ma vedrai che col tempo la
tua esperienza aumenterà e ti verranno assegnati anche incarichi di alto
prestigio e responsabilità come quello di Lor.-
- Oh.
Certo, signore.- commentò stravolto Cabras.
- O come
quello di Poppi, laggiù, l’Addetto alle Mele Cotte.-
Un omone
gigantesco fece un cenno di saluto, alzando un momento lo sguardo da un
pentolone fumante di dimensioni proporzionate alle sue.
- O
di Mirmo, Direttore Amministrativo del Settore Intrattenimento.-
L’uomo indicato
(che, più che un uomo, sembrava un nanetto in pigiama blu) non si voltò nemmeno,
seduto a un tavolino carico di cartelle del Bingo, mazzi da briscola e un
computer con cui stava scaricando da internet vecchie puntate di “Gira la Ruota”.
- O di
quel ciccione con la faccia da idiota e gli incisivi da castoro, Segretario delle
Spugnature.-
- Lui come
si chiama, signore?- riuscì finalmente a dire Cabras.
Ggio lo guardò
stranito.
- Il
ciccione.- ripeté Cabras - Qual è il suo vero nome, signore?-
- Non ce
l’ha, un nome. L’autrice della fanfiction è stata troppo pigra per darglielo.
Ho sentito dire che all’inizio ne aveva in mente uno e che l’ha scartato, ma
sinceramente sono troppo occupato per badare a frivolezze del genere.-
- Ma
dovrete pure chiamarlo in qualche modo!- esclamò Cabras, e poi:
- Signore!-
aggiunse.
- Certo.
Lo chiamiamo Ciccione con la Faccia da Idiota e gli Incisivi da Castoro.-
- Non è
troppo lungo e offensivo, signore? Perché non qualcos’altro, signore? Come…
Mario, signore?-
Ggio Tergas
sospirò e non rispose nemmeno.
- Mi pare
buono, signore. Proviamo! Mario! Ehi, tu! Mario!-
- COME MI
HAI CHIAMATO!?- urlò il ciccione con la
faccia da idiota (e che adesso era anche piuttosto alterata) e gli incisivi da
castoro - PROVA A RIPETERLO! RIPETILO, SE HAI IL CORAGGIO!!!-
- Ma…
Mario…- balbettò Cabras.
- ALLORA
VUOI MORIRE! VUOI PROPRIO MORIRE! E ALLORA TI ACCONTENTO SUBITO!-
- Calmati,
Ciccione con la Faccia da Idiota e gli Incisivi da Castoro.- disse Ggio,
posandogli una mano sul braccio - Il ragazzo è nuovo e inesperto.-
- Oh.-
fece l’altro - Va bene.-
Puntò un dito
su Cabras:
- Stavolta
ti è andata bene, pivello. Ma d’ora in poi sturati la bocca, chiaro?-
- Chiaro.-
pigolò Cabras con un filo di voce.
Poi si rivolse
a Ggio:
- E… qual
è il suo lavoro, signore?-
- Prega di
non scoprirlo mai.- rispose l’altro, cupo.
Cabras decise
che era meglio non indagare oltre. Cominciava ormai a pensare di essere finito
in un covo di folli e maniaci omicidi. Ma tutto sommato, rifletté, sarebbe
anche potuta andare peggio. Ad esempio, sarebbe potuto finire in un covo di
folli, maniaci omicidi e depravati. Aveva appena concluso questa rassicurante
riflessione quando un uomo muscoloso, dalla voce flautata e con abiti
merlettati, gli posò la mano sulla spalla. Palpandola con sensualità.
- Ciao,
ragazzo.- trillò - Io sono Carol, piacere di conoscerti. Spero che andremo
d’accordo, io e te, tesoro. Qui c’è davvero poca gente di buon gusto capace di
apprezzare la vera bellezza, ma tu sei diverso, te lo leggo negli occhi. Allora
teniamoci in contatto, okay? Fa sempre piacere avere dei bei colleghi come te.
Ciao!-
L’ammasso di
muscoli e distorta femminilità si allontanò. Cabras, nel tentativo di
cancellare quell’immagine orrenda dalla sua mente, si stropicciò forte gli
occhi, non avendo dell’acido muriatico da versarci a portata di mano.
- E quello
che razza di mansione svolge…?- chiese. Stavolta il “signore” gli morì in gola.
- Ah,
quello. Guarda, meglio se non lo sai. La gente a volte può essere così perversa…-
Non c’era via
d’uscita, capì improvvisamente Cabras. Se quelli erano gli incarichi di alto prestigio e responsabilità, che
cosa diavolo avrebbero fatto fare a lui?
- Ora,
Cabras, veniamo alla tua mansione…-
Oh Dio, oh Dio, oh Dio… cioè, oh Zeref, oh Zeref, oh
Zeref…
- Tu sarai…-
Doveva
scappare. Nascondersi. Uccidersi.
- … il
Responsabile all’Ascolto.-
- Uh?-
fece Cabras, illuminato dalla speranza.
- In
sostanza, a te tocca ascoltare sua maestà. Qualunque cosa egli dica, tu
penderai dalle sue labbra. Qualunque cosa, Cabras. Ti è chiaro?-
- Chiarissimo,
signore.- sospirò lui, sollevato - Non sembra difficile, signore.-
- Certo.
Non lo sembra.- sussurrò Ggio, voltandosi preoccupato.
Un’ombra si era
allungata su di loro. Un’ombra maestosa, imponente, maligna e fredda.
Brividi gelidi
colsero Ggio e Cabras al solo soffio dell’individuo che si avvicinava.
- Vostra…
maestà… - balbettò Cabras, estasiato.
Il sovrano
(anche se sovrano non era, e ancora non capisco perché obblighi i suoi
dipendenti a chiamarlo così) osservò il suo ultimo acquisto dall’alto in basso,
impassibile.
Traish Lambarn,
il secondo dei capi dell’organizzazione di EDEN, era un uomo forte. Un po’
vecchio, forse, ma forte.
Un po’
smemorato, forse, ma forte.
Con l’Alzheimer,
forse, ma forte.
Così forte che,
forse, vista la sua poca capacità di concentrazione, era meglio starci alla
larga.
- Vostra
maestà,- disse Ggio, con voce appena più ferma dell’altro - il nuovo
Responsabile all’Ascolto.-
Il regnante
(che regnante non è) annuì gravemente. Tacque per un istante lungo come
l’eternità. Infine disse:
- Spremuta
di scarafaggi.- con voce tonante.
Ggio Tergas già
cercava di svignarsela alla chetichella. Cabras, inesperto ed imprudente, ebbe
invece un moto di curiosità:
- Non ho
capito, maestà…-
- Spremuta
di scarafaggi.- riprese Lambarn - Me lo ricordo bene. Durante la guerra
del ’15-’18, con le armate dei crucchi che premevano alle porte del mio
castello, e quel loro vigliacco alleato, quel tale Voldemort, che ci aveva
costretti a barricarci dentro il castello buttandoci contro le sue dannate maledizioni,
Avada Kedavra, Abra Kadabra, Bibidi Babidi Bu e Trecuna Mecoides Trecorum Satis
Dii. Allora non potevamo uscire e avevamo finito il cibo. Perciò pensammo di
uccidere una tartaruga e farci una zuppa. Ne avevamo trovata una che si
chiamava Raffaello; ma era una tartaruga ninja, quella traditrice. Usò la
tecnica della sostituzione e prima di rendermene conto avevo addentato la
pancia di Babbo Natale. Per questo adesso è gonfia. Quando alla fine riuscimmo
a fare fuori l’immonda bestia per bollirla, io avevo già perso un occhio, e la
nave era stata travolta dai flutti, la ciurma dispersa, tutto in rovina. Urlai
la mia rabbia contro il mostro; e quello rise, bianco, tutto bianco, come se fosse
stato lavato da Mastro Lindo, rise e si inabissò – dannata Moby Dick! Per mia
fortuna riuscii ad approdare su un’isola dove trovai un re greco e i suoi
compagni. Lui disse di chiamarsi Nessuno. Comunque aveva un ottimo sapore.
Presi la loro nave e salpai per Samarcanda, dove contavo di fare rifornimento
di spezie e gemme; se fossi tornato a casa con un carico di quelle
preziosissime merci orientali, mi avrebbero accolto come un eroe. Ma purtroppo
le avevano finite tutte, perché erano stati depredati dall’immondo Alì babà e
quei suoi dannati quaranta ladroni. Restavano loro solo una decina di
frullatori e qualche bicchiere per fare una spremuta di cavallette. Allora io…
Cabras,
affascinato, alzò la mano:
- Mi
scusi, maestà,- intervenne - ma la spremuta non era di scarafaggi…?-
- MUORI,
BASTARDO!-
La mano alzata
di Cabras restò immobile.
D’un tratto il
suo corpo venne segnato da una sottile riga rossa che lo divideva esattamente a
metà, dalla testa all’inguine; e, infine, si divise in due, versando litri di
sangue sul pavimento.
Lambarn,
ansante, sollevò la pesantissima mannaia grondante sangue che stringeva tra le
mani.
Guardò la
mannaia.
Il pavimento.
La mannaia di
nuovo.
Una mosca che
gli svolazzava intorno al naso.
Ancora il
pavimento.
- Che diamine
è questa schifezza, Ggio?- disse, indicando il cadavere - Pulisci subito!
Niente sciatteria nella mia sala del trono!-
- Sì,
maestà. Ai suoi ordini, maestà.-
Ggio corse a
prendere straccio e secchio, mentre Traish Lambarn si allontanava.
Cominciando
strofinare via il povero Cabras dalle mattonelle, gli disse:
- Allora,
adesso l’hai capito, qual è il mio lavoro?-
Ma nessuno
rispose.
E questo,
gente, era il secondo capo dell’organizzazione
EDEN.
***
- Signor Warren,
non è che per caso ha visto Morgan?-
Sulla scrivania
dell’ufficio del sindaco stavano, perfettamente allineati, uno accanto
all’altro, lucidi come se fossero stati appena sfornati dalla fabbrica, tre
telefoni: uno rosso, uno blu e uno giallo.
Erano l’unica
cosa che avesse un aspetto ordinato e pulito, in quella stanza. Altrove,
regnava il caos.
Il pavimento
era cosparso di cartacce e documenti di importanza vitale per il futuro del
villaggio, mescolati senza criterio ed abbandonati allo stesso misero destino.
Non c’era mobilio, fatto salvo per la scrivania, coperta anch’essa di fogli;
c’erano però, accatastate in un angolo, diverse tavole di legno larghe e
piatte, tutte spezzate a metà. Delle dieci finestre, solo sei avevano vetri
ancora intatti; dalle altre il forte vento che soffiava già dalla mattina
entrava nella stanza e contribuiva a scompigliare ancor di più le preziose carte
del sindaco.
In sostanza, lo
studio era ridotto come se Makarov ci avesse passato la notte a ballare la samba.
I lettori più
attenti, però, comprenderanno facilmente che le cose non potevano essere andate
così: com’è noto, infatti, Makarov non sa
ballare la samba.
- Signor
Warren…-
La ragazza
accanto alla scrivania stava per ripetere la sua domanda, quando uno dei
telefoni, quello rosso, squillò.
Warren le fece
cenno di attendere e sollevò la cornetta, per rispondere con fare affabile e
voce quasi squillante:
- Buongiorno, qui
è il sindaco di Kokirii! Cosa desidera? Cosa…? Ah…-
Il suo sguardo
si rabbuiò; la voce si fece un po’ meno squillante.
- Sì, è
lei. Bene, dobbiamo parlarne un pochino, dell’ultima fornitura che mi ha
mandato. Che significa, un difetto di produzione? Diecimila tazze senza il
manico? Capirei dieci tazze; cento tazze; ma diecimila…-
Squillò il
telefono blu.
- … Sì, attenda
in linea un momento, pronto, chi parla? Ah, sei tu, Akane, benissimo,
benissimo! Com’è andata alle corse? Ti dispiace? Non volevi? Ci rifaremo? Un
momento, tu avevi parlato di dritta sicura! Che è ‘sta storia? Io ti do i miei
soldi, cioè, i miei elettori… no, ora tu mi ascolti… i miei elettori ti danno i
soldi perché li punti su qualche cavallo decente, e tu… poveretti i miei
elettori! Lo sai che dovrei fare?-
Squillò il
telefono giallo.
- … Aspetta che
devo rispondere, poi ne riparliamo, io e te, con i miei elettori. Chi è? Ah,
sei Mariangela, e chi se ne frega. Cosa? No, non lo voglio Sky. Non mi
interessa. Non guardo la TV. No, nemmeno se me lo date a venti euro al mese,
decoder regalato e in più mi comprate anche il televisore al plasma. Non ho il
tempo per… un momento… quanto a lei, lo sa che deve farci con le sue
schifosissime tazze? E ce n’è anche per te, Akane. Come dici? Stavolta è sicura
sul serio? Centoventi percento? E va bene, ma se per caso va a finire di nuovo
male non ti conviene farti più vedere. Allora punta tutto su questo cavallo,
come hai detto che si chiama, “Sky Warrior”? Cosa? No, non dicevo a lei, ho detto
che non lo voglio, Sky!-
L’atmosfera si
scaldava sempre di più. Con discrezione, la ragazza che poco prima aveva posto
la domanda, arretrò di qualche passo. Piano, per maggior prudenza.
Adesso,
ignorando la noiosissima discussione del sindaco, dei suoi elettori, di Akane,
di Mariangela e del venditore di tazze ignoto, vorrei soffermarmi su tale
ragazza.
Per cominciare,
il suo nome era Laura Fedrigo.
Doveva avere
all’incirca quindici anni; i capelli castani, scuri, lunghi fino a metà schiena,
svolazzavano vivacemente ad ogni movimento; gli occhi – di un giallo acceso,
magnetico – erano grandi, grandissimi, quasi a palla.
In quel momento
vestiva in modo piuttosto normale, con una maglia verdastra e dei pantaloncini
neri.
Laura aspettò
pazientemente che il sindaco e i suoi elettori terminassero la tripla chiamata.
Quando Warren
poggiò per ultimo il telefono rosso, prese un bel respiro e ripeté la domanda:
- Signor
sindaco… mi sa dire dov’è Morgan?-
- Mh? Ah,
Morgan… è ancora al cantiere, ha spiegato davvero tutto, i miei elettori sono
stati davvero soddisfatti. Comunque… perché?-
Laura sospirò -
Dovevo chiedergli una cosa… vabbè, chiederò al capitano. Devies è ancora in
città?-
- Purtroppo è
tornato a casa sua. Ma che gli dovevi chiedere?-
La castana fece
un gesto ambiguo, poi si avviò alla porta.
Lasciò lo
studio del sindaco, uscì dal municipio e si incamminò per un vicolo scuro,
stretto.
Fece scorrere
lo sguardo paglierino sui muri, sui tetti, su un merlo che passava per caso, e
infine sull’asfalto.
In particolare
su un piccolo sasso verdognolo, trasparente come il vetro di una bottiglia.
E, stranamente,
a forma di piramide.
Si fermò a
scrutarlo stupita.
Ma che roba è?, si chiese, chinandosi.
Quindi, la
toccò.
Nello stesso
istante, un passante rivolse un’occhiata fugace nello stesso vicolo.
Non c’era
nessuno.
Angolino delle banane dell’autrice
Hola, gente! Sono già qui, contenti? OuO
Tutti: … no.
Io: … -_-
Per prima cosa, mi scuso per l’orario indecente.
Subito dopo, vi dico che non credo che sarò mai più
così veloce. Non illudetevi: è stato un momento d’ispirazione temporanea.
Per i prossimi temo che sarò molto, molto lenta.
Dunque, per quanto riguarda il contenuto… avete visto
che la scena si è spostata, quindi abbiamo lasciato un attimo la Natsu &
co. Per vedere qui…
Giusto per presentare qualche personaggio ^w^
Il ragazzo silenzioso, Ashuros, è di proprietà di andry_94_hell.
Laura, invece, è di Laura98PH (quest’ultimo non l’ho usato
moltissimo, Gomen Maschera T-T, ma avrà il suo momento di gloria).
Spero di averli resi decentemente… avvisatemi se c’è
qualcosa che non va.
Gli altri sono di mia proprietà! °u°
Spero di non averli resi eccessivamente demenziali ù_ù
Anyway… avete visto? Il primo morto della fic! (povero
Cabras… ._.)
Una domanda: secondo voi per scene del genere devo
mettere il raiting arancione?
Grazie per l’attenzione e grazie a chiunque ha
recensito, messo la storia tra le preferite/seguite.
(E un grazie caloroso a tutti coloro che recensiranno
anche questo capitolo, logico :3)
Sayonara!
Lea