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Autore: The Mad Tinhatter    30/08/2013    11 recensioni
"Non appena aprì la scatola, sul suo volto si materializzò un sorriso smagliante. Dentro, infatti, c'era una busta di plastica piena di pezzi di puzzle."
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Questa storia partecipa all'"Horror Contest" indetto da Kath.

Jigsaw


Akiko sorrise. I ragazzi della compagnia di trasporti erano appena andati via, lasciandola sola a godersi la sua nuova casa. Si trattava di quanto di meglio Akiko potesse desiderare: si trovava in una cittadina nella periferia di Tokyo, lontana dalla confusione della città ma allo stesso tempo ben servita dai mezzi pubblici.

Non appena chiuse la porta dietro di sé, Akiko fu accolta dal profumo di mobili nuovi, e di muri appena imbiancati. Imbiancati, ma soprattutto liberi. Nella vecchia casa dei suoi genitori non c'era mai stato troppo spazio sui muri, ma ora essi erano vuoti, pronti a contenere tutte le sue creazioni. Aveva portato con sé svariate scatole piene di pezzi da ricomporre; puzzle che aveva comprato solo perché le immagini l'avevano intrigata. Amava la sensazione che le dava il ricreare quelle foto o quei disegni, il passare notti intere davanti ad un tavolo pieno di pezzi, il guardare con affetto il lavoro svolto.

La prima cosa che fece appena entrata nella sua camera da letto fu accendere il computer e collegarsi ad internet. Vi erano tante community dedicate agli appassionati di puzzle, e grazie ad esse aveva conosciuto varie persone che condividevano la sua stessa passione e che non l'avrebbero mai presa per pazza nel vedere la pila di puzzle ancora da fare. Non era stato difficile: le era bastato scegliersi un nickname, Akichan24, ed indicare alcuni dei puzzle in commercio che aveva completato.

Mandò subito un messaggio ad una delle sue migliori amiche, Ray1987, scrivendole che finalmente avrebbe potuto cominciare la serie di quadri rinascimentali, una delle più popolari e più belle. Sicuramente le avrebbe risposto qualche secondo più tardi, dicendole di divertirsi. Lei certamente era alle prese con qualche puzzle 3D a tema fantascientifico, la sua passione.

Fu allora, mentre attendeva con trepidazione quella risposta, che il campanello suonò.

Strano, pensò Akiko, non aspetto ospiti. Probabilmente si trattava soltanto di qualche vicino venuto a darle il benvenuto. Non ci sarebbe stato nulla di strano.

E se si trattasse di un maniaco?

La ragazza aprì la porta, lentamente. Davanti alla porta, però, non c'era nessuno.

Tirò un sospiro di sollievo. Non poteva certo negare che l'aver vissuto per ventiquattro anni assieme ai suoi genitori l'avesse abituata troppo bene. Certo, probabilmente sua madre avrebbe potuto difendersi solo con una padella, ma di sicuro era sempre meglio di stare completamente da sola.

Prima di chiudere la porta, abbassò lo sguardo. Ai suoi piedi c'era una scatola nera, con un biglietto attaccato. Akiko la portò dentro, incuriosita.

Lesse il biglietto.

"Spero che questo regalo di benvenuto sia di tuo gradimento.

Il tuo nuovo vicino"

Non appena aprì la scatola, sul suo volto si materializzò un sorriso smagliante. Dentro, infatti, c'era una busta di plastica piena di pezzi di puzzle. Un foglio stampato mostrava l'immagine che avrebbe dovuto ricomporre: si trattava di una foto in bianco e nero che ritraeva due bambini e una bambina che giocavano: la bambina cullava tra le braccia una bambola di porcellana; uno dei bambini stringeva a sé un orsetto di pezza, mentre l'altro giocava con un trenino di legno.

Eccitata, corse nuovamente al computer.

Akichan24: Indovina? Il mio vicino mi ha appena fatto un regalo. Un puzzle!

Ray1987: WOW. Fantastico. È bello?

Akichan24: Credo di sì. Non l'ho ancora iniziato, a dire il vero.

Ray1987: Intendevo il vicino.

Akichan24: Oh. Non lo so, ora però vado a ringraziarlo!

Ray1987: Fammi sapere!

Akiko corse fuori, e si diresse verso la casa accanto. Le finestre erano sigillate, e il cancello era chiuso. Non c'era nessuno.

Forse è uscito, pensò, mentre rientrava.

Avrebbe voluto continuare a chattare con la sua amica, anche giusto per avere un po' di compagnia durante la sua prima sera da sola, ma appena entrò nella sua stanza si accorse che il computer si era spento.

Schiacciò il pulsante di accensione. Niente.

Akiko scosse la testa, e andò ad aprire il suo nuovo puzzle. L'indomani avrebbe chiamato il servizio tecnico, e qualcuno sarebbe arrivato a ripararle il pc. Ora, però, aveva qualcosa di ben più importante e divertente da fare....

Rovesciò i pezzi sul grande tavolo della cucina, mise la foto davanti a sé, e iniziò a lavorarci su.

Doveva ammettere che non era così difficile. Nella sua lunga esperienza da risolutrice di puzzle, aveva affrontato sfide molto più complesse. A volte, era quasi come una battaglia: c'era qualcosa che spesso l'aveva spinta a spendere ore solo per cercare un pezzo, perché quel puzzle non doveva averla vinta.

Razionalmente, quello non le sembrava il caso: i pezzi non erano troppi e l'immagine non era molto ricca di dettagli. Normalmente, l'avrebbe archiviato come un gioco da ragazzi, e probabilmente non l'avrebbe nemmeno appeso. Mostrare agli altri un puzzle di meno di duemila pezzi? Mai. E quale orgoglio avrebbe mai potuto provare, se non avesse incontrato nessun tipo di difficoltà?

Eppure, mentre prendeva in mano i pezzi, Akiko sentiva una strana sensazione. Quasi una sorta di eccitazione. Poteva essere perché non aveva ancora incontrato chi le avesse regalato quella scatola? O, forse, poteva essere per il fatto che il puzzle non dava l'impressione di provenire da nessun negozio?

Akiko non ne aveva idea, ma era certa che quella notte sarebbe stata una lunga notte....

*

Un altro pezzo, ancora un altro pezzo e poi vado a dormire....

La sua mente ormai era concentrata solo sul mettere assieme quei tasselli. Un pezzo assieme ad un pezzo assieme ad un altro pezzo... era così semplice che le dava quasi l'impressione che le sue mani si muovessero da sole, mentre finalmente due dei bambini prendevano vita....

C'era qualcosa di strano, in loro, qualcosa a cui Akiko, solo osservando la foto, non aveva fatto particolarmente caso.

Stanno giocando, sembra uno scatto casuale... allora perché fissano l'obiettivo?

Era... spiazzante. E le dava la sensazione di sentirsi osservata.

Forse è solo la stanchezza.

Guardò l'orologio. Erano le tre e mezza del mattino. Doveva dormire.

Non appena si alzò, sentì un brivido percorrerle la schiena.

Sai che ogni volta che si sente un brivido lungo la schiena, è perché qualcuno sta camminando sulla tua futura tomba?

Era soltanto una stupida frase pensata per spaventare i bambini. Nulla di più, naturalmente.

Non si sentiva molto bene. C'era qualcosa di sbagliato nell'aria, come se da qualche parte nel mondo stesse per succedere qualcosa di terribile.

Forse era soltanto perché era sola in casa nel cuore della notte. I suoi genitori l'avevano abituata ad avere compagnia, dunque il sentirsi così era perfettamente normale.

O, forse, è perché non devi mollare quel puzzle. Come hai potuto fermarti?

Akiko scosse la testa, e si strofinò gli occhi. Non poteva passare una notte insonne solo perché aveva paura di stare da sola. Si trascinò sul divano, cercando di addormentarsi....

La televisione si accese.

Davanti a lei, sullo schermo, un bambino che giocava, seduto per terra, con un trenino di legno. Uno dei bambini della foto. Sorrideva, chiamando sua madre.

Poi si voltò, guardando davanti a sé. La sua espressione felice mutò in un'espressione di terrore, gli enormi occhi azzurri puntati su Akiko, fissi come se fossero stati di vetro....

- Mamma...? Aiutami....

Akiko si svegliò di soprassalto, quasi saltando giù dal divano. Ancora le sembrava di vedere il riflesso di quegli occhi penetranti, proprio lì, sullo schermo del televisore....

Scosse la testa. Solo un brutto sogno, niente di più. Ma la sensazione di inquietudine che l'aveva accompagnata durante il sonno ancora non l'aveva abbandonata.

Andò in cucina a prepararsi una tazza di tè. Mentre aspettava che l'acqua bollisse, il suo sguardo cadde di nuovo sul puzzle. Sarebbe uscita a fare compere, poi l'avrebbe continuato.

No, pensò improvvisamente. Cosa? rispose a sé stessa.

- Aiutami....

La voce del bambino del sogno rimbombò nella sua mente.

Andò in bagno. Doveva evitare di pensare troppo al puzzle, e doveva assolutamente uscire. Di certo non poteva cibarsi di carta, e le sue provviste al momento erano limitate.

Non guardarti allo specchio, lo sai che poi ti ritroverai qualcuno dietro.

Sentiva ancora quella strana sensazione, come se qualcuno fosse in casa con lei, e la stesse osservando.

Esci, pensò. Non è la prima volta che ti succede, è una cosa perfettamente normale. Una passeggiata sotto il sole, e tutto passerà.

Cercò di andare via il più velocemente possibile.

Come prima cosa, decise di tornare dal vicino. Non sapeva cosa le stesse succedendo dal momento in cui aveva toccato quel puzzle, ma per educazione sarebbe stato meglio ringraziare comunque.

Suonò il campanello. Dopo qualche secondo, qualcuno le aprì.

Si trattava un uomo alto e dall'aspetto occidentale. I suoi occhi erano chiusi, come se fosse stato cieco.

- Buongiorno - disse Akiko. - Volevo ringraziarla per il regalo.

L'uomo non le rispose, ma le fece cenno di entrare.

- È tutto a posto? - domandò la ragazza.

Che sia muto?

L'uomo le fece cenno di sedersi su una poltrona, poi andò in cucina.

Akiko si guardò intorno. Il soggiorno era grande, e i mobili sembravano molto antichi, come se lei si trovasse in uno di quei film europei ambientati nell'Ottocento.

O si tratta di un amante dell'antiquariato, o qui c'è qualcosa di strano.

L'uomo tornò poco dopo, e le porse una tazza.

Akiko ne annusò il contenuto. Era del banalissimo tè.

- Grazie - disse, cercando di sorridere, poi sorseggiò la bevanda. Il sapore era normalissimo, come se l'avesse fatto lei stessa.

L'uomo continuava a non spiccicare parola, e la situazione stava iniziando ad innervosirla. Così come le era successo in casa, anche ora non vedeva l'ora di scappare.

Finì il suo tè, poi si alzò. L'uomo, quasi come se le avesse letto il pensiero, la condusse verso la porta.

- Arrivederci! - disse Akiko, poi corse fuori.

Respirò a pieni polmoni l'aria dell'esterno.

- Signorina!

Davanti a sé, un'anziana signora la stava chiamando. La stava osservando con aria molto preoccupata.

- Cosa crede di fare? - continuò.

- Sono... sono appena uscita da qui - rispose Akiko.

- Come ha fatto ad entrare? La casa è disabitata.

- C-cosa?

- Il suo vecchio padrone è morto più di dieci anni fa, e nessuno ci ha più abitato. Dicono che sia infestata.

Akiko si spostò immediatamente dalla porta. - G-grazie – disse.

- Stai attenta - disse la donna, allontanandosi.

Akiko cercò con difficoltà di respirare normalmente.

Doveva stare calma. Era tutto sotto controllo.

Chi era quell'uomo? Cosa ho bevuto in casa sua? E cosa mi sta succedendo?

Tremava, confusa e terrorizzata.

Poi, proprio davanti a sé, la vide.

Una bambina in abito bianco che reggeva una bambola, anche lei parte del puzzle. La pelle era pallida tanto da sembrare grigia, ma i suoi occhi, fissi su di lei, erano azzurri e limpidi come vetro colorato.

- Liberaci - mormorò la bambina.

Akiko urlò, correndo verso casa sua. Sbatté la porta dietro di sé, e la chiuse a chiave. Era solo una bambina, ma lei aveva paura.

È un fantasma, o qualcosa del genere... non puoi tenerla lontana chiudendo la porta....

Si rese conto che, nonostante cercasse di ripetere a se stessa che tutto andava bene, non aveva scampo. Quei bambini avrebbero continuato a farsi vedere, poi c'era quell'uomo strano (quel fantasma?) che sapeva dove abitava, che in qualche modo le aveva fatto arrivare quel puzzle....

Scoppiò a piangere. Qualcun altro avrebbe affrontato la situazione con sangue freddo e mantenendo la calma, ma lei non era proprio quel tipo di persona.

- Lasciatemi stare! - urlò, sbattendo un pugno contro la porta. - Non vi ho fatto nulla! Andate via!

L'unica risposta che ottenne fu un brivido di freddo lungo tutto il corpo.

Come se anche la bambina fosse entrata.

Doveva subito smettere di piangere, e fare qualcosa. Sicuramente c'era un modo per mandarli via. Non poteva scappare, perché di sicuro l'avrebbero seguita.

Il puzzle.

Si alzò, e andò in cucina. Il puzzle era lì, esattamente come l'aveva lasciato la notte prima, con il bambino e la bambina che la fissavano.

Si asciugò le lacrime, e si sedette davanti al mucchietto di pezzi. C'era ancora qualcosa di sinistro in essi. Del resto, non era sicura che il rimetterli assieme potesse condurre alla soluzione.

Eppure, il suo braccio si muoveva, le sue dita afferravano i pezzi e li incastravano al punto giusto, uno dopo l'altro, quasi come se fosse stata una macchina... quasi come se lo stesse facendo indipendentemente dalla sua volontà.

Era facile, troppo facile. Eppure non era mai stata così assorbita da un puzzle, nemmeno da quelli più belli e difficili.

Anche se avesse voluto fermarsi per un po', la sua mente avrebbe continuato a farla andare avanti, ad incastrare tutti i pezzi....

Liberali, liberali, un pezzo dopo l'altro....

Il telefono squillò, e con un sobbalzo Akiko si risvegliò dal torpore.

Devo rispondere, pensò, spostando con energia le mani dal puzzle. Muoverle era difficile, come se fossero trattenute da una forza maggiore.

Finalmente riuscì a raggiungere il telefono. Le rispose la voce rassicurante di sua madre.

- Akiko-chan!

La ragazza cercò di sorridere, anche se la mamma non poteva vederla. Era bello sentire una voce familiare, con tutta l'ansia che aveva accumulato in quelle poche ore. Sentì tutti i muscoli del suo corpo rilassarsi. Aveva passato tutta la mattinata in tensione.

- Ciao, mamma. Come state tu e papà?

- Stiamo bene. Tu, piccola mia? Sembri tesa. Stai mangiando?

Sua madre sembrava preoccupata. Davvero la sua voce lasciava trasparire ciò che le stava capitando?

Avrebbe voluto raccontarle tutto. Il puzzle, i bambini, la sensazione generale di pericolo, il fantasma nella casa, il terrore nel non sentirsi più del tutto padrona del suo corpo.

Avrebbe voluto soltanto sciogliersi in lacrime ed avere sua madre lì, pronta ad abbracciarla e a rassicurarla nonostante ormai avesse più di vent'anni.

Nessun mostro o fantasma può rompere l'abbraccio di una mamma.

- Tutto... tutto ben-

Un urlo agghiacciante le perforò i timpani. Uno strillo che poteva appartenere solo ad un essere umano in preda di un terribile dolore.

Un bambino.

Poi, arrivarono le voci. Cento, mille voci, mille sussurri disperati.

- Liberami, liberami, liberami....

Il cordless cadde per terra; Akiko si portò le mani alle orecchie, ma le voci non smisero di risuonarle nella testa....

Poi, infine, il silenzio, rotto soltanto da un fruscio.

Davanti a lei, in fondo al corridoio, c'era una donna.

Indossava un antico abito rosso, ed era pallida come la neve. I capelli scuri erano raccolti in uno chignon, e minacciose occhiaie le segnavano il volto. Una linea scura le segnava il collo candido.

Il segno di una corda.

Stava osservando un oggetto che teneva tra le mani, e intanto sorrideva amorevolmente.

- C'è voluto tanto lavoro, ma ce l'ho fatta – mormorò.

Intanto si avvicinava ad Akiko, lentamente ma inesorabilmente.

La ragazza era in piedi, ferma. Lacrime di terrore le rigavano il volto.

Potrei scappare, e poi? Lei mi seguirebbe, ovunque io possa andare. Sono spacciata.

La donna era sempre più vicina; Akiko sentì il suo cuore accelerare i battiti, mentre attendeva con angoscia il momento in cui lei l'avrebbe toccata....

Non accadde nulla. La donna era scomparsa. Tuttavia, aveva lasciato un ricordo di sé.

Per terra, ai piedi di Akiko, c'era l'oggetto che teneva tra le mani.

Akiko lo raccolse, e se ne pentì subito dopo.

Era la stessa foto che lei stava cercando di ricomporre, ma con una sostanziale differenza....

Gli occhi, quegli splendidi occhi azzurri, erano stati cavati via, lasciando al loro posto soltanto le orbite insanguinate.

Akiko scosse la testa, come se così potesse cancellare ciò che aveva davanti.

Tutto quello che mi sta succedendo ha a che fare con la fine di questi poveri bambini. Devo fare qualcosa.

Tremando, si guardò indietro, verso la cucina.

Continua, le ordinò la voce nella sua mente.

C'erano attimi in cui lei poteva controllare le sue azioni, momenti in cui poteva ribellarsi; ma in quel momento, terrorizzata e tremante, non poté far altro che muoversi verso quel tavolo, sedersi e rimettersi al lavoro.

Continuava a sentire le voci, tutte quelle persone che la pregavano di aiutarle, di liberarle....

A malapena vedeva quello che stava facendo, mentre quella forza misteriosa muoveva le sue mani. Era come se fosse stata assorbita dal puzzle tanto da esserne controllata.

Non mangiava nulla dal giorno prima, ma non sentiva la fame; per il suo corpo, la cosa più importante era finire.

Tuttavia, mano a mano che il mucchio di pezzi non utilizzati diminuiva, la sua mente ricominciava a prendere il controllo.

Il sole stava iniziando a tramontare e si sentiva stanca, ma soprattutto, aveva un bruttissimo presentimento.

E se fosse tutta una trappola? E se completare il puzzle non portasse alla liberazione di nessuno?

La sua mano si bloccò.

È giunto il momento di finirla.

Non aveva la minima idea di cosa fare, e il suo corpo era così stanco e pesante che, nonostante il terrore di quella giornata, l'unica cosa che desiderava era infilarsi nel suo futon e affogare tutto nei sogni.

Con le ultime energie rimaste indossò il pigiama, e si rannicchiò sotto le coperte.

Forse... forse potrei bruciarlo, pensò, prima di cadere in un sonno profondo.


*


Akiko sentiva qualcosa strattonarla.

Ecco, come al solito si è fatto tardi, e mamma mi starà svegliando, pensò, la mente ancora impastata dal sonno.

- Mi sto alzando... - borbottò, poi aprì gli occhi.

Tutta la paura provata durante il giorno le ricadde immediatamente addosso, mentre una piccola figura davanti a lei le aveva afferrato i piedi, e la stava trascinando via.

Il terzo bambino.

- Lasciami! - urlò. Ma tutto era inutile.

- Liberami, liberami, liberami... - ripeteva il bambino, quasi a voler dare un ritmo al suo trascinare.

Akiko cercò di divincolarsi, mentre il bambino la portava via, lungo il corridoio.

Sono il suo orsacchiotto.

La ragazza continuò ad urlare, a scalciare, cercando di liberarsi da quella morsa incredibilmente forte.

Non voleva che la portasse davanti al puzzle; non voleva che quell'oggetto diabolico si impossessasse di nuovo del suo corpo, costringendola a completarlo, costringendola a liberare qualunque cosa ci fosse dentro di esso....

Con un calcio più forte, finalmente Akiko riuscì a liberarsi. Corse verso la porta, la sua unica via d'uscita, almeno per quella notte....

Girò il pomello. Era chiusa. Chiusa, perché lei stessa, giusto il mattino prima, aveva creduto che il sigillarla potesse proteggerla da qualunque cosa potesse entrare.

Trafficò col mazzo di chiavi, ma le sue mani tremavano incontrollabilmente, e stava piangendo, e sapeva che se avesse avuto più sangue freddo molto probabilmente sarebbe già stata fuori, e si sarebbe salvata, a costo di correre per tutta la notte; invece no, lei era la solita stupida, e quella casa sarebbe stata la sua tomba....

Si sta avvicinando, si sta avvicinando....

- Aiuto! - urlò, disperata e consapevole del fatto che nessuno sarebbe giunto ad aiutarla, che si trovava nel cuore della notte alle prese con qualcosa da cui nessuno l'avrebbe potuta salvare, e avrebbe dovuto semplicemente accettare il fatto che, anche se non fosse morta, le sarebbe accaduto qualcosa di molto brutto....

Sentì di nuovo le manine spettrali del bambino che le afferravano le caviglie, e cadde a terra.

Tutto è perduto, pensò, mentre il bambino compiva gli ultimi passi verso il tavolo. Smise di trascinarla soltanto per sollevarla e farla sedere.

Le mani di Akiko si mossero, alla ricerca degli ultimi pezzi.

- NO! - gridò, cercando di opporre resistenza, ma il controllo era ancora più forte.

Tentò in tutti i modi di fermarsi, mentre la sua mano afferrava l'ultimo pezzo.

- BASTA! - urlò, concentrandosi con tutte le forze sul ritrarre tutto il suo corpo da quel tavolo.

La manina gelida del bambino si posò sulle sue dita. Akiko si voltò per un attimo verso di lui.

Gli occhi di vetro azzurro e la carnagione pallida erano gli stessi dei suoi fratellini.

- Liberami! - urlò il bambino, e mosse con forza la mano di Akiko, andando ad incastrare il pezzo, l'ultimo pezzo, al suo posto....

La stanza iniziò a cambiare aspetto, sciogliendosi davanti a lei come cera.

Al posto della sua cucina c'era una stanza dall'aria antica. Antica, e decisamente familiare.

La sala del vicino.

Akiko si alzò dalla sedia. Si sentiva il corpo pesante, come se stesse camminando nell'acqua. Tuttavia, era libera, e ancora non le era successo niente di male. Le sarebbe bastato uscire da quella stanza, per finire tutto.

Che sollievo.


Si diresse lentamente verso la porta, ma qualcosa le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi.

- Benvenuta, Akiko-san.

La donna della foto era davanti a lei. Il segno della corda era sempre evidente, se non ancora di più: la donna sembrava più tangibile, come se non fosse solo un fantasma.

- Lasciami stare. Ho fatto quello che volevate, ora posso andare? - disse Akiko.

Il peggio deve ancora arrivare, mi sa, pensò, e al pensiero il suo stomaco si strinse dolorosamente.

- Non puoi - disse la donna. - Una chiacchierata non si nega a nessuno, e nemmeno una foto, vero?

- Foto? Ma cosa-

- Vieni, vieni - fece la donna, trascinandola via dalla porta.

Vicino ad una delle finestre, c'erano i tre bambini.

La posa era la stessa della foto, ma avevano gli occhi chiusi.

Davanti ai bambini c'era un vecchio modello di macchina fotografica, posizionata su un treppiede; la donna la spostò, ponendola proprio davanti ad Akiko.

- Che cosa vuoi? - urlò la ragazza.

- Ferma, ferma lì! - disse la donna. - Avrò un sacco di tempo per parlarti, tanto.

Akiko si sentì pervadere da uno strano torpore, simile a quello che finiva per provare mentre faceva il puzzle. Il suo corpo era ancora più pesante di prima. Tuttavia, riusciva a sentire benissimo le parole della donna.

Cosa mi sta succedendo?

- Adesso, stai ferma. Se starai ferma sarà tutto più facile, e potrai sentire tutte le mie parole.

Il torpore si era esteso, al punto che tutto ciò che Akiko riusciva a muovere erano gli occhi.

- Come puoi ben vedere, in vita ero una fotografa - disse la donna, avvicinando alla schiena della ragazza un sostegno, in maniera tale che non cadesse.

- I paesaggi erano la mia specialità, tutti me l'hanno sempre detto. Ma sai, ad un certo punto ho provato un desiderio, un fortissimo desiderio.

La donna mosse il braccio destro di Akiko, tirandolo verso l'alto. La ragazza non poté reagire in nessun modo, mentre la fotografa la manipolava come un burattino.

- L'innocente desiderio di una madre... quello di vedere i propri figli immortalati in una foto. Ho provato più e più volte a ritrarli mentre giocavano... ma i tempi di posa erano troppo lunghi - la donna inclinò la testa di Akiko su un lato - e quei piccoli diavoli continuavano a muoversi!

Dunque, c'era soltanto una cosa che potessi fare. Non è stato difficile... giusto qualche goccia di veleno, e i loro corpi, lentamente, si sono bloccati, piegati al mio volere. Una paralisi graduale, proprio come quella che sta ingabbiando il tuo corpo, ragazzina... incredibile come siano necessarie soltanto poche gocce in una tazza di tè, vero? - continuò la donna, ridendo, mentre piegava la gamba sinistra della ragazza.

Ecco cosa le aveva dato quell'uomo. Veleno.

- Il mio povero marito, però, aveva intuito quello che volevo fare. Povero stupido, non comprendeva il mio desiderio... voleva chiamare i gendarmi. Ho dovuto eliminarlo, o non avrei mai potuto esaudire il mio desiderio. Una foto dei miei piccoli, quello era tutto ciò che desideravo....

Ho scattato alcune foto, ma ho notato che... insomma, c'era qualcosa che non andava. E poi... poi ho capito! Gli occhi! Non volevo che mi fissassero in continuazione. Ho dovuto attuare delle... misure. La paralisi non è reversibile, così non ho fatto loro altro che un favore. Bambini, aprite gli occhi!

Akiko spostò lo sguardo verso i bambini, terrorizzata da ciò che avrebbe visto.

I bambini, tutti e tre assieme, sollevarono le palpebre.

Era come nella foto che la donna aveva lasciato cadere ai suoi piedi. I bambini erano senza occhi, cavati a causa della follia della loro stessa madre. Le orbite erano piene di sangue incrostato. La madre aveva pulito soltanto i loro volti.

Questa è la versione definitiva della foto.

- Sono finalmente riuscita a scattare la foto che volevo. Ero soddisfatta del risultato, e potevo finalmente andare via con il mio capolavoro, con la mia piccola creazione - la donna sorrise, lasciandosi andare ai suoi ricordi.

- Purtroppo, però, i gendarmi scoprirono i corpi prima che potessi scappare dalla città, e mi catturarono. Venni arrestata, e condannata a morte per impiccagione. E così, adesso sono qui.

La donna sollevò i capelli di Akiko, e li fermò in una coda con un fiocco.

- Naturalmente, non ho mai smesso di praticare la mia arte. Mio marito credeva che dopo la morte non mi avrebbe mai più rivista, e invece....

Ora, ironia della sorte, è costretto ad aiutarmi! - la fotografa rise. - Chi credi che ti abbia offerto quel tè? Lui. E adesso tu sei qui, pronta a diventare il mio prossimo soggetto... sei perfetta, e ormai è quasi tutto pronto per la tua foto. C'è solo un ultimo particolare a cui devo provvedere....

La donna tirò fuori un cucchiaio da una tasca del suo vestito. Si avvicinò pericolosamente al volto di Akiko. Se avesse potuto, la ragazza avrebbe tremato.

- Sai, artisticamente parlando, non credo di amare troppo gli occhi. E poi, tu continueresti a muoverli....

Poi, ci furono soltanto il freddo e il dolore.

*


Era passato soltanto un attimo, e il dolore era quasi svanito.

Troppo, troppo presto.

Non poteva muoversi, eppure sapeva di non trovarsi più dentro il suo corpo. Poteva vedere.

E ciò che aveva davanti agli occhi non le piaceva per niente.

Il suo corpo era nella posizione in cui la fotografa l'aveva contorto. La donna aveva inserito il cucchiaio nella sua orbita sinistra, e con esso scavava, penetrando a fondo e lentamente, cercando di estrarre il suo bulbo oculare ma allo stesso tempo di non danneggiare troppo i suoi lineamenti. Non voleva certo rovinare la sua opera.

Akiko avrebbe vomitato, se avesse ancora avuto un corpo con cui farlo. Avrebbe chiuso gli occhi, ma era ferma; la sua forma spirituale non era capace di muovere nemmeno un muscolo.

Il suo occhio sinistro schizzò via e cadde a terra, assieme ad un'abbondante quantità di sangue.

La fotografa scosse la testa, e si mise all'opera sull'altro occhio. Sicuramente non le sarebbe piaciuto per niente ripulire tutto quel sangue.

Dopo pochi, dolorosi minuti anche l'altro occhio era sul pavimento. Akiko si ritrovò a dover fissare quell'orrenda e mutilata versione di sé, incapace anche soltanto di scappare dalla vista del suo corpo, dalla vista dei suoi stessi occhi che rotolavano sul pavimento....

La donna ripulì il viso di Akiko con un fazzoletto, e sorrise soddisfatta.

- Ancora un attimo, tesorino - disse, andando dietro la macchina fotografica. Poi, schiacciò uno dei bottoni dell'apparecchio.

Una luce accecante invase la stanza, e Akiko non vide più nulla.

*

Quando recuperò l'uso della vista, Akiko si accorse di aver cambiato luogo. Davanti a lei c'era ancora il suo corpo, sempre privo di occhi e sempre fisso in quell'assurda posizione.

Spostò il suo sguardo verso destra. Una fila di corpi si stagliava lungo un corridoio che sembrava essere infinito.

Altre vittime, pensò Akiko, con tristezza.

Alla sua sinistra, il corridoio era vuoto. In fondo ad esso, c'era una porta.

Akiko si mosse. Non poteva realmente correre, essendo ormai uno spirito, ma avrebbe potuto raggiungere la porta, e andare da qualsiasi altra parte. Non voleva stare lì. Dovunque, ma non lì.

Dopo aver percorso qualche metro, però, una barriera invisibile la bloccò. Un muro che nemmeno uno spirito avrebbe mai potuto attraversare.

In quel momento, Akiko capì di essere condannata.

Non poteva più provare nessuna sensazione fisica: non poteva mangiare, non poteva bere, non poteva dormire.

Lì, chiusa in quella specie di cella, poteva solo osservare il suo vecchio corpo, e ricordare continuamente il modo brutale in cui era stata uccisa.

Avrebbe vissuto continuamente e all'infinito quegli orribili momenti nei suoi pensieri.

A meno che... a meno che non arrivasse qualcun altro; qualcuno più furbo di lei, qualcuno che non si lasciasse ingannare e che distruggesse il puzzle e tutto ciò che c'era dietro di esso prima di finire in quella situazione. Qualcuno che la tirasse fuori da quel posto.

Non poteva fare molto. L'unica cosa che le era consentita, era cercare di farsi sentire.

Mosse le labbra, e da esse uscì un unico, leggero sussurro.

- Liberami....

*


La prima cosa che Regina fece appena alzata fu accendere il computer, e controllare le e-mail.

Che strano, pensò, entrando nel suo sito preferito, Akichan non mi ha ancora risposto.

Era soltanto da qualche mese che aveva deciso di iscriversi a quel sito. Era il paradiso per gli amanti dei puzzle. Così, si era scelta un nickname (Ray1987, per la precisione) e aveva iniziato a fare nuove amicizie. Era divertente, anche se non aveva mai scambiato informazioni personali con nessuno. Neanche il nome.

Akichan l'aveva colpita soprattutto per la sua allegria. Non le sarebbe dispiaciuto incontrarla dal vivo. Era strano per lei smettere di rispondere all'improvviso, ma si trovava nel bel mezzo di un trasloco, quindi era comprensibile.

La pagina iniziale del suo browser le mostrava tutte le news del giorno, ed una in particolare attirò la sua attenzione:

"Tokyo, Giappone. Ragazza trovata morta stamattina nel suo appartamento. L'unico segno di violenza sul suo corpo è la rimozione degli occhi, che non sono stati ritrovati nell'appartamento. Non è stata rinvenuta l'arma del delitto. Nessuna traccia di sangue o impronte digitali sulla scena del delitto. Al momento, il movente del delitto e il colpevole restano un mistero."

Il campanello suonò, e Regina si alzò per andare ad aprire.

Era il postino.

Strano, non aspetto nulla.

- È arrivato questo per lei - disse, porgendole un grosso pacco.

Regina ne lesse il mittente.

Amazon. Ma non ho ordinato nulla da loro, di recente.

- Grazie - disse la ragazza, rientrando in casa.

Aprì il pacco. Oltre alle solite scartoffie, c'era anche un biglietto.

"Dato che lei è stata per molti anni una nostra cliente fedele, abbiamo deciso di farle un omaggio. Speriamo che lei gradisca il nostro regalo."

Il regalo era una scatola nera. Incuriosita, Regina la aprì.

Oh, bene, pensò la ragazza, sorridendo. Di sicuro non avrebbero mai potuto farle un omaggio migliore.

Un puzzle.

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Note dell'autore: Prima di tutto, grazie per essere arrivati fino alla fine della storia... è la mia prima storia originale, nonché il mio primo tentativo di scrivere horror. Sono graditi i commenti costruttivi!

   
 
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