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Autore: RoSyBlAcK    06/03/2008    14 recensioni
E' più facile parlare al buio.
Puoi dire quello che pensi senza temere di svelare troppo con il viso.
Puoi fingere di non sentire che chi ti sta vicino soffre.
Ma può essere più difficile, se improvvisamente non sai cosa dire..

Una nuova Ron-Hermione, spero che vi faccia sorridere =)

(Miss-moment di DH)
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Buona notte

Lo so, lo so, vi avevo promesso una Harry- Ginny. Ma stamattina ero a casa con l’influenza, stavo rivedendo “L’arte del Sogno” (bellissimo, talaltro, ve lo consiglio =P) e non si sa come mi è venuta l’ispirazione.

Quindi rieccomi, con una Ron- Hermione. Di nuovo. Scusate!

Spero vi piacerà, è una cosina semplice- semplice e leggermente diversa dal solito per certi aspetti, come tutte le mie altre storie per altri. Nessuna anticipazione. Ditemi che ne pensate, ci risentiamo a fine lettura per due parole.



Un abbraccio!



Buona notte.



C’è una regola che tutti imparano nella vita. Dopo la tempesta viene sempre la calma. Dopo un grande spavento, ci viene da ridere. Dopo una lunga corsa i muscoli si rilassano. Dopo che il cuore ha battuto forte ci sembra di avere uno strano vuoto nel mezzo del petto. Dopo esser stati allerta abbassiamo di colpo tutte le difese.

Così Ron giaceva immobile nel buio, aspettando che arrivasse la calma. Aspettando che tutti i suoi muscoli si distendessero, che il suo cervello si svuotasse, che i suoi polmoni iniziassero a respirare più piano. Aspettava quello strano senso di vuoto nel mezzo del petto, di abbassare le difese, e di crollare distrutto in un sonno letargico privo di qualunque immagine.

Eppure, per quanto si sforzasse di essere paziente ed aspettare quel momento, il momento non arrivava.

Continuava a sentire il vociare della folla, e vedere sprazzi del volto di Hermione mentre ballavano, e poi la paura, e il terrore, la fuga, a tratti il respiro gli si smorzava ancora in gola, si rivoltava tra le coperte odorose di muffa, e il marmo gelido gli aggrediva la pelle della schiena che si denudava a tratti. Il silenzio ora era quasi doloroso. Com’era arrivato lì, sdraiato a terra, senza nessun punto fisso da guardare? Com’era arrivato lì, nascosto, in un posto dove nessuno avrebbe mai potuto riportarlo indietro?

Questa era la più dolorosa verità che Ron si ritrovava a fronteggiare, ora. Non poteva tornare indietro.
E la calma non arrivava, perché si trovava ancora nel bel mezzo della tempesta. Anzi, era solo all’inizio. Se si fermava un secondo e guardava indietro, poteva ancora vedere la riva. Era lì, con tutto quello che solo quella mattina ancora lo faceva sorridere: il matrimonio di suo fratello, l’estate traboccante di fiori della Tana, le colazioni abbondanti di sua madre, i progetti a lungo e breve termine. E ora, per quanto avrebbe voluto tornare lì, a volteggiare con Hermione nella musica del matrimonio, tra invitati e sapore di champagne, non poteva.

E la calma non arrivava. Non arrivava.



C’era un silenzio cupo, fatto di ombre che scivolavano sulle pareti e scricchiolii di vecchi mobili, vite assopite all’interno della casa, segreti, parole, ricordi, vecchi momenti, odori e piaceri e scontenti annidati negli angoli.

Hermione li percepiva, tutti.

Sentiva la vita di Grimmauld Place agitarsi nella notte come quella di una creatura disturbata, e tentava di restare immobile per non farsi sentire. Per non farsi sentire dai Mangiamorte che premevano per entrare, da Voldemort che da qualche parte li cercava, dal Ministero della Magia e da tutti gli altri abitanti della Terra.

Hermione credeva, doveva credere, che se fosse rimasta immobile, perfettamente immobile, nella notte gelida, almeno per qualche ora, la sua vita e il suo futuro sarebbero stati salvi.

Teneva gli occhi spalancati, spalancati in quel buio denso di ombre, illuminato a tratti dai fari di una macchina solitaria che correva nella strada deserta, da una finestra accesa nella via e poi spenta, da un lampione che tentava di funzionare. Osservava il proprio respiro irregolare diventare una nuvoletta di condensa sopra le sue labbra, tentava di renderlo più docile, ma non ci riusciva. Era come un peso immenso nello stomaco, un groviglio di tutto quello che le era accaduto e che ancora le sarebbe successo, di lì a qualche istante, nei prossimi giorni, nei prossimi mesi.

Non le piaceva restare lì, in bilico tra l’oggi, quell’oggi in cui ancora si era potuta concedere di essere una ragazzina, e il domani, quel domani in cui sarebbe dovuta diventare una donna.

Ma Hermione non era pronta. Non era pronta per diventare una donna.

Le donne sono alte e belle, sanno camminare sui tacchi, sanno cosa vogliono e sanno cosa fare per ottenerlo, le donne pagano il mutuo e vanno al lavoro, si sanno prendere cura di loro stesse e hanno qualcuno disposto a prendersi cura di loro.

Hermione non poteva diventare donna, non ancora.

Ron si voltò verso Hermione, lentamente. La vedeva ferma nel buio pesto, poteva scorgere l’accenno dei suoi contorni, i ricci sparsi ovunque e il suo profilo morbido. Il respiro le saliva dalle labbra in una nuvoletta d’argento, irregolare.

Avrebbe voluto vedere se aveva gli occhi aperti, se era anche lei sveglia nella notte senza sapere cosa pensare, cercando di calmarsi, di riordinare le idee.

Harry dormiva. Sentiva il suo russare sommesso, rumore cui ormai era tanto abituato da assimilarlo quasi come proprio. Lo invidiava, e non capiva come potesse dormire in un momento così. Lui si sentiva così pieno di energie, di forze, di voglia di alzarsi e parlare e gesticolare.

-Hermione?- sussurrò, roco.

Silenzio. Forse dormiva. Forse l’aveva svegliata.

-Sì?

…O forse no.

-Dormivi?

-No…- Un sospiro. -Non riesco a prendere sonno.

-Già. Nemmeno io.

Il buio venne rischiarato un secondo da una luce fredda, giallo limone, e poi tornò cupa e inquietante.

-Harry invece dorme.- Sussurrò lei.

-Beato lui. Chissà cos’ha preso.

Lei ridacchiò, istericamente, sommessamente.

-Fa freddissimo.- Biascicò quando si fu ripresa dalla risata. –Domani dobbiamo cercare di accendere il camino, o qualcosa del genere.

-Sì.- Rispose Ron.

Hermione lo vide mettersi seduto e sfilarsi il golf fatto a maglia da sua madre, il color prugna per un attimo si confuse con il rosso vivo del suoi capelli, e lei poté vedere l’interno liscio e pallido delle sue braccia nude.

-Vieni qui.- Sussurrò ancora lui.

Hermione si sedette, scosse il capo. I ricci avevano preso una forma scomposta e casuale, arruffati e crespi, le cadevano da tutte le parti. Lei tentò di metterseli a posto con una mano, ma lui non parve badarvi. Allargò il maglione con le mani e glielo fece passare goffamente per la testa.

Hermione ridacchiò ancora, piano, imbarazzata. Il maglione pizzicava sulla pelle nuda del suo collo, la faceva sentire goffa e grossa, aveva un profumo insieme dolce e pungente, di agrumi e di pelle fresca. Il profumo di Ron.

-Così congelerai.

-Sto bene.

Hermione sapeva, anche senza vederlo, che le orecchie di lui erano diventate rosse. Le labbra le si incrinarono in un sorriso intenerito e involontario.

Ron si avvolse nelle coperte ammuffite, tentando di assorbire un calore che non c’era.

Rimasero zitti e fermi per qualche altro, lungo, istante.

-In una scala delle cose che non avrei mai pensato che succedessero, noi che dormiamo per terra nel salotto di Grimmauld Place, nascosti come criminali, è sicuramente in cima.- Ruppe lei il silenzio.

-Tu non sei per terra.

Abbozzarono un’altra risatina isterica.

-In una scala delle cose che non avrei mai pensato che succedessero, io che ti lascio i cuscini del divano e il mio maglione, è sicuramente in cima.

Anche se avrebbe voluto ridere, Hermione non ci riuscì.

E nemmeno Ron.

-Hai paura?- Gli chiese lei, improvvisamente.

-Un po’. Tu?

-Anche io.

-Cosa pensi che succederà, adesso?

-Vorrei tanto saperlo.

Silenzio.

-I miei genitori non sanno nemmeno della mia esistenza. Non c’è nessuno che mi aspetti, che mi cerchi, in giro per il mondo.- Nel silenzio entrambi sentirono come un leggero peso alzarsi dal petto di Hermione e riversarsi nel buio. –Nessuno che mi aspetti. Nessuno che mi cerchi. La mia scomparsa passerebbe inosservata, se non fosse per voi.

-Perché noi ci accorgeremmo se scomparissi. Improvvisamente ci sarebbe silenzio.

Lei fece uno strano sbuffo di gola. –Intendevo che il mondo si accorgerà della mia scomparsa solo perché si accorgerà della tua e di quella di Harry.

-Io mi accorgerei della tua scomparsa.- Ribadì lui, più lentamente.

Silenzio, impacciato.

-Era la cosa giusta, cancellare loro la memoria. So che è così. Loro non proveranno alcun dolore, alcuna paura, niente. È stata la cosa giusta. Vero?

-Sì, penso di sì.

-Ma se… se mi succedesse qualcosa… non ci sarebbe nessuno a ricordarmi.

-Ci sarebbero una marea di persone a ricordarti. I miei, Ginny, Harry… Io.

Lei sorrise.

Hermione aveva sempre preferito le conversazioni al buio.

Si può mentire, arrossire, essere sincera, senza imbarazzo.

Ron invece avrebbe voluto vedere il suo viso, vederla sorridere o piangere, o abbassare gli occhi, o cercare una via di scampo da qualche parte, da qualunque parte, nella stanza o nel suo sguardo.

Solo così riusciva ad essere sincera con lui, nascosta dietro la paura per quello che sarebbe successo, nascosta dietro l’insonnia e il buio pesto della notte.

Solo così poteva stargli accanto, con tutti i sentimenti che provava per lui che premevano sulla sua superficie, facendole lacrimare gli occhi in un pianto silenzioso e colorandole le guance e facendole tremare la voce, solo così, nel buio, nella paura, poteva tentare di mostrargli quello che sentiva?

Ron avrebbe voluto abbracciarla. Non era mai stato molto bravo con le parole, non sapeva come dirle quello che avrebbe voluto. Avrebbe preferito che un po’ di luce gli illuminasse le labbra per poterle mostrare l’unica arma che poteva offrirle per affrontare quella tristezza: un sorriso.

Ma per quanto si sforzasse, non poteva trasmetterglielo al buio.

Osservava i suoi contorni, i ricci e il profilo, e il suo corpo infagottato e ingrossato dagli strati di abiti e dalle coperte.

Per quanto potesse apparire fragile, lui sapeva che non era vero. Era così forte, così infrangibile, così indistruttibile. Ron non temeva che nulla potesse scalfirla davvero.

Improvvisamente la tensione nel suo petto si alleviò, iniziò a sciogliersi e ad abbandonarsi, premendo contro il suo petto per uscire, tutta la paura e l’ansia, e il terrore di perderla o di perdere Harry, di fallire, di non poter mai tornare indietro, di non essere abbastanza per la situazione, di non raggiungere mai un risultato, mai.

Hermione sentì un singhiozzo, roco e sommesso, rompere il silenzio febbricitante.

-Ron?

Nessuna risposta. Non aveva mai sentito quel suono, mai. Da che ne aveva memoria, lui era stato lì, pronto a sorriderle o a prenderla in giro o a metterle un braccio intorno alle spalle ogni qualvolta lei iniziasse a piangere. Ma quel suono, a metà tra l’adulto e l’infantile, quel suono segreto, intimo, come di qualcosa che si spezza, Hermione non lo conosceva, eppure sapeva dargli un nome.

-Ehi, Ron.- Sussurrò ancora, più dolcemente possibile, asciugandosi le guance e gli occhi con un colpo di mano frettoloso.

Iniziò a dubitare di averlo sentito. Forse si era addormentato.

E poi lo sentì ancora, e lo vide muoversi furtivo tra le coperte, come a volersi nascondere.

-Ron.- disse alla fine. Sentiva un dolore dentro che non aveva mai provato prima al solo pensare di sentirlo soffrire. Avrebbe voluto dire qualcosa. Fare qualcosa. Chiedergli perché piangeva.

Ma sarebbe stato futile.

Perché piangeva? Che domanda stupida. Lei già lo sapeva. Era lo stesso motivo che faceva piangere lei, notte dopo notte, nascosta con la testa sotto le coperte per non mostrare a nessuno la propria debolezza.

E cosa avrebbe potuto fare per lenire il suo dolore? Nulla. Solo stare lì, fingere di non aver sentito.

Non irrompere illegalmente nell’intimità del suo dolore.

Un altro singhiozzo.

Un altro ancora.

I minuti passavano.

Non poteva fingere di non sentirlo.

Non poteva.

Non era capace. Chiuse gli occhi e si fece coraggio.

Allungò una mano nel buio, a tentoni. Sentì qualcosa di morbido al tatto, che improvvisamente si bloccò. La sua spalla. Per un secondo tenne la mano sospesa nel vuoto.

Provò ancora. La riabbassò, qualche centimetro più su.

Erano soffici, lisci, più lisci di come le fossero sempre sembrati alla vista, di come se li fosse sempre figurati tra le dita. I suoi capelli.

Tolse la mano ancora, imbarazzata. Doveva ritrarla. Doveva.

Un ultimo tentativo. Abbassò il palmo.

La sua guancia era liscia, bagnata, calda. Poteva quasi vederla, lucida e rossa d’imbarazzo e lacrime. Avrebbe voluto togliere la mano, ritrarla, farla sparire e sparire lei stessa. E invece l’accarezzò con le dita, lievemente, sfiorò le sue ciglia umide e tremanti e percepì il suo respiro irregolare sulla pelle.

Era il momento di togliere la mano. Nasconderla. Tagliarsela, se necessario.

Un respiro profondo. Ci sarebbe voluto solo un attimo, se ne sarebbero dimenticati entrambi.

Poi sentì qualcosa di caldo premere sulle sue dita, una mano grande e leggermente ruvida soppesare la sua piccola e morbida a mezz’aria, delle dita più grosse infilarsi tra le sue, e poi abbassarsi insieme sulle coperte ruvide.

Hermione non osava aprire gli occhi e guardare.

Ron non osava muovere un singolo muscolo del proprio corpo, per paura di distruggere quel momento.

I suoi polpastrelli morbidi gli accarezzavano il dorso della mano, piccoli movimenti circolari che lentamente lo calmarono. Non voleva più piangere, non voleva più che venisse il giorno, con la luce e il sole e le decisioni da prendere, non voleva nemmeno più addormentarsi.

Voleva solo restare lì, sdraiato per terra, vigile e tranquillo, mano nella mano con la sua migliore amica.

-Buona notte, Ron.- La sentì sussurrare.

E avrebbe voluto rispondere. Avrebbe voluto.

Ma un calore soffice gli si stava diffondendo nel petto a partire dalla punta delle dita della sua mano, intorpidendolo tutto, e gli occhi gli si stavano chiudendo…

Buona notte, Hermione.
Non seppe mai se l’aveva detto ad alta voce.





*



“… Harry guardò le sagome scure che si disegnavano sul pavimento accanto a lui. Ron, in uno slancio di galanteria, aveva insistito perché Hermione dormisse sui cuscini tolti dal divano, quindi lei era più in alto. Il braccio le ricadeva sul pavimento, le dita a pochi centimetri da quelle di Ron. Forse si erano addormentati tenendosi per mano.”



Fine.

Grazie per avermi dedicato qualche momento. Spero che queste poche pagine vi siano piaciute.

Colgo l’occasione per ringraziare ancora tutti coloro che hanno recensito “Amici mai” e mi sono stati accanto durante la pubblicazione.

Spero avrete voglia di commentare anche questa piccola ficc, in attesa della stesura- e- pubblicazione che vi ho promesso, su Harry e Ginny. Giuro che l’ispirazione è in arrivo.

Grazie in anticipo, e alla prossima!

Un abbraccio =)

Francy- Rosy.

  
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