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Autore: Kei_Saiyu    31/08/2013    2 recensioni
L’ordine era ripristinato e così anche loro. Tornati a quei tempi in cui tutto si risolveva con una sfida o un sorriso.
Gli anni dei loro primordi: l’infanzia.
Un tempo oramai stretto, impossibile da sopportare; una seconda pelle che non aderiva più come agli inizi, ma che soffocava, stringeva, lacerava. E distruggeva.
Tutti e tre insieme. Tutti e tre mano nella mano. Tutti e tre, ma erano solo uno.
Loro erano Sora. Non più Kairi, Riku e Sora, solo Sora.
E fino a quando quella finzione non li avrebbe uccisi, loro sarebbero rimasti così.
Sarebbero rimasti per sempre come lui li voleva.
Per l’eternità Sora.

Tratto dal Prologo.
Ho inserito l'avviso OOC per sicurezza, specie per Sora; non è shonen ai, nè ci sono coppie, ma i sentimenti impliciti di questo triangolo ci sono anche se non pienamente trattati.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Kairi, Riku, Sora
Note: OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Kingdom Hearts II
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Visto che se aspetto che una certa persona me la beti questa storia non vedrà mai luce, ho deciso di correggermela da sola e urlandomi contro ogni qual volta volevo cambiare qualcosa.

Che dire? E’ stato semplicissimo scriverla, fin troppo, forse perché mi sento uguale a loro. D’altronde è più facile scrivere qualcosa che si conosce perfettamente.

C’è a chi questa storia non piacerà, chi invece l’apprezzerà e chi non troverà nulla da dire né in positivo né in negativo. C’è però un appunto che è doveroso fare: non ho trattato di fiorellini e caramelle, in realtà non ho trattato proprio nulla, ho voluto lasciare al lettore la comprensione di ciò che viene scritto.

Nulla di esplicito, tutto implicito, talvolta anche metafore.

Bene miei cari dolcetti al rum, dopo questa premessa sconclusionata vi lascio alla lettura.

Dedica: a tutti e a nessuno. A quelle ombre che non vogliamo vedere, ma che sentiamo.

A ChiiCat perché è dolcissima, a Deb perché l’adoro.

A voi.

A me.

 

The Darkness inside

Prologo – Origine

 

L’ordine era stato ristabilito.

Nessun mondo avrebbe più rischiato il collasso.

Nessuna nuova avventura li avrebbe più coinvolti in chissà quale universo misterioso.

Nessuno si sarebbe smarrito nuovamente.

L’ordine era ripristinato e così anche loro. Tornati a quei tempi in cui tutto si risolveva con una sfida o un sorriso.

Gli anni dei loro primordi: l’infanzia.

Un tempo oramai stretto, impossibile da sopportare; una seconda pelle che non aderiva più come agli inizi, ma che soffocava, stringeva, lacerava. E distruggeva.

Tutti e tre insieme. Tutti e tre mano nella mano. Tutti e tre, ma erano solo uno.

Loro erano Sora. Non più Kairi, Riku e Sora, solo Sora.

E fino a quando quella finzione non li avrebbe uccisi, loro sarebbero rimasti così.

Sarebbero rimasti per sempre come lui li voleva.

Per l’eternità Sora.

 

 

Riku – Affrontare

 

“If the world is made of light and darkness... We'll be the darkness.”

Riku

 

Un giorno King Mickey gli aveva detto che il mondo era fatto di luce e oscurità e che senza l’una non poteva esistere neanche l’altra.

Riku aveva imparato bene la lezione, la sapeva a memoria, ma ciò che King Mickey non gli aveva detto era che anche le persone sono fatte di luce e oscurità.

E questo Riku l’aveva imparato da se stesso.

Guardò per un breve lasso di tempo il proprio riflesso allo specchio.

Lo distrusse. L’immagine che rifletteva era la sua e per questo sbagliata e andava dissolta nel nulla. Non doveva esistere. Non doveva mostrarsi. Non era.

Saltò fuori dalla finestra per abitudine e non per necessità. Doveva andare nel punto di ritrovo con Kairi e Sora, anche se la voglia era poca.

Troppo sole, troppa gente, troppo rumore, troppa luce.

Con le mani in tasca camminava piano, quasi cercasse di imprimere al tempo un rallentamento forzato. Con le dita vagò alla ricerca della sua benda, trovandosi molto più a suo agio con quella che senza, poi ricordò: Sora gliel’aveva presa.

Come aveva preso tutto il resto d’altronde.

Di Riku non era rimasto nulla.

I piedi lo portarono in una sola ed unica direzione e quando avvertì il gelido tocco dell’acqua carezzarlo sospirò. Doveva andare alla grotta. La loro grotta.

E lì c’era la porta.

La sua porta.

Prese la zattera che aveva costruito quando era piccolo e che misteriosamente era illesa dal tempo, dirigendosi verso il suo passato e presente.

Al suo arrivo non vide nessuno, gli altri in ritardo come al solito. Si avventurò tra gli alberi, ritrovando un po’ di pace in quello spicchio di isola nascosto e deserto.

Nessuna voce, nessuna risata, nessuna parola. Ancora troppa luce, ancora troppo rumore, ma poteva farseli andare bene.

Gli mancava l’oscurità. Gli mancava perché era parte di lui, perché l’aveva vista, l’aveva soffocato, ma infine l’aveva vinta e domata.

Non bisogna temere l’oscurità, o questa finirà col distruggere gli incauti.

E lui era stato veramente un incauto, ma anche fortunato.

Riku aveva potuto affrontare il suo lato peggiore, conoscerlo e conviverci. Alle volte sentiva le mani che prudevano dal bisogno incessante di aprire un portale e scappare ancora. Di nuovo alla ricerca di un’avventura, di un mostro da affrontare, di salvataggi in extremis… ma non poteva e non avrebbe potuto più.

La sua vita era lì con Sora, ma non avrebbe mai dimenticato e questo lo sapeva bene.

Se voltava le spalle poteva percepirlo, guardarlo, sentirlo e ammirarlo.

Dietro di lui, dentro di lui. La sua ombra, la sua condanna.

Il se stesso fatto di tenebre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Kairi – Nascondere

 

“And who knows: starting a new journey may not be so hard, or maybe it has already begun. There are many worlds, and they share the same sky - one sky, one destiny.”

Kairi

 

Un giorno sua nonna le aveva detto che doveva stare calma e buona, che per il bene del mondo - dei mondi – si sarebbe dovuta nascondere.

Kairi non aveva capito quella lezione, ma col passare degli anni e delle brevi avventure che l’avevano coinvolta aveva compreso il vero senso di quelle parole.

Il nascondersi era riferito non a lei come persona, non solo almeno, ma da se stessa. Da quell’oscurità che non doveva affiorare, perché lei era una delle Principesse. Lei doveva avere il cuore puro, ignaro da ogni tentazione.

Ma il suo cuore non era puro come gli altri credevano, anche lei celava quella piccola macchia indelebile. E Riku l’aveva vista.

Camminava rapida verso il punto d’incontro, non voleva far aspettare troppo gli altri, non era degno di una principessa essere in ritardo.

Ridacchiò sommessamente, ricordando come Riku fosse l’unico ad usare quell’appellativo come presa in giro.

Salutò Tidus e Wakka che si rincorrevano sulla spiaggia come loro solito. Nulla pareva essere cambiato, ma se li osservava bene se si soffermava più del dovuto sui loro occhi, poteva scorgere delle ombre che prima non esistevano.

La crescita portava inesorabilmente a qualcosa di nuovo, di diverso. Un sorriso meno genuino, uno sguardo più malizioso, uno sfiorarsi meno fugace e più vorace.

Kairi aveva visto la differenza. Aveva notato i loro sguardi rivolti a Selphie, così come aveva notato quelli di lei verso Wakka.

Sospirò, domandandosi quanto simili fossero tutti loro, ma una differenza c’era: Sora non avrebbe mai voluto scegliere. Quel momento non sarebbe mai arrivato; la loro infanzia non si sarebbe mai consumata in favore dell’adolescenza.

Loro non sarebbero mai diventati adulti. Eterni bambini costretti in un gioco crudele.

Sorrise nel vedere la sua piccola barca intatta e ci saltò agilmente sopra, pronta a partire. Ma sarebbe mai stata veramente pronta?

Arrivò alla spiaggia che era ora di pranzo. Stese un telo sulla sabbia e tirò fuori dallo zainetto le sue provviste.

Sapeva che Riku era già lì e immaginava che Sora sarebbe arrivato presto ed affamato. Molto affamato.

Scorse Riku uscire da un albero poco distante. Lo sguardo crucciato e smanioso.

Sora non sarebbe mai stato affamato come loro.

Gli sorrise, nascondendo quella parte di sé che non doveva mostrarsi, ma i suoi occhi parlavano chiaro. Nessuno dei due voleva l’altro nei paraggi.

«Riku, scusami per il ritardo.»

Tono gentile, cortese; postura eretta, composta. Occhi gelidi, con una punta di oscurità.

Riku la sbeffeggiò.

Recitavano un copione che stava stretto, che ad ogni battuta perdeva di veridicità. Non che si odiassero, erano amici, ma volevano la stessa cosa: il cuore di Sora.

E Kairi sapeva che in uno scontro tra lei e Riku avrebbe vino l’altro. Non perché per Sora fosse meno importante, ma perché Riku era arrivato prima di lei. E perché Sora pendeva dalle sue labbra.

Ogni cosa che diceva il migliore amico era legge, non c’era verso di farlo desistere. Forse per lei avrebbe potuto fare un’eccezione, ma i loro sarebbero stati incontri furtivi.

E la sua metà, la vera donna che voleva emergere, avrebbe rovinato il suo lavoro.

Rivolse un altro sorriso a Riku, offrendogli dell’acqua e qualche spuntino. Lui accettò e si sedette sul telo. Distante da lei abbastanza da far entrare Sora nel mezzo quando sarebbe arrivato.

«Smettila. Siamo da soli, Principessa

Kairi non abbassò lo sguardo, non lo addolcì, non smise nemmeno di sorridere. Nascose.

«Non so di cosa tu stia parlando. Dici che Sora sta ancora dormendo?»

Riku schioccò la lingua irritato. Si alzò, tornando a passeggiare nei paraggi. Non avrebbe lasciato che Kairi stesse da sola con Sora più del dovuto.

Sorrise. Poteva ritenersi soddisfatto che Kairi però era una ragazza e come tale aveva un coprifuoco. Anche Sora lo aveva, ma per Riku lo saltava.

Loro potevano stare insieme anche la notte, Kairi no.

«Ho chiesto il permesso a mia nonna. Posso rimanere a dormire fuori.»

Sorrise Kairi nel pronunciare quella sentenza e rise Riku nel sentirla.

«Questo è un colpo basso Principessa. Sicura di potertelo permettere?»

Il sorriso sul volto di lei svanì. Aveva parlato senza pensare e aveva mentito. Si girò dall’altra parte per non vedere il sogghigno vittorioso di Riku, ma vide lei.

Vide il suo di ghigno. Vide le sue di labbra piegarsi in maniera spregevole, per nulla delicata. Vide se stessa.

Non poteva permetterlo.

Strinse i pugni e serrò per un momento le labbra.

«Respira Kairi, respira profondamente. Sora non è ancora arrivato, puoi ancora farcela. Devi farcela.»

Si disse riportando se stessa in quel mondo falso e idilliaco.

Rise senza allegria, guardando Riku che aveva mantenuto per tutto il tempo il sogghigno.

«Era uno scherzo! Sono una fanciulla, non sta bene rimanere fuori la notte.»

Era facile non crederle quando nulla in lei pareva dire una verità, ma Riku non la prese in giro.

Erano sulla stessa barca che stava lentamente affondando.

 

 

 

Sora – Negare

 

"I've been having these weird thoughts lately... Like, is any of this is real or not?"

Sora

 

Un giorno un uomo vestito di nero gli aveva detto che si stava comportando da egoista. Sora non aveva capito di cosa stesse parlando e glielo chiese.

L’uomo gli disse che sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe dovuto scegliere, che erano i finiti i tempi dei giochi e dello stare insieme.

Quella era la realtà.

Sora gli rispose ridendo che non capiva, che stava dicendo cose senza senso, che loro non sarebbero mai cambiati. Perché se l’erano promesso e le promesse andavano mantenute.

L’uomo in nero gli accarezzò i capelli in un gesto affettuoso, o patetico. Una ciocca rossa sfuggì al controllo del cappuccio.

Prima di andarsene l’uomo gli disse un’ultima cosa, ma Sora non la capì.

O forse la ignorò.

Balzò giù dal letto che era in ritardo, ma non era colpa sua se la sveglia si era misteriosamente rotta. Che lui l’avesse presa a manate fino a zittirla era un altro conto.

Correva per cercare di raggiungere i suoi amici prima che lo dessero per disperso. Per strada incrociò Selphie che litigava con Wakka, mentre Tidus se ne stava in disparte a guardarli.

Sora si era sempre chiesto perché quei tre non andavano più in accordo da un po’ di tempo, ma alla fine li ignorò. Loro non erano come lui, Riku e Kairi. Loro non avevano quel legame speciale che li univa per l’eternità.

Li sorpassò salutandoli brevemente con la mano, doveva fare in fretta o Riku si sarebbe mangiato anche la sua porzione di pranzo, mentre Kairi lo avrebbe guardato imbronciata e poi sarebbe scoppiata a ridere.

Quello era il loro modo di vivere e a Sora piaceva, non voleva che le cose cambiassero, che finissero per separarsi come stava avvenendo agli altri.

Loro erano diversi, si disse, ma in cosa non avrebbe saputo dirlo.

Per Sora era normale così. Era normale stare tutti e tre per sempre insieme. Era normale condividere tutto. Era normale non stare separati.

Non era normale che si dividessero. Non era normale che qualcuno se ne andasse e se lo faceva allora andava ripreso e portato indietro.

Una voce interiore gli disse che non era normale la sua visione del mondo, così come non era giusto costringere gli altri a vederla uguale alla sua; quella vocina lui però non la sentiva. Non l’aveva mai sentita e mai lo avrebbe fatto.

Negare, negare sempre, con forza, con orgoglio. Se non avesse negato avrebbe ascoltato e ascoltando avrebbe visto e vedendo avrebbe capito.

Ogni tanto però gli capitava di scorgere una figura, una persona uguale a lui solo che totalmente nera e allora si girava dall’altra parte, lasciando che quel qualcosa apparisse solo quando lui non guardava.

Se non vedeva non esisteva, no?

E Sora era bravissimo in questo. Era forse la cosa in cui era più bravo: negare.

Negare che Kairi non era la Principessa delle fiabe.

Negare che Riku era cambiato.

Negare che una parte di lui era così oscura da costringere loro in una gabbia fatta a sua immagine e somiglianza.

Negare che li avrebbe voluti per sempre insieme, loro tre, senza nessun altro a disturbarli.

Ma Sora era anche un tipo molto amichevole, a cui piaceva incontrare persone nuove e fare subito amicizia, quindi lui avrebbe anche potuto avere altri amici, ma Riku e Kairi… loro lo amavano, non volevano altre persone intorno, gli bastava lui, quindi perché preoccuparsi?

Arrivò trafelato in spiaggia e guardò i suoi due amici seduti sul grande telo da mare. Sembravano pensierosi, come se qualcosa non andasse, ma non appena lo intravidero Kairi sfoggiò un grande sorriso caloroso e cominciò a sbracciarsi per farsi notare. Riku si alzò in piedi sorridendo, con le mani ancora strette in tasca.

Tutto andava bene.

«Forse sono solo stanchi.» si disse convinto e non era difficile credersi.

Abbracciò i suoi amici con trasporto, ridacchiando con loro, divertendosi come se non ci fosse un domani.

Kairi gli offrì dell’acqua fresca e qualcosa da mangiare, Riku gli diede un pezzo di cocco appena rotto e mise a cuocere i pesci che aveva pescato.

Tutto andava a meraviglia.

Riku era lì, con il suo solito cipiglio.

Kairi era lì, con la sua solita aria dolce.

Sora non li guardava. Sora li vedeva per come ai suoi occhi dovevano apparire, ma Riku ogni tanto si guardava indietro, alla ricerca della porta; Kairi alle volte si guardava intorno, alla ricerca di qualcuno che la portasse via, che le facesse di nuovo vivere un’avventura.

Ma Sora tutto questo non riusciva a percepirlo. Il rancore di Riku e il nervosismo di Kairi non esistevano. Loro stavano bene.

Loro dovevano stare bene.

Passarono la giornata a ridere e scherzare, a giocare e a sporcarsi e infine si sdraiarono sulla sabbia a fissare il tramonto.

Sora che teneva le loro mani in un semicerchio che appariva incompleto.

Sora non sapeva che Riku stringeva nella mano libera quella del se stesso nero e Kairi nella propria quella di una se stessa che non doveva apparire.

A chiudere il cerchio c’era però qualcos’altro. Qualcosa che i due amici vedevano, percepivano, sentivano, ma che Sora negava.

 

“You have lost sight of the light within the darkness. And it seems that you’ve forgotten that you forgot.”

Axel

Epilogo – Parte di noi

 

Un uomo in nero una volta disse a Sora che il suo cuore celava un’oscurità ben più profonda di quella della notte.

Sora non aveva voluto capire a cosa si riferisse, ma sorrise. Non con il cuore, ma con le labbra. Non con gli occhi, ma con malignità.

Quell’uomo era Axel, che dentro Sora rivedeva il riflesso di Roxas. Della luce.

Axel continuava a fissare Sora da lontano, ma non quello che gli altri vedevano, Axel osservava quella forma che veniva negata.

Quel Sora in nero che stringeva le mani dell’oscurità di Riku e Kairi.

Che completava il cerchio.

Che li teneva ingabbiati per l’eternità.

 

 

"He's partly one of us."

Axel

 

 

   
 
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