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Autore: andromedashepard    01/09/2013    9 recensioni
"Si gettò fra le sue braccia in uno slancio doloroso, trattenendo a forza nuove lacrime. Anche per quel giorno, Andromeda aveva esaurito il suo tempo, e l’amore doveva lasciare spazio a qualcosa che, avrebbero detto, era un bene di gran lunga superiore: la sopravvivenza dell’intera Galassia. Ma lei che ne avrebbe fatto di una vita senza di lui? Non lo sapeva, e non voleva saperlo."
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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Forever
 

 
Take comfort in my skin
Endlessly
Surrender to my will
Forever and ever

 
 
Quella notte sarebbe stata l’ultima, ma lei non lo sapeva.
Era rimasta imbottigliata nel traffico per almeno un’ora, colpendo di tanto in tanto il volante dell’auto col palmo della mano, mentre l’autoradio in sottofondo trasmetteva le ultime notizie. La Cittadella sembrava più disordinata, quella notte, e l’Huerta Memorial Hospital più lontano del solito. Quando finalmente arrivò, scese dall’auto e si guardò brevemente in uno degli specchietti, ravviandosi un ciuffo ribelle di capelli che le ricadeva sugli occhi. Poi decise di entrare, lisciandosi le pieghe della camicetta sull'addome.
La saletta d’ingresso del reparto era piuttosto silenziosa, piccoli gruppi di persone parlottavano distanti, davanti alle vetrate che si affacciavano sulla città. Alcuni di essi erano rifugiati di guerra, altri militari, altri ancora cari in attesa di ricevere notizie dei loro parenti. Shepard si avviò verso il bancone dell’accoglienza, stampandosi un’espressione dispiaciuta sul volto. Sapeva di aver superato enormemente l’orario delle visite, ancora una volta, ma confidava nell’infinita benevolenza dell’infermiera.
“Comandante, temevo che non sarebbe più venuta. Oggi è tardi persino per i suoi standard”, la salutò Vera, un’Asari dagli occhi vispi e allegri e dai modi di fare gentili, un’autentica rarità di quei tempi.
“Mi perdoni Vera, ma davvero, non sono riuscita a liberarmi prima”, rispose Shepard, appoggiandosi al bancone con entrambe le mani, stanca.
“Mmm… non lo metto in dubbio, ma posso sperare che un giorno finirà di abusare della mia pazienza?”, sorrise l’altra bonariamente, lasciando per un attimo la sua postazione, così da poter chiacchierare con lei in modo più riservato.
“A proposito…”, fece Shepard, mordendosi un labbro.
“Oh no, oh no, Comandante. Quello sguardo non mi piace proprio per niente”, disse, scuotendo il capo.
“Un’ultima volta, solo un’ultima volta…”, la supplicò Shepard sorridendo, in tono lamentevole.
“L’ultima volta c’è già stata, ricorda? E non è finita molto bene”.
Shepard rise imbarazzata, ripensando a quell’occasione, e non riuscì ad impedirsi di arrossire. “Stavolta è diverso, ho in mente qualcosa di meno… azzardato”.
“Sentiamo”, rispose l’infermiera, con divertito scetticismo.
“Mettiamola così, Vera…”, iniziò lei, riacquistando un briciolo di determinazione, “cosa farebbe se uno Spettro in carne ed ossa si presentasse qui all’Huerta con l’intenzione di, emh… diciamo prelevare un vostro paziente perché… umh… per questioni di pubblica sicurezza?”, chiese, imitando un’espressione perplessa.
“Immagino che dovrei consentirglielo”, rispose Vera, accigliandosi.
“Proprio quello che volevo sentire!”, esclamò allora Shepard, esibendo un sorriso a trentadue denti. Diede una leggera pacca sulla spalla dell’Asari e corse via in direzione del corridoio di fronte, lasciando l’infermiera a sbraitare dietro di lei, invano.
 
 
Camera numero nove. Shepard si fermò, la mano a mezz’aria, pronta per bussare… c’era qualcosa di diverso quella sera, era tutto molto silenzioso, più del solito. Decise di entrare semplicemente, non voleva svegliarlo bruscamente nel caso stesse dormendo. La stanza era illuminata flebilmente solo dalle luci della città che filtravano attraverso uno spiraglio fra due tende, proiettando un sottile cono luminoso sul pavimento, lasciando il resto nel buio più totale. Lei trattenne il respiro e richiuse piano la porta, facendo per attivare il factotum con un braccio. L’attimo dopo, quello stesso braccio fu immobilizzato improvvisamente e lei sorrise, nell’oscurità. Due mani la presero dolcemente per i fianchi, facendola voltare.
“Sei venuta…”
“Mantengo sempre le mie promesse, signor Krios”, rispose lei scherzosamente, rabbrividendo al suono della sua voce. Accarezzò il suo viso, mentre lui affondava le mani nei suoi capelli.
“Mi manchi terribilmente, ogni volta sempre di più”, aggiunse poi, cercando le sue labbra.
“Anche tu, Siha… vorrei…”
“Shhh”, lo interruppe, poggiando un indice sulla sua bocca, sostituito in fretta da un bacio. “Te la senti di uscire stasera? Anche solo per un po’?”, domandò subito dopo, con entusiasmo. Non voleva restare in quel posto un secondo di più.
“Non devi neanche chiederlo”, rispose lui, intrecciando le dita ai suoi capelli, cercando i suoi occhi chiari nel buio, respirando il suo profumo come se non avesse voluto perdersi nessun dettaglio di quell’incontro tanto a lungo desiderato.
“Allora andiamo, seguimi”.
 
 
“Ho bisogno che tu faccia una cosa per me”.
Erano appena entrati in auto e lei si era voltata a guardarlo con un’espressione furba e allo stesso tempo imbarazzata.
“Quello che vuoi”, rispose lui, sorridendole dolcemente.
“Metti questo. Legalo intorno agli occhi e non sbirciare”.
Thane prese il pezzo di stoffa tra le mani, esaminandolo brevemente. “E’… una garza medica?”
“Dettagli…”, gesticolò lei, “e poi non sapevo che altro prendere”, rise, esortandolo a fare come chiesto con un cenno della mano. Thane obbedì, legandosi il fazzoletto di stoffa intorno al capo.
“Quante sono queste?”, chiese Shepard, aprendo entrambi i palmi delle mani a due centimetri dalla sua faccia.
“Non lo so”, fu l’ovvia risposta di Thane, che sorrise rassegnato.
“Perfetto allora”.
Shepard mise in moto e iniziò a guidare con prudenza inusuale. Di tanto in tanto si volgeva a guardarlo, per controllare che non stesse provando a sbirciare, e allungava una mano per accarezzargli un braccio. Gli era mancato straordinariamente nelle ultime due settimane e ogni momento passato insieme a lui aveva acquisito per lei un valore inestimabile. Quasi faceva fatica a credere che fosse così malato, che stesse morendo, quando i suoi occhi erano l’essenza della vita. Si sentì per un attimo in colpa di averglieli fatti nascondere… avrebbe voluto voltarsi e incontrare il suo sguardo, ma d’altra parte si trattava solo di una precauzione momentanea; avrebbe resistito.
Il tragitto fu piuttosto breve e quando Shepard parcheggiò, sentì una scarica d’adrenalina percorrerle il corpo. Non riusciva a credere di essere riuscita nel suo scopo, non vedeva l’ora di catturare la sua espressione nell’istante in cui l’avesse liberato dalla benda. Lo prese per mano, facendolo scendere dall’abitacolo, e lo condusse fin dove era possibile, poi si tolse le scarpe, abbandonandole lì vicino.
“Sai, a volte preferirei che tu indossassi qualcos’altro, oltre a questa terribile calzamaglia”, scherzò, circondando la sua vita con un braccio.
“Non credevo fosse un problema per te”, rispose Thane divertito. Sapeva perfettamente che lei non avesse nulla in contrario al suo abbigliamento, ed in effetti gliel’aveva fatto notare più volte, con eloquenti occhiate fameliche e commenti d’approvazione a proposito dell’eccessiva aderenza di quel tessuto alla sua pelle.
“Non lo è infatti, ma in situazioni come questa sarebbe più comodo potersi almeno togliere le scarpe”.
“Perché? Dove siamo, Siha?”, domandò lui, finalmente incuriosito.
“Vieni, non manca molto”.
Percorsero una lunga pedana, tenendosi per mano, fin quando questa non sprofondò nella sabbia, poi lei si decise a liberarlo dalla benda.
Thane sbatté le palpebre un paio di volte, mettendo a fuoco la vista. Una lunga distesa d’acqua, nera come il petrolio, si apriva di fronte a loro. Sopra, i bracci della Cittadella si schiudevano come i petali di un fiore e tutt’intorno c’era sabbia morbida, finissima. Poi notò altri particolari meno evidenti… una serie di sdraio luccicanti a riva, un filare di palme altissime, una cupola abilmente occultata che inglobava quel singolare lembo di terra, un cartello che vietava espressamente l’ingresso dopo un certo orario.
“Shepard…”, disse. Nella sua voce un misto di sorpresa, felicità e rimprovero insieme.
Lei si limitò a sorridergli, tenendolo per mano. “E’ la cosa più vicina ad un deserto che ho trovato. Se non altro c’è la sabbia… E poi non ero mai stata in questa zona della Cittadella. Sembra che stia per precipitarti addosso, non è vero? L'ho trovato... interessante. Ma se vuoi possiamo tornare indietro, pensavo potesse…”
Stavolta fu lui a zittirla, prendendo il suo viso tra le mani, chinandosi a baciare dolcemente le sue labbra.
“E’ perfetto”.
“Sei sicuro? Voglio dire… mi sono assicurata che la temperatura e l’umidità fossero abb…”
“E’ perfetto”, ribadì lui, contro la sua bocca. La strinse a sé, continuando ad osservare con lo sguardo la lunga distesa d’acqua. Su Kajhe non c’erano spiagge, su Rakhana non c’erano molti mari… ma questo piccolo lembo di terra artificiale sembrava l’unione di due mondi, dei suoi due mondi. Si sentì a casa, ed inspirò profondamente, tanto quanto i suoi polmoni consentivano.
 
 
“Sediamoci, ti va?”
Thane annuì, notando che lei aveva portato con sé una coperta. Se non si fosse notato che Shepard era un militare, quel simbolo dell’Alleanza sulla stoffa ruvida l’avrebbe svelato. Lei trovò spazio in mezzo alle sue gambe, protetta dalle sue braccia. Reclinò la testa all’indietro, sulla sua spalla, socchiudendo gli occhi. Avrebbe dato qualunque cosa per un momento come quello nei mesi passati, quando lui le sembrava troppo lontano, troppo distante anche solo per continuare ad avere fiducia. Fiducia nella Galassia, fiducia nell'esito della guerra, fiducia nella sua stessa vita. Ora, invece, le era quasi impossibile credere che l’Universo in cui viveva stava per essere distrutto, adesso che la persona più importante del suo, di mondo, era con lei a proteggerla, a rassicurarla.
“Come vanno le cose sulla Normandy?”, le domandò lui con dolcezza.
“Più o meno come dicono i notiziari…”, sospirò, “il morale non è esattamente alle stelle, ma abbiamo una speranza, seppur minima”.
“Vorrei fare di più per te, vorrei essere al tuo fianco”, confessò lui, stringendola maggiormente.
Lei scosse la testa. “Devi occuparti di Kolyat… e soprattutto devi occuparti di te, in questo momento. Non ti chiederei mai di seguirmi”.
“Non dovresti chiedermelo”.
“Allora te lo impedirei”.
“Non ci riusciresti”.
Shepard sbuffò, sorridendo. “Non importa… se tu fossi sulla Normandy, non saprei dove andare quando voglio stare lontana da… beh, dalla Normandy. Non avrei mai momenti come questo”, disse, chinandosi a raccogliere un mucchietto di sabbia per giocarci con le dita.
Era uno di quei giorni in cui si sentiva ottimista, uno di quei giorni in cui riusciva a non pensare alla sua morte come qualcosa di possibile e imminente. Restò in silenzio, ascoltando il suo respiro regolare, come ormai raramente capitava, quel respiro che sembrava avere lo stesso ritmo dell’acqua di fronte a loro. Accarezzava lentamente la sabbia, come le sue mani accarezzavano i suoi capelli, si alzava e si abbassava come il suo petto, cullandola in un abbraccio confortante.
“Mi pensi spesso?”, gli domandò lei, scioccamente, dopo un lungo e pacifico silenzio.
“Spesso? Quantifica spesso”.
“Diciamo… dieci volte in un giorno?”
“No, assolutamente no”, sorrise lui.
“Quanto?”
“Più o meno sempre”, rispose lui, in un sussurro, sfiorandole un orecchio con le labbra.
“Ti capita… ti capita mai di ricordare i nostri momenti insieme, intendo… uno di quei ricordi?”
“Dovresti chiedermi quando non mi capita, Siha”, rise lui piano e lei fece lo stesso, voltandosi a guardarlo.
“Vorrei poterlo fare anche io”.
“Puoi fare di meglio”, rispose lui, sciogliendo l'abbraccio. Le accarezzò una guancia, poi la spinse piano, adagiandola sulla coperta. “Creare nuovi ricordi è meglio che continuare a rivivere quelli passati, non trovi?”
Lei trattenne il respiro, perdendosi nei suoi occhi, percorrendo con lo sguardo il contorno delle sue labbra. Sorrise, accarezzando il suo collo con una mano, mentre lui si chinava abbastanza da sfiorare la punta del naso col suo. Il suo odore, il suo profumo… avrebbe fatto qualunque cosa pur di avere la certezza di non dimenticarlo mai. Chiuse gli occhi e si abbandonò ai suoi baci, alle sue mani, ai suoi respiri che danzavano sulla sua pelle, liberando la mente da tutto il resto che non fosse Thane.
 
 
Reflecting endless light
Relentlessly
I have embraced the flame
Forever and ever

 
 
Un bottone dopo l'altro, febbrilmente, era riuscito a spogliarla della sua camicetta. Sotto le sue labbra c’erano cicatrici che più nessuno avrebbe visto, sotto le sue dita il corpo di lei tremava, scosso dai brividi. Se avesse aperto gli occhi, sarebbe riuscita a vedere sopra di sé uno spettacolo emozionante... le braccia della Cittadella si spalancavano in un turbinio di colori, immense. Ma il vero spettacolo era appena più in basso, e lei non riusciva a staccare gli occhi dai suoi. Poteva vedere le sue iridi così chiaramente, riusciva a percepire il suo desiderio, il bisogno che lui aveva di lei, quel bisogno che troppo spesso aveva cercato di sopprimere... inconsapevole che anche per lei fosse lo stesso. Quando le sue mani trovarono anche il gancio del suo reggiseno, lei riacquistò per un attimo un briciolo di lucidità e lo allontanò delicatamente. "Sei sicuro?", gli domandò, ignorando il ritmo del suo cuore che batteva troppo forte.
"Potrei impazzire altrimenti", rispose lui in un sussurro. Tanto le bastò per volerci pensare da sola, e un attimo dopo anche l'altro indumento aveva raggiunto la camicetta sulla sabbia, insieme alle ultime briciole di sanità mentale.
"Lo sai, non voglio... non voglio vederti star male", riprovò lei, impegnata per metà non perdersi neppure un bacio, una carezza, per l’altra metà ad assicurarsi che lui stesse bene. Nonostante lui sapesse perfettamente come distrarla, lei non riusciva a scacciare totalmente quel pensiero.
"Non dire nulla... ti prego", gemette lui. Le sue mani erano disperate sul suo corpo, le sue labbra affamate... non l'aveva mai visto così.
La sollevò, facendola sedere sulle sue gambe. Lei intrecciò le braccia intorno al suo collo e lasciò semplicemente che lui facesse di lei ciò che voleva. Era strano, quella notte… era strano eppure bellissimo.
Ma se non l’avesse visto così chiaramente davanti a sé, avrebbe stentato di credere che fosse lui. Dov’era finita la sua pazienza, i suoi gesti morbidi, lenti, quel suo modo di fare unico e così caratteristico che riusciva a fondere alla perfezione il desiderio che provava per lei e quello di ritardare il più possibile la loro separazione? Non l’aveva guardata spesso come era solito fare, si era limitato a fiondarsi su di lei come per appagare un bisogno istintivo che non lasciava scampo.
Voleva fermarlo, voleva chiedergli cosa fosse cambiato, perché stesse fuggendo dai suoi occhi, perché fosse così impaziente di scavare dentro di lei, di seppellirsi dentro di lei… se solo non fosse stato così difficile. Provò ad allontanarsi dal suo viso, provò a cercare il suo sguardo, ma lui si fiondò sul suo collo, imprimendo le dita nella sua schiena morbida.
“Thane…”
Non rispose, e lei chiuse nuovamente gli occhi, reclinando la testa all’indietro. Quando lui si distanziò appena, nell’intento di togliersi la giacca, lei finalmente lo fermò e lo costrinse a guardarla. “Che ti prende?”
Lui rifiutò nuovamente di rispondere, lanciando via la sua giacca, abbassando la zip appena sotto fino alla vita. Il contatto istantaneo del suo corpo contro il suo la rapì completamente, facendole dimenticare per un attimo la questione in sospeso. Ma non era qualcosa che avrebbe cancellato così facilmente, non quando ogni incontro può essere l’ultimo, non quando ogni ricordo ha il peso di un macigno.
“Fermati”, gli disse, prendendogli il volto tra le mani. Nei suoi occhi, una luce mai vista.
Lui abbassò lo sguardo, cambiando repentinamente espressione.
“Dimmi cosa c’è che non va”, insistette lei.
“Non c’è niente che non va, Siha”.
“Allora perché?”
“Perché cosa?”
“Perché tutta questa fretta… mi hai sempre rimproverata di non avere pazienza e adesso… non capisco. C’è qualcosa di diverso in te”, parlò piano, con dolcezza, per paura di rovinare quel momento.
“Non lo so…”, rispose lui, cercando inutilmente le parole più adatte in quella distesa nera davanti a sé.
“Anche se fossimo semplicemente rimasti a parlare sul tuo letto, io non avrei chiesto di più”, continuò lei, piegando la testa da un lato. Lui continuò a non guardarla. Recuperò invece la sua giacca, posandogliela sulle spalle… nonostante i tentativi di evitare il contatto visivo con lei, non gli era sfuggita la sua pelle d’oca.
“Mi sento straordinariamente bene oggi”, disse poi, d’un tratto. A discapito delle parole appena pronunciate, il suo tono di voce era spento, malinconico.
Shepard sgranò gli occhi.
“Non mi capitava da tempo di sentirmi così. Non un attacco di tosse, non un capogiro, neppure la solita nausea…”
Lei sorrise, aggrappandosi ad una speranza destinata a durare poco.
“No, Siha… non è come credi”.
“Allora spiegami”.
Dra’fahi ri lahasi”.
“Che vuol dire?”
“La calma prima della tempesta”.
Shepard capì quello che intendeva e nuovi brividi si sommarono a quelli che già scuotevano il suo corpo. Si strinse a lui, finchè ogni centimetro di pelle non combaciò con ogni centimetro della sua.
“Lo sappiamo bene, Thane… lo sappiamo bene che per gente come noi ogni giorno può essere l’ultimo. Potrei andarmene domani per un colpo di proiettile, nessuno può prevederlo”, disse lei, facendogli storcere il naso. “Ma se c’è una cosa che possiamo controllare, sono le nostre azioni nel presente…”
Stavolta lui si voltò a guardarla davvero, colpito da quelle parole tanto sagge quanto lontane dalla sua natura impetuosa. Era cambiata da quando stavano insieme, era cresciuta molto, aveva imparato a controllare meglio le emozioni e persino la paura, ancor più di quanto la vita le avesse precedentemente insegnato. Non poteva deluderla, non adesso. E non l’avrebbe fatto.
“Perdonami”, le disse, portandole i capelli dietro alle orecchie. “Hai ragione”.
Un timido sorriso nacque sulle sue labbra e lei non osò cancellarlo con un bacio, limitandosi a stringere le braccia intorno al suo corpo.
 
Shepard sapeva perfettamente che non avessero poi molta scelta. Aveva avuto tanto, troppo tempo per pensare a come sarebbero andate le cose fra di loro, arrivando alla conclusione che avrebbero potuto farsi trasportare dalla paura e dall’angoscia, o limitare quei momenti ad attimi di silenziosa e solitaria riflessione, senza appesantire qualcosa che già di per sé, era un fardello immenso. Molto spesso si era ritrovata a piangere fra le quattro mura della sua cabina, incapace di fermare quelle lacrime che spontanee lasciavano i suoi occhi al solo pensiero di una vita senza di lui, e ogni volta si riprometteva di scacciare quel senso d’impotenza, pensando al modo migliore di passare la prossima volta che si sarebbero incontrati. Si era fatta prendere dall’ansia in più occasioni, quando per mancanza di tempo non era riuscita a pianificare niente di speciale e in quei pochi minuti alla guida dalla Normandy all’Huerta aveva fatto mille telefonate, cercando di prenotare un tavolo per due in qualche ristorante ricercato, o una camera d’albergo, anche solo per passare un paio d’ore lontano da quel maledetto ospedale. Il più delle volte avevano finito per esaurire il tempo a loro disposizione proprio in quella camera numero nove. Lei sbuffava al momento di doversene andare, mortificata, lui rideva e le diceva che non era mai stato meglio e che non avrebbe chiesto di più. Un paio di volte le era capitato di restare ferma, in quel corridoio, e di sentirlo tossire come se fino a quel momento avesse trattenuto tutto il suo malessere. Si era impedita dal tornare indietro e offrirgli il suo aiuto, la sua comprensione, sapendo che lui non l’avrebbe sopportato. Era dolorosamente consapevole dei suoi sforzi per tenerla all’oscuro il più possibile delle sue condizioni, come quando stava troppo male anche solo per vederla e pregava le infermiere di mentire. “Il signor Krios è con suo figlio, Comandante”, si era sentita dire una volta, appena dopo aver offerto il pranzo a Kolyat. Non gliel’aveva mai rinfacciato, sapendo bene quanto gli costasse. Avrebbe voluto fare di più, certo, ma rispettava i suoi desideri dal profondo, consapevole che anche lei avrebbe fatto lo stesso.
 
“Ehi”, Thane le sollevò il mento, sfiorandolo appena, “voi umani non avrete certo la nostra stessa capacità di ricordare, ma potrei affermare il contrario quando ti vedo così assorta nei tuoi pensieri”.
Shepard alzò lo sguardo, lui sorrideva ancora. Nulla era cambiato, erano ancora stretti in un abbraccio, quel mare artificiale lambiva la riva con una dolce cantilena, la Cittadella era ancora intorno a loro, silenziosa e romantica come mai lo era stata… eppure lei era riuscita a farsi sopraffare dall’incertezza del futuro, da un’esplosione di pensieri che lui, inconsapevolmente, aveva innescato.
“Sono ancora qui”, le disse lui, accarezzandole una guancia, “e non voglio rinunciare a tutto questo per niente al mondo”, aggiunse, abbracciando con lo sguardo ciò che era intorno a loro.
“Neanche io”, rispose lei, poggiando le labbra sulle sue. Quel semplice contatto le bastò per dimenticare in fretta tutto il resto.
Le loro lingue fecero l'amore prima ancora che le loro mani si decidessero a riprendere da dove avevano lasciato. Stavolta non ci fu fretta nei suoi gesti, non ci fu impazienza. La spogliò lentamente, senza perdersi neppure un riflesso che le luci proiettavano su quel corpo morbido, fragile, eppure eccezionalmente forte. Lei fece lo stesso con lui, dedicandosi con devozione ad ogni dettaglio del suo corpo che fin dall'inizio l'aveva resa completamente pazza di lui. Lo sfregare ruvido della coperta sulla sua schiena, il rumore della risacca, il frastuono delle astroauto che solcavano i cieli in lontananza... era sparito tutto. C'erano solo le sue mani, le sue labbra, la sua pelle contro la sua, il suo respiro, i loro cuori insieme, che battevano all'unisono, come la prima volta che le loro bocche si erano sfiorate, trovandosi complementari nella magia di quel momento.
"Sei bellissima", le disse, il respiro spezzato, gli occhi incatenati ai suoi. Lei trattenne un gemito in risposta alle sue dita che sfioravano i punti giusti, con lentezza disarmante. Sorrise, facendo scivolare le labbra lungo il suo collo... un gesto che, lo sapeva, le avrebbe permesso di ottenere più in fretta ciò che voleva, così disperatamente adesso. Lui mormorò qualcosa al suo orecchio, lei percepì chiaramente una vibrazione nel suo petto, un suono che il suo udito da umana non avrebbe mai percepito.
"Ti prego", lo implorò al limite della sopportazione. Lui sorrise maliziosamente.
"Ecco la mia Siha", sussurrò, guidandola su di sè a cavalcioni, con un’eleganza che la lasciava sempre senza parole.
"Non é colpa mia se tu... se tu..." Non riuscì a terminare quella frase con coerenza, sovrastata dagli effetti che lui aveva su di lei, sul suo corpo. Non c'era una singola parte di lei che non cercasse un contatto, l'unione. Strinse i denti, cercando di resistere a quel caos di sensazioni che avevano preso il sopravvento. Si concentrò sui suoi occhi, mentre il suo cuore batteva all'impazzata. Tutto ciò che avrebbe mai voluto sapere, tutto ciò che avrebbe voluto ricordare per sempre era contenuto nel fondo di quegli occhi di ossidiana... una verità troppo bella da far male, dannatamente male.
 
Una volta lui le aveva spiegato cosa provasse quando stava con lei, nell'istante in cui i loro corpi troppo diversi riuscivano a fondersi insieme, a comprendersi, a creare un equilibrio destinato poi ad esplodere in un milione di sensazioni indescrivibili. "Perdersi nell'altro", le aveva detto. Una condizione fisica e psicologica difficile da spiegare a parole, soprattutto a qualcuno di una specie diversa... eppure lei, quella notte, non avrebbe esitato un attimo ad affermare che aveva sentito lo stesso. Ci fu un istante, un singolo istante in cui lei si sentì parte di lui e parte dell'universo insieme. Un universo le cui regole si basano su concetti di perfezione, eternità, infinito. Avvolta in aura blu, ogni suo atomo si fuse con quell'infinito... l'esplosione di una supernova che si espande e poi collassa, inglobando dentro di sé il cosmo, con la sua gamma infinita di colori. Quel cosmo che, lo avrebbe giurato, era anche nei suoi occhi, decisi a non perdersi neppure un attimo di quello spettacolo... il mistero e l'essenza della vita insieme. E come dopo aver partecipato ad una rivelazione troppo difficile da credere, si lasciò collassare su se stessa, fra le sue braccia, chiudendo gli occhi, sentendo il proprio corpo tremare, percorso da qualcosa di simile ad un’infinità di dolcissime scosse elettriche.
 
 
 
Non si era accorta delle lacrime che rigavano il suo volto, copiose, finchè le mani di lui non le asciugarono con dolcezza dalle sue guance. Solo allora riuscì a sentirsi in colpa per aver permesso che lui la vedesse cosi debole, cosi maledettamente fragile e umana.
“Scusami”, disse piano, in un soffio, mentre tentava di mascherare l’imbarazzo con un sorriso.
“Non scusarti, Siha... non sei più il mio comandante, non devi dimostrarmi nulla. Cosa sarei per te se tu non ti sentissi libera di essere te stessa al mio fianco?”
In effetti, questo non poteva negarlo, lui era l’unica persona della sua vita, ormai, a non trovarsi in una posizione di subordinazione o superiorità nei suoi confronti. Insieme potevano semplicemente essere due individui diversi eppure talmente simili da incastrarsi alla perfezione, senza dover sottostare ad odiose regole. Da quanto non si era sentita cosi libera di essere se stessa in presenza di qualcuno?
“E’ solo che... non so... sono così abituata all’idea di dover essere forte che mi sento sempre in dovere di provarci, anche e soprattutto con te”.
“Sarai forte quando il destino lo richiederà”. Amava che usasse con lei questa parola, destino, traducendo ciò in cui credeva lui in quello che si avvicinava meglio a lei. “Per adesso, qui... lontano dalla Normandy e dalla guerra, lascia che sia io a prendermi cura di te”, continuò, stringendola forte tra le braccia.
“Io... Thane, ti amo”, rispose lei, lasciando che un altra lacrima si facesse strada lungo una guancia.
Lui affondò il volto nei suoi capelli, respirando a fondo. “Ti amo anche io”.
“Vorrei non dovessi mai lasciarmi”, le sue labbra tremavano, il cuore le faceva un male cane.
“Non ti lascerò mai... anche quando non potrò essere fisicamente al tuo fianco, io ci sarò”. La sicurezza con la quale pronunciò quella frase la fece sorridere debolmente. Come in un paradosso, era lui la sua roccia adesso, alla quale lei tentava disperatamente di aggrapparsi.
“Come faccio a sapere che è vero?”
“Perché lo sai bene che due anime che si amano non possono restare lontane troppo a lungo. Mi troverai, Siha... te lo prometto”.
“Ti cercherò...”.

 
I will scream The Word
Jump into the void
I will guide the world
Up to heaven


 
Le luci artificiali della Cittadella, insieme a quel suo cielo finto e meraviglioso, indicavano che la notte stava per lasciare il posto all’alba. Avevano passato le poche ore a loro disposizione in quel posto surreale, alternando momenti di dolcezza a momenti che sfioravano l’oblio, finchè non si sentirono troppo esausti e troppo colpevoli per rimandare ad oltranza la loro separazione. Il traffico della sera prima era sparito e stavolta il tragitto sembrò troppo breve. Quando arrivarono all’Huerta e varcarono la soglia del suo reparto, a lei parve di perdere un battito. Lo stava lasciando di nuovo, stavolta per chissà quanto tempo. Averlo visto così in salute, come non le capitava da tempo, era qualcosa in cui non avrebbe mai sperato, qualcosa che la faceva stare meglio… ma le sue parole, quelle non riusciva a dimenticarle. La calma prima della tempesta. Perché non credere in un miracolo? Perché, per una volta, l’Universo non avrebbe potuto cospirare per loro, anziché contro di loro?
Si gettò fra le sue braccia in uno slancio doloroso, trattenendo a forza nuove lacrime. Anche per quel giorno, Andromeda aveva esaurito il suo tempo, e l’amore doveva lasciare spazio a qualcosa che, avrebbero detto, era un bene di gran lunga superiore: la sopravvivenza dell’intera Galassia. Ma lei che ne avrebbe fatto di una vita senza di lui? Non lo sapeva, e non voleva saperlo.
Si baciarono a lungo, come se potessero scambiarsi l’anima, come se potessero donarsi a vicenda un pezzo di cuore. Poi si costrinsero a staccarsi, esitando, con l’ultimo briciolo di forza, a lasciare le proprie mani, a tornare ad essere due individui separati, distanti.
“Addio, Siha”.
Lei stavolta non lo rimproverò. Odiava sentirgli dire quella parola, odiava la sicurezza con cui lui si aspettava di andarsene, da un giorno all’altro, senza averla salutata, ma quel giorno decise di accettarle quelle due parole, sperando in cuor suo che l’avrebbe presto smentito.
“Ci rivedremo presto, Thane”, sorrise. Poi si voltò, raggiungendo la propria astroauto a passo svelto, mentre lottava contro il terribile desiderio di urlare.
 
Nessuno dei due sapeva che, appena l’indomani, le loro vite si sarebbero divise per sempre.



 


 

Ahèm. Per questa one-shot è da incolpare Johnee. No, non per la scrittura (povera, non ti accuserei mai di questo scempio u.u)... quella sono io con i miei FEELS da vacanza, ma se non fosse per lei, io non l'avrei mai pubblicata. Anzi, ancora adesso vorrei sotterrarmi quindi boh, ignoratemi. (Grazie per il tuo supporto, non so come farei).
La voglio dedicare all'unica persona che penso condivida i miei stessi sentimenti quando si parla di Shepard e Thane, Altariah. Ecco, questa è la famosa cosa di cui ti parlavo tipregodammiunavangadevoscavarmilafossa.


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