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Autore: Com Amely Mason    30/08/2013    2 recensioni
Un'italiana in fuga tra i fiumi della Polonia, quattro coinquilino tra cui una davvero speciale, e un caso alla Sherlock (BBC).
Genere: Malinconico, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Amanda rialzò il bavero della giacca come aveva visto fare in un telefilm parecchi anni prima, risalendo il ponticello di legno chiaro che conduceva dalle rive sabbiose dell’isoletta in quell’ansa del Vistola al lungo ponte in cemento armato che la collegava alla terra ferma.
Nonostante il cielo si stesse rapidamente rannuvolando, le famigliole che di prima mattina alla vista del sole splendente di luglio in quella valle sperduta della Polonia si erano accampate con bambini sulle rive del fiume in quella stagione placido e trasparente, temporeggiavano, lasciando i propri pargoli scalzi nell’acqua bassa a giocare con i ciottoli lisci abbandonati da decenni di piene o a pallone con gli amichetti.
Era stato proprio uno di quei ragazzini, intento a recuperare una palla calciata troppo lontana a rinvenire il cadavere che avevano appena analizzato.
Donna, bianca, sulla quarantina, casalinga, probabilmente sposata ma senza figli, nessuna causa di morte apparente, un tatuaggio sulla clavicola destra.
-Jolly, andiamo. -. Il giovane golden retriever biondo, inzaccherato di sabbia fluviale, lasciò istantaneamente perdere un amichetto nero dal pelo raso che già stava richiamando l’attenzione di metà spiaggia e la raggiunse al trotto con aria soddisfatta. Amanda gli infilò il collare, ed allungò il passo, raggiungendo l’ispettore Woshja.
L’ispettore, un uomo sulla quarantina, con folti baffi biondi e occhi chiari, camminava nervoso con le mani affondate in una giacca a vento grigia, borbottando tra se e se.
- Ah, Amanda, sei qui. Suppongo che tu abbia bisogno di un passaggio per tornare a casa. -.
La bionda scosse la testa. - È la settima vittima, giusto? Strano che si sia lasciata firmare così tranquillamente. Il tatuaggio non è stato fatto dopo la morte, ma prima, una settimana, forse due. Non è stato ripassato, ma è ben assorbito. -.
L’ispettore contò sulle dita utilizzando a bassa voce quel suo accento di polacco stretto che Amanda si era rassegnata ad ignorare, dal momento che nessuno desiderava insegnarglielo.
- Già. -, sbuffò. L’ispettore, come tutti gli uomini polacchi, era di poche parole, specialmente quando qualcuno capiva le cose più rapidamente di lui. Il che  generalmente non capitava quasi mai, eccetto quando Amanda si trovava nei paraggi.
      ****
La giovane era venuta in contatto con le indagini ed il commissario per caso, il mese prima, quando, un’uggiosa domenica di fine maggio, una delle quattro ragazze con cui condivideva l’appartamento in centro a Lublino era venuta a chiederle se avesse voglia di uscire. Dalla sua posizione semisvaccata sul piccolo divano, il libro di psicologia in bilico tra indice e medio, Amanda l’aveva dapprima squadrata per un attimo, lasciando lo sguardo scivolare dai calzoncini a quadretti blu e bianchi della ragazza alla sua alta coda di cavallo. Poi aveva accettato,  considerando che uscire con Daisy era la miglior proposta che le sarebbe arrivata in quella pallosissima domenica.
Così, un’insospettabile domenica mezzogiorno si era trovata ad entrare nello studio dell’ispettore e commissario di Lublino. Daisy, da brava figlia premurosa, aveva portato il pranzo a suo padre che però, all’occhio critico di Amanda, non sembrava affatto in vena di ascoltarla. Difatti poco dopo, scambiate le minime frasi di cortesia tra i due, le ragazze erano state fatte gentilmente uscire dall’ufficio, con la promessa di una telefonata ed una scusa per la tremenda importanza del caso  che in quel momento stava occupando l’uomo, causata da un maledetto ed insolubile criminale che...
- È un serial killer, lo sapete vero? -. Aveva detto in quel momento Amanda, lasciando di sasso Daisy quanto l’ispettore.
Da che era entrata nello studio, Amanda non aveva dato troppo ascolto alla conversazione, ma aveva distrattamente osservato le pareti del luogo e le montagne di scartoffie che vi erano appese o che giacevano impignate su ogni scaffale: fino a quando, come un flash, il suo sguardo era capitato su una bacheca, quella su cui generalmente sono appesi i dati fondamentali dei casi che si ritengono di maggiore interesse, ed in particolare sulla fotografia di quello che poteva essere stato un foglio strappato via di traverso da un quaderno, su cui, ordinatamente scritti e riquadrati, stavano dei numeri, dall’uno al nove. Alcuni, in disordine, erano crocettati con un pennarello verde.
L’ispettore si era voltato verso la bacheca con la bocca semi aperta, e le ragazze se n’erano andate.
Amanda aveva passato il resto del pomeriggio a consolare la malinconia di figlia-poco-considerata-di-separati venuta a Daisy, mentre ripassava per il dodicesimo esame di quel master che si era ritrovata a fare presso l’università in una città sperdutissima della Polonia.
Amanda in realtà era italiana, aveva ventisette anni ed una laurea ancora fresca di medicina, ma con quella borsa di studio era fuggita non tanto dalla crisi che stava massacrando il paese, quanto da una storia che la stava distruggendo.
      ****
Appena salita in macchina, la bionda si allacciò la cintura di sicurezza ed estrasse dalla tasca della giacca un foglio piegato in quattro ed un pennarello verde scuro. Non seppe esattamente se lo sguardo di traverso dell’ispettore fosse indirizzato alla copia non autorizzata di una prova o alla giacca indossata a metà luglio, così si chinò sul cruscotto, cancellando con una croce il numero sette.
- Mancano solo due numeri. -, sussurrò perplessa.
- Già, ma come gli altri prima non abbiamo alcun indizio. -.
- Sì che l’avevamo. Avevamo la registrazione delle onde del Vistola. -
- Ah ma davvero? E pensi che con la registrazione di due onde si possa risalire a chi e come sta per compiere un omicidio? -.
- Non ho detto questo, signor commissario. - Amanda tentò di smorzare i toni: ultimamente l’uomo era molto teso, qualcuno da un po’ in alto doveva stare facendo pressione riguardo ai casi.
Appena scesero dopo aver parcheggiato la berlina blu davanti al commissariato, un agente dai capelli rossi consegnò loro una busta.
Il foglio al suo interno conteneva delle coordinate cartografiche: non appena l’ispettore entrò in ufficio una giovane segretaria mora gli fece sapere che si trattava dell’indirizzo della donna rinvenuta quella mattina.
Amanda guardò le scarpe da tennis che indossava mentre l’ispettore leggeva a voce alta la data dei due timbri postali.
Due giorni di distanza l’uno dall’altro.
- Maledette poste, se non fossero così lente avremmo avuto un indizio in più. -. - Forse - sussurrò Amanda a labbra strette, uscendo dal commissariato.
      ****
La porta si aprì con un paio di scatti di serratura ed una spinta di spalla abbastanza decisa, poi Amanda lasciò cadere la giacca sull’appendiabiti del corridoio e sfilò le scarpe. Tutto l’appartamento era ricoperto da una grande tappeto similpersiano che, di tanto in tanto, sbuffava nuvolette di polvere al passaggio di calzette colorate in corsa. Proprio come quelle che in quel momento per poco non la travolsero. Hannah si scusò ridendo, infilandosi in bagno e facendo tremare la porta a vetri.
- Che diamine succede?- esclamò la bionda, alterata.
 - Ciao Amanda, vieni, ci sono qui io in cucina - le rispose la voce dolce di Daisy - Niente, è solo che Hannah deve uscire con degli statunitensi che sono arrivati da poco in città e che ha conosciuto non so dove, ma è... -.- In un ritardo maledetto! - urlò Hannah passando di corsa per la sala, con una maglietta raggomitolata sulla pancia e la borsa trasbordante di capi di vestiario non meglio definiti. - Sono pronta - disse col fiato corto,  - vado!-.
- Buona serata - gli gridò dietro Daisy, ma la porta aveva già sbattuto, incastrandosi pesantemente negli stipiti.
Amanda, appoggiata allo stipite del vano dove sarebbe dovuta stare la porta della cucina, spostò lo sguardo ancora perplesso su Daisy. - Ma non studiano mai loro? -
La ragazza rise, disponendo sul tavolo due tovagliette americane. Aveva la stessa età di Amanda ed i capelli tanto biondi da sembrare quasi bianchi, e lisci. Il fisico slanciato ed il naso a punta la rendevano molto carina per i canoni italiani, ma quasi fuori moda per quelli polacchi, pensò Amanda. Lì erano quasi tutti biondi con gli occhi azzurri. Gli occhi di Daisy però in realtà avevano due colori diversi, ma lei li mascherava con delle lenti a contatto scure, perché le superstizioni facevano presa anche sui giovani di quella città, e non era ben vista.
Quando erano in casa sole però, Amanda le chiedeva di togliere le lenti. Aveva sempre avuto un debole per il colore degli occhi delle persone, e due iridi diverse la affascinavano.
- Quindi siamo sole, stasera. - disse Amanda con aria noncurante. Aveva il lieve sospetto che Daisy fosse interessata a lei, ma, nonostante tra i motivi di fuga dall’Italia comparisse anche una storia complicata di quel genere, preferiva fingersi inconsapevole in attesa di novità.
La liscia finì di togliere le lenti e le ripose in una scatolina: - Eh già -, disse fissandola.
- Preparo qualcosa o hai già mangiato? -. - Veramente stavo per... -. - Non se ne parla, faccio io -.
Amanda la spinse delicatamente via dal piano cottura, disponendosi poi ai fornelli in canottiera a costine e pantaloni della tuta. Daisy si trasferì sulla poltrona davanti alla finestra che, dal sesto piano dove si trovavano, dava una vista piuttosto suggestiva nelle serate di bel tempo.
Amanda la sentì armeggiare dentro uno degli armadietti e senza voltarsi la pregò di lasciar perdere.
- Stavo solo... -, balbettò Daisy. - Gradirei non lo facessi. Non è necessario, giusto? -. - Ma solo un bicchiere... -. - Non ti sto obbligando a non bere, Daisy, ti sto chiedendo di non farlo. -.  Amanda la guardò da sopra una spalla il tempo di un battito di ciglia - Per favore -.
Inspiegabilmente, pensò Amanda, Daisy mise via il Porto. Poco dopo se la ritrovò con le braccia attorno ai fianchi, abbracciata.
- Cosa stai facendo? -. - Preparo la cena. Christina e Viktoria dove sono? -. - Le giovincelle sono tutte fuori stasera, è sabato. Probabilmente rientreranno per il pranzo di domani. -.
- Probabile. Dov’è lo scola pasta? -. - Nel cassetto in basso. Amanda, ma non è cotta! -.
Amanda le si avvicinò fino a sfiorarla e la fissò con aria di sfida. - Tesoro, vengo dall’Italia, so come si cucina la pasta. Non devo portarla a fine cottura, ora dobbiamo farla saltare con la pancetta e le uova sbattute. -.  - Certo che però devono avere un sacco di soldi, sono sempre fuori nei weekend. -. - Hanno vent’anni, Daisy, chissenefrega.- . - Io a vent’anni stavo finendo il liceo, non avevo nemmeno il permesso di uscire! Avevo un fidanzato solo e... -. - Daisy...-.- Andiamo tu a vent’anni quanti fidanzati avevi? Mica uno per sera, no? E invece ora.. - Daisy, piantala!-.
La polacca alzò gli occhi su Amanda. - Scusa, ho detto qualcosa che... -. - È pronto, mangiamo. -. - Amanda, mi dispiace, io... ti va di... -. Daisy prese le dita di Amanda, che la fermò. - Senti, magari più tardi ok? Ho fame. -.  Mentiva, e glielo si leggeva negli occhi, ma Daisy non era ancora capace di capirlo. - Va bene -.

Più tardi, Amanda e Daisy si trovavano una di fronte all’altra, tremendamente assorte in una partita di scacchi. I capelli dell’italiana, da crespi erano diventati una matassa aggrovigliata dalla disperazione: non riusciva a seguire il gioco e non riusciva a darsi una spiegazione logica del disordine dei numeri degli omicidi, o forse davvero Daisy era troppo brava.
- Basta, non ne ho idea Daisy, io lascio perdere.- . La bionda si alzò e si mise dietro di lei, risistemandole con una mano i capelli e con l’altra muovendo lentamente una pedina.
- Se tu sposti questa qui, mangi qui...  poi qui... Poi ti mangio io, ma se tu sposti prima questo e poi questo, metti in scacco la regina, e subito dopo pure il re. Non hai giocato niente male, stai imparando - disse con un sorriso allegro.
- Ok, ma adesso sono stanca, andiamo a dormire? -. - Non raccontiamo qualche storia prima?-.
- Daisy, se vuoi un abbraccio fai prima a chiederlo. -.
      ****
Il cellulare cominciò a suonare all’impazzata. Meccanicamente e senza pronunciare nemmeno una di quelle che in altri tempi, in altri luoghi, come l’Italia magari, sarebbero state una sequela di accidenti, Amanda si mise seduta e cliccò l’iconcina lampeggiante sullo schermo.
- Pronto?-. Dall’altra parte del telefonino, la voce del commissario, con uno strano quanto inusuale accento di divertimento e sarcasmo le rispose.
- Il nostro serial killer lavora solo di sabato. Grazie al cielo però, stavolta le poste sono state puntuali. È appena arrivata un’ altra registrazione. -
Amanda non gli fece sprecare fiato in stupide elucubrazione su ciò che lei avrebbe potuto fare o meno, ma chiuse la chiamata con un “Arrivo” e si alzò.
Le ragazze in stanza con lei dormivano beatamente, nemmeno lontanamente disturbate né dalla telefonata, né dal mattutino domenicale che la chiesa cattolica poco distante stava già suonando.
Infilò un paio di jeans neri e la maglietta a righe grigie e bianche, poi, con la giacca del completo su una spalla, uscì. Tre minuti dopo rientrò furtivamente, lasciando quattro brioche sul tavolo ed una sul comodino di Daisy.
      ****
Quando entrò nella questura dopo aver fatto a piedi la strada che la separava dall’appartamento, Amanda si sentiva più fresca e lucida: la temperatura esterna era attorno ai quindici gradi, ma la giornata si sarebbe scaldata molto rapidamente.
Bussò brevemente sullo stipite dello studio di Woshja, che le fece segno di entrare.
- Cosa abbiamo? -. - Un nuovo cd - disse beffardo l’ispettore, finendo di siglare alcune carte. Amanda non gliene diede il tempo e si infilò un paio di cuffie imbottite.
Alcuni istanti dopo scattò accanto all’ispettore, componendo una sequenza di numeri sul telefono della sua scrivania. - Ma che stai facendo? - esclamò Woshja.
- Chiamo il centralino.- . - E per fare cosa di grazia? -. - Di certo non per le brioches come fa qualcuno. Pronto, Miriam? Ho bisogno che lei chiami Ulrick, per favore, e gli dica di venire qui -.
- Ma è domenica! -, protestarono contemporaneamente la donna e l’investigatore.
Amanda fissò gli occhi azzurro acciaio in quelli dell’uomo seduto accanto a lei. - La gente muore anche di domenica. -.
      ****
Ulrick entrò col suo passo ciondolante ed i suoi capelli castani e spettinati, sconvolto non tanto dal poco sonno, quanto da troppe ore trascorse davanti al videoterminale che aveva in camera da letto. Ma lasciò che gli altri pensassero che fosse stata così folle da sbrandarlo.
- Ehi Amanda, che và? - disse, ancora rintontito appena la vide.
- Bene grazie. Ho bisogno del tuo aiuto. -. - Al suo servizio -, le rispose il moro, disegnando con la mano dei cerchi per aria che invece di chiudere un elegante inchino finirono per coprire un ampio sbadiglio. Amanda gli passò una latta di caffè e cominciò a spiegargli.
Veloce come un fulmine, il ragazzo iniziò a decrittare i codici del messaggio audio.
- La distorsione la riportiamo a voce normale o di quello ci occuperemo più tardi? -.
- Ci occorrono due ore e mezzo per scavalcare le distorsioni: per quanto tu sia bravo, io ti cronometro. No, basta così. -
- Hai già capito? - esclamò il ragazzo, da sotto i cuffioni.
- Il rumore che senti sotto, non è una distorsione Ulrick. Il resto che blatera sono le solite cose da film. Commissario...- . - Leczna è il quart... la città più affollata e cementificata di tutta Lublino, come facciamo a sapere dove sta andando a colpire? -.
- Con tutta probabilità, ha già colpito. Ma non si preoccupi Woshja, tanto bisogna avvertire di togliere il gas a tutto l’isolato, ond’evitare rischi-.
Disse la bionda, con una scintilla di rabbia negli occhi.
      ****
Quando arrivarono nella piazza, diversi poliziotti con i gilet giallo fluorescente tentavano a catena di allontanare signore urlanti e bambini spettinati dagli edifici. Il Weiprz schiumava rapido sotto i ponti attorno alle case popolari, rendendo il frastuono della gente che veniva spostata a forza ancora più confusionario.
Amanda passò con aria distaccata sotto il cordone a strisce bianche e rosse, e cominciò ad osservare i muri. Scritte di tutti i colori e le dimensioni si susseguivano in ogni angolo, inneggiando in varie lingue, più o meno grammaticalmente corrette.
D’un tratto, mentre i vari poliziotti che l’accompagnavano calavano sulla testa diversi elmetti di protezione, la camicia a riquadri del commissario, perfettamente linda e stirata, fece contrasto con qualcosa di troppo scuro sulla retina di Amanda. Una scritta, verde bosco, non del tutto asciutta, troneggiava con le lettere gonfiate e poco definite vicino ai citofoni di uno dei palazzoni.
La bionda rimase a fissarla per alcuni istanti così intensamente che un violento mal di testa esplose d’improvviso tra le sue tempie, facendole fare mezzo giro su se stessa. E su ogni palazzo, sempre più in grande fino a rimpicciolirsi di botto, le scritte verdi, immerse tra le altre, comparivano.
Woshja la prese sotto un gomito. - Cosa succede, Amanda? -.
Dalla voce la ragazza comprese che il commissario si stava esponendo: l’aveva fatto anche prima, ordinando di evacuare gli stabili solo per una supposizione sua e di Ulrick, abbastanza evidente, certo, ma non ovvia.
D’altra parte non aveva mai capito perché l’avesse fatta entrare nelle indagini: Woshja non era il tipo da credere nella predestinazione o nel soprannaturale. Cosa voleva?
Ma questo non era ciò che interessava il cervello di Amanda in quel momento, un cervello che, anche nel momento in cui le era stato offerto di entrare nelle indagini, era troppo impegnato a trovare occupazioni pur di non pensare al motivo, quell’immenso dolore, per cui aveva lasciato l’Italia, piuttosto che preoccuparsi di che cosa si stava occupando.
- Troppo grande sarebbe troppo vistoso, troppo piccolo sarebbe ovvio, dobbiamo prendere la via di mezzo. Commissario Woshja, le scritte! -. - Ma ce ne sono a centinaia! -. - Chi scriverebbe in verde su un muro già pieno di scritte? Il verde in quella tonalità non abbaglia, non cattura l’attenzione se non di chi deve essere attratto. -. Senza fiato, Amanda si lanciò nel palazzo contrassegnato dalla lettera D.
      ****
Non appena i pompieri sfondarono la porta, senza nemmeno troppo sforzo a dire la verità, una terribile zaffata di gas metano investì i dodici uomini presenti. A circa metà della rampa di scale un gigantesco botto era risuonato dall’alto facendo vibrare il corrimano, ma i pompieri avevano insistito per proseguire, sostenendo che non vi fosse alcun pericolo se non quello che correvano già: avrebbero fatto più in fretta a farsi raggiungere su un balcone qualsiasi dal cestello che non a ridiscendere i cinque piani già fatti. Così, quattro piani dopo, si erano trovati in un soffocante corridoio dove strisce di vernice verdastra tracciavano, come piccole vene in rilievo sull’intonaco giallino del soffitto, la strada all’appartamento D94.

All’interno ormai c’era solo l’ombra di un abitazione: i muri, sia quello che doveva aver diviso una cucina da un discreto salotto, erano stati spazzati via dall’onda d’urto. Anche la parete più esterna, dove probabilmente l’inquilino aveva avuto fino a pochi istanti prima il suo piccolo terrazzo, era scomparsa, lasciando posto ad una voragine circondata da piastrelle color verde acqua.
- Piuttosto inquietante avere la cucina con le pareti del colore di una sala operatoria  - mormorò Amanda. Quella tonalità di verde la rintontiva, ma anche Woshja sembrava particolarmente a disagio. D’un tratto uno dei vigili del fuoco richiamò la loro attenzione: nell’angolo più interno della cucina, rincantucciata, con mano e polsi legati e dello scotch telato sulla bocca, stava una donna. Come preso da un’ improvviso scatto d’ira, Woshja le strappò la maglia, già a brandelli, dalla spalla. Un quattro campeggiava sulla spalla bianca.
      ****
Finalmente, dopo una settimana e mezzo di piogge ininterrotte che avevano fatto pagare caro ai polacchi quei pochi pomeriggio di sole comparsi a metà luglio, l’anticiclone si era lievemente spostato, concedendo qualche giorno di cielo nuvoloso, ma senza precipitazioni.
Così, quella mattina, Hannah, Christina e Viktoria, una volta tanto inopportunamente mattiniere, avevano sbrandato sia lei che Daisy proponendo un pic nic al fiume.
- Chissà cosa diamine gli è saltato intesta -, borbottò Amanda che, in solitaria, con un paio di jeans sbiaditi rimboccati fino al ginocchio, camminava sulla spiaggia resa melmosa dalle piene, non particolarmente abbondanti per fortuna, della settimana appena trascorsa.
L’acqua non erano andata ad influire particolarmente sulle coltivazioni, ma aveva seminato ovunque pezzi di rami e fronde di tutti i generi.
Amanda salì sulle piastrelle di plastica che quello che in stagioni migliori doveva essere un bagno “Da Ramona” aveva predisposto davanti ai camerini, evitando accuratamente le varie buche e mantenendo le mani in tasca. Due giovani stavano in quel momento gettando i loro ami nel fiume, forse sperando che la piena portasse qualche novità, ma con il solo risultato che il loro giornale, soffiato dal vento, era rotolato stropicciandosi poco più in là.
Si trattava del giornale locale, La Voce della Provincia, soprannominato in commissariato “La pappagalla”, perché era sempre pronta a raccontare a tutti ogni parola ingigantendola qualunque fosse la sua provenienza, vera o inventata che fosse.
Infatti, come altre mattine prima di quella, titolava in prima pagina l’epocale “Smentita dell’ investigatore”. Amanda storse la bocca: nessuno capiva nulla di quel caso, e il giornale continuava a blaterare diffondendo insicurezza e panico nella popolazione. Lasciò cadere il giornale sulla scatola frigo dei pescatori avviandosi sul ponte per tornare dove le ragazze si erano accampate: neppure lei in fondo però era tranquilla. Otto dei nove numeri della lettera erano stati crocettati: e ora? Cosa sarebbe dovuto succedere?
Assorta in questi pensieri, non si accorse di Viktoria che, esuberante come al solito, la travolse.
- Viks! Maledizione! -. La ragazzina dagli occhi a mandorla scoppiò a ridere. - Eh scusa! Daisy mi ha mandato a cercarti, è ora di pranzo! -. - E tu che fai, la bambina che obbedisce alla mamma? -.
- No - disse la ventenne, atteggiandosi a seria con gli occhiali sul naso messi di traverso per l’impatto - la accontento affinché il suo ego protettivo si senta rassicurato dal potere giusto che ha sulle persone più giovani di lei. Studio psicologia, io! -.
- Certo, ma mi devi spiegare cosa centrerà mai con lo sport! -.
- Tanto arrivo prima io! -. Amanda la lasciò partire di scatto e scartare al volo un inavvertito passante, continuando a passeggiare con calma.
Il serial killer era un po’ troppo stupido per i suoi gusti: come poteva sperare di giocare senza dare loro le istruzioni. A meno che... quel verde. Ricorreva ovunque. Poteva essere un’ ecologista. Ma perché uccidere solo donne? E numerarle, inoltre! In un momento in cui loro erano d’accordo tra l’altro, poiché i tatoo erano stati fatti ben prima della morte, forse una settimana e mezza o due. Magari, congetturò Amanda, è un gigolò.
Con un sorriso di traverso si sedette di fronte a Daisy che, in maniche corte, stava passando a tutte i cartocci dei panini. A lei sarebbe stato bene un tatuaggio, pensò per caso addentando un panino vegetariano.
      ****
Il cellulare cominciò a suonare con una melodia dolce, che poco si abbinava al salvaschermo piuttosto aggressivo. Amanda lo afferrò alla seconda antipatica vibrazione, un attimo prima che una delicata mano bianca, resa pesante dall’insonnolimento, vi si schiantasse sopra.
- Ma che è? -, chiese nella penombra della camera una voce inusuale. Amanda aggrottò le sopracciglia, ma rispose sussurrando - Dormi, non è importante, è tutto a posto. -.
Convinta che come al solito le ragazze si sarebbero riavvolte nelle coperte ed avrebbero ripreso a dormire, la bionda si alzò in punta di piedi ed uscì socchiudendo la porta.
All’ultimo istante, un piede di traverso la fermò.
Gli occhi bicromatici di Daisy la fissavano: Amanda la fece passare e chiuse la porta alle sue spalle. La cucina ed il salotto erano inondati della luce del sole mattutino ed i granelli di polvere in sospensione si rincorrevano come bambini.
Daisy andò ad appoggiarsi accanto al piano cottura e fissò arrabbiata Amanda fino a che questa non smise di tirare insieme qualcosa per la colazione e la fissò a sua volta con le mani appoggiate sui fianchi.
- Che c’è? -. - Va tutto bene un cazzo, Amanda. -. La ragazza strinse gli occhi, cercando di interpretare cosa la polacca intendesse. - Di cosa stai parlando? -.
- Prima, quando hai detto “Dormi, non è importante, è tutto a posto”. No, non è niente a posto. -.
Amanda si passò una mano tra i capelli crespi. - No, hai ragione.- .
Daisy scattò all’istante. - Cos’è allora? Chi è, cosa vuole, perché? -. - Daisy, calmati! -
- Non osare dirmi che va tutto bene!- . - Non volevo svegliarti, mi dispiace...- .- Non mi interessa nulla di essermi svegliata, lo avrei fatto comunque tutte le volte che esci, anche se sei nell’altra stanza, perché... perché è così -. - Ehi, no aspetta, tu perché eri nella mia stanza? -.
- Vik e Chris erano talmente ubriache ieri sera che appena sono entrate in casa si sono addormentate una di fianco all’altra sul primo letto che hanno trovato: il mio. Quindi, io ho preso il loro. -.
- Sarebbe stato sciocco dormire sul divano -, rifletté distrattamente Amanda, cominciando a versare il latte dal bricco in due tazze colorate.
- Non hai ancora risposto alla mia domanda, Amy... -. L’italiana alzò lo sguardo di scatto: nessuno aveva mai abbreviato il suo nome in modo così... inusuale. Aprì la bocca per protestare, ma non trovò nulla da dire in realtà, così lasciò perdere. Posò le due tazze sul tavolo assieme alle fette di pane appena tostate ed alla marmellata, ed invitò Daisy a sedersi.
- Era la polizia, mi hanno chiesto di... -. Amanda vide le pupille di Daisy rimpicciolirsi in un nanosecondo. - La polizia? Cosa vuole da te la polizia? Tu non hai fatto niente, vogliono mandarti via? -.
- No, Daisy, va tutto bene; per me almeno. Ricordi la domenica che siamo andate in commissariato? Da quel giorno sono rimasta in contatto con tuo padre e sto dando una mano alle indagini...-
- E allora? - squittì tesa la ragazza. - Niente, stiamo seguendo la pista di un serial killer, e quando ci sono novità me lo fanno sapere. -. - E ti chiamano tutte le domeniche mattina?!?! -
- Quando ci sono novità. E poi oggi non è domenica, è venerdì ed è festa in tutta la provincia. Al nostro killer piace agire quando ha del tempo libero, e non accavallare gli impegni tra lavoro ed hobby.-
Amanda sorrise alzandosi e lasciando tazza e cucchiaio nel lavandino.
- Quindi ora cosa fai? - sentì dire alla voce un po’ incerta di Daisy. - Vado a vedere cosa c’è di nuovo e se non è importante li strozzo tutti quanti e torno per pranzo. -.
Amanda si voltò e vide la bionda polacca appoggiata con aria indecisa ed un po’ spaventata allo stipite tra cucina e sala.
- Daisy, tu non c’entri in questa storia. Il killer è lontano da qui. -. - I killer seguono sempre chi da loro la caccia - disse in modo molto inquietante la bicromatica. Amanda scoppiò a ridere: - Non ti preoccupare, quelli sono solo stupidi film americani -.
- Amanda, mi dai un abbraccio? -. La bionda rimase interdetta per un secondo. Nella sua testa, come un fuoco d’artificio troppo veloce si aprirono mille immagini della sua vita in Italia, del suo passato: quante volte aveva fato la stessa domanda? Ma a rispondere non erano mai le persone giuste...
- Vieni qui. -, disse in un soffio, come per la prima volta spaventata dal fatto che un filo si potesse spezzare. Daisy si strinse a lei, passando le braccia attorno al suo collo ed appoggiando la testa sulla sua spalla. Amanda affondò d’istinto il naso nei suoi capelli lisci: sapeva vaniglia in un modo molto delicato, e nonostante si fosse appena alzata era ordinata come sempre.
- Andrà tutto bene, ci sono qui io con te - sussurrò piano, sentendo il profilo delle labbra di Daisy sulla sua gola.
      ****
Amanda aprì la porta con uno scatto del polso, entrando decisa al punto che Ulrick dovette fare un salto all’indietro per non ricevere il profilo in alluminio stampato in mezzo alla fronte.
- Quanta fretta! - tentò di scherzare. Gli occhi azzurri e gelidi di Amanda lo stroncarono sul nascere.
- Eddai, scherzavo! Dai che ti stavamo aspettando per cominciare a giocare! -. A nulla servì il caldo sorriso che il ragazzo le rivolse mentre abbandonava la giacca su un gancio appeso alla parete.
Woshja si stava alzando in quel momento da una postazione computer: indossava un paio di guanti bianchi in lattice ed aveva l’aria concentrata.
- Buongiorno, commissario, -. - Ciao Amanda. Ho ragione di credere che stiamo per vedere il suo masterpiece. -. - Mi auguro di no, Commissario. -. Woshja la fissò contrariato, poi annuì.
- No, effettivamente hai ragione. Ti ho chiamato prima... -. - Perché abbiamo novità, me lo ha detto. Sono tutt’orecchi. -.
L’investigatore le porse un paio di guanti come i suoi e la fece entrare nella stanza completamente vetrata che ospitava il laboratorio delle prime analisi sulle prove.
Sul tavolo giaceva una grossa busta gialla. L’ispettore invitò Amanda ad aprirla con un cenno delle dita: al suo interno c’erano tre pacchettini avvolti in carta velina bianca. Amanda fece della sua mente un posto freddo e meccanico. Aprì il primo: era il contenitore di un cd, sul quel era stato appiccicato l’adesivo di una squadra americana dell’ NBA. Il secondo: la pagina di calendario che rappresentava quel giorno, Venerdì. Amanda aprì il terzo: al suo interno c’era qualcosa di molliccio, che aveva inzuppato la carta che lo conteneva in modo appiccicoso e rivoltante. Senza perdere la concentrazione, la bionda finì di aprire il pacchetto: al suo interno, un orecchio di maiale, completamente colorato di vernice spray verde bosco, cominciava ad emanare un odore poco gradevole.
Ignorò il nodo che le stava salendo dallo stomaco e si voltò verso l’ispettore che nel mentre, appoggiato ad un mobile si torceva la punta di un baffo, meditabondo.
- Dunque? -. - Cosa ne pensi? -. - Lei cosa ne pensa ispettore? -. - Non lo so, per questo ti ho chiamato. È arrivato stamattina, puntualissimo, ma non ho idea di cosa possa dirci...-. - Cosa c’è sul cd? -. - Vieni, stava pensandoci Ulrick.-.
Tornarono nello studio al di fuori del quale si stavano raccogliendo diversi agenti e si sedettero accanto al moro,che passò loro le cuffie.
La prima cosa che Amanda sentì fu un forte gracchiare. Pensò si trattasse delle cuffie ma poi si rese conto che era la registrazione.
« Salve, - disse una voce malamente strascicata, - sono il vostro compagno di giochi del tempo libero. Anche oggi ho organizzato qualcosa per voi. Altrimenti, sarebbe una giornata davvero noiosa, specialmente per lei, vero commissario, tutto solo a casa... Beh, oggi voglio proporvi di andare a Ballare insieme... Gli indizi che vi ho mandato dovrebbero essere sufficienti... Ma non mi aspetto capiate... Quindi dovreste trovare qualcuno che conosca bene Lublino e i paesi circostanti... magari qualcuno che sappia come sono state riconvertite le opere di pubblica utilità negli ultimi vent’anni... Oh, il mio telefono suona, vogliate perdonarmi mentre controllo. Ah certo, non potrò restare con voi tutta la giornata.. Perciò io e le signorine che mi accompagnano vi dedicheremo tempo fino alle due del pomeriggio. Poi.... vedrete da voi » concluse teatralmente.
Un improvviso gracchio interruppe la registrazione, e Woshja sfilò le cuffie.
- Qualche idea? -. - Beh, è uno psicopatico.-. - Stavolta ne ha in mano più di una. -. - A quanto pare...-. Amanda appoggiò le dita sulle tempie, facendo un lista mentale delle informazioni acquisite. Dopo una decina di secondi, sbuffò infastidita.
- Woshja, che cosa vogliono gli uomini fuori da quest’ufficio? -. - Niente, si sanno solo radunando.-. - Per fare cosa? -.- Con le manifestazioni che ci saranno oggi, saranno sparsi sul territorio per monitorare la situazione. -. – Capisco. -. Un fulmine attraversò la mente di Amanda: - Commissario, a lei vengono chieste le autorizzazioni per gli eventi? -. Woshja si grattò la testa: - No, non sono così importante, però a me vengono recapitati tutti i programmi in modo da distribuire gli uomini in base all’afflusso previsto.-. - Posso vederli? -. - Certo - Disse l’uomo perplesso. Srotolò sulla scrivania cinque manifesti colorati e vi si chinò sopra accanto ad Amanda.
- Qui e qui, indicò la ragazza, c’è una pausa nelle manifestazioni tra mezzogiorno e le tre; quindi le scarterei. Qui c’è una partita di rugby, qui una dimostrazione della scuola di danza e qui un mercato gastronomico. Potrebbe essere l’ultimo. Ulrick, qualcuna delle squadre di Lublino ha la divisa verde? -. - No, i colori generalmente sono blu e giallo, non mi pare che ci sia il verde. -.
Un poliziotto piuttosto anziano bussò con le dita sulla porta.
- Commissario scusi, volevo dirle che noi partiamo per il secondo turno delle ronde.-. - Va bene, Kolnel. Tenetemi informato se vedete qualcosa.-. - Ne dubito, il Parco Caduti per le Patria non è particolarmente fastidioso in genere. Chi beve dorme, gli altri guardano le ragazzine che ballano.-. - Magari più tardi passiamo a trovarvi, ok? -.
- Aspetti, mi scusi, dov’è?-. Gridò Amanda. Kolnel si affacciò di nuovo nell’ufficio: - Cosa, il parco? A Nord di Lublino, è un ampia area. È piuttosto nuovo, e ci fanno spesso le feste dentro. -.
Woshja alzò lo sguardo, stupito. - Cosa c’era prima al suo posto?- chiese Amanda, le nocche bianche strette alla scrivania.
- Non ricordo... Richard di sicuro lo sa, ma è sceso già in macchina... -.- No, sono qui vecchio balordo, che succede? Buongiorno commissario! Signorina... - disse un uomo pelato con dei gran baffoni bianchi, non troppo alto ma magro. Sulla sua spalla spiccava il distintivo delle ronde volontarie.
- Cosa c’era prima che arrangiassero il Parco dei Caduti per la Patria, in quel posto? -.
L’ uomo cambiò espressione in modo sgradevole, come se ricordasse qualcosa di poco piacevole.
- Ci stava un mattatoio. -.
      ****
Amanda sentì il sangue dentro le vene gelarsi in tanti piccoli cubetti.
- C’era il mattatoio che riforniva le macellerie della città. Era molto grande, poi è fallito per una causa giudiziario persa e una ventina di anni fa ci hanno costruito attorno il parco. Hanno fatto un buon lavoro, sotto quel punto di vista, perché hanno interrato tutto quanto ed hanno riconvertito in spogliatoi e bagni per il campetto da basket che è stato costruito sopra le stanze che potevano essere utili. Il resto è stato murato, credo. -
Fece appena in tempo a finire di parlare che Woshja si lanciò fuori dalla porta.
- Ascoltatemi tutti -, gridò, - comunicate alle ronde che dovete sostituire che ritarderete. Ho bisogno di quaranta unità con me. Tra quindici minuti esatti, in garage! Rapidi! -.
      ****
- Quindi, tutto si ricollega. L’orecchio di maiale doveva portarci al mattatoio.. -  grida Amanda mentre la folle guida di Woshja la sbattacchia su e giù sul sedile. - ... E il verde è il colore delle stanze...- Continua il commissario, buttandosi in corsia di sorpasso. - E tra l’altro oggi è il giorno migliore per il suo piano, perché le scuole di danza della zona hanno organizzato delle dimostrazioni nella zona del campo da basket... -. - E la maggior parte delle scuole hanno per iscritti esclusivamente ragazzine. Grazie a Dio che Daisy si è opposta ed ha smesso di fare danza come le imponevo. -. Lo dice con un aria pentita e gli occhi persi lontano, ed Amanda lo guarda improvvisamente stranita. A quanto ne sa Daisy ha smesso da fare danza quando aveva quattordici anni, ed ora ne ha ventisette. Si chiede perché proprio quel pensiero abbia attraversato la mente di Woshja proprio in quel momento, e perché proprio lei sia stata lì in quel momento a sentirlo.
Decide che probabilmente il commissario cerca solo una faccia da mettersi davanti agli occhi per dare una giustificazione a ciò che fare o non riuscirà a fare: una persona che possa trarre beneficio, vedersi la vita salva grazie a quello che loro stanno andando a fare.
      ****
Quando arrivano al Parco dei Caduti per la Patria, i festoni colorati sono agganciati anche nei punti più improbabili. Sia Amanda che il commissario, con cinquanta uomini al seguito, saltano giù al volo dalla macchina e scavalcano il banchetto all’entrata del parco mostrando il distintivo che li autorizza a passare senza biglietto troppo tardi perchè uno sbigottito cassiere possa vedere chi siano e cosa stiano andando a fare.
Amanda tiene il passo del commissario, anche se in realtà, con l’adrenalina che gli pompa a quella velocità nelle vene, potrebbe correre molto più veloce. In realtà una strana sensazione di oppressione le stringe la gola, lo stomaco, sembra accarezzarlo sfacciatamente mentre lei sta correndo incontro ad un serial killer, così preferisce rimanere accanto all’investigatore, che da parte sua scansa una bicicletta e controlla un orologio.
Quando arrivano in vista del campetto di basket, questo è già gremito di gente. Sono le due e trentacinque, e delle ragazze con delle ampie gonne nere bianche e rosse danzano in circolo facendo in modo che le gonne si aprano come degli ombrelloni fino alle loro cosce, sventagliando nel sole. Qualcosa nascosto in un angolo della testa di Amanda vorrebbe fermarsi ad ammirarle come stanno facendo già decine di persone che, allineate precisamente lungo le linee del campetto, chi a braccia conserte, chi a bocca aperta, attirano ancora più gente a curiosare.
 Invece no, non si ferma neppure quando le panchine e le transenne le sbarrano la strada: le scavalca appoggiando una mano e saltando dall’altra parte, senza guardare giù. Quando arrivano dove comincia il cemento rosso e gommato, Woshja e la bionda non si fermano: l’ispettore si infila senza fermarsi giù dalle scale di cemento che portano negli spogliatoi e comincia a perlustrarli, febbrilmente. Nel frattempo arrivano anche gli uomini e dopo pochi minuti, in fondo allo sgabuzzino, per la verità molto ampio, riservato alle scope, trovano una porta schermata colorata di verde scuro.
Amanda pensa che sia quasi ironico che quel verde ricorra ovunque, e per un attimo nella sua mente balenano due paia di occhi verdi: il primo, di un verde impossibile da definire, la osserva, la dimensione eccessiva tanto da inquietare, ma di una bellezza strabiliante. Il secondo, in realtà è solo un mezzo paio: uno dei due occhi è castano, e la sorprende che sia capitato assieme al fratello tra i suoi pensieri. Ma è una frazione di secondo: tre uomini hanno abbattuto con un grosso botto la porta, ed ora tutti si stanno avventurando oltre di essa.
Al di là della porta, c’è un grande corridoio, male illuminato da un neon, è tutto verde e pulito come il corridoio che porta ad una sala operatoria, e questo inquieta tutti quanti, e non poco. Ci si sente come dei topi, in trappola. Amanda sente la sensazione oltre il perimetro di concentrazione che ha fatto nel suo cervello, ma la ignora.
Woshja si guarda rapidamente intorno, fa un giro su se stesso tenendo le gambe aperte, come se dovesse scappare da un momento all’altro, ma il suo viso mantiene un espressione dura e rabbiosa. Un istante dopo comincia a sbraitare ordini in tutte le direzioni: anche lui ha sentito l’ansia degli uomini e vuole che escano nel minor tempo possibile da lì. Rapidamente, li divide a gruppi e li manda in perlustrazione. L’edificio al tempo aveva tre piani, e ad ogni quartetto viene affidato un settore da setacciare con le torce ed un rilevatore di calore. Woshja tiene tre uomini con sé e congeda i restanti, che si disperdono subito in tutte le direzioni.
Ora il commissario sfila la pistola della fondina ed incrocia il polso destro sotto la canna, in modo da poter far luce con la sua torcia avendo la pistola subito pronta a sparare. Aprono la prima porta che da sul corridoio, proprio sotto il neon. Davanti a loro si aprono una serie di stanzette verdi,all’apparenza spoglie. L’unica cosa che vi trovano sono dei bastoni appesi in orizzontale a due metri dal pavimento, su cui fanno bella mostra di se dei ganci da macellaio in inox.
In un altro momento qualcuno avrebbe commentato il dispendio di fondi nell’abbandonarli lì, ma in quel momento nessuno fiata. Proseguono camminando piano, rasente i muri, l’ispettore in testa con la Beretta spianata, poi Amanda ed i tre agenti.
Alla fine del corridoio che corre davanti alle stanzette c’è una curva a gomito, che a giudicare dai segni nel muro, doveva essere stata piuttosto scomodo per chi trafficava da quelle parti, e subito dopo una grande porta.
Woshja fa segno ad Amanda di tirarsi da parte e fa avanzare i poliziotti. Li mette uno per lato della porta, poi mette l’altro davanti e gli fa segno di abbatterla al suo segnale. Fa un profondo respiro, poi dà l’ordine. L’uomo si lancia avanti, sfonda la porta, e si butta di lato. Woshja si getta con un grido furioso nella stanza, poi anche gli altri due poliziotti, ed in mezzo Amanda.
Quello che gli occhi azzurri dell’italiana si trovano davanti fa salire l’ansia di botto. Ma forse è più quello che non ci trovano a farle paura. Dopo il grido del commissario, sulla stanza cala in un istante un silenzio che è peggiore di qualsiasi altra cosa Amanda abbia mai sentito in vita sua.
Davanti a lei c’è un enorme stanza completamente piastrellata di verde, ed al suo centro c’è qualcosa che Amanda non sa esattamente come definire.
Somiglia ad un enorme piatto da bilancia , ma allo stesso tempo sembra un recinto da wrestling col pavimento in acciaio inox opaco e senza protezioni. Le sembra che manchi solo una sedia elettrica al suo centro, e poi sarebbe il luogo di tortura ideale. Ma anche senza la sedia elettrica a quanto pare andava benissimo. Dal timore reverenziale che comunque legge negli occhi dei poliziotti, quella doveva essere la stanza del macello. Sull’altro lato della stanza, due corridoi si perdono nel buio, ed Amanda sente una tremenda voglia di gridare di terrore picchiare i pugni oltre la sua cortina di concentrazione. Riprendendosi per prima dallo stordimento che nel mentre però gli ha già fatto perdere del tempo prezioso, forse troppo, Amanda e subito dopo Woshja si mettono a perlustrare la stanza. Amanda apre a destra, Woshja a sinistra. Probabilmente il commissario non si è nemmeno accorto del fatto che la ragazza abbia in mano una pistola, ma al momento non ha importanza: Amanda illumina la parete metodicamente, fino a che non incontra un tubo, piuttosto sottile, di quelli che portano il gas o l’acqua. La curiosità ha la meglio sulla paura, ed Amanda alza la pistola e segue il percorso descritto del tubo con la torcia. Dal tubo se ne diramano altri, che vanno a formare una rete ordinata sopra la piastra metallica. D’un tratto, proprio sopra il centro della piastra, la torcia illumina qualcosa di nero e molto grosso.
Amanda non ha idea di cosa sia, ma la sola idea di salire sulla piastra l’atterrisce. D’un tratto Woshja le passa di fianco di corsa e salta sulla piastra. Non rimbomba cupamente come Amanda si era aspettata, ma i mocassini dei passi veloci dell’investigatore ticchettano in modo snervante.
Woshja arriva precisamente sotto al punto che la torcia di Amanda sta illuminando.
- Una bomba -. Lo sussurra appena, ma nel silenzio della stanza, con dentro solo quattro persone che però al momento stanno tenendo il fiato sospeso, le sue parole rimbombano come se le avesse urlate. Amanda guarda il commissario, che la sta guardando a sua volta, ma senza vederla, le pupille piccole come degli spilli.
Lentamente, molto lentamente, o così sembra ad Amanda, sfila una ricetrasmittente dalla cintura e la sintonizza sul canale di portata più ampia che ha. Fa partire gli allarmi di tutte le ricetrasmittenti che lo ricevono, poi, con voce sorda ed atona, dice: - Allontanatevi tutti dall’edificio. Chi è fuori faccia allontanare la gente più che può, anche fuori dal parco. Chi è dentro, esca. Adesso. -.
I tre poliziotti, con le ricetrasmittenti che gracchiando hanno ripetuto il messaggio, lo guardano, fermi come dei sassi.
      ****
Appena Woshja scende dalla piastra, scattano tutti. Amanda, che è più indietro degli altri, salta sulla piastra e la percorre di traverso per raggiungere la porta e gli altri. Nel farlo scorge le cifre analogiche di un conto alla rovescia. Sono grosse, rosse, come quelle che da bambina la volevano inghiottire quando attraversava le stanze buie dove giacevano le radiosveglie che la mattina dopo avrebbero svegliato i suoi genitori.
Adesso i poliziotti non usano tutta la delicatezza che hanno usato prima: corrono a gambe levate lungo il corridoio, senza chiudere le porte, senza pensare a non fare casino, senza preoccuparsi di coprire le spalle ai compagni.
Woshja, inspiegabilmente per il fiato che ha dimostrato prima, è ultimo.
Quando escono dalla porta sotto il neon, Amanda si ritrova in mezzo ad un’orda di uomini che tentano confusamente e molto rumorosamente di uscire. Riesce ad infilare la porta, dinnanzi agli occhi quei giganteschi numeri rossi che con un inesorabile conto alla rovescia si avvicinano allo zero. All’altezza degli spogliatoi, nel flusso di persone in fuga si inserisce qualche donna che fugge urlando dagli spogliatoi. Quando Amanda raggiunge la superficie, il cielo la abbaglia. Non smette di correre, attorno al campetto non c’è più tanta gente, tutti stanno scappando. Quando arriva al secondo riquadro del campo, quello disegnato in giallo, si rende conto che non stava correndo a caso: lì c’è Carmen. Carmen. La sua tutor preferita, quella che adora, quella che fa parte dei motivi per cui una storia l’ha costretta a fuggire dall’Italia per rifugiarsi in uno sperduto luogo della Polonia.
Cosa ci fa Carmen lì? Questo se lo chiederà dopo, perché la donna si fionda tra le sue braccia, e lei tra e sue. Si stringono forte, ed Amanda le stringe la testa contro al petto, perché Carmen è sempre stata più bassa di lei, una ventina di centimetri, perché in un istante si sente a casa. Anche se sembra un eternità, tutto accade in qualche decina di secondi. D’improvviso sia lei che Carmen, abbracciate, si voltano verso il campetto.
La superficie rossa sembra d’un tratto essere risucchiata dall’interno della terra, ma Amanda non sente nessun rumore, che non sia il respiro affannato e rigato di lacrime di Carmen stretta tra le sue braccia. Il centro del campetto, dove di solito sta il cerchio giallo in cui l’arbitro lancia in alto la palla per far cominciare la partita, d’un tratto si trasforma in una massa di cubetti di Lego, che franano l’uno sopra all’altro dentro una voragine dall’interno verde.
Senza curarsi di nient’altro, Amanda si volta, lasciandosi alle spalle il campetto. Stringe Carmen per un spalla contro di se, e si sente a casa. Da parte sua la donna cammina al suo fianco, con il braccio dietro la sua schiena, stringendola al suo fianco.
      ****
Il sole che le scotta sul collo è quello delle tre del pomeriggio, ma ad Amanda il cielo sembra grigio, e freddo. Sente solo il calore del fianco di Carmen: null'altro. D'un tratto, nel suo campo visivo entrano un paio di occhi bicolori, colti nell'istante in cui, da terrorizzati dalla tragedia, si posano su di lei.
Vede Daisy cominciare a correre e a piangere insieme, i pantaloni corti ed i sandali che porta non sono comodi per farlo, ma lo fa comunque. Christina, Viktoria e Hannah la guardano inebetite, senza capire bene cosa stia succedendo. Carmen fa appena in tempo a scansarsi che Daisy salta addosso ad Amanda, che senza fare una piega, senza un solo cedimento, la prende al volo.
Inizialmente la crespa si chiede se la liscia tema che suo padre, quello stesso ispettore che anche lei aveva affianco fino a pochi minuti prima, sia rimasto dentro, ma poi realizza che la polacca la sta stringendo sempre di più a sé, le labbra sul suo collo nascoste dai capelli lunghi di lei.


      ****
Quando Amanda alla fine di quella giornata torna a casa e si appoggia con le spalle alla porta per farla scivolare al suo posto, ormai sono le dieci di sera. Dal loro piano il rumore delle piazze dove qualche festa tenta di essere portata a conclusione non arriva, ma dalle finestre aperte del salotto entra solo l'aria fresca della sera.
L'italiana si lascia scivolare contro la porta, fino a terra: è stanchissima, e non le importa di niente, nemmeno che le ragazze possano rientrare da un momento all'altro e travolgerla nell'aprire. non le importa né del piano dell'ispettore per andare domani ad ammanettare il serial killer, che domani di certo tornerà al lavoro, com'è normale,  nascondendo il suo odio per le donne, ancora inspiegato. non le importa del fatto che tutte le poliziotte si siano offerte volontarie per andare a spellare quel maledetto assassino. Non le importa che i bambini non abbiano più un campetto di basket dove giocare e nemmeno che abbia ancora la pistola infilata nella fondina, sotto la giacca.
Amanda si alza appoggiandosi sui polsi. Sul divanetto della sala, coperta con un trapuntino a losanghe rosse e blu, Carmen dorme raggomitolata.
Amanda non sa se questo le importi: si preoccupa del fatto che il passato italiano sia riuscito ad arrivare fin lì, fino a lei. Carmen le ha spiegato che si trova a Lublino per un corso di aggiornamento nel fine settimana, e la ragazza ha capito che, alla fine, quell'incontro sarebbe avvenuto comunque. Lublino è troppo piccola per non vedere almeno una volta al giorno tutti i suoi abitanti, occasionali o fissi.
Quello che non riesce a capire è però che sensazioni le provochi questo incontro: sicuramente, pensa mentre chiude le finestre ed a passo felpato si dirige verso la sua stanza, sicuramente non sono la stessa persona che ero in passato. Per fortuna, alla fine, non lo sono, si sorprende a pensare, ed accetta il pensiero così com'è.
      ****
Quando entra nella stanza, le luci sono spente, ma sul comodino in mezzo tra i due letti a castello l'abat-jour è accesa e diffonde una luce calda e soffusa. Daisy, in lingerie, è in piedi al centro della stanza, con un fisico invidiabile e le braccia incrociate sulla pancia all'altezza del bacino, come se dovesse fare la predica a qualcuno ma non avesse esattamente idea di in che modo.
Amanda appoggia le spalle alla porta, e fa scivolare le mani dietro la schiena. Gli occhi delle due si incatenano, mentre senza far rumore l'italiana fa girare la chiave nella serratura.
Una stellina a cinque punte risalta, appena sotto la clavicola sinistra, la pelle chiara arrossata del lavoro del tatuatore.
Amanda non sa esattamente cosa fare, ma non lo lascia trasparire. Si toglie la giacca e la fondina e li butta sul letto superiore, mentre si aggiusta i polsini della camicia.
- Amanda, ti devo parlare -, dice Daisy, facendo un passo avanti. Amanda avverte il rumore del tappeto morbido sotto i suoi piedi nudi, ma non distoglie gli occhi da quelli della polacca, allarga solo le braccia ed accenna un sorriso.
È un secondo, uno scintillio fuori dalla finestra fa spostare istintivamente lo sguardo di Amanda dal viso di Daisy, e lei se ne accorge. Si volta subito e corre verso la finestra, facendo cadere pesantemente la tapparella scorstata. Quando si volta, Amanda è dietro di lei, pronta a prenderla, perché per un attimo ha creduto si volesse buttare.
Invece la polacca è ancora lì, e le fa scivolare le Braccia attorno al collo, delicatamente, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo: Amanda sente il corpo asciutto della polacca aderire al suo, e riesce a stento a trattenere un brivido di piacere. Daisy non sa, non immaginerebbe mai...
- Hai paura del serial killer? -, chiede Amanda. Daisy scuote la testa contro di lei, senza pensare alle possibili male interpretazioni che quella domanda avrebbe potuto avere.
- Hai visto, alla fine non è successo nulla a tuo padre oggi pomeriggio, se l'è cavata con un paio di graffi e...-. - Non me ne frega niente di mio padre!-, sbotta Daisy. Delle lacrime leggere la truccano, facendola  apparire più fragile, più dolce, e, nel silenzio dei suoi pensieri Amanda si può permettere anche di aggiungere, più irresistibile a chiunque la stia tenendo tra le braccia.
Tratteggia comunque sul viso un'aria vagamente interdetta, e Daisy la fissa quasi con frustrazione.
- Non capisci? Non ero preoccupata per lui oggi. Lui, è solo...- sventaglia una mano in aria, lontana da loro -.. è il suo lavoro. -. Torna a fissarla, quegli occhi castano chiaro e verde la fissano, intensamente.
Amanda smette di fare l'aria sostenuta, rilassa le spalle e sposta le braccia un po' più in basso lungo la schiena di Daisy, consentendole un campo d'azione più ampio con il busto.
Le mani fresche di Daisy si posano sulle sue guance leggere come farfalle fatte d'aria di primavera, mentre la polacca appoggia la fronte contro la sua: i loro nasi si sfiorano, e Daisy sembra farlo apposta, delicatamente, respirando piano.
D'un tratto lo sguardo bicolorato della polacca, ombreggiato dalle ciglia allungate con il rimmel si alza di nuovo dentro quello di Amanda: - Pensavo tu stessi per morire, ed in un fatale attimo, ho deciso che non ti sarei sopravvissuta -.
Inaspettatamente, Daisy sposta lo sguardo lontano da loro, in alto, su quel soffitto scabro che non significa nulla, con tutta probabilità solo per colpa di un imbarazzo che si è inaspettatamente affacciato nei suoi pensieri.
Ma Amanda decide che non gli darà più tempo di gire: ferma col naso la corsa di quel viso lontano da quel momento, e le labbra di Daisy non resistono alla tentazione e la baciano, senza dare il tempo alla polacca di rendersi razionalmente conto di cosa stia facendo. Ma quando lo fa, non si tira più indietro.
Amanda sente la mano di Daisy spingere la sua nuca verso di lei, e da parte sua stringe a sé quel corpo candido che si sta rapidamente scaldando contro di lei.
Daisy schiude la labbra, e per un istante Amanda esita. Apre gli occhi, preda del suo passato. Anche Daisy li apre, e si ritrovano lì, smarrite, con  calore che si sta rapidamente accendendo in entrambe.
Davanti agli occhi disorientati dell'italiana, Daisy le offre il porto sicuro della sua bocca, trainandocela per il mento con due dita. Allora si ritrovano, più profonde, più ardenti.
Amanda sbottona la camicia e Daisy spinge sui suoi fianchi: Amanda la prende in braccio, e la polacca la circonda, sensualmente.
      ****
Quando Daisy il mattino dopo si sveglia, ha un attimo di panico: il letto di fronte a lei è vuoto. il suo respiro però non è solo, e l'altro ha lo stesso ritmo con cui la sua testa di tanto in tanto delicatamente si muove.
La luce del sole filtra in piccole gocce nella stanza dalla tapparella, ma è poco intensa, come se fosse riflessa dalla parete dell'edificio di fronte. Daisy tenta di ampliare il suo campo visivo, incastrato nell'angolo della stanza dove una libraria angolare sorregge alcuni testi universitari: piano piano distingue il letto, delle coperte un po' sgualcite ma non disordinate quanto se qualcuno vi
avesse dormito e poi, chiaramente illuminati da una chiazza di sole, dei vestiti: una giacca, una camicia, dell'intimo non meglio definito e... due reggiseni.
Dalla bolla di felicità in pace col mondo in cui si trova, Daisy si domanda infantilmente cosa ci facciano lì.
Non fa in tempo a darsi una risposta in tutta calma, perché qualcosa le si infila tra i capelli e lei si sposta di soprassalto, spaventata.
Amanda allontana la mano di scatto, allarmata a sua volta. I suoi occhi azzurri esprimono tutte le scuse che le parole, in quel momento inopportune, non riuscirebbero nemmeno a significare.
Daisy la guarda per un attimo, ancora appoggiata su un braccio, semiseduta, con le gambe rannicchiate accanto a se: Amanda la lascia fare, comodamente sdraiata nella sua metà di quel letto singolo, con un aria serena come Daisy non l'aveva mai vista.
Alla fine, la polacca si sdraia accanto a lei e la bacia. Nonostante la camera si stia rapidamente scaldando, le sue mani sono ancora fresche e leggere, pensa Amanda.
Spinge il suo bacino contro di sé e fa in modo che si metta comoda, in modo da poterla coccolare.
Daisy si piega docilmente alla sua mano decisa, ma si mette seduta, guardandola dall'alto. Amanda coglie la sfida nei suoi occhi ed in un attimo ribalta la situazione.
- Ed ora?- sussurra. Daisy le fa gli occhi dolci, leccandosi poi la labbra con fare cospiratorio.
      ****

D’un tratto, un colpo di tosse rimbomba nel corridoio vuoto dell’appartamento. Daisy si è riaddormentata, ma Amanda è rimasta a fissare l’orologio, anche se non lo vedeva realmente, troppo presa nei suoi ricordi. Quando quel rumore leggero giunge alle sue orecchie, l’ora indicata sul quadrante corrisponde alle otto e quarantacinque.
Senza far rumore, Amanda si sfila dalle coperte ed esce. Il salotto è in penombra, nonostante il sole stia litigando già da un po’ con le tende pesanti per impossessarsi della stanza. Carmen sembra ancora dormire sul divano, ora é tutta distesa nell’angolo tra schienale e sedile, il cuscino a terra e la coperta avvolta attorno alle spalle come un bozzolo.
Amanda passa oltre ed infila la testa dietro ad una tenda. Fuori il cielo è cosparso di nuvole, ed il sole non sembra volersi impegnare troppo a mandarle via. Quando la ragazza apre una delle finestre “a ghigliottina”, come sono soprannominate, l’aria fresca porta nella casa il profumo del pane fresco.
- Perché sei andata via? -. La voce di Carmen la sorprende, è più pacata di come la ricordasse, forse solo perché è appena sveglia e non si trovano in un determinato luogo, ma Amanda preferisce non voltarsi, facendole posto affianco a lei, dietro la tenda.
- É complicato, Carmen. -. - Io credo che non lo sappia neppure tu. -. Gli occhi azzurri di Amanda la inchiodano, ma Carmen non si muove. Dopo tutto, è stata anche lei ad insegnarle quello sguardo.
 - Cosa te lo fa pensare? -.
 - Il modo in cui giri intorno alle cose ed alle persone qui. Ti conosco sai, forse solo ieri hai trovato qualcosa che davvero abbia significato qui. -.
- No, Carmen, tu non mi conosci più. Sono cambiata, sono cresciuta, so cose di persone che vanno oltre il limite dell’immaginazione, e sono stati in posti tremendi per i motivi più inaspettati. E tu non lo sai. -.
- Abbracciami, Amanda. Devo andare via. -.
Amanda nasconde il dolore nell’angolo più lontano della sua mente. Fa scorrere lo sguardo su Carmen con freddezza fino al viso, con i capelli ancora disordinati, ma gli occhi vispi e la bocca in una linea decisa.
- Non sarà certo la prima volta. -.
Carmen la guarda, senza esprimere nessun sentimento preciso, e per un istante si abbracciano, così forte che Amanda pensa che potrebbero spezzarsi le ossa da un momento all’altro. Si preoccupa anche che quel profumo di casa che le spezza il cuore le possa togliere di dosso quello di Daisy che invece le sta dando una mano, ma non fa nulla. La saluta, la sente andarsene, e poi ascolta il silenzio riaccomodarsi sul divano dalla sala e riprendere a dormire, mentre lei rimane lì. Dopo un po’, sente le altre alzarsi, far scaldare il latte, aprire le altre tende, cominciare a fare il baccano quotidiano. Daisy deve aver fatto cenno alle altre di non avvicinarsi, perché i rumori rimangono lontani da lei. Probabilmente, la polacca la sta osservando con quella piega della bocca che prende quando non capisce una cosa e ne rimane un po’ frustrata, ma la fa comunque.
Quando, dopo che le ragazze sono uscite, la invita ad uscire abbracciandole i fianchi, Amanda guarda giù dalla finestra. È uno di quei momenti in cui il passato lascia spazio all’avvenire. In modo doloroso. Quei momenti in cui si vorrebbe morire.
 
  
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