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Autore: milly92    01/09/2013    9 recensioni
Stanchi delle solite storie in cui un'alunna e un professore si amano e riescono ad essere felici superando mille ostacoli? Allora questa storia fa per voi, visto che il professore in questione non sa nemmeno che la ragazza con cui ha a che fare sia una sua alunna e non ha per nulla intenzioni "serie"...
"Mi... Mi stai incoraggiando a...".
"Ad uscirci, sì".
Trudy sembra aver assimilato subito e fin troppo in fretta la notizia, in un modo che mi lascia alquanto scioccata. Sembra crederci più di me, quasi quasi. "Sai come si dice in questi casi?".
"Sei fottuta?" suggerisco, melodrammatica come sempre.
"No. "Fake it until you make it"! Fingi! Fingi fino a credere sul serio di non essere una sua alunna e il gioco è fatto, no?".
Da una parte, il discorso della mia amica ha un minimo di senso, dall'altro sono troppo spaventata perchè, per la prima volta in vita mia, rischio di iniziare un cammino caratterizzato dal proibito e ho paura di scottarmi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
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Capitolo 1

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7 giugno 2012


Vedere Matteo che dormiva al mio fianco, ancora nudo e coperto solo di striscio dal lenzuolo del mio letto, mi ferì profondamente.

Non era mai successo che si addormentasse dopo che avevamo fatto l'amore, da quando stavamo insieme.

Forse era stanco a causa degli esami, sì, dopotutto tra meno di una settimana sarebbe iniziata la sessione estiva...

Cercavo di non pensare al fatto che ultimamente fosse strano, che non mi guardava più come prima, così, per distrarmi, andai a farmi una doccia, raccattando gli abiti che mi aveva sfilato circa un'ora prima.

Quando tornai nella mia stanza, lo trovai di nuovo sveglio, mentre si stava rivestendo con una fretta eccessiva, quando al contrario,  di solito faceva di tutto per trascinarmi di nuovo a letto.

Lo guardai, cercando di celare la mia incertezza, e lui ricambiò il mio sguardo con una serietà mai vista prima.

"Ben svegliato" mormorai, cercando di non fargli notare quanto me la fossi presa per il suo pisolino.

Che sciocca che ero, prendersela per una cosa così stupida!

Però ero tranquilla perché spesso con lui riuscivo a fingere che andasse tutto bene per non farlo preoccupare, e di solito non sospettava mai nulla.

Inizialmente, lui rimase in silenzio, occupato nell’ infilarsi la maglia e passandosi una mano tra i capelli neri ancora sconvolti, per poi alzarsi.

 Mi si avvicinò, ed evitò il mio tentativo di baciarlo, sospirando e ignorando la mia faccia delusa che non riusciva a comprendere cosa stesse succedendo.

"Amore, cos'hai...?" chiesi, preoccupata.

"Lena..." - già qui ebbi un tuffo al cuore, lui non mi chiamava mai per nome! - "...Io non ti amo più, non ce la faccio a continuare così".

 

******

9 Marzo 2013

"Le ragazze di oggi sanno quello che vogliono, e riescono ad ottenerlo riuscendo a stare in equilibrio (sui loro tacchi dodici) tra studio, lavoro, vita sociale e relazioni amorose".

Che idiozia!

Avevo letto questa frase su un giornale per teenagers una delle rare volte che ero andata dal parrucchiere, ed erano mesi che mi rimbombavano nelle orecchie a causa di una vocina nella mia testa che la recitava con voce sarcastica e di scherno.

Equilibrio? Tacco dodici? Vita sociale? Relazioni amorose, al plurale, per giunta?

Mi sono sempre chiesta quale droga assumano le donne che lavorano in questo tipo di giornali, viste le stronzate gratuite che sparano.

A quasi ventidue anni e a quattro esami dalla laurea triennale in Lingue e Letterature Straniere, è già molto che io riesca a "stare in equilibrio" - sulle mie comode Nike, visto che da quando ho finito il liceo indosso quei trampoli alias scarpe col tacco molto raramente - tra università, studio, qualche amicizia, il mio lavoro part time e le bollette da pagare della mia casa in affitto.

A stento riesco a trovare il tempo per doccia e shampoo durante la settimana, figuriamoci a gestire un'ampia vita sociale, relazioni amorose e, soprattutto, riuscire a sapere ciò che voglio.

Cioè, l'unica cosa che so di volere è questa benedetta laurea, ma solo perché sono due anni e mezzo che faccio di tutto per fare tutti gli esami in tempo e riuscire a mantenermi da sola economicamente.

Ok, di solito i miei mi pagano la tassa di iscrizione e quasi tutti i libri di testo, ma solo perché la prima costa - ormai - più di cinquecento euro e i secondi possono arrivare a costare anche cinquanta- sessanta euro l'uno.

In realtà, sarebbero disposti anche a pagarmi l'affitto, le bollette e il cibo, ma voglio essere indipendente anche se in minima parte.

Ragion per cui, le frasi idiote come quella citata mi fanno imbestialire, anche perché mi istigano a chiedermi "Sono io che sono anormale?".

Forse è così, anzi, molto probabilmente.

Sono anormale perché tutte le mie coetanee non fanno altro che divertirsi, spendere i soldi dei loro genitori per delle inutili e costose cover per i loro altrettanto costosi i-phone ultimo modello e uscire ogni sabato con un tizio diverso, che guarda caso è sempre figo.

Evidentemente, quando sono nata io, hanno gettato via lo stampino onde evitare ulteriori scempi.

Sì, perché non vedo nessun'altra quasi ventiduenne così idiota da essersi trovata un ragazzo nella propria stessa facoltà, in modo da vederlo giornalmente con la sua nuova fiamma dopo la loro rottura.

Il mio ex mi ha lasciato  circa nove mesi fa e, al contrario di me, subito si è ripreso, visto che solo un mese dopo l’ho visto mettere piede in facoltà con la sua nuova ragazza.

E, sì, lo so, è patetico il fatto che io tenga il conto dei mesi passati, ma non ci posso fare nulla, è più forte di me, visto che per quanto la parte più razionale di me mi dica che sia uno stronzo patentato, quella più umana si spreca ancora in osservazioni su quanto sia affascinante e decisamente sexy.

"Lena, ci sei? Ti ho fatto la stessa domanda due volte e non mi hai risposto!".

Pronta a farmi notare come sempre quanto io sia distratta a causa del mio segreto mondo parallelo fatto di pensieri assurdi e riflessioni, Trudy, la mia coinquilina nonché unica buona e vera amica che sia riuscita a trovare all'università, mi muove una mano davanti agli occhi con fare impaziente, mentre stiamo camminando per avviarci a lezione.

"Oh, sì, scusami, ero soprappensiero...".

"Come al solito! Comunque, dicevo, sabato viene Davide a trovarmi... E' un problema se si ferma a dormire da noi?".

Ecco, ovviamente. Del resto, quale altra domanda poteva pormi Trudy - nomignolo da lei scelto visto il suo "colorito" nome di battesimo, Gertrude - all'alba del giovedì mattina? Chiedermi se il suo storico fidanzato, con cui sta da quattro anni, può venire a stare da noi per il week end.

Traduzione: è un problema se sabato te ne vai a dormire da Marina e Germana visto che io sarò molto impegnata ad approfondire l'anatomia del mio ragazzo, nonostante la conosca a memoria?

"No, no" rispondo, seppur a malincuore, dato che non sopporto Germana più di tanto. "Anzi, ora domando a Marina se mi ospita...".

Trudy sorride radiosa e mi abbraccia, rischiando di soffocarmi con una consistente ciocca di capelli biondi che quasi mi va in bocca, mentre la solita marea di studenti all'ingresso dell'università rischia di travolgerci.

Saliamo la prima rampa di scale del palazzo, attraversiamo lo spazio già gremito di studenti fuori l'aula 1.1, e giungiamo allo spazio dedicato al piccolo - ma confortevole - bar dell'università, dove un aroma di caffè ci invade le narici.

Come al solito, troviamo il nostro gruppo di amiche sedute dietro uno dei tavolini arancio, colore che è in sintonia con il bancone del bar e il soffitto.

Ridono come sempre, prese da chissà quale discorso divertente, e appena ci vedono muovono le loro mani dalle unghie perfettamente smaltate in nostra direzione.

La cosa bella di avere un gruppo di amiche abbastanza ampio è che di sicuro nei giorni no c'è sempre qualcuna di loro che ha qualcosa di confortevole da dirti per regalarti almeno un piccolo sorriso.

C'è Marina, la brunetta magrissima - a discapito delle migliaia di calorie ingerite ogni santo giorno - sempre allegra con cui condivido una spiccata passione per il sarcasmo e gli episodi di “Two broke girls”.

C'è Alessandra, la simpaticona del gruppo con la sua chilometrica chioma tutta boccoli.

C'è Lucia, la ragazza buona e di cuore con cui condivido la passione per Jane Austen.

C'è Ida, la new entry del gruppo da circa sei mesi, sempre dolce e disponibile quanto ribelle.

C'è Germana, la bionda casinista che si crede una bomba sexy, che non esita a sputarti in faccia le sue sentenze non sempre molto simpatiche.

E poi, ovviamente, c'è Trudy, quella sempre allegra che non ha mai permesso ad un esame di farla diventare ansiosa, e poi ci sono io, Lena, che di sicuro vengo definita la "seria" del gruppo, quella fin troppo responsabile e che nei giorni no è intrattabile. Quella ordinaria, in poche parole.

"Buon primo giorno del secondo semestre!" esclama Marina.

"Il nostro ultimo semestre" preciso, un po' nostalgica, prima di prendere con confidenza la sua tazza di caffè e berne un sorso.

E' un gesto che facciamo sempre, anche quando ci troviamo una a casa dell'altra, perché siamo troppo pigre e spesso non ci va di mettere sul fuoco un'altra macchinetta.

"Ultimo semestre per te che sei al passo con gli esami, noi comuni mortali ci passeremo minimo un altro anno, qui!" mi rimbecca Germana, alias la simpatia fatta persona. Ride per la sua acuta osservazione, gonfiando ancora di più le sue grosse guance coperte da uno scurissimo fondotinta, come il resto del viso, seguita da Ida e Alessandra.

Solo Lucia si astiene, e mi guarda come a dire: "Dai, non le dare retta".

"Voi comuni mortali sarete fuori corso, non avrete altre lezioni da seguire, ergo non avrete altri semestri" sbuffo.

Odio fare la parte della maestrina, della secchiona di turno, ma non è colpa mia se loro mi rinfacciano il mio non essere una perditempo. Questo episodio fa crescere in me il desiderio di negare loro le maree di appunti che mi chiedono ogni santa volta prima di un esame, e ciò mi fa sentire come se fossi ancora alle medie.

Certe volte, invece, rimpiango il liceo, perché lì nessuno - a parte Lisa, la mia migliore amica - mi chiedeva appunti e cose simili dato il mio non essere la prima della classe. E dire che all'epoca mi lamentavo del non riuscire ad ottenere i risultati che volevo!

"Comunque, perché ridevate, prima?" s'intromette Trudy, prendendo una sedia stranamente libera dato che sono le dieci e quella è l'ora di punta del bar. Ci si siede per metà ed occupo la parte rimanente, posando la borsa con i libri sul tavolino.

"Perché quella stronza della Banform se ne è andata, e al suo posto è venuto un madrelingua super figo! E' quello dietro di voi, sulla destra, con la camicia blu" risponde subito Ida, con gli occhi che quasi le brillano.

"Se ne è andata la Banform? Wow!" esclamo.

Cassidy Banform era la tremenda docente madrelingua di inglese che si ostinava a prendere le presenze durante le sue noiose lezioni, dicendo che dopo tre assenze al suo corso ci avrebbe ritenuti studenti non frequentanti che dovevano portare due libri in più al già complicato esame orale di Inglese III.

Mi giro, seguita da Trudy, e dopo qualche istante riesco a rintracciare il nuovo docente.

Nel vederlo, sbatto numerose volte le palpebre, dato che quel volto non mi è assolutamente nuovo.

Avrà al massimo trent'anni, e sta sorridendo in maniera affabile alla Prisco, la docente di Inglese III, mostrando una dentatura perfetta e candida, in netto contrasto con i suoi capelli scuri e ricci e la barba rada.

Non riesco a capire dove diamine l'abbia visto in precedenza, ma comunque decido di non farne parola con le altre, anche perché la mia è di sicuro una svista.

Quando mi rigiro verso le mie amiche, però, desidero non averlo mai fatto: felice come non mai, mano nella mano con la sua ragazza, Matteo Sabatini è appena arrivato al bar.

Andrebbe tutto alla perfezione se lui non fosse il ragazzo con cui sono stata un anno e mezzo, dal primo alla metà del secondo anno. Inoltre, la cosa che mi manda in bestia è che non mi ha mai voluta tenere per mano all'università quando stavamo insieme e non gli piaceva darmi un bacio o abbracciarmi in pubblico - sempre all'università - cosa che non si fa problemi a fare con la sua attuale ragazza, Elisabetta.

Come se nulla fosse, passa davanti al nostro tavolo, esclamando un semplice: "Ciao!" seguito dal "Ciao!" radioso della tipa, per poi scomparire sul terrazzo adiacente al bar, da cui si vede il mare e il porto di Napoli.

"E che è quella faccia?" esclama Trudy. "Su!".

"Ma è possibile che ancora ti riprendi? E' passato un anno" sbotta Germana, come se stesse parlando di qualcosa di inammissibile come comprare una borsa non originale della Fendi.

"Nove mesi, e poi mi sono ripresa eccome!" mi difendo, arrossendo, a disagio come ogni volta che si tocca l'argomento.

Non è facile essere te stessa e raccontare ciò che provi sul serio quando sei circondata da un gruppo di amiche che ogni giorno ha qualche novità riguardante un tipo diverso.

"Appunto, nove mesi, avresti potuto avere anche un figlio da un altro" ridacchia Ida, cercando di tirarmi su, accarezzandomi un braccio.

"Un altro come il nuovo madrelingua, magari" borbotta Alessandra.

"Ma pure senza figlio, eh" ridacchia Marina, battendo il cinque con Alessandra.

"Mamma mia, è troppo... Troppo! Me lo farei proprio! Mi manca un inglese, alla lista".

Fine come sempre, Germana parla con convinzione, senza smettere di guardare il docente.

"Quale lista?" domanda Trudy.

"Quella dei tizi che si è fatta, ovviamente" risponde Lucia per lei, mentre la diretta interessata annuisce con convinzione mista ad un'aria sognante.

"Sì! Tre napoletani, uno di Taranto, due di Roma, un francese, un tedesco, uno svizzero, due austriaci e tre della mia città" risponde prontamente, recitando il tutto a memoria come se si trattasse di alcuni dati di una ricerca importante, ridendo poi di nuovo.

"Complimenti".

Parlo senza meditarci, e lei subito si fionda a fissarmi con aria di superiorità.

"Grazie. E la tua lista, invece?" domanda con finta curiosità, quando, in realtà, è certa della risposta.

"La mia è privata" rispondo subito, sulla difensiva.

Sarò anormale io, ma sostengo che certe cose siano belle proprio perché devono rimanere tra te e il tuo partner, senza essere sbandierate a chiunque tu veda nell’arco della giornata.

"Giusto, perché è troppo breve... Vediamo... Un solo tizio che solo tu sai di dov’è. Stop. Con cui, tra l'altro, hai aspettato quasi  un anno prima di dargliela" commenta.

"E mica la diamo via tutte dopo tre minuti come te!" sbotto, alquanto infastidita, non riuscendo a trattenermi.

Ha toccato l'argomento più delicato, per me, quello che riguarda il mio rapporto con Matteo, l'unico ragazzo che abbia mai amato e con cui sia andata a letto in vita mia, dopo numerose esitazioni e dubbi.

Odiavo il fatto che tutti sapessero gli affari miei, ma giorno dopo giorno, all'epoca, le ragazze non esitavano a pormi le loro domande intime riguardo il mio rapporto con Matteo, e alla fine, esasperata, avevo detto di non averci ancora fatto nulla.

"Sei solo gelosa, perché nessuno ti calcola" commenta Germana, senza scomporsi.

"Sono io che non mi faccio calcolare".

"Ma dai! Per favore, non farmi andare oltre...".

"Vai pure, parla, sono tutta orecchie! E’ divertente sentire le tue stronzate!".

"Lena, è tardi, abbiamo lezione" si intromette prontamente Trudy, afferrandomi per un braccio, notando quanto la conversazione stia degenerando.

Cerco di divincolarmi dalla sua presa, ma anche le altre ragazze si adoperano per far tacere Germana, così, arrabbiata come non mai, prendo la borsa e me ne vado, senzacalcolare nessuno.

A quanto pare è la mia specialità, no?

Con passo rapido, entro nell'aula 1.5 dove si terrà la lezione di letteratura tedesca III - studio inglese e tedesco - e prendo posto in seconda fila, visto che la prima è occupata dalle solite tizie convinte da ormai tre anni che il farsi vedere lì ogni giorno possa aiutarle ad avere un buon voto all’esame.

So che le altre non verranno mai a disturbarmi  qui visto il loro prediligere gli ultimi posti, dove si può tranquillamente cazzeggiare con il cellulare e tenere proficue conversazioni.

Ogni giorno, ogni santo giorno negli ultimi mesi, non faccio altro che domandarmi cos'ho che non va, perché non riesco a farmi piacere nessun altro e il solo pensiero di avere un'altra relazione e mettermi in gioco mi spaventa a morte.

Sono fatta così, tendo a stare solo con chi mi piace davvero, donandogli tutta me stessa, e al momento tutto ciò non fa altro che atterrirmi.

Non riesco ad uscire con uno così, solo perché è carino o perché non ho nulla da fare, o forse ci riuscirei, solo che non ci ho mai provato.

Il mio problema più grande è sforzarmi sempre di fare qualsiasi cosa con impegno e serietà, quando invece Trudy mi dice che forse, se riuscissi a trovarmi una relazione semplice senza pretese, riuscirei a godermela meglio.

Mi dice sempre che devo riuscire a vedere un po' di grigio - "Sì, con tanto di cinquanta sfumature!" le rispondo sempre io, sarcastica - invece di catalogare tutto come bianco o nero.

E poi, è facile parlare per lei, che a diciotto anni ha trovato quello che di sicuro è l'amore della sua vita, dato che il suo ragazzo è semplicemente innamorato di lei e la conosce perfettamente.

Sospirando, estraggo uno dei quaderni nuovi di zecca, appena comprati per il nuovo semestre, dicendomi che probabilmente sabato dormirò per strada visto che non ho intenzione di starmene a casa di quella stronza di Germana.

"Oh oh, ma guarda chi c'è!".

Mi interrompo nell'atto di scrivere il mio nome sulla copertina del quaderno ed alzo lo sguardo, trovandomi davanti un ventunenne alto, dall'aria simpatica e con uno sguardo profondo celato da un paio di occhiali che è solito portare solo durante le lezioni e quando studia.

"Ehi, Dario! Ciao" esclamo, imponendomi mentalmente di fingermi serena e non incazzata.

Ovviamente, il mio triste tentativo fallisce miseramente, visto che Dario mi fissa preoccupato mentre prende posto vicino a me.

"Sembri strana, è tutto ok?" chiede premurosamente.

Come non detto.

Dario è il primo amico che sia riuscita a farmi da quando abito a Napoli, e dall'inizio dell'università siamo sempre stati grandi amici, il che è un record per me visto che fino a quel momento non ero mai stata in grado di mantenere l'amicizia con un ragazzo - perché, alla fine, uno dei due finiva con il prendersi una cotta per l'altro -.

Ci conoscemmo due giorni prima dell'inizio dei corsi, mentre facevamo la fila in segreteria per consegnare i documenti per l'iscrizione, e la sera stessa si offrì di farmi fare un giro per alcune zone della città visto che io ero nuova del posto e lui ci abitava.

"Ho discusso con Germana" confido quindi, sapendo che fare finta di nulla non serva a nulla.

"Germana la Troiana?" domanda, ridacchiando.

Annuisco, ridendo a mia volta per il nomignolo datole da un gruppo di ragazzi dell'università che hanno respinto le sue avances.

"E perché?".

"Le solite cose, lo sai".

"Non le hai dato gli appunti di qualche materia?" indaga, senza smettere di squadrarmi per un solo istante.

Alzo gli occhi al cielo, maldicendomi per il mio non sapere mentire nei suoi confronti.

Se così fosse, ogni giorno mi risparmierei decine di spiegazioni seguite da incoraggiamenti a cui non riesco mai a credere. Non che non voglia confidarmi con lui, ma preferisco farlo dopo qualche ora, dopo aver sbollito un po' la rabbia.

"Non è questo il motivo, Dario. Ne parliamo dopo".

"No, me lo dici ora! Dai, vieni, usciamo, tanto la prof arriva tra minimo venti minuti" esclama, afferrandomi il polso della mano destra e tirandolo, riferendosi al fatto che nella nostra università c'è uno spazio di mezz'ora tra una lezione all'altra dato che essa è composta da vari palazzi e spesso ogni studente ha bisogno di tempo per spostarsi.

Sapendo che se resisto non smetterà di rompere le scatole per tutta la lezione, così, obbedisco, facendo ben attenzione a non guardare gli ultimi banchi, dove di sicuro c'è Germana.

Lo seguo fino al terrazzo adiacente al bar, e una volta arrivati inizia a fissarmi per indurmi a confidarmi.

"Mi ha criticato perché sono andata a letto solo con un ragazzo, dicendo che nessuno mi pensa, ed io le ho detto che non siamo tutte come lei che la danno via subito" sintetizzo, guardando lo stralcio di mare che ho davanti a me, seppur in lontananza.

"E la pensi pure? Onestamente, Lena, non ti ci vorrebbe nulla per farti "pensare" da qualcuno! Sei tu che fai di tutto per non attirare l'attenzione...".

"Ti ci metti pure tu, ora?!".

Mi volto verso di lui, ferita, ma subito scuote il capo e mi sorride, assomigliando tanto ad un bambino che vuole farsi perdonare. "Volevo farti un complimento, in realtà. Sul serio! Ti ci vorrebbe poco per soffiarle i ragazzi da sotto al naso, perciò lei ti teme ed è invidiosa di te".

Scettica, gli rifilo un'occhiata che esprime questo mio stato d'animo, alzando le sopracciglia. "Apprezzo il tuo tentativo, Dario, ma sei mio amico e non potresti dirmi altro".

"Sono tuo amico proprio perché sei speciale, Lena. Lo hanno capito tutti tranne te" mormora, iniziando a sua volta a guardare davanti a sé. “Tu sei la mela sulla cima dell’albero” mi ricorda, riferendosi ad una conversazione avuta qualche giorno dopo la rottura con Matteo.

Mi fece leggere un frammento di una poesia anonima che sostiene che le ragazze siano come le mele sugli alberi e che sono pochi quelli che si sforzano per riuscire ad afferrare quella più in alto.

"Ma dai" cerco di sdrammatizzare, un po' a disagio come al solito, quando inizia a farmi complimenti su complimenti per cercare di alzare il livello della mia autostima. "Io farei una figuraccia dietro l'altra se mi comportassi come lei".

"E' inutile continuare, tanto non mi ascolti mai. Ma promettimi che non permetterai più a quella scema di rovinarti l'umore".

"Lo sai che non è lei quella che mi rovina l'umore, bensì tutto ciò che si cela dietro le sue frecciatine. Grazie, comunque" sussurro, accarezzandogli il braccio con delicatezza.

Lui sorride un po' goffamente, e pochi istanti dopo un acido: "Ciao" attira la sua attenzione.

"Ciao, Daniela" risponde educatamente lui.

Daniela non risponde, soffermandosi a fissare la mia mano sul suo braccio, e poi si volta, continuando a camminare.

In fretta, allontano l'arto e lui sospira, come se fosse sera e fosse stanchissimo a causa di una giornata estenuante.

"Non la pensare, è paranoica" sussurro.

Lui non risponde - proprio come mi aspettavo - ed io sorrido ironicamente. "Come funziona qui? Tu mi fai da psicologo ed io non posso?" chiedo retoricamente, facendogli cenno di iniziare ad avviarci verso l'aula.

"E' diverso. Mi fa sentire in colpa, mentre con Matteo tu hai il diritto di sfogarti e maledirlo".

In realtà, Daniela è la ragazza che ha lasciato all'inizio della scorsa estate e che continua a guardarlo male, anche perché la sua ipotesi è che lui l'abbia lasciata per me.

"Ma tu non hai colpe, no?" osservo.

"No, no" risponde in fretta, seccato come ogni volta che glielo chiedo.

Alla fine, siamo entrambi reduci da storie e rotture particolari, e ciò ci ha fatto avvicinare ancora di più negli ultimi mesi, anche perché come me, lui ha un migliore amico - Giovanni - che è felicemente fidanzato è che quindi non c'è sempre per ascoltarlo e dargli una mano.

“Sai a cosa penso spesso, ultimamente?” chiedo dopo un po’, spezzando il silenzio che si è creato.

Lui fa un cenno negativo che mi sprona a continuare.

“Ai primi due mesi di università”.

Improvvisamente, lo vedo sorridere per poi annuire con decisione, il volto improvvisamente rilassato che si perde nei vecchi ricordi.

“Ci divertivamo tanto” mormora, sospirando.

“Sì! Ricordo che passavi intere giornate a casa nostra, specialmente quando pioveva e non ti andava di tornare a casa tua a piedi… Cenavamo insieme, poi chiamavamo le altre che compravano qualcosa da bere all’ipermercato e facevamo quelle specie di feste in cui facevamo giochi idioti”.

“Non dimenticherò mai “Non ho mai!”*, sai?” ridacchia. “Ricordo che dissi “Non ho mai baciato un ragazzo” e tu, ubriaca, rispondesti: “Io invece sì”, non comprendendo che mi riferissi al non aver mai baciato qualcuno del mio stesso sesso”.

Inizio a ridere come una scema, ricordando a mia volta quella sera di fine ottobre del duemila dieci che, probabilmente, segnò il vero inizio della nostra amicizia.

“Poi uscimmo fuori al balcone, nonostante la pioggia, e iniziammo a cantare “Heroes”…” continuo, senza smettere di sorridere, sentendo di nuovo quella sensazione di felicità che mi invase all’epoca, quando ero una diciannovenne spensierata ed eccitata per l’inizio dell’avventura universitaria che comportava anche il vivere, finalmente, senza genitori tra i piedi.

“… E alla fine mi vomitasti sui jeans…”.

“E indossasti i pantaloni della mia tuta per tornare a casa!”.

Ci guardiamo, improvvisamente animati da quei ricordi, e ci sorridiamo.

Poi, però, un velo di amarezza mi fa tornare normale e mi passo una mano tra i capelli non molto ordinati. “Poi ho rovinato tutto”.

“Cosa?”.

“Sì, ho rovinato tutto… Ho iniziato ad uscire con quell’idiota, non ti ho calcolato molto, non ho più organizzato molte cene a causa della dieta, con lo scopo di sentirmi migliore. Solo ora realizzo che ero più divertente prima di trasformarmi in una che riesce a raggiungere i suoi obiettivi seriamente” sussurro, tornando a guardare in direzione del mare e sognando di essere sulla nave che si vede dal porto.

Avverto la mano di Dario sulla mia spalla destra, ma non ho il coraggio di guardarlo in faccia, ricordando tutte le volte che gli ho dato buca per vedere Matteo.

“Sei cresciuta, e basta. Mi hai detto tante volte che non ti andava più di rimanere immobile a vedere la sfiga che ti assaliva, e hai reagito per entrare nei jeans che ti piacevano e per ottenere buoni voti. Però rimarrai sempre la Lena del primo anno, e lo sai” mi consola lui. “Spesso me la sono presa con Matteo per il tuo avermi ignorato a volte, ma si fanno cose sceme quando si è innamorati, non è colpa tua”.

Sentendomi molto fortunata nell’avere un amico come lui, riesco a trovare il coraggio di voltarmi e di tornare a sorridergli, seppur debolmente.

Mi ha capito, sa che non dirò altro, perché questo tuffo nel passato è stato già abbastanza doloroso.

Silenziosamente, così, ci avviamo di nuovo verso l’aula e prendiamo di nuovo posto, senza dire altro se non un "Speriamo che questa prof non sia acida come quella di Letteratura Tedesca II!".

 

 

"Non era necessario, Lena, davvero...".

Due giorni dopo, mentre mi adopero per legare i miei lunghi capelli castani in una treccia, davanti allo specchio della mia stanza, Trudy se ne sta appoggiata allo stipite della porta con aria colpevole, vestita di tutto punto con shorts di jeans, calze ricamate, stivali e la maglia beige che io chiamo "dimagrante" visto che la fa sembrare super snella.

"E invece sì. Mi pagheranno lo straordinario, così potrò comprarmi qualcosa di decente addosso per Pasqua".

"Ma lavorerai dalle undici di sera alle quattro del mattino!".

"Sono i vantaggi offerti dal lavorare in un pub, no? Avrò qualche drink gratis e...".

"E niente, piantala di inventarti vantaggi dove non ce ne sono!" sbotta con impazienza, per poi avvicinarsi e prendere in mano la mia chioma, dato che la sto intrecciando in una maniera schifosa.

Separa tutte le ciocche, le pettina e ricomincia a formare la treccia con dedizione, come se fosse una parrucchiera nata.

"Per favore, Trudy, smettila e pensa a goderti la serata con Davide" sussurro, alzando gli occhi al cielo, dato che odio far preoccupare la gente.

"Come posso riuscirci se so che a causa mia stai lavorando di sabato, di notte, per non andare da Germana?" chiede, retorica.

"Pensa ai soldi extra e ti passa tutto".

Non replica, sospirando, e quando ha finito con i miei capelli vedo il suo sorriso attraverso il riflesso dello specchio. "Non devi pensare a quella stronza, sul serio" mormora.

Scrollo le spalle, sforzandomi di sorridere. "Ma non ci penso, infatti! Dai, ci ha già pensato Dario a farmi il discorsetto, non ti ci mettere anche tu".

"Te lo meriti, il mio, perché di sicuro è più efficace. Io non sono buona come Dario!".

"Infatti Dario non è buono. Mi ripete sempre la stessa cosa dieci volte, proprio come te. Siete pessimi, entrambi! E noiosi!" sbotto, fingendo un'aria da criticona che la fa ridere.

"Fatto sta che domani ti preparo la torta con nutella e panna" dichiara, sorridendomi apertamente.

"Uh, sì! Pranzerò con quella!".

Trudy sa che nella maggior parte dei casi per tirarmi su ho bisogno solo della sua torta mega calorica, perché mangiarla è una dei miei sport preferiti, oltre incolparla per essere la causa di qualche chilo in più, ovvio.

Così, alle nove - due ore prima dell'inizio del turno - esco di casa con la sua auto, dato che io non ne ho una mia e ho acconsentito nel farmela regalare dai miei per la laurea  dato che con i miei miseri risparmi non ce l'avrei fatta mai, se non tra minimo dieci anni.

A causa del traffico del sabato sera, ringrazio il cielo di essermi anticipata, tanto da impiegarci un'ora per arrivare al pub, che dista massimo mezz'ora da casa mia.

Preparandomi psicologicamente per tutte le ore di lavoro che mi aspettano, prendo un bel respiro mentre attraverso il parcheggio destinato al personale ed entro dal retro.

"Ehi, Lena!".

Sara, una delle mie colleghe, mi accoglie con un sorriso caloroso mentre si sta aggiustando la camicia della divisa che dobbiamo indossare a lavoro.

"Sara, ciao. Anche tu fai il turno di notte?".

Annuisce, svilita al solo pensiero. "Stasera i miei amici sono fuori, a Roma, per il week end, quindi ho preso coraggio e mi sono proposta per questo bellissimo turno" risponde, alquanto sarcastica, mentre inizia a legarsi i capelli rossi non tanto lunghi in una comoda coda. "E tu? Perché hai scelto il turno?".

"Mi servivano dei soldi extra per un acquisto" mento, anche se non è che sia proprio una bugia.

Annuisce, ed io vado nel piccolo stanzino che funge da spogliatoio per indossare la camicia e i pantaloni della divisa.

Quando esco, noto che Paolo - un altro collega - ha portato un paio di drink nel retro per noi povere anime che ci sorbiremo il turno notturno mentre lui ha quasi finito il suo, così senza troppe cerimonie inizio a sorseggiare il mio, un Cosmopolitan, per poi dichiararmi pronta per l'inizio della nottata.

Uscendo dal retro, mi ritrovo nel locale vero e proprio e vengo assalita da un'aria calda che, tuttavia, trasmette energia.

Il "Magic Trick" è particolare, e il nome inglese - "Scherzetto magico" - è dovuto al fatto che il giovedì ci siano delle serate dedicate a varie città e paesi anglofoni, in cui si mangiano piatti tipici del posto con tanto di musica adeguata e personale vestito.

E' stato anche grazie al fatto che studiassi inglese che mi hanno assunta, a dir la verità.

Alla fine mi piace questo posto, anche perché è un locale ampio e accogliente fino al mercoledì, poi dal giovedì in poi si trasforma in una piccola isola di divertimento con luci soffuse, a volte psichedeliche, e tanto alcool.

Io e Sara ci guardiamo con uno sguardo d'intesa e, con un breve sospiro, diamo inizio alla serata con le prime ordinazioni nella zona dedicata ai panini e alle crepes.

"Ragazze, stasera mi servite al lato delle bibite" esclama Giacomo, il padrone.

E' un omone sui quarant'anni simpatico ma decisamente intransigente quando il locale è gremito di clienti, come in questo caso. "Giorgio ha combinato il solito disastro! Ha perso il foglio delle ordinazioni e ha preparato un Mojito senza menta... Su, muovetevi!".

Rapidamente, così, ci spostiamo all'altro bancone, quello dei drink, dove il povero Giorgio striscia via in silenzio per il solito caos creato.

In realtà, mi piace fare drink, e ne ho inventato anche qualcuno, solo che l'ho proposto esclusivamente alle mie amiche dopo una cena a casa.

Così, entro nel caos di ragazzi e uomini un po' più maturi che mi riempiono le orecchie di nomi di bibite dal nome strano e a volte incomprensibile.

"Lena, prendi le ordinazioni tu, per ora? Voglio preparare ora i drink visto che tra qualche ora non sarò molto attiva" esclama Sara, guardandomi con aria supplicante.

"Va bene" annuisco.

Mi rivolgo verso la folla - che è alquanto impaziente dopo l'incidente di Giorgio - e dò ufficialmente inizio alla serata.

"Due birre!".

"Uno Screw Driver!".

"Un Mojito!".

"Due Sex on the Beach!".

"Un Martini Royal".

"Un Woo-Woo**".

Udendo quest'ultimo nome, batto le palpebre, confusa.

Cosa diamine è un Woo- Woo? Sarà anche tardi, ma sono ancora lucida, e questo drink non è presente sul nostro listino.

Alzo lo sguardo dal block notes su cui sto scrivendo le ordinazioni per contestare, ma, un secondo dopo, desidero non averlo mai fatto visto che sento il cuore perdere qualche colpo.

L'uomo sulla trentina davanti a me non può essere colui che penso che sia.

Colui che mi sta sorridendo cordialmente non può essere il nuovo madrelingua di inglese.

Ecco perché dicevo di averlo visto prima da qualche parte! Lui è un assiduo frequentatore del "Magic Trick", l'avrò visto almeno quattro volte nell'ultimo mese.

Cosa dovrei mai fare? Sarebbe stupido chiamarlo professore, e non solo perché avrà al massimo sette-otto anni in più a me, ma anche perché la sua prima lezione ci sarà lunedì.

Decidendo di fare finta di nulla - tanto non dovrei ancora sapere che è il mio insegnante, no? - rispondo con un flebile: "Mi dispiace, non abbiamo il Woo Woo".

Lui annuisce, consapevole, passandosi una mano tra i suoi capelli scuri e ricci.

"Lo so. Volevo solo avere una scusa per parlare con una dipendente molto carina. Sai, vengo qui da un mese, ormai, conosco il menù a memoria e non sono mai riuscito a parlarti" rivela.

Dovrei essere scioccata per il suo italiano dall'accento quasi perfetto, ma perché mai dovrei badare ad una simile quisquilia quando l'unico professore carino che abbia mai avuto - cioè, che avrò - mi ha detto una cosa simile?

Poi, davanti a me, vedo solo la faccia sorpresa di Germana nel caso in cui venisse a sapere di questa conversazione e ciò, in un solo istante privo di lucidità, mi fa decidere il mio modus operandi per la risposta da dargli.

 

* “Non ho mai” è un gioco che consiste nel far sì che, a turno, ognuno dica qualcosa che non ha mai fatto, e chi lo ha fatto invece deve bere.

** Il “Woo-Woo” esiste davvero, l’ho provato in un locale a Londra, e spero che quello “Originale” sia migliore di quello che mi è capitato perché sembrava quasi un succo alla fragola senza alcool xD

 

*°*°*

Milly’s Corner

Salve a tutti!

Erano secoli che non iniziavo a pubblicare una long in questa sezione, sono felice di essere tornata.

Che dire, lavoro a questa storia da mesi e mesi, e sono arrivata al capitolo 12, quindi gli aggiornamenti saranno regolari.

Ogni capitolo avrà la stessa struttura, ovvero sarà preceduto da un flashback che ha lo stesso argomento di qualche contenuto del capitolo, e ciò serve ad inquadrare ancora meglio i personaggi, perché il loro passato ci serve a capire meglio ciò che sono ora.

Spero che l’elemento del prof che guarda caso nota Lena e le si avvicina non sia stato classificato come un clichè, cioè, mi odio un po’ per questo elemento, ma è l’unica soluzione che ho trovato.

Non posso dirvi come procederà la storia, ma ci tengo a dirvi che tra i due il continuo non sarà come questo inizio… Chi vuol intendere, intenda! xD

Ora, come ogni settembre, sono impegnata con gli ultimi due esami del secondo anno di università, quindi a volte aggiornerò ogni settimana e a volte ogni dieci giorni, poi a ottobre aggiornerò regolarmente ogni domenica J

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi lascio qualche anticipazione ;)

Alzo gli occhi al cielo, mi volto e prendo altri due bicchieri, li distribuisco e noto che è ancora lì, in attesa. Continua a guardarmi, ma non sembra indispettito, anzi: sembra si stia divertendo un mondo, e la cosa mi dà ai nervi.


 

Alla faccia della domanda! Non poteva essere una più classica, del tipo "Quanti anni hai?" o "Posso sapere che taglia di reggiseno hai? Sai, ho scommesso con i miei amici che avrei indovinato!" ?


A domenica prossima!

Milly92
  
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