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Autore: topstiel    01/09/2013    22 recensioni
C'è un uomo strano alla clinica psichiatrica.
Dean l'ha notato sin dal suo primo giorno.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Fandom: Supernatural.
Pairing: Castiel/Dean (Dean/Lisa accennato).
Rating: Verde.
Chapter: 1/1. 
Genere: Romantico, Fluff, Angst. 
Warnings: AU, Major Character Death. Mi sento obbligata inoltre ad avvertire la presenza di molti riferimenti a canzoni, le quali evidenzierò con il corsivo. 
Words: 6176
Summary: C'è un uomo strano alla clinica psichiatrica. 
Dean l'ha notato sin dal suo primo giorno.
Note: Gnarp, eccomi con l'ennesima AU. Ci terrei a ringraziare @_Klytia, @__fcastial e @forgotten__ per avermi spronata a finire questa fanfiction. Adkfsjk.
ps. Non odiatemi, viva l'angst.
 
 
The Fool on The Hill (is a Charming Man)
But nobody wants to know him
They can see that he's just a fool
And he never gives an answer;

C'è un uomo strano alla clinica psichiatrica. 

Arriva la mattina presto, quando il gallo deve ancora cantare e una leggera nebbia abbraccia la città. Con calma si mette a sedere e, senza dire nulla, beve il pessimo caffè delle apposite macchinette ed aspetta che tutti i pazienti si sveglino. 
Questi ultimi, non appena lo vedono, esultano e subito si mettono a sedere attorno a lui, guardandolo con occhi adoranti ed accogliendolo con abbracci e Come stai? 
L'uomo rivolge a tutti un sorriso poi, dalla sua tracolla in pelle, estrae una vecchia Bibbia e si mette a leggere, fermandosi di tanto in tanto per rispondere con pazienza a qualche domanda o spiegare il passo letto. 

Dean l'ha notato sin dal suo primo giorno. 

Castiel Milton, così gli è stato detto che si chiama, è sempre in grado di illuminare la sala e far sorridere i pazienti con gli occhi cerchiati di nero e la speranza ormai persa, la pelle troppo pallida e le mani tremanti. 

"E' un vero angelo." dicono sempre le infermiere con tono premuroso quando Dean chiede più informazioni, ma nessuno sembra sapere qualcosa in più sul suo conto. O, almeno, tutti si rifiutano di parlare. 
Dean continua a chiedere e voler sapere di più su di lui, curioso nel vedere un benestante inglese (l'ha capito dalla sua auto parcheggiata davanti la clinica e dal suo accento) passare gran parte delle sue giornate con certi rifiuti della società come lui ed il resto del manicomio. 

Ogni volta che Castiel si trova nei paraggi, a leggere o intrattenere i pazienti, Dean cerca di tenersi lontano. 
Siede in disparte e, quando gli riesce, sgattaiola sul tetto dell'edificio, e lì osserva il paesaggio che la periferia di Boston, nel Massachusetts, gli offre.
Con il viso premuto contro il palmo della mano, tende a perdersi nei pensieri, tirando fuori dai cassetti i ricordi di casa: il motore della sua Chevrolet Impala del '67, i frequenti scherzi fatti a suo fratello Sam e il costante odore di benzina al garage di Bobby.

Se Dean si trova a ventidue ore di macchina lontano da casa, un motivo c'è. 

Dean ha visto delle cose. In realtà è da molto che le vede, si ricorda ancora quando aveva quattro anni e, dopo la morte di sua madre, continuava a vederla ogni notte. Lui cercava di parlarle, lo raccontò a suo padre e presto imparò che certe cose non vanno raccontate a nessuno. Dean vede fantasmi e spiriti da un'intera vita e ha commesso l'errore di parlarne alla sua ex ragazza, Cassie. Lì iniziarono i litigi e le discussioni e lì Dean iniziò ad essere confuso sul suo ruolo; quando prima era certo che ciò che i suoi occhi vedevano fosse reale, ora, dopo le parole di Cassie, si chiedeva se aveva realmente bisogno di un aiuto. 

E' così che è finito a Boston, a fissare strani uomini di fede e a far finta di ingoiare le varie pasticche che dovrebbero curare un problema che non c'è. 

 
 
Quando Dean, quel tardo pomeriggio, sale le scale per arrivare sulla terrazza presente sul tetto del palazzo, trova il suo solito posto già occupato. 

Dapprima aggrotta le sopracciglia, fa un passo indietro e ragiona sulla possibilità di tornare indietro in silenzio senza essere notato, in quanto probabilmente non ha nemmeno il permesso per trovarsi in quel luogo. 

Ma prima che abbia la possibilità di riportare la mano sulla maniglia che conduce di sotto, si accorge che l'uomo appoggiato sul davanzale è Castiel. 
Il lieve venticello gli scompiglia i capelli, facendo ondeggiare la camicia azzurra che ha addosso, e Dean, sul suo profilo, può scorgere la forma accentuata degli zigomi e un leggero strato di barba. Probabilmente non si è rasato da due o tre giorni. 

"Dean Winchester, sbaglio?" Castiel volta il viso, accennando un piccolo ma cordiale saluto. "Lo sapevi che è severamente vietato ai pazienti andarsene in giro da soli, se non meno venire qui?" aggiunge, e Dean può confermare i suoi precedenti dubbi. Il tizio è decisamente inglese o, perlomeno, non americano. 

Incerto su cosa replicare, si limita a roteare gli occhi al cielo e raggiungerlo con spavalderia, la stessa con cui è conosciuto per tutto il Lawrence e che Sam non fa altro che fargli notare ogni volta, un sopracciglio inarcato e la bocca storta in una smorfia antipatica. 

"Tu non fai nemmeno parte dello staff," Dean sceglie la sua risposta con cura, cercando di non risultare troppo infantile ed irritante; non ha idea del perché dovrebbe stargli a cuore fare buona impressione con Castiel, ma ci tenta (seppure con i suoi testardi modi). "Non puoi dirmi ciò che devo o non devo fare."

Deve aver fallito nel suo intento, perché Castiel si mette subito a ridere. Dean nota la sua gestualità, come il ragazzo si porta le nocche davanti la bocca per soffocare il breve momento di ilarità e come la sua schiena, la linea della spina dorsale appena visibile sotto la camicia, s'incurva all'indietro.
Forse non dovrebbe farci caso. 

"Cos'hai da ridere?" grugnisce Dean e poggia le braccia incrociate sul davanzale, impuntandosi a fissare un dettaglio a caso con aria stizzita. Non udendo alcuna risposta, se non un'altra piccola risata, si concede di sbottargli contro un: "Anzi, piuttosto, cosa ci fai tu qui? Chi sei?"

Castiel sbatte le palpebre due volte e, senza perdere il sorriso, abbassa le dita dal viso per poter collocare i palmi sull'appoggio in marmo. Ha una carnagione piuttosto pallida, e gli occhi blu sono rivolti al paesaggio di mare poco lontano dalla clinica. 
Dean non gli è stato mai così vicino. 

"Ma nessuno lo vuole conoscere, vedono che è solo un matto, e lui non dà mai una risposta-" enuncia tali versi come se nulla fosse, spostando una mano per potersi sorreggere il capo. Porta lo sguardo su Dean ed attende una sua risposta. 
Una parte di Castiel è incerta, cosa che gli capita di rado, insicuro sulla reazione che potrebbe ricevere dal soggetto di fronte a lui. 
Essere preso per un pazzoide ciarlatano, o accettato? 

Se Castiel affermasse di non essere interessato da Dean Winchester, allora sarebbe un pessimo bugiardo. 

Lo ha osservato, durante quelle due scarse settimane, con la fronte aggrottata e le labbra premute insieme in un'espressione presa e incuriosita. 
Si è appuntato ogni piccolo dettaglio che ha potuto raccattare dalla sua figura distante con minuziosità pari a quella scientifica. Ha elaborato un suo passato, ha riflettuto sulle sue abitudini alimentari scaturite dalla mensa, sui suoi modi di fare, la sua riservatezza e sul suo viso costantemente contratto in un atteggiamento serio.

Inoltre, Castiel ha un'idea fissa riguardo Dean. 

Il ragazzo non ha alcun motivo di trovarsi in quel luogo. L'ha capito dal primo giorno in cui l'ha visto, seduto sulla poltrona più malandata e lontana dalle altre nella sala comune, con il pollice e l'indice poggiati sulla base del naso e gli occhi socchiusi. 

"Amico," la voce di Dean lo trascina fuori dai suoi pensieri e, tanto per intrattenere le mani, inizia a tamburellare con le dita il ritmo della stessa canzone che ha appena citato. "Una canzone dei Beatles, sul serio?"

Castiel, di rimando, accenna un sorriso e raddrizza la schiena, portandosi le braccia al petto. Contento che qualcuno, no, anzi, contento che Dean abbia colto il riferimento e che i presentimenti sui suoi gusti musicali si siano rivelati giusti (non aveva nessun dubbio, comunque), ringrazia il cielo per aver finalmente trovato qualcuno di interessante con cui sostenere una conversazione. 
Forse non è solo quello il motivo per cui sente un peso scivolare via dal suo petto, ma ci sono troppi punti esclamativi scribacchiati nel profondo di Castiel, dunque è inutile indugiare ad aggiungerne degli interrogativi. 

"Castiel Milton," risponde, quindi, dopo essersi concesso un breve momento di silenzio. Castiel non è abituato a parlare molto. Non è abituato a molte cose, in realtà. 
Vedendo Dean aggrottare le sopracciglia, aggiunge frettolosamente: "Mi hai chiesto chi sono."

"Voi inglesi avete tutti i nomi strani?" replica l'altro, non riuscendo a trattenere una risata. Grande colpo, Winchester, ridi del suo nome. "Come quell'attore-- come si chiama? Benedict Cumberqualcosa, sì."

"Benedict Cumberbatch," lo corregge Castiel, non riuscendo a non ridere a sua volta per il modo in cui il ragazzo strabuzza gli occhi ed arriccia il naso mentre cerca di nominare l'uomo con una pessima pronuncia americana. "Ed è un ottimo attore." 

"Posso concederti quello, ma lascia che te lo dica: la BBC ha sei attori e una location." spiega con tono impertinente e di chi la sa lunga. "La piscina che c'è nel Tardis è la stessa che hanno usato nell'ultima puntata della prima stagione di Sherlock! E vogliamo parlare di questo Dodicesimo Dottore? E' già apparso in Torchwood e in un episodio di Doctor Who stesso!" 

Il moro lo guarda parlare con aria divertita, Dean si limita a girarsi fino a poggiare il fondo della schiena contro la parte murata del davanzale. Tiene le braccia indietro per afferrare la ringhiera e continua a monologare la scarsa presenza di budget nelle tasche della televisione britannica. 

"Allora vuoi dirmi che la CW è meglio della BBC? Con tutti quei programmi per adolescenti in piena tempesta ormonale?" replica prontamente Castiel, sollevando un lato della bocca in un sorrisetto compiaciuto. "Tipo Dr. Sexy MD e roba del genere."

Dean rimane in silenzio, sbuffa e s'incrocia le braccia al petto. Un sorriso gli sorge spontaneo sulle labbra. 

"Sei interessante come credevo."

"Mi pare che allora abbiamo entrambi soddisfatto le nostre aspettative, Dean."

 
 
Castiel è una di quelle persone fortunate che possono dire di aver visto molte cose.

Gli stessi occhi blu che conoscono e hanno visitato tutta la Gran Bretagna, che sanno orientarsi perfettamente in ogni angolo di Londra, si sono posati su troppi cartelli stradali che danno il benvenuto ad ogni stato dell'America. 
New Mexico, Florida, Colorado, Pennsylvania, Oregon, Missouri, ed ora Massachusetts.

Nonostante ciò, Castiel Milton non ha mai avuto a che fare con qualcosa di simile a Dean Winchester. 

Le prime volte che si parlavano, Dean ricorda ancora come Castiel continuava a chiedergli se vedesse le persone viola. Ricorda l'espressione seria con cui gli aveva posto la domanda e ricorda come si era giustificato dicendogli: "Un mio amico le vedeva."
Forse erano queste parole che lo avevano conquistato, provocandogli un attacco di risa isteriche.

Ma poi, seduti nella sala comune dove i pazienti trascorrono il loro tempo guardando la televisione e bevendo tè caldo, Dean e Castiel hanno iniziato ad interagire e rallegrare la stanza con soffici risate e lunghe conversazioni su chi sia meglio tra Lennon e McCartney, Tennant e Smith.

Nel suo ampio vocabolario di termini, Castiel non riesce ancora a definire ciò che li unisce, ciò che li porta a fissarsi in quel modo come se nulla fosse e ciò che li fa ridere all'unisono.

In pochi mesi, Dean ha trovato un qualcuno di cui fidarsi, due orecchie che ascoltano qualsiasi cosa dica, un debole sorriso pronto a tirarlo sù e uno sguardo vispo che gli rimane impresso addosso ogni volta, anche quando le luci sono ormai spente e non fa altro che rigirarsi nel piccolo e scomodo letto. 

Castiel ascolta sempre Dean, le mani congiunte sulle cosce e il capo leggermente inclinato ad un lato. Occasionalmente, gli Smiths o i Beatles accompagnano le loro giornate insieme; Dean preferirebbe qualcosa di più duro, come i Led Zeppelin, ma non fa alcuna opposizione, raccontandogli delle sue esperienze paranormali. Castiel crede a Dean.

Dean ascolta sempre Castiel, gli occhi fissi su di lui e la postura scomposta sulla poltrona. Annuisce di tanto in tanto, incitandolo a continuare, e impara di come al ragazzo di fronte a lui manchino i nuvolosi paesaggi londinesi e il caos della città che lo inghiotte e lo confonde in mezzo agli altri. Dean capisce Castiel. 

Il termine che più si avvicina a ciò che provano entrambi potrebbe essere "chimico". Come se fossero collegati, come se fosse destino che Castiel si trovasse su quel tetto un nuvoloso diciotto settembre. Come se fosse scritto da qualche parte che Castiel avrebbe appoggiato la sua mano sulla spalla sinistra di Dean e gli avrebbe detto "Felice di conoscerti" e tutti e due avrebbero sorriso, perché sì, era stato un piacere conoscersi. 

Ma se ci sono delle cose su cui entrambi preferiscono tenere il silenzio, sono le piccole azioni di cui gli unici testimoni sono il vecchio giradischi che Castiel ha donato alla clinica e la luce pomeridiana che filtra dalle finestre; 

Azioni come sguardi che durano troppo a lungo e dita che s'intrecciano in silenzio, senza alcuna spiegazione. Castiel lo fece quando Dean parlò per la prima volta di Mary Winchester, e lui non si tirò indietro, lasciando che il suo pollice disegnasse cerchi immaginari sul dorso della propria mano. 

In quei momenti, tutti e due lasciano muti tali gesti, perché preferisono sia la voce di Morrisey a riempire la stanza troppo grande per la loro silenziosa e ingiustificata presenza. 

In quei momenti, i punti interrogativi sono troppi nella loro mente, e i loro cuori traboccano di quelli esclamativi.
 

"I Beatles? Non te ne stanchi mai?" 
Dean osserva Castiel dalla soglia della porta, le sopracciglia inarcate e le labbra storte in una smorfia.
E' una loro abitudine, ormai, incontrarsi nella sala dedicata allo svago dei pazienti quando non c'è nessuno. Le finestre sono spalancate per il caldo di quella fine estate, e da esse proviene un leggero venticello che fa danzare le tende immacolate, come se la musica giungesse anche a loro.

Castiel si limita a sorridere ed allungare una mano verso di lui, giustificandosi dicendo che il White Album è la perfezione fatta a musica e proponendogli, a bassa voce, di ballare.

"Non ne sono capace." è la sua istantanea risposta, fa un passo indietro e si appoggia allo stipite. John Lennon, nel frattempo, chiede la rivoluzione con note calme e tendenti al blues.

Castiel rotea gli occhi al soffitto e lo raggiunge, afferrandolo per l'avambraccio. "Dai, non sono un ottimo ballerino nemmeno io." lo incita. 

Eventualmente, Dean si lascia andare, ritrovandosi pochi secondi dopo accanto al mobile del giradischi con Castiel appoggiato a lui; indecisi su che posizione prendere, Dean porta timidamente le mani sui suoi fianchi e, cercando di ricordarsi qualche diavolo di passo, lascia che Cas, con un perenne sorriso stampato sul volto, gli circondi il collo con le braccia e lo guidi con i suoi movimenti.  

Pino. Il fresco profumo di Castiel lo avvolge e gli fa piacevolmente arricciare il naso. Sente la sua nuca appoggiata nell'incavo del collo e i suoi scuri capelli gli solleticano il mento. 

Ora il ruolo di cantante è passato a Paul McCartney, e Castiel non riesce a trattenersi dal borbottare qualche parola della canzone, facendo sorridere divertito Dean, compiaciuto sia dalla voce di Cas che dall'ironia della canzone. 

"Honey Pie, mi fai impazzire. Sono innamorato ma sono pigro." canticchia.

"Hey, Dean-" lo chiama Castiel, scostando il capo in modo da guardarlo negli occhi. Tiene le sopracciglia corrugate nella sua solita facciata seria, e Dean trattiene il fiato, ansioso. 

"Adesso le vedi, le persone viola?" 

L'altro sposta la mano dal suo fianco per premersela contro il viso, non sforzandosi nemmeno di trattenere un ghigno. Castiel e le sue stupide uscite

Castiel sembra confuso dalla reazione di Dean. Piega la testa di lato e preme le labbra insieme, storcendole. La mano di Dean torna su di lui, soffermandosi, questa volta, sulla sua schiena, e attirandolo più vicino. 

"Io vedo solo uno come te che non fa altro che sprecare il suo tempo con uno svitato come me."

"Tu non sei uno svitato, Dean." replica Castiel, sulla difensiva.

Dean sospira, socchiude gli occhi ed accarezza distrattamente la stoffa della sua maglia. "Non è questo ciò che credono i terapisti." altera il tono della voce, rendendolo più duro ed aspro di quanto intendeva inizialmente. 

"All'Inferno i terapisti, allora! All'Inferno ciò che pensano e all'inferno tutto il resto!" la risposta di Castiel è immediata, tanto da far sobbalzare Dean, non abituato nel vedere il calmo e religioso Castiel Milton scaldarsi così. 

"Anche me?" sussurra, accennando un sorriso di scherno. Dean Winchester è un provocatore nato e Castiel stesso lo sa, in quanto spesso finisce come vittima delle sue burle. Almeno non sono così spietate come quelle di suo fratello Gabriel. 

Castiel schiude le labbra, pronto a rispondere, ma si blocca per rimanere a riflettere. "A volte ti ci manderei," Dean spalanca gli occhi e sbatte più volte le palpebre, fingendosi offeso. "Ma alla fine ti tirerei sempre fuori dalla Perdizione, Winchester, come ti tirerò fuori da qui." 

"Cosa fare senza il mio angel0?"

Rimangono entrambi in silenzio, Dean sorridente e Castiel perso tra i suoi pensieri. 

E' una cosa che accade spesso, tra di loro. Non sono silenzi imbarazzanti composti da frasi lasciate a metà e sguardi nervosi. E' la consapevolezza di essere l'uno accanto all'altro, spalla contro spalla. 

"Portami fuori, stanotte." è Castiel a parlare per primo, sporgendosi per spostare la punta del giradischi che ormai segnava il vuoto, provocando un rumore sordo. "Usciamo, c'è una festa al molo."

Dean non sa come rispondere a una tale proposta. Non gli è permesso uscire senza un'autorizzazione scritta, come quella volta che Sammy lo venne a visitare e passarono tutto il pomeriggio in giro per Boston. Sarebbe infrangere le regole, cosa che Dean ha già fatto precedentemente -forse troppe volte-, e Castiel lo guarda con tanta speranza in volto che si trova sul serio disarmato. 

"Non ho uno straccio da mettere." replica infine, passandosi le mani sulla divisa bianca e, subito dopo, rotea gli occhi nel vedere Cas sorridere compiaciuto. "No-" cerca di metterlo a tacere prima che possa dire qualcosa.

"Hai appena citato gli Smiths, o sbaglio?" 

"E' stata una cosa imprevista, e poi l'hai fatto anche tu." il biondo s'incrocia le braccia al petto e lo guarda con un sopracciglio inarcato. "La vita non può essere una canzone degli Smiths." aggiunge. 

Castiel si appoggia contro il tavolino in legno, solleva lo sguardo e fissa per un momento il soffitto. E' una cosa che fa spesso, ha notato Dean. Sceglie le parole con cura e ci mette un po' a rispondere, osservando un dettaglio a casaccio con le labbra socchiuse. Forse Dean nota troppe cose. 
"Per i vestiti, posso occuparmene io. Inoltre, fino a prova contraria, sei tu che scegli cosa mettere nella tua auto. Perché non può essere così anche nella vita?
Sono un pazzo su una collina, mi rendi un uomo affascinante, la mia vita è un alterarsi tra gruppi britannici di epoche passate. E con questo?"

Dean lo guarda, capisce che c'è qualcosa che non va, e si porta una mano davanti la bocca, strofinandosi il pollice contro un lato di essa, pensieroso. "Non lo so-" accenna, e Castiel chiama il suo nome con aria supplichevole, facendolo arrendere. 

Lascia che sia. 

 
 

E' come quando ti svegli da un sogno e non riesci più a ricordarlo. Allunghi le mani verso di esso, ma continua a sfuggirti, continua ad oscurarsi nei meandri della tua mente. 

Dean osserva la schiena di Castiel e lo sente scomparire. 

La città è piena di vita, delle lanterne colorate appese ai pali della luce conducono verso il porto, e Dean e Cas si confondono nella folla. Le loro mani si sfiorano più volte, Cas sorride e Dean gli arruffa i capelli.

"Ce l'hai fatta!" Castiel aveva esultato non appena aveva intravisto la figura di Dean nella via buia dietro la clinica. Lo aveva raggiunto velocemente e, nonostante la scarsa luce, lo aveva visto sorridere. 

"Certo che ce l'ho fatta." aveva risposto l'altro, e i due erano rimasti per un breve istante a guardarsi. Castiel si era soffermato a giocherellare con i bottoni della propria camicia e Dean si era grattato il collo, leggermente imbarazzato nel vedere per la prima volta Cas fuori dalle pareti bianche dell'ospedale. 

"Dov'è che si va?" aveva domandato Dean, senza perdere il piccolo sorriso sull'angolo delle labbra e cercando di tenere il tono di voce basso e calmo, per non mostrarsi troppo felice. Ma era una cosa inevitabile, se Castiel se ne stava davanti a lui a guardarlo in quel modo, con quella sua camicia a maniche corte azzurra, la stessa che aveva indossato la prima volta che si erano parlati, che gli evidenziava la pelle chiara -forse più del solito?- e i capelli perennemente spettinati, e ancora quel suo modo di piegare la bocca in un sorriso accennato.

Castiel gli aveva fatto strada, e ora le giostre illuminano i loro visi e le melodie provenienti dai vari tendoni sovrastano il suono delle onde che s'infrangono contro il molo.
Davanti a loro si presenta il tipico paesaggio delle feste estive, pieno di giovani coppie, bambini accompagnati da genitori masochisti, pieno di vita. Le sgargianti luci dei macchinari si riflettono nel mare, e Castiel canticchia tra sé e sé una canzone sui double decker londinesi. Dean non ci fa molto caso. 

Si aggirano insieme per le attrazioni, Dean trascina Castiel verso i tiri al bersaglio, farfugliando su quanto la sua mira sia ottima. Quest'ultimo non fa altro che lamentarsi e roteare gli occhi al cielo, proponendo senza molti risultati di salire su qualche giostra, perché Castiel vuole salire il più alto possibile, Castiel vuole volare.

A fine serata, Dean tiene soddisfatto tra le mani una molla gigante che ha vinto a un tendone, e Castiel è seduto alla fine di una banchina di legno. 

Osserva l'acqua sotto i suoi piedi, facendoli dondolare con un movimento quasi impercettibile, e quando Dean si avvicina, si sposta di poco in modo da fargli spazio. Non dice nulla, Dean è abituato al suo costante silenzio, ma i suoi occhi sono altrove e questa lontananza gli fa torcere qualcosa nello stomaco. 

"Hey," prova a chiamarlo, e Cas solleva subito lo sguardo, sorridendogli debolmente. "Dean." lo chiama, riportando la sua attenzione alle luci che si riflettono sullo specchio d'acqua. 

"Le stelle sono lassù, sai." Dean prova a incitarlo a parlare di più, si guarda intorno e gioca con poca attenzione con la sua molla colorata. "Non ha senso guardare il mare, se lassù c'è un bello spettacolo, non trovi?"
Una voce risuona nella sue testa. Non ha senso deprimersi, se con te c'è Cas, non trovi? 

Castiel mugola affermativo, sbuffa dal naso una piccola risata e alza lo sguardo al cielo, strizzando di poco gli occhi per individuare i piccoli puntini di luce. "Già." dice soltanto.

Dean vorrebbe chiedergli cosa c'è che non va. Vorrebbe sentirlo parlare per ore e ore, conoscere ogni minimo dettaglio della sua vita, perché sa così poco di lui e non è giusto, perché Cas gli fa provare cose che non ha mai immaginato di poter provare, Cas sa cose di lui che nessun altro conosce, perché Dean cerca sempre di cancellare quei punti esclamativi che pullulano dentro di lui ogni volta che Castiel lo guarda, gli sorride o gli rivolge parola, perché non è colpa sua se ora il suo braccio si è avvolto attorno alle sue spalle e può sentire il suo respiro contro il collo. 

"Va tutto bene." mormora Castiel, come se leggesse nei pensieri di Dean, premendo la tempia contro la sua spalla e appoggiandosi pienamente a lui. "Mi manca casa."

"Ti ci porto io. Te lo prometto. Appena uscirò, saremo solo io, te e Baby."

Castiel ride, e Dean fa un sospiro di sollievo. "Non puoi andare fino al Regno Unito in macchina." lo schernisce, socchiudendo gli occhi.

Il Winchester fa una smorfia, accenna una risata a sua volta e solleva una mano, fino a infilarla tra i capelli di Castiel. "Be', allora prenderemo l'aereo." borbotta e l'amico ride ancora più forte. 
"Dean Winchester che prende l'aereo? Non credo accadrà mai nulla del genere."

Torna il silenzio. Dean è occupato ad attorcigliarsi una ciocca di capelli di Cas tra le dita, mentre quest'ultimo dondola i piedi e, con la bocca chiusa, intona la melodia dei bus inglesi di prima. 

Dean volta il capo e, dopo aver esitato, preme le labbra sulla sua fronte, chiudendo gli occhi. Sente Castiel inspirare e le sue mani che si posano timidamente sopra la sua maglia, e non può non sorridere, intenerito dalla sua goffaggine in quanto a relazioni umane. 

Poi accade. Uno strattone alla maglia che Castiel gli ha prestato, e quando china il viso per guardarlo negli occhi, le loro labbra si uniscono in un incontro inaspettato.
Non è nulla di simile ai baci che Dean ha ricevuto prima di quel momento, è dolce, intenso, è una piuma che scorre lungo la sua pelle, è tutto così Castiel

E' breve, casto, a stampo, e quando si staccano, Cas ha le guance arrossate e le stelle negli occhi. Dean pensa che potrebbe abituarsi a vederlo così. 

"Ci è voluto un po' per questo." sussurra il moro, allungando una mano e posandogliela sulla guancia. Con il pollice gli accarezza il labbro inferiore, mordicchiandosi il proprio.

Dean sorride, premendo le labbra contro il suo tocco. "Forse più del previsto." si limita ad aggiungere.


Al ritorno, Dean si ferma davanti la porta del retro per tirare fuori da una tasca la chiave che Cas gli ha dato quel pomeriggio. "Non dovresti averla." lo ammonisce sorridendogli, e il compagno fa spallucce. 

Si appoggia contro il muro e, quando Dean fa per porgergli la chiave, tenendo un piede bloccato sulla porta per non lasciarla richiudere, scuote il capo. "Tienila tu."

Dean indugia un momento, allunga una mano e lo prende per la manica della camicia, attirandolo a sé attento a non spostare il piede. 

"Ci vediamo domani?" chiede, e Dean si sente così stupido perché nella sua voce c'è risentimento e terrore, insicuro se ciò che hanno fatto quella sera, quel piccolo bacio che ha però tolto il fiato ad entrambi, sia stato giusto.

Castiel sorride, inclina leggermente il capo e, per risposta, gli lascia un bacio a fior di labbra. 

"Hey Dean," sussurra prima di indietreggiare nella via ed avviarsi in un posto che non è casa. "C'è una luce che non si spegne mai." 

Quella sera è l'ultima volta che Dean ha l'opportunità di sorridere a Castiel, imprimendosi nella mente la figura del ragazzo con i capelli scombinati, la camicia troppo larga e le stelle negli occhi.

E' come un sogno che non riesci a catturare.

 
 

Dean scrive la prima lettera a Castiel il quinto giorno in cui non si fa vedere. Dove sei? scrive inizialmente, Chiamami, rispondimi. 

Riesce ad ottenere il suo indirizzo dopo aver supplicato una delle infermiere, e quando consegna la lettera per farla imbucare, si dice mentalmente che andrà tutto bene.

A una settimana dall'assenza di Castiel, Dean ha ormai scritto cinque lettere. Continua a passarle allo staff della clinica e cerca di accertarsi che esse vengano spedite. E' ottimista, sta bene, si dice, tornerà, ha solo qualche imprevisto. 

A una settimana e tre giorni, Dean osserva il paesaggio di mare dal tetto dell'edificio. I fogli tremano per il vento di settembre e il ragazzo punzecchia il davanzale in marmo con la penna, un'espressione pensierosa in viso e le sopracciglia aggrottate. 

A due settimane, Dean è arrabbiato. Perché ti nascondi? scrive, Quello che abbiamo fatto non ti va bene? 
Il dottore non sa che fare, le terapie finiscono prima del previsto perché Dean non vuole collaborare, troppo preso dai suoi pensieri per prestare attenzione alle domande che gli vengono fatte. 

A due settimane e cinque giorni, viene mandato nella sua camera dopo essere stato sedato. Da lì iniziano gli incubi. Incendi, spiriti, urla, Porta tuo fratello fuori più veloce che puoi e non guardare indietro.
Le mani tremano e Dean si sforza ancora a scrivere qualcosa. Torna da me. Ho bisogno di te. 

A tre settimane, Dean non ha più idea dove iniziano le sue lettere e finiscono le canzoni che ascolta. Il White Album gira e rigira nella stanza, e forse lui inizia veramente a scrivere semplicemente testi di canzoni. Sono stanco, non ho dormito nemmeno un po'. Sono stanco, la mia mente è fissa su di te. Non scherzo, sto soffrendo. Non riesco a dormire, non riesco a mettere a tacere i miei pensieri. Sono tre settimane. Sto impazzendo. Ti darei tutto ciò che ho per un po' di pace. 

A tre settimane e quattro giorni, Sam viene a fargli visita. Ha portato una crostata e gli parla della sua facoltà di legge, di Jessica e della nuova casa. Lo incita a sbrigarsi ad uscire, perché Bobby si lamenta per la mancanza di qualcuno di competente come Dean al garage, e Baby aspetta solo lui per essere guidata. 
Quella notte Dean non ha incubi. 

A quattro settimane e sei giorni, Dean non ha più spesse occhiaie sotto agli occhi. Prende le medicine che gli vengono offerte e parla con calma con i dottori. La scatola con i francobolli e le buste per le lettere sono abbandonate sotto al letto da cinque giorni. 

A sei settimane, Dean saluta gli altri pazienti con un veloce cenno della mano ed abbraccia la sua famiglia che è venuta a vederlo. La sua Impala è parcheggiata davanti alla clinica, dove un tempo si trovava la Bentley di Castiel. 
Dean non ci fa caso. Alla radio suona I Feel Fine dei Beatles. Dean sembra ricordare qualcosa, ma prima che le sue mani possano acciuffare il sogno che gli sfugge, infila una cassetta dei Led Zeppelin.

A otto settimane, Dean incontra una sua vecchia compagna del liceo, Lisa Braeden, mentre fa la spesa per il suo nuovo appartamento. Si fermano a parlare e, successivamente, escono per un caffè insieme. Dean torna a sorridere. 

A otto settimane e sei giorni, Dean si osserva allo specchietto dell'auto mentre si sistema per l'ennesima volta la giacca. Si tira indietro i capelli e quando Lisa lo saluta con un bacio sulla guancia e gli fa complimenti sulla sua macchina, sente un punto esclamativo dentro al cuore. 

A dodici settimane, Dean conosce Benjamin Braeden e la casa di Lisa è pronta ad accoglierlo ogni volta che gli fa piacere. Le lenzuola sono soffici e il modo in cui la ragazza gli sfiora le mani gli ricorda qualcosa di lontano. Sa dove si trova qualsiasi cosa e mentre cucina la colazione, canta assieme a Ben una canzone i cui non ricorda il titolo. Parla di autobus inglesi. 

A venti settimane, Dean abita con Lisa. Si divide il tempo con il garage e i Braeden, e i fine settimana sono fatti di maratone televisive e, occasionalmente, cene con Sam e Jessica Winchester. 
Dean è felice, anche se sente qualcosa che continua a splendere lontano. Lo sente quando ascolta qualche particolare canzone alla radio e quando alla tv danno qualche vecchio episodio di Doctor Who. 

Sono tutti punti interrogativi. 

 
 

Lisa è uscita a portare Ben a scuola, quando suonano il campanello di casa. 

Dean è seduto in cucina, ripone la tazza di caffè sul tavolo e si appresta a infilarsi la vestaglia grigia, certo che si tratti della fidanzata che ha dimenticato qualcosa. Sorride al pensiero, pronto a prenderla amorevolmente in giro. 

Ma quando apre la porta, davanti a lui c'è un uomo dall'aspetto nervoso. Ha i capelli neri e gli occhi chiari. Quell'abbinamento gli ricorda qualcosa. 
Tra le mani tiene una busta marrone. E' abbastanza grande e, guardandola meglio, Dean nota che dentro vi è presente un vinile.

L'uomo non sa cosa dire. Si schiarisce la voce e si rigira la busta tra le mani. "Mi chiamo Michael Milton," si presenta, e quel cognome fa scattare qualcosa dentro Dean. "Il fratello di Castiel Milton."

Il Winchester non dice nulla, si appoggia contro lo stipite della porta, tenendola socchiusa quel che basta per sporgersi con il viso. E' inevitabile per lui avere una simile reazione dopo aver sentito quel nome, quel nome che ha disperatamente seppellito sotto le macerie di un cuore spezzato. Un cuore spezzato che Lisa ha lentamente rimesso insieme, anche se, evidenetemente, ha tralasciato qualche pezzo.

"Mi dispiace che lei riceva solo ora questa lettera. Me ne prendo tutta la responsabilità. E' stata difficile trovarla, ho dovuto contattare l'ospedale psichiatrico-" Dean storce le labbra nel sentir nominare il luogo, cercando di mettere da parte i brutti ricordi. "Ma finalmente sono riuscito a contattarla. Questa lettera è per lei, l'ho trovata tra le cose di Castiel nel suo vecchio appartamento." 
Il suo modo di parlare è decisamente come quello del fratello. Il modo in cui preme le labbra insieme prima di un discorso, come aggrotta la fronte e la spiccata gestualità.

Dean prende tra le mani la busta. Vorrebbe chiedergli perché Castiel non è lì a parlargli come avrebbe dovuto fare un anno fa, vorrebbe ringhiargli contro di andarsene e lasciarlo in pace, perché Dean ha nascosto con cura quella parte della sua vita, ma Michael ha l'aspetto di uno che non vuole replice e così, com'è venuto, sparisce dietro la staccionata della casa di Dean, lasciandolo solo con la busta tra le mani.

Esita prima di aprire la lettera. 
Si siede con calma sul tavolo di prima e finisce la fetta di pane tostato che aveva lasciato prima di andare a rispondere alla porta. Beve un lungo sorso del proprio caffè e no, non sta morendo dalla voglia di aprire quel maledetto straccio di carta, non ne ha bisogno. 

Contiene un involucro di cartoncino, dov'è riposto un vinile. Dean lo esamina e da esso scivola via un foglio. Riconosce la scrittura di Castiel. 
"Caro Dean,
Quanto tempo ci vuole per innamorarsi? 
Un anno? Un minuto? Uno sguardo? Nel mio caso, forse potrei affermare una risata sul tetto di una clinica psichiatrica. Ma possiamo veramente definire Amore ciò che ci ha uniti per quei scarsi unidici mesi? Era amore? Era unione chimica? Era platonico?
Non faccio altro che riempirmi di punti interrogativi, in questa sala d'ospedale. Lo faccio perché temo il momento in cui le domande si trasformeranno in scuse, e io so bene che non ce ne saranno abbastanza per esprimere ciò che provo in questo momento.
Sai, sono sempre stata una persona ottimista. Sono un ragazzo di fede, dopo tutto. Dio ha deciso un cammino per tutti noi, e anche quando i dottori hanno dato la notizia della mia malattia a me, ho accettato velocemente la cosa. Ho smaltito l'idea di una vita limitata, ho lasciato la mia amata Gran Bretagna in cerca di una cura per tutti gli Stati Uniti. Non posso dire di aver perso la speranza, perché non ne ho mai avuta. Ho semplicemente sempre accettato l'idea di una morte sofferente e prematura. Poi ho incontrato te, Dean Winchester, con la tua perenne espressione burbera stampata sul volto e che non trova mai posto. Che si trova in un manicomio ma che non è un pazzo, ma solo una persona che merita di più. Quel più che io non ho fatto in tempo a darti, quel più che io sarei stato in grado di darti. 
Dean Winchester, l'irritante ragazzo con cui ho voluto passare la mia ultima serata prima della terapia intensiva. L'amabile testardo Dean Winchester, nascondi ancora le pasticche sotto la lingua? Le vedi le persone viola? Dean Winchester, l'infantile ragazzo che mi riempie il cuore di punti esclamativi, che balla i Beatles con me e che mi ha promesso di girare il mondo a bordo di una vecchia auto. Io ci conto ancora. 
Ma cosa posso dire in mia difesa? Non esisteranno mai abbastanza scuse. Perché tu avresti dovuto sapere che ho i giorni contati, avresti dovuto sapere i miei problemi e avresti dovuto capire. Da bravo egoista quale sono, ho nascosto tutto, sono stato zitto e ho lasciato che fosse, ho lasciato che mi affezionassi a te, complicando le cose, perché quando mi sono reso conto di ciò che stava accadendo tra me e te, una mia parte diceva "No. No, Castiel. Non farlo, allontanati immediatamente da lui. Significa solo guai. Farà male", ma poi c'era quell'altra parte che voleva di più, che ti guardava con occhi appartenenti a qualcosa di più di un amico. Improvvisamente non volevo più morire. 
So che ora sarai arrabbiato di me, ti conosco bene, Winchester. Non ho nulla con cui difendermi, e l'unica cosa che posso chiederti è di lasciare perdere, dimenticarsi di quel pazzo sulla collina. Avrei voluto afferrarti forte e trascinarti fuori dalla Perdizione. Avrei voluto fare molte cose, ma ora smettila di stringere i denti ed apriti agli altri, esci da quella clinica e rendi fiero Sam. Rendi fiero me. 
D'altra parte, sono soddisfatto di aver chiuso in bellezza con te. La mia ultima sera è stata la più bella. Come dicevano gli Smiths? "Morire al tuo fianco sarebbe un modo paradisiaco di morire". Sai, molte persone si chiedono come sia fatto il Paradiso. Una teoria spiega che è composto dai ricordi migliori di una persona. Il mio Paradiso, allora, sarà un'eterna serata estiva in tua compagnia. 
Posso dire, finalmente, di essere a corto di parole, proprio io, Castiel James Milton. Ci sono molte cose che ti auguro, e magari potrò vegliare su di te, ora. Ti aspetterò da quassù e mi raccomando, fai il più tardi possibile. 
Per sempre tuo, 
Castiel." 


Quando quel pomeriggio Lisa torna a casa, sente della musica provenire dalla soffitta. E' lì che si trova il vecchio giradischi di suo nonno e, concentrandosi per bene, riconosce la canzone come una degli Smiths.

La canzone dei double decker inglesi e di un amore mai confessato fino alla morte. Dean finalmente ci fa caso e, dopo mesi di rancore, la sente. 
C'è una luce che non si spegne mai.

   
 
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