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Autore: afruittart    02/09/2013    1 recensioni
Avrei amato Harry per tutta la vita.
Anche quando sarebbe arrivato il momento di andare avanti, anche con un nuovo uomo; lo avrei amato sempre.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La luce del mattino filtrò dalla persiana della mia camera per il terzo o quarto giorno consecutivo e io, come ormai da un po’, continuavo a fissarla non curante del dolore che i miei occhi urlavano da troppo. Li sentivo gonfi, le palpebre doloranti; ero più che certa che se mai mi fossi alzata da quel giaciglio e mi fossi guardata allo specchio li avrei trovati rossi e più spenti del solito.
Chiusi forte il cuscino tra le dita mentre l’ennesima fitta al petto con accartocciamento dello stomaco annesso mi travolse, strinsi i denti per evitarmi una corsa al bagno fulminea con rigetto dell’anima. Mi raggomitolai su me stessa quando parve alleviarsi piano, un grande sospiro ad accompagnare il tutto.
Diedi un’occhiata all’orologio e notai con disprezzo che erano appena le otto del mattino ed erano ormai tre o quattro giorni che vegetavo su quel letto. La rabbia mi montò addosso aggressiva e prepotente, assottigliai gli occhi e mi diedi della stupida per la millesima volta.
Non potevo ridurmi in quello stato per un uomo, non dovevo. Non mi era concessa una cosa del genere; mia madre me lo aveva ripetuto di continuo, “Non vale la pena soffrire per amore. Nessuno può portarti via il sorriso.”, e invece io ero riuscita a spezzare anche quella raccomandazione.
Avevo fatto tante stronzate nella mia vita, non ero mai stata una che affiancava facilmente le regole. Era capitato spesso che infrangessi quelle di mia madre, o le restrizioni di mio padre e lo avevo fatto sempre senza valutarne le conseguenze.
C’è rimedio a tutto tranne che alla morte, mi ripetevo sempre prima di fare la mia cazzata giornaliera, ma non avevo fatto ancora i conti con i sentimenti.
Quelli ti riempiono completamente, ti rendono così gonfia di tutto che non riesci a capacitartene. Sono una folata di vento durante la giornata più afosa, sono il sole durante la pioggia. E quando li provi tutti insieme, quelli meravigliosi, neanche te ne rendi conto di tutta le felicità e la bellezza che hai in corpo. Ti sembra di volare, di essere invincibile; e se mai dovesse succedere qualcosa, beh.. il sole viene sempre dopo la tempesta.
Pensi che nulla possa abbatterti, neanche il peggiore dei mali.
E poi.. poi c’è quel sentimento che ti porta davvero in alto, ti porta a toccare il cielo, a sfiorare il paradiso; esiste quell’energia che ti parte dal profondo ed esplode tutta in una volta, non ti fa respirare, non ti fa parlare. E’ quella forza che ti sconvolge il corpo, che fa tremare e ti riempie più di tutte.
Eppure.
Eppure è anche quella voragine che si apre sotto i tuoi piedi e ti fa cadere senza sosta, ti fa arrivare il cuore alla gola e non ti fa davvero più respirare; ti si apre un buco nero al centro del petto che risucchia tutto quanto. Non c’è più nulla dentro, ti svuota completamente e senza neanche avvertirti.
Ti porta via tutto quanto e tu sei impotente.
Ero vuota anch’io, ormai; non avevo fatto davvero i conti con l’amore e sinceramente non avevo più intenzione di farli.
Mi decisi ad alzarmi da quel maledetto letto. Non potevo reagire così, non più. Restare in un letto per giorni interi riducendosi ad un’ameba non avrebbe risolto i miei problemi, anzi.
Con immenso sforzo mi tirai su a sedere, i fianchi e le ginocchia doloranti. Feci forza sulle braccia e finii in piedi lentamente, qualche passo verso la finestra e mi parve di camminare su degli spilli.
Spalancai la finestra per permettere all’aria di circolare, respirai a pieni polmoni e di nuovo una fitta al petto mi travolse.
Avviandomi verso la cucina mi fermai davanti allo specchio nel corridoio; ero pallida, un cadavere avvolto in un solo maglione grigio troppo grande e troppo smollato. Gli occhi meno gonfi di come me li ero aspettati, ma comunque rossi e ancora lucidi. Le labbra martoriare da chissà quanti morsi e i capelli raccolti da una, ormai, sfattissima cipolla. Ma non me ne importava, non importava più nulla. Chi mi avrebbe mai più guardata la mattina presto e mi avrebbe presa in giro? Più nessuno, Sharon.
Continuai la mia camminata verso il frigorifero che aprii e dovetti ammettere che, anche se all’interno c’era giusto un cartone di latte, due uova, del prosciutto sicuramente andato a male e qualche oliva, sembrava avere un aspetto migliore del mio. Afferrai il cartone del latte, annusai all’interno e quasi esultai nel constatare che almeno quello era ancora mangiabile. Presi una tazza bianca e priva di disegni dal porta stoviglie e ci versai una cospicua dose di latte all’interno; poi la infilai nel microonde e impostai un paio di minuti.
Girai attorno all’isola della cucina trovandovi sopra la busta color panna che ci avevo praticamente lanciato giorni prima. Mi sedetti su uno sgabello e la presi di nuovo rigirandomela tra le mani.
L’aprii di nuovo, le mani che mi tremavano leggermente e l’ennesima fitta iniziò a farsi strada nella mia cassa toracica. Ne tirai fuori l’invito color rosa e decorato finemente da fiori bianchi leggermente in risalto.
Il suono del microonde mi fece sobbalzare, lasciai per un attimo l’invito sul piano dell’isola e andai a prendere la mia tazza di latte caldo. Ne presi subito un sorso e il liquido bollente che mi passò per la gola parve portarsi via un po’ di quel macigno bloccato nel mio petto, ma la magia durò poco quando i miei occhi si posarono nuovamente sulla carta rosa.
Tornai a sedermi, poggiai la tazza sul piano cautamente e ripresi il foglio tra le mani. Lentamente aprii il sottile libricino:

“Harry & Jane sono lieti di invitarti al loro Matrimonio
che si terrà il 01/09/2013”
 
Lo richiusi immediatamente e lo lasciai cadere a terra come scottata da una fiamma che dalle dita era riuscita ad entrarmi dentro e raggiungere ogni parte del mio corpo. Poggia i gomiti sul piano, strinsi le mani tra loro convulsamente appoggiandovi la fronte. Senza neanche accorgermene lievi singhiozzi iniziarono a fuoriuscire dalle mie labbra senza freni, lacrime calde e pesanti bagnarono le mie guance bianche e ormai scavate. Chiusi gli occhi e strinsi forte per evitare di continuare, ma quel fiume salato parve fregarsene delle barriere. Le palpebre mi facevano malissimo, stringere era quasi impossibile e di nuovo sentii il calore scivolare veloce dalle guance fino a giù per il collo. Tirai su con il naso un paio di volte e cercai di respirare meglio di quanto avessi potuto per cercare di calmarmi. Avvicinai le mani tremanti alla tazza di latte e di nuovo iniziai a sorseggiarlo lentamente, quello mi avrebbe rilassata sicuramente.
Rimasi seduta, immobile in quella posizione con la tazza davanti alle labbra e lo sguardo perso chissà dove per un’infinità. Ad un certo punto dovetti anche sbattere più volte le palpebre perché mi pareva di non averlo fatto tutto quel tempo. Sospirai e mi alzai per posare la tazza bianca nel lavello d’acciaio, le diedi una sciacquata e poi l’abbandonai lì.
Feci per andare verso il bagno quando il trillo della porta mi fece saltare sul posto. Era la seconda volta che facevo un salto del genere per il minimo rumore e sicuramente questo mi faceva aggiungere un’enorme incazzatura a già tutte le mille sensazioni che mi trapassavano il corpo.
Svogliatamente mi avvicinai alla grande porta in legno scuro, non mi preoccupai neanche del mio aspetto; non era certo un problema se chiunque fosse stato si fosse spaventato. In quel momento non avrei voluto vedere nessuno, non ero pronta, non ancora.
Girai due volte la chiave nella toppa, poi spinsi la maniglia e tirai verso di me.
Dovetti alzare la testa per poter guardare il viso di quella figura; due grandissimi occhi color smeraldo catturarono immediatamente i miei, un sorriso tirato e triste mi colpì in pieno viso facendo aumentare il dolore al petto; il cuore si fermò immediatamente.
Non poteva essere lui, non ora che avevo deciso di alzarmi da quel fottuto letto per prendere in mano la mia situazione, già penosa senza dovervi aggiungere anche la sua visita.
«Ehi» disse semplicemente, il tono basso e roco che si infilò prepotente nelle mie orecchie e che fece riprendere qualche battito al mio cuore. Lo guardavo stranita, la vista già fin troppo appannata e le labbra leggermente socchiuse.
«Cosa.. che ci fai qui?» sussurrai appena, non sicura che quella fosse veramente la mia voce. Ormai non la sentivo da giorni se non per i forti singhiozzi che riempivano le mie nottate. Strinsi la maniglia della porta così forte che ebbi paura di distruggerla.
«Posso entrare?» mi chiese piano, le mani infilate nel grande giaccone nero sbottonato che mostrava una camicia a quadri rossa leggermente aperta. Addosso i soliti jeans neri sgualciti e strettissimi sulle gambe lunghe e le cosce sode. Deglutii appena e annuii scostandomi leggermente e subito mi maledii mentalmente appena varcò la soglia di quella mia personale barriera di cemento. Chiusi piano la porta evitando di far rumore e mi sentii fin troppo scoperta davanti a lui, lo guardavo come si guarda un fantasma.
Si sfilò il giaccone dalle spalle larghe e lo posò sul divano in pelle bianca del mio salottino, poi si voltò a guardami con un’espressione sconcertata.
Rimanemmo in silenzio per minuti interminabili, fino a quando lui non fece un passo verso di me e io arretrai immediatamente schiacciandomi ancora di più alla porta; troppo timorosa di un nuovo contatto con quegli occhi fin troppo familiari. Si arrestò subito, sul viso una tristezza immensa che, sinceramente, faticavo a capire.
«Sharon..» provò ad iniziare
«Cosa vuoi? Cosa vuoi ancora da me?» lo interruppi subito, la voce che mi tremava appena e di nuovo le lacrime a minacciare di ripercorrere quella strada ormai solcata sulle mie guance.
«Io non volevo che la madre di Jane ti mandasse l’invito del matrimonio, ma ha insistito tanto e non ho potuto fermarla. Non volevo che ricevessi anche questa.. batosta. E’ già stata un problema per te questa cosa e non volevo fare altri casini. Non hai idea di come mi senta..» spiegò passandosi una mano tra i capelli scuri e ricci, poi sul viso sconsolato.
«“Non volevo che ricevessi anche questa batosta”? “Non hai idea di come mi senta”?» ripetei le sue parole guardandolo confusa, la rabbia che montava nuovamente.
«Hai idea tu di come mi senta io?! Lo sai?! Te lo sei chiesto almeno una volta durante tutta questa maledetta pagliacciata?!» sbottai con la voce troppo alta sul suo viso sempre più contorto dal dolore, le mie lacrime pronte agli angoli degli occhi.
«Non lo sai Harry, non lo sai! Non sai come ci si sente ad essere scaricati su due piedi dopo anni di fidanzamento e convivenza. Non te lo immagini neanche cosa si prova a vedere la persona a cui tieni di più rimpiazzarti subito da una qualunque per convenienza. Non sai cosa vuol dire sentirsi un oggetto ormai vuoto. Non lo sai e non lo saprai mai!» urlai avvicinandomi alla sua figura imponente. I suoi occhi smeraldini fissi nei miei del medesimo colore, pieni di emozioni.
«Non ho mai voluto questo Sharon, lo sai perfettamente.»
«No, io non so più niente. E sinceramente non voglio neanche più saperlo.» sputai con il veleno sulla lingua.
«Invece sai che non ti avrei mai lasciata..»
«Però lo hai fatto comunque, Harry! Non volevi, ma lo hai fatto, cazzo! E tra due giorni ti sposi anche!» strillai quanto più forte possibile, il pianto che ormai era iniziato, le lacrime a rigarmi il volto. Lui si guardò attorno scuotendo piano la testa, poi tornò a guardarmi.
Ancora silenzio.
«Non sai neanche cosa dire..» sussurrai guardandolo, singhiozzando ogni tanto e senza riuscire a fermare le lacrime. La sua mascella si tese, strinse le labbra che diventarono ancora più rosse del solito. Aveva il respiro pesante, cercava di calmarsi e non lasciava neanche per un secondo i miei occhi. Il dolore invadeva tutto il mio corpo più forte che mai, le gambe si mossero veloci per poterlo superare.
«Ti amo.» disse mentre gli passavo accanto e mi bloccai immediatamente sentendo le lacrime affluire più di prima.
«E’ un po’ tardi Harry, non credi?» chiesi in un sussurro voltandomi verso la sua figura sempre bellissima. Mi guardava ancora con quegli occhi nei quali mi ero specchiata fin troppe volte.
«Ti amo..» ripeté più piano, smeraldi in smeraldi. Altri singhiozzi scossero il mio corpo, mi portai le mani davanti al viso lasciando che lo sfogo si liberasse attraverso i miei occhi. Sentii la sua presa forte e allo stesso tempo delicata attorno ai miei polsi, il suo profumo ad entrarmi prepotente nei polmoni. Mi scostò appena le mani dal viso mostrandomi il suo, di nuovo vicinissimo al mio dopo tantissimo tempo. I suoi occhi che mi sembravano ancora più belli, le sue labbra color fragola più carnose del normale.
«Mi dispiace Sharon, mi dispiace davvero.» soffiò sul mio viso con gli occhi che davvero chiedevano scusa. Scossi la testa e di nuovo violenti singhiozzi fecero la loro comparsa. Mi avvolse con le sue braccia forti e calde, mi strinse al suo petto accarezzandomi piano i capelli e sussurrando di calmarmi.
Strinsi forte il tessuto della sua camicia a quadri presa dalla rabbia, dal dolore, dall’amore.
Si scostò lentamente prendendomi il viso tra le mani e ispezionando tutto il mio viso con quello sguardo preoccupato e dolce che aveva sempre nei miei confronti. Infine azzerò le distanze tra di noi e mi posò un lievissimo bacio sulle labbra che fece letteralmente esplodere qualcosa dentro di me.
Poggiai le mani su i suoi polsi e strinsi piano, sempre piangendo. Non poteva farlo, non era giusto e io non dovevo lasciarlo fare.
Si avvicinò di nuovo e me ne diede un altro, più sentito e prolungato. E poi un altro, e un altro ancora.
«Basta..» sussurrai non realmente convinta stringendo i suoi polsi, con il pollice raccolse dolcemente l’ennesima lacrima scivolata sulla mia guancia, poi mi baciò ancora.
«Ti amo, Sharon.» disse per la terza volta ed ebbi l’irrefrenabile voglia di cacciarlo di casa, magari a calci.
«Smettila di dire stronzate.» soffia sulle sue labbra di nuovo vicinissime alle mie. Sorrise teneramente a quella frase, mi accarezzò ancora una guancia.
«Non sono stronzate» affermò baciandomi ancora e questa volta non ebbi la possibilità si rispondere perché la sua bocca si muoveva piano e dolcemente sulla mia.
Sarei scoppiata da un momento all’altro, sperai che non sentisse il battito fin troppo accelerato del mio cuore che ormai correva come mai. Senza che potessi neanche deciderlo realmente, le mie labbra si mossero indecise assecondando le sue. Sentii un lieve sorriso nascere sulla sua bocca quando ancora continuava a muoversi sulla mia.
Spostai dubbiosa e tremante le mani tra i suoi capelli e li strinsi piano quando mi chiese un silenzioso permesso ad approfondire quella follia. Glielo concessi senza troppa resistenza e subito quella dolcezza che mi aveva riservato fino a quel momento si affievolì lasciando spazio alla disperazione e alla fretta. Il suo braccio sinistro scivolò sulla mia vita, mi afferrò saldamente e mi tirò leggermente su. Dovetti salire a piedi nudi su i suoi stivaletti chiari e intanto mi aggrappavo alle sue spalle, ai suoi meravigliosi boccoli morbidi, a qualsiasi cosa potesse mantenere quel momento che sapevo, prima o poi, sarebbe sfumato via.
E così fu.
Piano abbandonò le mie labbra, titubante e anche abbattuto. Mi guardò avvolgendomi la vita adesso con entrambe le braccia. Mi allacciai al suo collo e gli accarezzai dolcemente i folti capelli scuri. Rimanemmo poco così, mi lasciò andare dolcemente e la tristezza, fino a quel momento solo placata, riprese il suo corso.
«Adesso te ne vai, vero? Sarebbe da te..» sussurrai incrociando le braccia al petto. Non rispose, continuò a guardarmi. Mi asciugai le guance bagnate con la manica del maglione, consapevole che si sarebbero ricoperte di nuove lacrime immediatamente.
«Devo.» affermò dopo un’infinità di tempo. Mi strinsi le braccia al petto, tirando su con il naso. Faceva male, faceva malissimo e io non capivo il suo fottuto comportamento. Non aveva senso venire a casa, riempirmi di parole che avrei voluto sentirmi dire e baciarmi come se fosse la cosa più normale e giusta da fare. La voragine si aprì di nuovo dentro di me mentre lo guardavo che prendeva il giaccone e se lo infilava. Spostai lo sguardo verso la cucina sentendo le lacrime montare di nuovo, poi una sua mano mi accarezzò piano la guancia.
«Guardami Sharon»
«Per vedere come vai via ancora? No, grazie.» sbottai fulminandolo con lo sguardo. Mi portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrise dolcemente facendo spuntare quelle adorabili fossette ai lati della bocca, quelle che amavo tanto. Si avvicinò ancora, mi lasciò un soffice bacio sul naso e poi un altro sulle labbra.
«Ti amo davvero da impazzire Sharon..» sussurrò mentre ricominciavo a dar via libera alle lacrime, tirai su con il naso come una bambina.
«Non devi dimenticarlo mai, capito?» continuò cercando un contatto con i miei occhi. Glielo concessi rimanendo però in silenzio.
«Hai gli occhi più belli che abbia mai visto, lo sai? – disse sorridendo dolcemente accarezzandomi di nuovo la guancia - ..mi ami?» chiese poi improvvisamente. Mi sentii morire.
Certo che lo amavo, che domande. Dio solo sa quanto lo amassi.
Non risposi, altre lacrime presero posto anche tra le sue dita lunghe e affusolate. Piangere era la ciò che ormai mi veniva meglio di qualsiasi altra cosa.
Il suo viso si fece scuro, gli occhi leggermente lucidi. Non perdeva il mio sguardo neanche un attimo.
«Mi ami, Sharon?» chiese ancora, la voce flebile e roca. Un lieve singhiozzo mi scosse, poi un altro e copiose lacrime scivolarono dal mio instabile controllo.
Mi prese il viso tra le mani di nuovo, proprio come prima. Anche i suoi occhi smeraldini erano sul punto di lasciarsi andare.
«Dimmelo un'ultima volta..» soffiò con la voce tremante, lo sguardo nervoso che cercava bramoso qualcosa a cui appigliarsi. Un altro singhiozzo, scossi la testa piano.
«Per favore..» mi supplicò ormai con le lacrime agli occhi. Dargli una risposta, dirgli che sì, lo amavo, non avrebbe risolto nulla. Niente sarebbe cambiato, lui non avrebbe lasciato Jane, non sarebbe tornato da me.
Non avrebbe alleviato nessun dolore.
Scossi ancora la testa allontanandolo piano con chissà quale forza e quale coraggio. Tutto il mio corpo chiedeva di abbracciarlo, di stringerlo, di sentirlo addosso.
«Io ti amo da impazzire, lo giuro.» confessò prima di allontanarsi. Scossi la testa nascondendo il viso tra le mani, non sopportavo più quell’assurda situazione.
Sospirò, mi baciò la fronte e poi lo sentì allontanarsi. La porta si aprì, spostai le mani e lo guardai.
Sulle guance aveva delle lacrime, gli occhi lucidissimi. Si voltò, uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Scoppiai in un pianto rumoroso e fin troppo forte da reggere per il mio corpo che, comunque, fece il possibile per evitare che esplodessi lì.
Lo amavo, lo amavo da morire e questo lui lo sapeva perfettamente anche senza delle stupidissime conferme.
Mi lasciai scivolare giù, appoggiata al muro e con le ginocchia al petto.
Avrei amato Harry per tutta la vita.
Anche quando sarebbe arrivato il momento di andare avanti, anche con un nuovo uomo; lo avrei amato sempre.
Lo avrei amato anche mentre, su un altare di una piccola chiesa di paese, un flebile “Lo voglio” sarebbe uscito dalle mie labbra, rivolto ad una persona che non era lui.

 
***
Angolo Autrice:
Okay.. io non ho idea di cosa sia questa cosa. So solo che stasera ce l'avevo a morte con il mio Harold, ma lui è perfetto ugualmente e lo amo lo stesso.
Non ho neanche riletto, non ci tengo sinceramente. Se ci sono errori, quindi, mi scuso davvero.
E' uno sfogo bello è buono questo, avevo bisogno di scriverlo e boh.
Per il finale ci ho messo tutta la forza possibile; sono una che detesta queste fini. Fosse stato per me le avrei fatto dire quel fottutissimo "ti amo" e basta, ma ho voluto farla pagare ad Harry.
Sono stata una stronza, lo so; ma stasera lo odio e lo amo più di tutto.
Concludo questo delirio, care.
Byee.-
  
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