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Autore: Lere    01/09/2013    1 recensioni
Questa storia, è una lettera scritta da me che vorrei far leggere perché penso che magari potrebbe essere di aiuto a molte persone... La scrivo tra le storie di Demi perché lei ha aiutato molte persone e l'ammiro molto per questo... Vi prego leggete... grazie!
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cara mamma, 

Ci sono molte cose che vorrei dirti, ma purtroppo non me ne hai mai dato modo.
Vorrei raccontarti le mie giornate, i miei umori, le mie gioie e i miei dissapori, ma non sei mai riuscita a vedere al di là del tuo naso.
Eri cosi presa a pensare al mio futuro che ti sei scordata di vivermi nel presente.
Hai deciso di farmi intraprendere una scuola che non mi appartiene solo per la soddisfazione di avere una figlia laureata in psicologia clinica.
Mamma, io ho solo 17 anni!
Il mondo è cosi variopinto, non puoi pretendere che io sappia già quale sia la mia strada.
Ancora non so cosa farne della mia vita.
Tutte queste pressioni continuano ad opprimermi e tu non te ne rendi conto.
Sognavi la tua vita perfetta da segretaria nello studio medico di papà e quando lui ti ha lasciato per una donna più giovane e in carriera non ci hai visto più.
Ti sei trasformata, lo sai?
Sei diventata una perfezionista cinica e hai improntato tutto sul mio futuro.
Non sei riuscita a laurearti e a diventare la donna “di mondo” e per ovviare a questa tua mancanza, hai deciso di proiettare tutte quelle che avrebbero dovuto essere le tue ambizioni future… Su di me.
Non ti sei mai chiesta se davvero era quello che volevo?
Nonostante tu abbia deciso di dominare ogni mia possibile decisione, io cerco di capirti e di impegnarmi per farti essere fiera della tua unica figlia.
Il vero problema, però, si verifica ad ogni mio piccolo sbaglio.
Non accetti errori o imprecisioni e, se questo accade, ricorri alle maniere forti, picchiandomi fino a farmi sanguinare ed infine perdere i sensi.
Non importano le mie suppliche o le mie lacrime, la tua mente è completamente offuscata dallo spettro di mio padre e forse, mentre mi picchi, pensi proprio a lui.
Sai, con il tempo ho imparato a domare, quanto più possibile, il dolore e a farlo mio amico.
Perché non riesci a metterti mai nei miei panni?
Papà è sparito dalla circolazione, tu non rendi le cose facili dentro le mura domestiche e a scuola non ho amici.
Tutti gli adolescenti del mondo amano la ricreazione, mentre per me è la parte della mattinata che odio di più perché io non ho nessuno con cui stare, nessuno che vuole un po’ della mia compagnia.
I compagni di classe mi accusano di vivere in un “mondo grigio”, come se fossi coperta da un velo di depressione che lentamente mi uccide.
Loro non possono sapere e continuano a parlare.
Io preferisco rimanere nel mio silenzio solenne poiché, anche raccontando, loro non mi crederebbero.
Il mio ragionamento è: Se tu, mia madre, in primis, non mi hai mai ascoltata e non ti sei mai presa cura veramente di me, tua figlia, come possono dei semplici coetanei, effettivamente estranei, preoccuparsi per una come me?
Una volta tornati a casa avranno l’amore della loro famiglia, ciò che a me manca.
Il mio “Io” si sta dissolvendo sempre di più, tanto da non riuscire più a percepirmi come essere.
Mi guardo allo specchio e non mi riconosco, forse per i lividi sapientemente nascosti o per i tagli che continuo a farmi.
Ebbene sì, hai letto bene.
Mi sono imbattuta in un qualcosa molto più grande di me: L’autolesionismo.
Non auguro a nessuno, neanche al mio peggior nemico, di passare quello che sto passando io.
Forse tu non lo sai, ma essere autolesionisti non è come combattere contro un male “esterno”.
Io combatto contro me stessa, contro i miei stessi demoni e le mie paure create da te nel corso degli anni.
Per mesi cercavo di auto convincermi, dicendo che avevo smesso del tutto, che finalmente ne ero uscita.
Adesso, invece, ho avuto una ricaduta.
Nella mia testa sento delle voci e cerco di zittirle.
Sono le stesse che, mesi prima, mi dicevano: “Andrà tutto bene, vedrai”.
E’ incredibile quanto il dolore, ora, sia la fonte del mio sollievo, ma è grazie a te se ho scoperto tutto ciò.
Come se il mio corpo avesse trovato un equilibro tutto suo, proprio come il mio mondo: dovevo solo ferirmi e l’ansia sarebbe sparita insieme ai miei problemi, ma poi, inevitabilmente, sarebbe tornato tutto come prima e da lì sarebbe iniziato un nuovo ciclo di “dolore-sollievo”.
Per quanto non riesca più a percepirmi, riconosco che in quelle cicatrici trovo il mio conforto, anche se non saprei dirti di quale conforto ha realmente bisogno il mio corpo.
Forse si tratta solo di una “liberazione”.
Sì, perché con te vivo in trappola.
Alcuni dicono che l’autolesionismo sia una psicopatologia, ma io non mi sento malata anche se in ogni taglio vedo la fine della mia dolorosa vita.
Quando mi faccio del male, non so mai come andrà a finire.
Sarebbe stato il mio ultimo taglio o una serie di tanti altri?
Questa mattina, quella stessa cicatrice mi ha fatto, stranamente, paura.
Mi ha spaventato!
Ricordo di aver rotto il vetro, di essermi alzata le maniche e di aver fatto un lungo e profondo taglio davanti allo specchio, ormai a pezzi.
Volevo vedere il mio sangue.
Stupidamente, pensavo che avrebbe lavato via tutto.
Infilai il pezzetto di vetro ancor più nella carne, superando qualsiasi soglia del dolore per poi venir pervasa da un’intensa sensazione di benessere.
Chiusi gli occhi e lasciai che quella strana emozione prendesse il sopravvento tanto da farmi perdere i sensi.
Risvegliandomi ebbi orrore di me stessa.
Ero completamente sporca, dentro una pozza di sangue, eppure ero “viva” e tu non eri accorsa a salvarmi.
Ripensandoci adesso, usare il termine “viva” in queste circostanze mi sembra stupido.
Io non vivo, io sopravvivo.
Riposi il vetro nel mio nascondiglio segreto e promisi a me stessa che non avrei mai più fatto una cosa simile.
Io non voglio morire.
Mi sono lavata, eliminando qualsiasi traccia sul mio corpo e sulla camera, per poi sedermi sulla mia scrivania, prendere un foglio ed iniziare a scriverti.
La situazione sta precipitando e forse avevo bisogno di toccare il fondo per risalire in superficie a prendere la mia boccata d’ossigeno.
Lo farò, mamma.
Anche senza di te.
Ascolta le mie parole.
Ascolta il mio grido.
Non voglio sopravvivere.
Io voglio vivere.
Queste parole, questi pensieri che affollano la mia testa e che ho tentato di riversare in queste righe, non le leggerai mai e non le ascolterai mai.
Non capiresti e forse non capirei neanch’io a cosa possa servire adesso renderti partecipe di un problema nel quale sono caduta perché tu non c'eri.

 Tua figlia.










 
“Tutti abbiamo forza sufficiente per sopportare i mali altrui”, scriveva François de La Rochefoucauld e forse si è dimenticato di aggiungere che l’unico male al quale non riusciamo a sottrarci, è quello fatto a noi stessi.

L’autolesionismo è un atto che implica il procurare danni rivolti a sé stessi solo per il gusto di danneggiarsi, senza suicidarsi, come tagliarsi la pelle(come nel mio racconto), bruciarsi, graffiarsi, colpire il proprio corpo fino a farsi veramente male, tirarsi i capelli e ingerire sostanze tossiche oppure oggetti.

Le cause sono molteplici: l’autolesionismo può affliggere persone che fanno abuso di sostanze stupefacenti, che soffrono di disturbi mentali come, ad esempio, la personalità border line o la bipolarità ed infine può subentrare attraverso dei fattori psicologici che si presentano principalmente negli adolescenti.

Non tutti sanno che chi soffre di autismo, molto probabilmente, in futuro, avrà problemi di autolesionismo.

Nel 70% dei casi, però, la causa scatenante è il bisogno di tenere sotto controllo la propria vita, infatti, molti soggetti, si fanno del male per vivere nuovamente, ed inconsciamente, dei traumi passati che non erano sotto il loro controllo e, accorgendosi di poterli dominare attraverso il “taglio” (ad esempio), si rendono conto di essere riusciti a riprendere la loro autonomia.

Per provare ad uscire dal tunnel dell’autolesionismo, abbiamo bisogno di uno psichiatra, uno psicologo e un’assistente sociale, facilmente rintracciabili negli ospedali che attuano il servizio di aiuto per autolesionisti.

Tali figure, saranno in grado di iniziare una terapia per aiutare chi di dovere, analizzando ogni singola esigenza per far fronte al problema.
Purtroppo ciò che può aggravare la situazione è la famiglia, nel caso in cui viene vista come un intralcio o un elemento negativo.

La terapia, proprio per questo motivo, deve andare di pari passo con la famiglia per instaurarne un percorso completo.

Ogni primo giorno di marzo si svolge la giornata globale “Self-injury Awareness Day” (SIAD) dedicata alle campagne di informazione sull’autolesionismo.

Il consiglio più grande che si può dare in questi casi è uno solo: parlatene, non abbiate paura. Affidatevi a qualcuno a cui poter confessare ciò che state passando. Tenersi tutto dentro non fa che allargare il problema, ingrandirlo sempre di più fino a farvici annegare. La parola è l’unica cosa certa che abbiamo in questi tempi confusi: usatela e troverete sempre almeno una persona pronta ad ascoltarvi.





 
 

 



 
  
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