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Autore: _eco    02/09/2013    8 recensioni
[Raccolta di one-shot a due capitoli, dedicata a Gale e a Katniss, non come coppia. Come entrambi hanno affrontato la perdita dei rispettivi padri.]
#1: Il prezzo della fame;Gale Hawthorne
"Una medaglia: tutto quel che mi resta di mio padre, insieme al coltellino che mi aveva regalato qualche mese fa."
#2: Cupola di foglie; Katniss Everdeen.
"Ricordo di aver pensato che quello fosse davvero un buon nascondiglio. Contavo di dirglielo, prima o poi, di ringraziarlo per avermi portato lì, in quel posto che poteva contenerci entrambi e ci intrappolava nella sua cupola di foglie.
Ma non lo feci. Mai."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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My immortal - Nel cuore di un figlio
Il prezzo della fame.
[Gale Hawthorne centric]
Al mio papà <3.
Una medaglia: tutto quel che mi resta di mio padre, insieme al coltellino che mi aveva regalato qualche mese fa. Usalo solo in caso di estrema necessità, mi aveva raccomandato, fissandomi dritto negli occhi, le mani salde sulle mie spalle.
Questa è un’estrema necessità, ma riconosco che un coltellino, per quanto affilata possa essere la sua lama, non mi aiuterebbe a sfamare la mia famiglia. Non quanto potrebbe farlo il disco di metallo che il vecchio Carrol si rigira tra le mani.
La medaglia al valore che hanno ritenuto sufficiente per ricompensarci della morte di mio padre. Divorato da un’esplosione, ridotto in un mucchietto di carne bruciata e ossa sbriciolate, da qualche parte, laggiù. I minatori conoscono i pericoli cui vanno incontro sin dal momento in cui entrano nell’ascensore cigolante che li porta sottoterra. Ma la gente ha troppa fame per permettersi il lusso di scegliere come guadagnarsi da vivere.
Morto. Andato. Per sempre. E adesso non sembra poi questo grande vantaggio essere il figlio maggiore.
So che sarebbe d’accordo con quello che sto facendo. So che, ovunque si trovi in questo momento, mi sta incitando a concludere un misero accordo con il vecchio Carrol. Eppure, avverto come un mattone che mi preme contro il petto: un perfetto miscuglio di rabbia, impotenza e rassegnazione.
Quasi lo sento prendermi le spalle, proprio come aveva fatto quando mi consegnò il coltellino.
- Non conta niente, figliolo. – mi sussurra.
Ha ragione. Quel disco sottile di metallo, che hanno spacciato per oro puro, è solo un simbolo. E anche il più effimero, se credono che possa rappresentare il sacrificio di mio padre. E’ solo un pezzo di ferro e chissà cos’altro, e magari, se me la gioco bene, posso guadagnarci monete a sufficienza per una settimana.
Mia madre ha le nocche consumate sino all’osso, la pelle così ruvida e scorticata da squarciarsi in mille, minuscole piaghe al contatto con il freddo. Vick e Rory hanno le labbra secche, violacee, avide di poter anche solo sfiorare qualcosa di morbido. Posy è ancora un fagottino rosa, in tutti i sensi, perché l’unica coperta che mia madre è riuscita a recuperarle è di un colore sbiadito che si avvicina alla tonalità della sua pelle delicata. L’unica sua fonte di nutrimento è il latte di mia madre, ma, finché lei va avanti a forza di foglie di menta e pane stantio, di qui a poco Posy si beccherà qualche malattia. E non abbiamo assolutamente la possibilità di comprare uno sciroppo o qualcosa del genere.
Per questa serie di ragioni, mi mordo la lingua ogni volta che vorrei vomitare insulti in faccia al vecchio Carrol.
- Ragazzo, - grugnisce – qui dentro c’è tanto oro quanto ne hai nelle tasche. –
E poi ride, e quasi si affoga con la sua stessa saliva, al che penso che sarebbe troppo stupido per cogliere una delle risposte taglienti che vorrei scagliargli contro.
Perché tu ne hai tanto di oro, immagino.
Di nuovo, tra il fruscio del vento fuori e il ticchettio delle unghie irregolari di Carrol contro la medaglia, sento mio padre sussurrami qualcosa. E do voce alle sue parole.
- Non importa. – dico. – Dimmi quanto vale. – ordino, con il tono più deciso che riesco a costruire.
Carrol corruga la fronte, in modo che le folte sopracciglia rossicce si uniscano in un unico strato di peluria. Sembra ragionarci su, ma dubito che in quella testa di legno possano scorrere pensieri tanto articolati da farlo stare in silenzio per un così lungo tempo. Tutta scena, comunque, perché la sua risposta è secca e diretta.
- Ti do cinque monete. – biascica.
Poi si profonde in una delle sue risate gutturali, che ogni volta lo fanno quasi affogare.
E che questa sia la volta buona! Strozzati, stupido vecchio.
Ma il tintinnio delle monete sul mio palmo mi trattiene dall’imprecargli contro.
Mentre Carrol fonde la medaglia, sento un calore pervadermi le membra. Mio padre s’insinua in me. Nelle braccia, nelle gambe, nel petto, nelle spalle, nelle mani. Corro fuori ancor prima che il disco sia ridotto completamente in una poltiglia di metallo incandescente.
Affondo le gambe sino alle ginocchia nelle neve grigia. La mano chiusa in un pugno d’acciaio, in modo che, ad ogni scivolone, non corra il rischio di perdere il mio prezioso guadagno.
Una moneta: cinque pagnottine calde, fragranti e soffici. Il fornaio mi è parso abbastanza generoso. Forse per compassione. Tutti ne hanno, per uno che ha perso il padre. La cosa mi fa andare in bestia, ma non oggi, non ora che stringo al petto il caldo pacchetto di carta da forno.
Mio padre mi segue. Lo percepisco, perché sento ancora quel calore dentro, che nemmeno il gelo della neve è riuscito a raffreddare.
- Sono tornato! – urlo, spalancando la porta di legno marcio.
Ma quando vedo le scarpe di mio padre, lì, in un angolo, coperte di neve sulla punta, capisco che tutta l’immaginazione di questo mondo non sarà sufficiente a farlo tornare indietro. Vick e Rory dormono – dormono sempre, perché si reggono in piedi a stento – sul divano, l’uno con i piedi dell’altro vicino alla testa. Mia madre continua a consumarsi le nocche sino all’osso, strofinando con le mani vestiti che solo i benestanti possono permettersi di indossare.
Poi, tra il fruscio del vento e il debole piagnucolare di Posy – che è rannicchiata in una cesta, vicino al fioco bagliore del camino -, lo sento. Di nuovo, per l’ultima volta.
- Prenditi cura di loro. –
Poi va via, senza far rumore. Le sue scarpe da minatore, che gli erano costate calli e deformazioni ai piedi, sono ancora lì. E vi rimarranno in eterno, a meno che non decida di farle sparire, perché è troppo triste star lì a guardarle, nella vana attesa che mio padre le indossi.
Sfioro la schiena ossuta di mia madre, e poggio una focaccina, ancora calda, contro la sua guancia. Chiude gli occhi e inspira il profumo di farina e lievito.
- Ci sono anche i pezzetti di olive, ma’. – le faccio notare, spezzando un po’ di pane e poggiandoglielo sulle labbra.
Mastica lentamente, come presa dal terrore di dover rimettere tutto da un momento all’altro.
- Per oggi basta, ma’. –
La blocco per un polso. Lei smette di strofinare. E, malgrado mi aspetti di sentire la voce di mio padre da un momento all’altro, c’è soltanto silenzio nelle mie orecchie.

 
Angolo autrice:
Salve! (:
Mi sono ritrovata nel pc due storie che ho scritto tempo fa, rispettivamente su Gale e Katniss, entrambe incentrate su come tutti e due hanno affrontato la perdita del padre.
Le ho scritte ispirandomi ad una frase della canzone "My Immortal" degli Evanescence, e mi pare giusto precisare che tutto è nato per un fallimentare tentativo di partecipare ad un concorso, cui poi ho deciso di partecipare con un'altra frase.
Ho revisionato entrambe le fic, e ho deciso di pubblicarle come raccolta in due capitoli.
Spero che Gale non sia troppo OOC. Per me è eccessivamente in collera, ma d'altro canto credo che il suo carattere molto... ribelle possa giustificare il suo atteggiamento nella fic. Ditemi voi. Sono nelle vostre mani.
Un bacio e al prossimo capitolo ^^
S.

 
 

 
  
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