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Autore: Laylath    01/09/2013    2 recensioni
Nel 1916, ad un anno dalla caduta del regime militare del comandante supremo King Bradley, un nuovo sistema di governo si afferma ad Amestris. Una democrazia che non può accettare figure scomode.
Una decisione presa durante una notte autunnale, in una cella, è l'inizio di dieci giorni in cui la storia viene decisa da sei singole persone.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Prologo. Trovare la pace con se stessi.



Giorno 0.

 
Era in pace con se stesso, o almeno cercava di convincersene. 
Roy Mustang aprì gli occhi neri e fissò il soffitto bianco sopra di lui, illuminato dalla luce perennemente accesa del corridoio della prigione di Central City. Cercò la piccola macchia d’umidità, poco vicino alla parete, che spezzava la monotonia di quella tinta unita e gli parve che negli ultimi giorni fosse aumentata di qualche centimetro.
La sua schiena protestò, emise un lieve gemito e quel suono parve rimbombare nella cella.
La cosa fu quasi sorprendente: il rumore dei prigionieri di giorno era così assordante e continuo che sembrava impossibile avere un attimo di tregua e poter sentire perfettamente un suono così debole.
Emise un altro mormorio, mentre guadagnava la posizione seduta e, ancora una volta, fu il rumore più forte tra quelli presenti nella cella. Sembrava che di notte tutti cercassero di fare il minor rumore possibile, forse per dimenticare dove si trovavano.
Fissò con rassegnazione le sbarre, cercando di indovinare quante persone fossero rinchiuse in quel corridoio: almeno un centinaio di sicuro. Un sovraffollamento inusuale, certo, ma questo significava che non c’era l’intenzione di trattenerli per molto.
In questo la democrazia non si stava dimostrando molto dissimile dalla dittatura che Amestris aveva conosciuto fino a nemmeno un anno prima: eliminare gli elementi che potevano mettere in pericolo il governo. Un procedimento decisamente militare più che democratico, ma forse era necessario.
Effettivamente la nuova amministrazione non si sarebbe potuta considerare stabile fino a quando ci fossero state figure ingombranti e scomode come l’Alchimista di Fuoco. Simbolo di un passato troppo vicino che dunque poteva tornare; personaggi di cui un paese in pieno assestamento non aveva assolutamente bisogno, i militari come lui dovevano sparire, specie quelli che avevano partecipato ad Ishval.
Ecco la scusa, il casus belli con cui giustificare tutte quegli arresti, la maggior parte dei quali si sarebbe trasformata in esecuzioni: quanto era accaduto ad Ishval era una macchia che nessuno avrebbe mai potuto cancellare; dunque perché non usarla a favore del nuovo governo?
Oh certo, sapendo quello che c’era stato dietro quella guerra di sterminio, una persona si sarebbe sentita in dovere di rivedere i fatti sotto una nuova luce.
Ma non era il suo caso.
Aveva ucciso migliaia di persone con la sua alchimia del fuoco: poteva ancora sentire le loro urla, i loro corpi che bruciavano… quel caldo insopportabile che andava a sommarsi al clima desertico. Era stato un mostro che poi gli altri avevano chiamato “eroe”. Ed il peso di quella guerra, ora che la lotta contro gli homunculus era finita, ora che aveva portato la pace nel suo paese, si faceva sentire sempre di più.
Del resto non era quello a cui avevano sempre aspirato lui e Riza?
Un mondo dove non si sarebbe più ripetuto un orrore simile, un paese finalmente giusto, con un Parlamento al posto del Comandante Supremo ed il suo consiglio di generali corrotti dalla promessa dell’immortalità.
Dove l’esercito sarebbe stato presente solo per difendere i confini da nemici terreni e reali.
E se il prezzo da pagare doveva essere la sua condanna… beh, ne valeva la pena.
In fondo cercava l’espiazione dei peccati del passato: avrebbe accettato l’inevitabile condanna a morte con serenità. Era un qualcosa che aveva messo in conto sin da quando aveva deciso di tentare quella folle scalata verso il vertice, con Hughes e Riza a sostenerlo. Alla fine era andata in maniera leggermente diversa da quello che si erano aspettati: homunculus e alchimia erano penetrati nella loro tormentata storia, portandoli a collaborare con persone straordinarie ed inaspettate. Ma il risultato l’avevano ottenuto: una democrazia, un sistema di governo che avrebbe protetto la gente.
Anche Hughes avrebbe capito, ne era certo… non era diventato Comandante Supremo e sarebbe stato presto condannato, ma andava bene così.
 
“Etciù!”
Quel lieve starnuto lo scosse dalle sue riflessioni.
Girandosi verso l’angolo destro della cella, da dove era provenuto quel suono, Mustang vide il sergente Fury raggomitolarsi ancora di più su se stesso, cercando di proteggersi dal freddo di quel pavimento. Quando avevano proceduto all’arresto della sua squadra, in maniera così improvvisa, Fury indossava solo la camicia a maniche corte: quando era impegnato a lavorare alla sua radio tendeva a levarsi la giacca della divisa e così, in quelle notti autunnali, soffriva il freddo in maniera particolare.
Con un sospiro il colonnello si alzò e andò a sedersi accanto al suo sottoposto.
“Ti prenderai un raffreddore, sergente; – mormorò levandosi la giacca e drappeggiandola su quella figura dormiente – devi prenderti maggior cura di te stesso.”
Al contatto di quella stoffa calda sulle braccia scoperte, il ragazzo emise un lieve mormorio e parve calmarsi. Le sue mani si mossero lievemente, alla ricerca di qualche componente di una radio immaginaria: trovarono invece i pantaloni del suo superiore e vi si aggrapparono, come avrebbe fatto un bambino. Notando un lieve rossore intorno agli occhi, dietro le lenti, Mustang capì che il ragazzo aveva pianto anche quella sera.
Quante volte l’aveva fatto in quei giorni di prigionia? Tante, ma ogni volta in maniera silenziosa e quando credeva di non essere visto dai suoi compagni… voleva sempre apparire coraggioso per non far preoccupare gli altri, anche quando era chiaro che se la stava facendo addosso. Aveva tanta paura di morire.
E, oggettivamente, non era giusto che quel ragazzino di ventidue anni, con tutta la vita davanti a sé, venisse condannato, pagando per una colpa che non era sua. L’unica cosa che si poteva rimproverare a quel giovane era di aver seguito fedelmente il suo superiore, sfidando per lui la morte e pericoli che non avrebbe mai dovuto affrontare. La sua colpa era essergli stato leale fino all’ultimo.
E continuava quella prova di lealtà con encomiabile coraggio, nascondendo come poteva paura e lacrime, al contrario di diverse persone, molto più grandi di lui, che stavano in altre celle di quel braccio della prigione.
Posando una mano su quella chioma dai dritti ciuffi neri, Mustang pensò che una sorte simile stava toccando anche ad altre tre persone dentro quella cella.
 
Guardando dal lato opposto rispetto a dove si trovavano lui ed il sergente, vide Havoc e Breda che dormivano schiena contro schiena, come due veri compagni d’armi. Quei due erano amici per la pelle sin dall’Accademia, ma, da quando erano in squadra con lui, Mustang non li aveva mai visti esporsi in una dimostrazione così palese del loro legame fraterno. Perché quelle due schiene che riuscivano ad adattarsi l’una all’altra, nonostante la differenza d’altezza, esprimevano non una necessità fisica per dormire decentemente, ma una sorta di protezione emotiva l’uno per l’altro: un contatto fisico che si permettevano per affrontare, ancora una volta insieme, quell’ultima fatidica prova.
Ad Havoc erano finite le sigarette già da due giorni e la guardia non aveva acconsentito a procurargliene altre: se l’avesse fatto per lui l’avrebbe dovuto fare per decine di altre persone. Ma per il biondo la mancanza del suo rotolo di tabacco era veramente intollerabile, per quanto cercasse di starsene tranquillo. Del resto Havoc aveva parecchio da recriminare su quella situazione: aveva ripreso l’uso delle gambe da poco più di tre mesi, grazie alla pietra filosofale del dottor Marcoh, e l’avevano buttato in quella cella. Che senso aveva riprendere a vivere se tutto doveva finire in breve tempo?
Sì, anche questa era un’ingiustizia.
Havoc borbottò qualcosa mentre un broncio appariva nei bei lineamenti e, quasi automaticamente, Breda si mosse e nel sonno diede una lieve gomitata al fianco dell’amico.
“Smettila…” mormorò il sottotenente rosso; e a quelle parole Havoc si calmò e riprese a dormire.
Due persone complementari come loro non le aveva mai viste. Come facesse Breda, così intelligente e scaltro, ad avere come miglior amico quel biondo fuori di testa era ancora un mistero. Già, Breda… a lui avevano levato il buon cibo, ma non se ne lamentava: ora che Havoc era in crisi d’astinenza era lui che cercava di mantenere la tranquillità in quella cella affollata dall’intera squadra. Lo faceva a modo suo, a volte con discrezione, a volte con qualche battuta, a dimostrazione di quanto fosse capace di gestire la situazione. Era lui che spesso si prendeva cura degli altri, specie di Fury.
Havoc era senza dubbio una personalità più forte, forse il naturale leader dopo Mustang stesso, ma aveva bisogno di Breda a coprirgli le spalle e a consigliarlo… a fornirgli la sicurezza di cui necessitava.
Un braccio ed una mente perfetti. E tra qualche giorno tutto sarebbe finito: perché uno era rimasto ferito da un homunculus e l’altro aveva girato metà paese dietro suo ordine… tutto per il loro superiore.
Mustang spostò la sua attenzione all’altro lato della cella, davanti a lui e Fury: ecco infine Falman, la sua discreta enciclopedia vivente. Così diverso da tutti gli altri soldati… con una memoria prodigiosa ma poco senso dell’azione: a volte sembrava che il maresciallo vivesse in un mondo tutto suo, fatto di nozioni, archivi, dossier. Probabilmente era in quella realtà alternativa che si era rifugiato in quei giorni di prigionia, parlando pochissimo e solo su richiesta; a Fury avevano portato via la radio, ad Havoc le sigarette, a Breda il cibo… ma a Falman non avevano potuto portare via la sua memoria. Ed ora scappava dalla realtà il più possibile, magari ripetendo chissà quale voce sconosciuta dell’enciclopedia: perché più era difficile da ricordare più a lui piaceva. Una personalità sorprendente e allo stesso tempo delicata… eppure Mustang non aveva esitato a metterlo a guardia di Barry the Chopper, certo che se la sarebbe cavata. Perché Falman, nonostante tutto, era estremamente affidabile e indispensabile a lui e alla squadra: persino i silenzi, a volte, potevano costituire un conforto.
Falman: l’uomo che aveva rischiato di perdere nel freddo nord e che, invece, con incredibile lealtà era tornato da lui, sfidando le ire del Generale Armstrong. Chissà come se la cavava quella donna nella sua fredda parete di Briggs, dove il nuovo governo le aveva concesso di tornare assieme ai suoi uomini.
Nonostante tutto, la democrazia non si poteva permettere di scherzare con un vicino così pesante come Drachma.
E Falman avrebbe potuto essere nel nord in quel momento… ed invece era in quella cella a spartire il destino del superiore che avrebbe seguito fino in fondo.
 
No, non era in pace con se stesso e ora sapeva il perché.
C’era una profonda ingiustizia nella condanna che avrebbero subito i suoi uomini. Loro l’avevano sempre seguito perché credevano davvero che lui avrebbe cambiato le cose in meglio: in questa loro speranza non era compresa quella fine così cattiva. Avevano tutto il diritto di vedere Amestris rinnovarsi, continuare a lavorare per realizzare questo sogno.
E tutti loro non avevano preso parte ad Ishval: avevano l’anima pulita sotto quel punto di vista.
Avevano il diritto di vivere.
 
Un lieve cigolio lo fece voltare e vide che il tenente Hawkeye aveva cambiato posizione nella piccola branda dove dormiva. Nella cella c’era solo quel posto per sdraiarsi e tutti avevano insistito che fosse il tenente ad occuparlo.
Roy sospirò: sulla donna non poteva dire niente. Non poteva parlare di ingiustizia per la condanna che avrebbe subito pure lei. Lo portavano nel cuore il peso di tutte quelle morti, forse lei in maniera peggiore… perché aveva visto nel mirino ogni singola persona che aveva ucciso. L’alchimia del fuoco ne aveva certo ammazzato molti di più, ma era un insieme indistinto ed in qualche modo miracolosamente impersonale. Ma per un cecchino come Riza questa grazia non era concessa.
Da quando era iniziata a girare la voce di un loro possibile arresto, la donna si era rifugiata in un silenzio sempre più profondo. Ma non era qualcosa dettato dalla paura: era come se stesse iniziando ad intravedere una luce in fondo ad una galleria. Lei stava aspettando da anni un’espiazione delle sue colpe e sembrava che in quegli ultimi giorni fosse per la prima volta in pace con se stessa.
Ora che dormiva pareva la solita Riza, ma quando era sveglia sembrava di avere a che fare con una creatura eterea. I suoi uomini erano molto preoccupati per questa calma così surreale: il tenente che conoscevano avrebbe cercato in tutti i modi di portarli fuori da lì e, in ogni caso, non avrebbe mai avuto un atteggiamento simile. Tuttavia, dopo qualche giorno, erano arrivati ad accettare e rispettare quel volontario isolamento… ma solo Roy poteva capirlo. Quello che avevano passato insieme lo rendeva perfettamente consapevole che la ragazza portava dentro di sé il peso di tanti peccati, volontari e non.
Non era bastato bruciare in parte il tatuaggio sulla sua schiena, cancellando per sempre i segreti dell’alchimia del fuoco: il senso di colpa per avergli permesso di conoscere il segreto di quella ricerca non sarebbe sparito. I bei sogni che aveva condiviso con lei davanti alla tomba del maestro Hawkeye l’avevano in qualche modo traviata, certo, ma la volontarietà della maggior parte delle azioni che aveva compiuto in seguito era innegabile.
No, per lei non avrebbe potuto fare niente, anche perché non gliel’avrebbe mai permesso.
 
Fury si mosse lievemente, accentuando la presa sui pantaloni del colonnello.
“E’… è il microfono…” balbettò.
Persino nei suoi sogni quel ragazzo non riusciva a fare a meno della sua amata radio…un pensiero che riuscì a far sorridere Mustang.
Fu in quel preciso momento che prese una decisione.
Ho ancora un dovere da compiere nei confronti di queste persone.

 



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NdA.
Premetto che questa sarà l'unica nota che metterò, perché non credo ci saranno bisogno di spiegazioni nei capitoli successivi.
L'idea di questa ff nasce dopo che ho letto il racconto di Finn_the_raccoon "Democrazia sanguinaria". What if...? di quel tipo ne avevo letto anche altre, ma quella mi ha colpito in maniera davvero particolare (quindi Finn, ti ringrazio profondamente per averla scritta). 
Tuttavia la mia ff, per quanto nasca in uno scenario che molti hanno ipotizzato, specie per Riza e Roy, con me prenderà una direzione diversa. Già dal prologo potete capire come parta da un momento differente i soliti inizi.
Per il resto, che l'altra ff che sto scrivendo mi perdoni, ma dovrà condividere la mia attenzione con questa... che mi stava chiedendo prepotentemente di uscire.
  
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