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Autore: MadLucy    30/08/2013    4 recensioni
I Sette Regni tentavano di domare la progenie del lupo.
#nel posto sbagliato. -La incalzava, Robb Stark, sbranava l'ombra della guerra.-
#troppo a Sud. -Ringhia soltanto di notte, Sansa, il suo flebile inno funebre.-
#troppo a Nord. -Il destino deve smetterla di decidere chi Bran debba essere.-
#nel posto giusto. -Jon Snow non sa niente: il comandante Snow ha imparato.-
#da nessuna parte. -Qualcuno l'ha detto, ad Arya, che i desideri si realizzano soltanto quando non si sa più cosa farsene di loro.-
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Arya Stark, Bran Stark, Jon Snow, Robb Stark, Sansa Stark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Robb

Perchè il branco ulula ancora.



I Sette Regni cercavano di domare la progenie del lupo.






Nel posto sbagliato.
Ma come, il lupo era così attento a guardarsi le spalle da non vedere il pericolo ad un palmo dal muso?
La incalzava, Robb Stark, sbranava l'ombra della guerra facendo scattare le mascelle ad un soffio dall'orlo, mordeva e masticava la coda del suo mantello consumandovi i denti d'acciaio.
Aveva sul collo la punta delle spade dei nemici e l'alito dei consiglieri malfidati, Robb Stark, correva alla ricerca di qualcosa di buio, ma che non rispondeva al richiamo di gloria, nè di lealtà, neppure di vendetta. Correva come un bambino sulla strada di casa, ma non era a casa che stava andando, era da lì che stava fuggendo. Quando l'impeto della guerra aveva allentato la presa sul suo animo abbastanza da concedergli il pensiero di stare sbagliando tutto, era già troppo tardi.
Il fiele che aveva in corpo cercava una liberazione, cercava un'evasione, cercava pace. Pace, come l'ultima parola della ninnananna che una balia morta non potrà cantare mai. Pace, come il sussurro di uno sconosciuto dal volto familiare dall'altra parte del mondo. Pace, come l'onda che si è infranta contro la riva e muore sciogliendosi e districandosi in un sudario di spuma.
Aveva sete, Robb Stark: mai i suoi coppieri avrebbero dovuto colmargli il boccale di sangue per contentarlo.
Cosa avete fatto, Lannister, cosa avete fatto, dèi, cos'hai fatto, onore. In cosa hai trasformato un ragazzo felice, cosa ne hai fatto della sua incoscienza sbrigliata, cosa hai iniettato nelle sue vene. Cos'hai fatto, sangue, sangue che chiama, sangue che chiede, sangue che scorre e sangue che spande, sangue mio o sangue tuo, e questo fa la differenza. Nel sangue ogni guerra finisce, nel sangue ogni vita comincia, il sangue lo vuole il cielo e lo vuole la terra, ma lo vuole il sangue, Robb Stark?
Non riesce nemmeno a ricordare l'inizio della storia, ma non si può tornare indietro con le pagine per rileggerla. Bisogna andare fino in fondo. Ormai soltanto la fine deve contare, soltanto la fine è certa, certa come la notte. La notte più che mai è chiarezza, quando non ci si può fidare della luce del giorno e delle sue verità bugiarde.
A Robb, l'odio l'ha imposto qualcun altro, senza prima insegnarglielo. Come si odia? Si pianta una spada nella gola, si tortura con il fuoco, si maledice fino a perdere la voce? Robb voleva odiare, voleva odiare in tutti questi modi, macellava ad occhi chiusi, pensando ad Eddard Stark, alla sua onestà sprezzata, su cui tutti i topi delle fogne di Approdo del Re avevano sputato. Non sapeva chi odiare, cosa odiare e come odiare, ma uccideva, Robb Stark, uccideva alla ricerca del sollievo, della fine, qualsiasi essa fosse.
Era stato un unico, intollerabile secondo, una sofferenza lunga diciassette anni compressa in un secondo. Poi Robb aveva alzato la testa verso la luna ed aveva urlato il tradimento di Theon così forte da farlo tremare nel letto che ha usurpato al Nord.
*
Troppo a Sud.
A Sansa era stato detto che Robb era morto.
A Sansa, Tyrion aveva detto che Robb era morto in pace.
Tyrion l'aveva detto, brutto marito inutile, troppo basso per baciarla, troppo in basso per guardarla negli occhi. Brutto marito inutile al quale avevano affidato una lupa in catene.
In pace, pace. Pace non esiste, pace è il primo istante in cui chiudi ogni occhi la sera e l'ultimo prima di piangere, pace è una landa desolata che tutti quanti voi avete razziato, uno dopo l'altro, bruciando i campi, calpestando il verde, sterilizzando la terra, fino a rimanere con le mani colme della cenere della vostra stanca disillusione. La pace ce l'avevate, la pace era vostra, la pace era al sicuro nei forzieri e nei focolari, ma voi l'avete gettata dalla finestra insieme a Bran, l'avete decapitata insieme a mio padre, l'avete tradita al banchetto di nozze dei Frey. La pace, saccheggiata, spazientita, oltraggiata, derisa, spregiata, cacciata, non vi vuole più.
Robb sarebbe morto in pace. In pace. No, non c'era pace attorno a lui, dentro di lui. Non c'era pace nelle urla dei suoi uomini dilaniati, nel canto vile dei leoni, nella mensa sbaragliata e nei giuramenti violati. No, Robb è morto in guerra, radunando i vessilli ed affilando le armi, è morto con la guerra negli occhi, nel petto, con la guerra sulla punta delle labbra impietrite; Robb è morto con la guerra nella testa, nel sangue, nel cuore, perchè essa l'aveva contagiato fino allo stato terminale.
Robb è morto con la vostra gola stretta nel pugno, con i vostri nomi fra i denti, e li sta portando nelle viscere della terra, dritti all'inferno; questo vorrebbe urlare Sansa, minacce, intimidazioni, vorrebbe spegnere con il fuoco quelle risate, vorrebbe strappare con gli artigli quei ghigni, vorrebbe umiliare la loro felicità come è stata umiliata la sua. Scorreranno lacrime a casa Lannister, lacrime di sangue e di sale, tanto che prosciugherete il mare e potrete affogare; quest'altro ancora vorrebbe strillare Sansa, per soffocare il rumore dei brindisi, dei festeggiamenti, d'un'allegria grottesca come un ragazzo con la testa di lupo. Vorrebbe seppellire il trionfo, impedire la vittoria con il solo fragore della sua voce, con la sola forza delle sue braccia, Sansa. Se potesse strapparsi i muscoli e spezzarsi le ossa recidendo a morsi voraci e mani nude la potenza dei Lannister, non ci penserebbe due volte. Cosa può un esercito contro una ragazzina infuriata? Solo i suoi vestiti di lusso può strappare, Sansa, solo fiocchi e stracci, solo il desiderio d'una fanciullezza veloce contro l'acida e violenta consapevolezza di due anni di ferro. In quel momento sarebbe più facile essere Arya che essere una lady, correre, pestare i piedi e sbraitare, graffiare e scalciare contro il destino, ma Sansa non è Arya e Arya non è lì.
Vorrebbe privare i Lannister d'ogni vettovaglia, Sansa, ed erigere nella Fortezza Rossa un pozzo di ricordi irraggiungibili ed amarezza ustionante, di modo che tutti loro possano abbeverarsi dell'unica essenza di cui ella stessa si è sostentata.
Perchè Sansa deve vivere fra i leoni, deve sorridere ai leoni, deve obbedire ai leoni, deve interpretare il cane docile ed ammaestrato, se vuole dare un lieto fine alla storia, o toccare personalmente il fondo dell'abisso. Tanto ormai lei è pronta a tutto, lei conosce bene quella discesa, sempre più giù, sempre più giù, con piccole pause che servono solo a metabolizzare ed apprendere e calcolare ciò che si è perso ed avvertire il contatto del dolore contro una guancia, come uno schiaffo troppo forte, e soffrirlo per bene, quel dolore; e il futuro sembra ispirarsi per la creazione delle sue trame alle paura più atroci di Sansa, che immancabilmente diventano materia di realtà. Ringhia soltanto di notte, Sansa, quando nessuno la sente, contro un cuscino sazio di lacrime, ringhia il lamento d'un dolore muto che non può trovare espressione nè consolazione, ringhia il suo flebile inno funebre alle vittime d'una mattanza inesorabile, a tutti coloro a cui non ha potuto dire addio.
Avete superato una linea sacra, Lannister, avete osato più di quanto è consentito dalle regole del gioco, avete profanato qualcosa che è più grande di voi. Questo Sansa lo sa per certo, lo avverte, lo percepisce con ogni fibra di sè stessa. Bisogna attendere. Soffrire, e attendere, Annuire, e attendere. Tacere, e attendere.
Ma non morire. Mai morire. Sono morti in troppi.
*
Troppo a Nord.
Bran è un ragazzino dal viso di neve e gli occhi notturni -la perdita dell'innocenza ha lasciato un solco buio e vuoto che non poteva essere colmato da sentimenti stremati, gretti, impraticabili come rabbia e dolore, che richiedono tempo, energia. A regnare nel suo petto è una calma di morte, a separarlo dalla miseria della guerra è un distacco sdegnoso e disgustato. Non è permesso il lusso della debolezza, quando si dorme nel fango e si mangia carne cruda, non c'è posto per le zavorre sulle spalle di Bran lo Spezzato. Bisogna abbandonare sul proprio cammino il superfluo, per procedere più veloci. Solo sulle speranze tangibili si può fare affidamento, e l'unica speranza davvero tangibile è quella che Bran può tastare con mano: sè stesso. Il gioco del trono lo lascia a chi crede che ancora abbia qualche importanza.
-A me questa guerra non interessa.- ha dichiarato.
-Nessuno ti ha chiesto se vuoi parteciparci: ci sei già dentro.- ha replicato Jojen, con la sua lapidaria franchezza. Jojen, Jojen. Jojen ha consapevolezza del mondo, ha arguzia per natura e onniscienza per maledizione. Dentro i suoi occhi s'è radicato il muschio del dovere, scatta la luce scaltra dei pensieri e le pupille tacciono torve le trame che i ragni non hanno ancora tessuto.
Jojen ha insegnato a Bran a sognare una realtà feroce, viscerale, d'aspra sapidità come il sangue in gola: dormi e corri, dormi e piangi, dormi e dimentica, dormi e uccidi, dormi ed esplodi, dormi e poi ritorna. A Bran le mani di Jojen piacciono: affusolate, con dita lunghe e palmo stretto, pallide ed affidabili più di tutte le altre.
Perchè quando Bran è nelle mani di Jojen, fra le mani di Jojen, tutto va per il meglio.
Bran vorrebbe dirlo, a Jojen, che continua segretamente a sperare ch'egli compaia sempre nei suoi sogni a risolvere i guai, pronto ad inginocchiarsi e prestargli giuramento come fece quel giorno dimenticato, quando Grande Inverno era alta e bella quanto il cielo. Ma il giovane Reed non incoraggia le confidenze, con quegli occhi solenni, che guardano oltre, che si ammorbidiscono di pietà soltanto quando Bran urla nel sonno.
Perchè Bran non vuole altro che sentirsi dire che cosa fare, per intraprendere una strada che non conduca all'inferno.
Ma quando Jojen non sarà altro che un fagotto livido e tremante al di là della Barriera, quando il ghiaccio gli serrerà quelle labbra da cui scaturiscono le risposte, quando sarà Jojen ad avere bisogno del suo aiuto, dovrà essere il ragazzo a decidere e il lupo a sbranare.
Si guarda intorno, l'erede d'un cumulo di macerie, un'ombra di cenere e un pugno di malinconia: il terriccio è il suo trono, di foglie marce è il suo mantello, un debito di sangue è la sua corona.
Bran si guarda intorno, vede i suoi compagni di sempre. Si rivolge a Jojen, atono:
-Quali fra noi sopravvivranno?-
Jojen lo penetra con uno sguardo lungo ed affilato. -Non te lo dico.-
Mio principe, lo chiamano i suoi compagni di viaggio; maestà, a volte. Ma lui non è un principe, tantomeno un re. Il diritto ad un trono crollato lo vuole così, vero.
Ma il destino deve smetterla di decidere chi Bran debba essere. Ha le gambe rotte, ma ciò non fa di lui Bran lo Spezzato. Non sta scappando dalla guerra dei re: sta andando a combattere la sua.
Egli diventerà qualcosa che solo lui può diventare. Qualcosa di unico. Qualcosa di forte. Qualcosa di inflessibile.
Io non mi sono spezzato, vorrebbe gridare alla notte. Io sono intatto, e sono qui. Voi no. Voi siete tutti morti. Voi siete tutti spezzati.
Voi vi spezzerete tutti. I lupi stanno affilando le zanne.
E quando lo chiameranno Maestà, quando sarà re, lo sarà sul trono ch'egli stesso erigerà. Un nuovo trono per un nuovo re del Nord, Brandon Stark l'Infrangibile.
Non sarà pace, sarà guerra; il Sud non ha ancora assaggiato il vento del Nord.
Dopotutto l'inverno è nel suo sangue -l'inverno è nei suoi occhi.
*
Nel posto giusto.
Jon Snow non sa niente: il comandante Snow ha imparato.
Sono figlio dell'inverno, pensa guardando il groviglio inestricabile del buio. Però non basta. Devo essere re. Devo essere il re di quest'inverno.
Per farlo finire, per far terminare la fame e la miseria, per riportare i figli dalle madri, per scaldare le case e riaccendere la luce.
No.
Per dilagarlo, per perseverarlo, finchè ogni estate sarà spazzata via. L'estate non serve più a niente. L'estate, ormai, appartiene ai leoni. La vogliono solo i leoni.
Jon non ha più un'estate a cui tornare, in fondo. L'estate di Jon è tramontata da un pezzo. L'estate era Ygritte, il calore era quello dei suoi capelli baciati dal fuoco, la speranza era abbracciare un corpo morbido sotto le pellicce e convincersi che, in fin dei conti, nella vita tutto può succedere, che anche per i bastardi esiste l'onore, che il futuro non lo scrivono gli dèi. L'estate ha una freccia conficcata nel petto e il bagliore d'un sorriso derisorio ancora appeso alle labbra.
La vendetta sgorgherà insieme al sangue dei morti, la vendetta sarà per tutti e verso tutti, per tutto e verso tutto, ma non mieterà mai davvero l'obiettivo -la sorte, che se fosse cieca non avrebbe giocato con Jon così crudelmente.
L'estate del comandante Snow è l'inverno.
E, fortunatamente, l'inverno sta arrivando.
*
Da nessuna parte.
Un giorno qualcuno l'ha detto, ad Arya, che i desideri si realizzano soltanto quando non si sa più cosa farsene di loro.
Arya non voleva i bei vestiti e l'ago alla mano, non voleva le canzoni sdolcinate dei menestrelli ed i saloni eleganti: per Arry ci sono solo stracci e una spada alla cintura, mentre il crepitio degli incendi, il clagore della guerra e i lamenti dei lupi squarciano la notte in quella foresta senza uscita che assomiglia ad un incubo ma puzza di realtà. Ecco servita la ribelle principessa dei lupi, con il fango e con il sangue, perchè lei non è una lady. Non sei una lady?, sghignazza la sorte, e allora dimostralo. Ruba, uccidi, scappa, corri, mordi.
Non sei una lady? e allora cosa sei?
Arya è stata una coppiera, una sguattera, un ragazzino, una prigioniera; poi ha capito ch'è meglio non essere nessuno.
La morte è già entrata nella sua vita e nulla la caccerà fuori: se è impossibile combatterla, bisogna farsela amica, addomesticarla, allearsi con lei.
Strappa la propria pelle Arya, se ne libera e ne esce fuori, la abbandona a terra come faceva con gli abiti di pizzo, come se fosse un mantello liso da troppe tempeste.
Arya Stark soffre troppo, Arya Stark è debole: la forza non risiede più in lei. Perciò, per resistere, bisogna essere qualcun altro. Visto che tutti prima o poi vacillano, sarà bene avere sempre un volto nuovo, un nome nuovo, un cuore nuovo. Così non si muore mai.
Arya non aveva nulla da perdere, nulla da conquistare, ma tante vite da vivere e da ghermire.
Un giorno Arya lo dirà, a quel qualcuno, che soltanto le lady attendono l'avverarsi dei desideri.




I Sette Regni sanguinarono.



































Note dell'Autrice: Di nuovo gli Stark, sì, perchè mi piace piazzarli nelle fanfictions in qualsiasi salsa.
Bran/Jojen fa inevitabilmente capolino fra le righe, ma non è colpa mia. E' colpa loro. Se si divorassero un po' più discretamente con gli occhi, non stuzzicherebbero la mia mente morbosa.
Il comandante Snow mi piace poco, però lo ritengo credibile. Al personaggio di Jon, a mio parere, non bisogna attribuire troppo perbenismo. Insomma, non deve fare il bravo ragazzo a tutti i costi, però per ora tutto quel che ha fatto, questo comandante Snow, è stato rispondere male a Sam. Ahhrgh, che cuore impavido. -.-  Come si fa a rispondere male a Sam, povero tesoro?
Arya mi rompe un po', non lo so, mi dà sempre l'idea di volersi cacciare in situazioni peggiori di quella in cui è. I guai se li va a cercare con il lanternino. Attendo nuovi risvolti...
Va beh. Ho brontolato abbastanza. Grazie per avere letto le storie -anche queste inutili note? Incredibile- e sarei contenta di sapere la vostra opinione. Valar morghulis, gente!
^-^
Lucy
  
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