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Autore: _Li_    01/09/2013    3 recensioni
"Villionaire.
Strano nome per un locale.
Jim aguzzò la vista: a quanto pare il posto si chiamava Millionaire, ma alcune delle luci che componevano la M dovevano aver tirato le cuoia da un po’ di tempo e nessuno si era preso la briga di sostituirle."
Una serata sbagliata. Un locale sbagliato. Perchè non tutti hanno un lieto fine, ma forse non tutti ne hanno bisogno.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Benvenuti al (M)Villionaire
 
 
Jim camminava lentamente per le strade silenziose della città.
Era uscito - o, per meglio dire, scappato - di casa un paio d’ore prima, dopo l’ennesimo litigio con la madre, dovuto all’ennesimo brutto voto, ed ora stava vagando senza meta, incurante del freddo e del buio. Desiderava allontanarsi da tutto e da tutti, ma, per quanto si sforzasse, la sua vita continuava a stargli incollata addosso, martellandogli il cervello con i ricordi delle urla di sua madre, delle lacrime della sua ormai ex ragazza, dell’abbandono di suo padre...
Tutto andava male.
Aveva bisogno di staccare la spina, di smettere di pensare e di dimenticare almeno per qualche ora che la sua vita faceva schifo.
 
Fu così che giunse al Villionaire.
 
Non ricordava bene come era arrivato in quel posto. Sapeva solo di aver svoltato in un vicolo buio e di esserselo ritrovato improvvisamente davanti.
Inizialmente pensò che il locale fosse abbandonato, decadente com’era, ma poi si accorse dei rumori che provenivano dall’interno e dell’insegna accesa.
Villionaire.
Strano nome per un locale.
Jim aguzzò la vista: a quanto pare il posto si chiamava Millionaire, ma alcune delle luci che componevano la M dovevano aver tirato le cuoia da un po’ di tempo e nessuno si era preso la briga di sostituirle.
Guardandosi intorno vide un vecchio cartello appeso al muro: via A. Slade. Non l’aveva mai sentita prima. Con tutta probabilità si trovava in una zona della città sconosciuta e, a quanto sembrava, piuttosto malfamata.
Ciondolò per alcuni istanti davanti all’ingresso del locale, le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo fisso sull’insegna. Infine decise di entrare.
Aveva appena poggiato la mano sul pomello della porta, quando una voce lo fece sobbalzare.
“Oh, io non lo farei se fossi in te, figliolo.”
Terrorizzato, si guardò alle spalle, scorgendo un vecchio seduto sui gradini di un edificio in rovina, seminascosto nell’ombra. Indossava un lungo cappotto scuro ed aveva il volto coperto da un cappello a tesa larga.
Deglutendo un paio di volte per riprendersi dallo spavento, Jim riuscì finalmente a recuperare un po’ di voce.
“Come, scusi?”
L’uomo alzò lievemente il cappello, mostrando un paio di occhi neri e lucenti. A quanto pareva, non era poi così vecchio.
“Quello non è un posto adatto ai ragazzini.”
“Non sono un ragazzino.” replicò Jim, lasciando trapelare tutta la sua stizza.
Lo sconosciuto scoppiò a ridere.
“Certo certo! Intendevo dire che non è un posto adatto ad un giovane felice e spensierato come te. Quello è un luogo adatto ai vecchi, come me. Ai reietti che ormai non hanno più niente da perdere.” Un sorriso balenò sul suo volto. “A chi non giungerà mai ad un lieto fine.”
Jim rimase colpito da quelle parole. I suoi pensieri ritornarono ancora una volta ai genitori, alla scuola, alla sua ragazza - ex ragazza.
“Beh” replicò dopo un attimo di silenzio “allora questa sera è il posto giusto per me.”
E senza aggiungere altro si voltò ed entrò nel locale.
 
L’atmosfera era cupa e silenziosa, l’arredamento squallido. Sul pavimento, davanti al camino, si trovava la pelle di un grande leone dalla folta criniera scura. Alle pareti erano appesi alcuni quadri, per la maggior parte ritratti di personaggi storici, come Bruto e Nerone, o scene di caccia, in cui un uomo dal naso aquilino lottava contro un giaguaro. In un angolo il dipinto di una regina circondata da numerosi cuori lo colpì particolarmente, risultando alquanto inquietante e tutt’altro che romantico.
Un ratto attraversò di corsa la sala, quasi danzando sulle note di Addio, amor, la canzone che, in quel momento, fungeva da sottofondo. Tutto sembrava appena uscito da un vecchio film degli anni 50.
Quando entrò i pochi avventori presenti si voltarono a fissarlo, probabilmente stupiti dall’arrivo di un nuovo visitatore.
Jim rimase qualche istante sulla soglia, imbarazzato ed incerto sul da farsi. Dopodiché, tentando di osservare tutto e niente in particolare, si avvicinò al bancone del bar, sedendosi all’angolo.
Il barista non ci fece caso, continuando ad asciugare con sguardo stanco alcuni bicchieri.
Jim si sistemò meglio sulla sedia, cercando di ignorare la fastidiosa sensazione di avere tutti gli sguardi puntati addosso. Tutti tranne quello del barista, ovviamente, che continuava ad ignorarlo come se nulla fosse.
Voltando leggermente la testa, vide due donne sedute ad un tavolo in fondo che avevano ripreso a conversare - o a litigare? - tra loro, sussurrando lievemente. Poco distante un vecchio prete fissava intensamente il fuoco: sembrava ammaliato dalle fiamme e seguiva con gli occhi ogni loro movimento, quasi fosse stato ipnotizzato dalla loro lenta danza.
Con un sospiro, Jim ritornò a guardare il bancone. Solo allora si accorse della piccola statuina di plastica raffigurante una tigre dall’aria feroce. La toccò lievemente sulla testa e quella iniziò ad ondeggiare, miagolando ripetutamente.
Una mano si abbatté velocemente sull’oggetto.
“Cosa posso portarle?”
Il barista lo scrutava con uno sguardo d’odio.
Riscuotendosi dallo stupore Jim si affrettò ad ordinare.
“Una birra, grazie.”
L’uomo lo osservò sospettoso.
“Ragazzino, ce li hai 21 anni?”
 “Certamente.”
“Certo, e io sono il governatore Ratcliff.”
“Non sto mentendo!”
Stava mentendo.
“Stai mentendo.”
Jim deglutì rumorosamente. Quel barista era inquietante. Tutto quel posto era inquietante.
“Forza, mostrami un documento.”
Jim iniziò a sudare freddo.
“Ecco, io...”.
“Edgar, Edgar, Edgar...” una voce sconosciuta lo fece sobbalzare sulla sedia “Ti sembra questo il modo di trattare un ospite?”
Un uomo con un bastone ed uno strano cilindro in testa si avvicinò al bancone, abbracciando le spalle del ragazzo e scuotendo energeticamente la testa.
“Non si fa... Forza, dai una birra al nostro amico.”
Edgar lo fissò irritato.
“Non credo che sia...”
“Se fossi una persona che si diverte a scommettere, giurerei che ti servirebbe una bella vacanza.” un sorriso malefico gli increspò il volto “Mi hanno detto che Timbuctù è una città stupenda! Dovresti farci un giro, una volta o l’altra...”
Lo sguardo del barista si incupì di colpo. Borbottando una sfilza di offese a mezza voce afferrò un bicchiere pulito e, dopo averlo riempito, lo poggiò di malagrazia di fronte a Jim.
Il ragazzo mormorò un ringraziamento, che l’uomo prontamente ignorò.
“Per la birra sono...”
“Lascia stare, lascia stare.” esclamò lo sconosciuto, lanciando uno sguardo ammiccante al ragazzo, ancora circondato dal suo braccio, e gettando un paio di monete sul banco.
“Offro io!”
Dopodiché, trascinando il povero Jim con sé, si allontanò dal bancone, sedendosi ad un tavolo vuoto.
“Beh, io...” iniziò titubante il ragazzo “Grazie per la birra. Ma per i soldi...”
L’uomo gli sventolò una mano davanti.
“Oh, lascia stare i soldi.”
“Ma...”
“Beh,” esclamò lo sconosciuto, congiungendo la punta delle dita “visto che insisti così tanto vorrà dire che mi devi un favore.”
Allungò una mano ed un’ombra oscura sembrò scivolargli dietro le spalle.
“Affare fatto?”
A Jim non piaceva affatto il tono minaccioso con cui aveva pronunciato le ultime parole, così si affrettò a cambiare discorso.
“Il barista sembra avere rispetto per lei.”
O paura, voleva aggiungere, ma si limitò a bere un sorso di birra.
Lo sguardo dell’uomo si indurì. Ritrasse la mano, ma subito il ghigno tornò ad increspargli il volto.
“Oh beh. Diciamo che ho degli... amici potenti.”
Ridacchiò tra sé e sé ed estrasse dalla tasca un biglietto da visita.
“Dr. Facilier.” con la mano libera si tolse il cappello, mimando una specie di inchino “Per servirti.”
Jim afferrò titubante il biglietto, lanciandogli solo una rapida occhiata prima di farlo sparire in una tasca della giacca.
“Jim.” si limitò a mormorare, prendendo un altro sorso.
Ripensò per un istante al nome dello sconosciuto.
“Dottor Facilier... Quindi lei è un medico?”
L’altro scoppiò a ridere.
“Oh no, ragazzino! Non sono un medico. Però diciamo che posso sistemare molti problemi.” il guizzo di prima tornò a farsi vivo nei suoi occhi “In effetti se c’è qualcosa che posso fare per te... Non so, realizzare un sogno o...”
“Adesso decidi di importunare anche i bambini?”
Una voce cupa, proveniente dalla sua destra, lo fece sobbalzare per l’ennesima volta nella serata.
Jim fissò il nuovo arrivato con terrore e sorpresa: indossava uno strano copricapo e teneva in mano un bastone a forma di serpente.
“Jafar!” sul volto del Dr. Facilier rimase il sorriso, ma gli occhi divennero improvvisamente freddi “Che piacere rivederti.”
“Il piacere è tutto tuo.” replicò, mantenendo uno sguardo impassibile. I suoi occhi si posarono poi su Jim.
“Non ascoltare le parole di questo ciarlatano. È solo un avido, uno stupido ladro rapace ed incapace. Non sa neppure cosa sia il vero potere.”
Con la mano sinistra si accarezzò il pizzetto. Un grosso bracciale dorato brillò sul suo polso.
 “Se hai bisogno di qualcosa dovresti rivolgerti al sottoscritto.”        
Jim si passò la lingua sulle labbra secche.
“Lo terrò a mente, grazie.”
Un sorrisetto increspò il volto di Jafar.
Poi, silenziosamente com’era arrivato, se ne andò, dirigendosi verso il bancone del bar.
Sia Jim che il suo compagno lo osservarono ancora per alcuni istanti, uno preoccupato, l’altro evidentemente offeso.
Fu il Dr. Facilier a riprendersi per primo, stampandosi l’odioso ghigno in faccia e rompendo così il silenzio.
“Allora! Dove eravamo rimasti?”
Jim si voltò di scatto, pensando a cosa dire o a cosa fare.
Fu però il suono secco, proveniente dall’altro lato del bar, a salvarlo dalla situazione. Tutti gli avventori si girarono ad osservare le donna che, alzatasi di scatto, aveva fatto cadere la sedia a terra.
Tutti tranne uno strano individuo che, imperterrito, continuava a leggere un grosso libro intitolato Cento e uno modi per avere capelli lunghi e splendenti: tutti i segreti di mamma Gothel.
“Come hai osato parlare così a me?” La sconosciuta, avvolta da un mantello scuro e, non si sa per quale motivo, con una corona in testa, sbraitava infuriata. “Con chi credi di avere a che fare? Con quel bellimbusto di Gaston, per caso?”
La compagna, intenta, come se nulla fosse, a mescolare con grazia il suo tè, ridacchiò divertita, facendo ondeggiare il suo ridicolo copricapo bicornuto.
“Oh no, mia cara! Perfino tu sei meglio di quell’idiota...” le lanciò un’occhiata divertita “Però ora calmati. Vuoi che ti ordini un succo di mele?”
“Basta!”
La donna sbatté con forza le mani sul tavolo, più infuriata che mai.
“Non resterò qui a farmi offendere da un’incapace che si è lasciata battere da una donzella addormentata!”
L’altra si bloccò improvvisamente, stringendo con forza il cucchiaino. Alzò lentamente lo sguardo, diventato di ghiaccio.
“Come, prego?”
L’intero locale era nel più completo silenzio. I più, ritornando ai loro affari, ignoravano totalmente il discorso. Solo Jim, il Dr. Facilier ed una vecchietta che assomigliava alla nonna brutta di Dracula continuavano ad osservare la scena. Quest’ultima sembrava alquanto divertita.
Bevve disgustata un sorso di una brodaglia fumante e si voltò poi verso Jim, sorridendo contenta.
“Bene, bene, cos’abbiamo qui? Sembra che qui stia per scoppiare una rissa!”
Il ragazzo le rivolse solo un’occhiata, prima di tornare con lo sguardo verso la sconosciuta dal mantello scuro, che ora stava sorridendo trionfante.
“Che c’è, Malefica? Ho forse toccando un tasto dolente?”
L’altra rispose al sorriso.
“Affatto, mia cara Grimilde. Si dà il caso che la donzella in questione sarebbe morta se non fosse stato per quelle dannate fate.”
“Oh, già. Dimenticavo.” Grimilde si portò una mano al cuore, fintamente dispiaciuta. “Tu e il tuo esercito di mostriciattoli siete stati battuti da una donzella addormentata e da tre pericolosissime fatine. Che storia avvincente... Potrebbero farne un film.”
Malefica la fissò con uno sguardo di sfida.
“Almeno io non sono stata battuta da un branco di nanetti.”
Il ghigno dell’altra sparì in un lampo.
“Touché, Malefica. Il tuo corvo sarà contento della tua vittoria verbale. Oh accidenti!” un guizzò malvagio le passò negli occhi “Dimenticavo che è stato trasformato in una statua!”
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Scattando in piedi, Malefica si avventò sulla donna come un drago inferocito. Le due iniziarono a darsele di santa ragione, sotto lo sguardo allibito di Jim e quello entusiasta della vecchia.
“Non me la godevo così tanto da quando Magò ha riempito Crudelia di pois bianchi e neri... E questa rissa è ancora meglio!” ridacchiò divertita “Mi piace!”
Jim si guardò intorno, sperando che qualcuno intervenisse, ma nessuno sembrava interessato alla questione. Nemmeno Facilier si curava troppo degli ultimi avvenimenti, troppo impegnato com’era a fare un solitario con delle strana carte .
Solo Edgar, preoccupato per le sorti del suo locale, tentava di calmarle in qualche modo.
“Signore, vi prego! Non potete azzuffarvi qui. Non sta bene! Non... No, ferme, non sbattete addosso ai muri. Quei quadri vengono direttamente dalla Francia! E per l’amor del cielo attente al tavolo! Ci sono i bicchieri sopra e...”
Un rumore di vetri infranti interruppe il suo monologo, seguito subito dopo dalla risata divertita della vecchia. Gettando a terra lo strofinaccio, Edgar si diresse a passo spedito verso le due litiganti, tentando di dividerle con la forza, ma un calcio ben assestato - Jim non capì se fosse partito da Malefica o da Grimilde - lo spedì dritto contro il misterioso lettore silenzioso.
“ORA BASTA!”
L’urlo dello sconosciuto sembrò immobilizzare ogni cosa. Chiudendo con forza il libro, l’uomo si alzò lentamente, passando una mano sulla testa calva e facendo ondeggiare la strana tunica che portava.
Si avvicinò alle due donne, congiungendo la punta delle dita e sorridendo affabile.
“Signore, capisco che il motivo del vostro diverbio possa essere alquanto importante. Ma francamente, e scusate se ve lo faccio notare, a me non interessa per nulla. Perciò gradirei non essere disturbato.”
La sua voce si alzò di qualche ottava.
“Per lo meno non durante la mia unica serata libera in 1000 anni!”
Fece un respiro profondo e riprese a parlare tranquillamente.
“Quindi, se poteste essere così gentili da non urlare o da non mettere in mezzo me nelle vostre faccende personali, ve ne sarei immensamente grato. Altrimenti conosco un posto più rilassante per azzuffarsi. Un vero mortorio, che avrebbe bisogno proprio di due donne come voi per essere un po’ ravvivato.”
Concluse il suo discorso sorridendo all’indirizzo delle due donne che lo fissarono per alcuni istanti.
Fu Grimilde a rompere il silenzio.
“Tu sei Ade?”
Lui ammiccò felice.
“Esatto, bellezza.”
Malefica lo osservò pensierosa.
“E che ne è stato dei tuoi capelli?”
Il sorriso gli morì sulle labbra.
“È una vecchia storia. Non mi va di parlarne.”
La donna ridacchiò divertita, voltandosi verso la compagna.
“Strano. Perché a noi invece farebbe molto piacere sentire la tua storia.”
Ade lanciò loro un’occhiataccia, rimanendo in silenzio.
“Che c’è?” esclamò Grimilde osservandolo sprezzante “Dov’è finito tutto l’ardore di poco prima? Forse si è già spento?”
“Già... Spento come i suoi capelli!”
Le due scoppiarono a ridere contemporaneamente.
Lo sguardo di Ade si infiammò improvvisamente. Con un urlo disumano si avventò sulle donne, riprendendo la rissa da dove era stata interrotta. Ai calci e ai pugni si aggiunsero strani lampi luminosi e palle infuocate che iniziarono a rimbalzare qua e là, schivando miracolosamente i presenti.
Una atterrò sul bancone, a pochi centimetri da Jafar, che, per tutta risposta, si limitò a spegnerla con un gesto annoiato della mano.
“No, vi prego. Le sfere infuocate no! Attenti al... I lampadari! E per l’amor del cielo non colpite i quadri!”
Edgar, da terra, tentava di salvare qualcosa, ma era ormai rassegnato alla completa distruzione del locale.
Scuotendo la testa, ritornò dietro al bancone, mormorando uno sconsolato “Non ci sono più i vecchi clienti di un tempo... Quanto rimpiango le vecchie serate con i karaoke di Ursula...”
Jim fissò sconvolto la scena. Dopodiché si alzò di scatto: tutto questo era veramente troppo per lui.
“Dove vai ragazzino?” la vecchia scheletrica gli lanciò solo un’occhiata, prima di ritornare ad osservare la rissa con divertito interesse. “Il bello sta iniziando proprio adesso.”
Jim la ignorò, dirigendosi precipitosamente verso la porta del locale.
“Ragazzino! Devi ancora firmare il contratto!”
Facilier allungò una mano, tentando di fermarlo, ma troppo tardi: Jim se n’era già andato.
Abbassando il braccio, fissò irritato la porta ormai chiusa. Poi, afferrando la birra avanzata, si mise ad osservare la rissa mentre la vecchia ridacchiava divertita.
“Vincerà quella lì o quella là? Come mi diverto!” bevve un altro sorso di brodaglia. “Peccato per il tuo amico, Facilier... È un tipo troppo sensibile, sai?”
L’uomo la fissò arrabbiato.
“Non è mio amico, Yzma.”
Finì con un sorso la birra e la sbatté con forza sul tavolo.
“I miei amici non sono sensibili.”
 
Jim respirò a pieni polmoni l’aria fresca della notte, felice di essere finalmente uscito da quello strano bar.
Una risata divertita lo fece voltare. L’uomo di prima si trovava ancora nella stessa identica posizione.
“Che ti avevo detto, ragazzino? Quello non è un posto per te!”
Jim sospirò profondamente.
“Si... Forse aveva ragione.”
“Però ammetto che hai avuto fegato a restare dentro tutto quel tempo!”
Il ragazzo sorrise timidamente.
“Sarei rimasto anche di più, se non fosse stato per la rissa e per...”
L’uomo sembrò improvvisamente interessato.
“Rissa? C’è una rissa?”
Jim lo fissò confuso.
“Beh, si. C’è il caos là dentro. Tutti che urlano e schivano palle di fuoco e che...”
“Palle di fuoco? Accidenti, ragazzino, questo si che è uno spettacolo da non perdere!”
Si alzò di scatto dai gradini portando una mano al mento, pensieroso.
“Se non ricordo male l’ultima volta che è successo un fatto del genere è stato durante la serata Unna. Genoveffa aveva bevuto qualche bicchiere di troppo e si era convinta di essere un mangiafuoco. Ha incendiato il vestito della madre sotto gli occhi di tutti e poi si è messa a cantare vecchie canzoni cinesi.” scosse lentamente la testa “Non è stato affatto un bello spettacolo...”
Riprendendosi, si diresse poi velocemente verso la porta d’ingresso. L’insegna del Mill - no, del Villionaire illuminò i suoi folti capelli neri e il cappello da pirata che l’uomo indossava, scintillando poi allegramente sulla sua mano sinistra.
Anche se effettivamente quella non assomigliava propriamente ad una mano.
Jim spalancò gli occhi, sconvolto. Quello era un...
“...uncino?”
L’uomo si voltò verso di lui, sorridente, e, afferrando il cappello con la mano sana, si inchinò elegantemente.
Capitan Uncino. Al suo servizio! Ora scusami, ma la rissa mi aspetta.”
Con uno svolazzo rimise a posto il cappello, prima di entrare finalmente nel locale.
 
Jim rimase imbambolato per alcuni istanti.
Non riusciva a credere a quello che era successo.
I genitori, la scuola, la fidanzata... Tutto sembrava così stupido, ora, tutto così adorabilmente normale.
Facendo un respiro profondo riuscì finalmente a voltarsi, lasciandosi alle spalle il Villionaire ed incamminandosi nuovamente verso casa.
In fin dei conti la sua vita non faceva poi così schifo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dopo secoli torno su EFP.
Evviva!
E per festeggiare pubblico questa storia, scritta appunto secoli fa. Vagando per caso ho scoperto (Wikipedia docet) che è stato creato un gioco quiz dedicato ai cattivi Disney e chiamato “Who Wants to Be a Villionaire?”.
Villionaire... Ecco, da lì è partito tutto.
Mi sono divertita un mondo a scrivere la storia – tralasciando il fatto che ogni volta che leggo villionaire nella mia testa parte questa canzone –, ma mi sono divertita ancora di più ad inserire citazioni e riferimenti a (quasi) tutti i cattivi Disney. Se avete voglia potete pure mettervi a cercarle :)
Ah, il nome Jim nella mia testa corrisponde al protagonista del Pianeta del Tesoro, ma potrebbe benissimo venire inteso come chiunque altro.
Bene. Ora direi vado a nanna.
Baci a chiunque veda questa storia!
A presto (si spera)
 
Linda
 
  
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