«Pronto?»
«Dean, sono Bobby. Ho un lavoretto per te.»
«Fantastico! E io che mi ero illuso di poter
dormire almeno un'ora.»
«Me ne sarei occupato personalmente, ma sono un
po' impegnato al momento e sembra che gli altri cacciatori siano nella merda
fino al collo.»
«Anche loro hanno Zaccaria alle calcagna?»
«'Sta zitto. Allora, vuoi questo maledetto caso o
no?»
«Di che si tratta?»
«Non ne ho idea. Mi ha chiamato Gwen Breakbones,
dice di non aver mai visto una cosa del genere, le servono rinforzi.»
«Gwen? Ci mancava soltanto questa...»
Gwen Breakbones era un'ottima cacciatrice, una
professionista spietata. Una persona arrogante ed egocentrica, di quelle che
non ammettevano mai di aver torto anche se sapevano perfettamente di nuotarci nel
torto. Una di quelle che preferivano sempre chiarire il proprio ruolo, che era sempre
quello del capo in qualunque situazione.
«Non lamentarti. Gwen è una ragazza in gamba!»
«E' insopportabile, Bobby. Per non parlare delle
sue manie di protagonismo!»
«Senti chi parla.»
Dean arricciò il naso e storse le labbra in una
smorfia. In effetti Bobby non aveva tutti i torti: Gwen era una sorta di sua
versione femminile.
«Hai parlato con Sam?»
Il ragazzo si schiarì la gola, un po' a disagio.
«Dove posso trovare Gwen?»
Si udì un profondo sospiro dall'altro capo del telefono, poi
l'uomo gli diede le informazioni che gli servivano. Gwen era a Toledo, in Ohio.
Alloggiava al Dark motel, stanza 69.
«Cercherò di ignorare la sottile ironia» commentò
quando si ritrovò davanti alla porta, dopo molte ore di viaggio. Allungò una mano e bussò più volte,
borsone alla spalla.
La porta si aprì in uno spiraglio e uno spicchio di
Gwen apparì dietro di essa. Dean si disegnò un sorrisetto sulle labbra e la
salutò con un cenno della testa.
«Gwen, quanto tempo!» esclamò, con un un finto entusiasmo.
«Hai intenzione di farmi entrare o...?»
Maledetto Toledo, maledetto Ohio
e maledetto caso che l'aveva costretta a chiamare Bobby -ovvero il centro di
soccorso per cacciatori-. Gwen non chiedeva mai aiuto, odiava dover supplicare
qualcuno esattamente come odiava le ciambelle senza lo zucchero sopra.
Se ne stava confinata nella sua stanza di motel che faceva praticamente pendant
con la sua intera vita (e se con lei ci fosse stata anche sua sorella, non si
sarebbe fatta scappare l'occasione di farglielo notare con una delle sue
battutine) e studiava tutto quello che era riuscita a racimolare dalle ricerche
in giro per il paese.
Pierre Dumont, la prima vittima, era stata aggredita nella sua residenza per
poi essere privato di tutte le unghie e degli occhi. All'appello mancavano
anche altri pezzi di carne che parevano essere stati staccati dal corpo a
morsi.
Jean Richards invece, il secondo mal capitato, sembrava aver avuto meno
fortuna: difatti questo era stato trovato nel giardino della sua residenza
senza denti, in aggiunta alle unghie e agli occhi.
Gwen era in quella città da ormai due giorni e questa "cosa" aveva
già causato due morti. Un morto al giorno non era certo un bel ritmo. E sapeva
che da sola non ce l'avrebbe fatta.
Quando sentì bussare alla porta si alzò dal vecchio divano marroncino ed andò
ad aprire, aspettandosi qualche vecchio cacciatore barbuto ed esperto: aveva
specificato a Bobby quanto questa cosa fosse strana.
Protetta dalla catenella, aprì di poco la porta, rimanendo impassibile nel
vedere Dean.
Dean Winchester, il cacciatore più stronzo ed in gamba che avesse mai
incontrato. Lavorare con lui era come portarsi appresso uno specchio che,
sfortunatamente per lei, aveva anche il dono della parola.
«Gwen, quanto tempo! Hai intenzione di farmi entrare o...?» e richiuse
nuovamente la porta, quasi sbattendogliela in faccia.
Dean Winchester? Sul serio?? Bobby doveva essere ubriaco quando Gwen gli aveva
chiesto di mandarle qualcuno di qualificato ed affidabile.
Ruotò gli occhi al cielo e spostò il catenaccio, così da poter aprire la porta
liberamente.
Si allontanò dall'entrata e raggiunse il centro della stanza, lanciandogli
strane occhiate.
«Non controlli che non sia un mostro o chissà cosa?» Domandò sorpreso di
quell'accoglienza così... frivola.
Quando lei si voltò per rispondergli, alzò lo sguardo sul soffitto, invitando
Dean a fare lo stesso.
«Anti-demone» annuì Dean vedendo il cerchio dipinto di nero, colpito. «E se
fossi qualcos'altro?» E richiuse la porta alle proprie spalle.
«Ho montato una maniglia d'argento e lo specchio dice che non sei un mutaforma.
Adesso vuoi fare il tuo lavoro o vuoi continuare ad umiliarti?» Gli sorrise
vittoriosa lei, passandogli i fogli con gli articoli di giornale.
Un caso con Dean Winchester. Un'accoppiata da pazzi.
Se c'era una versione umana, femminile e sexy del Diavolo... be', quella era
Gwen. Chiunque sano di mente avrebbe preferito stare alla larga da quella
donna. Avida, macchinatrice e a volte anche egoista. Aveva il potere di
confondere la gente con poche parole,
di rigirare la frittata a proprio vantaggio. Spesso riusciva a salvarsi la vita
grazie alla sua parlantina. Sì, Dean la conosceva perfettamente e da tanto
tempo. Avevano lavorato insieme parecchie volte, da prima che Sam lasciasse Stanford
per andare alla ricerca di John insieme a lui.
Dean restò lì, immobile, impassibile, non appena la porta gli fu sbattuta in
faccia. Continuava a sorridere, adesso divertito dal suo pessimo carattere.
Come già detto la conosceva bene, abbastanza da riuscire a prevedere ogni sua
mossa: Gwen riaprì la porta e lo lasciò entrare, in silenzio.
Si rese conto che la sua ingegnosità era parecchio evoluta. Una maniglia
d'argento per tutti gli esseri che erano allergici al materiale, lo specchio
per smascherare gli spettri e la trappola del diavolo sul soffitto per
imprigionare un eventuale demone.
«Mh, io l'avrei messa sotto il tappeto» confessò, storcendo le labbra in una
smorfia.
Si schiarì la gola e gettò un'occhiata tutto intorno. Una stanza piccola, ordinata
e pulita. Si soffermò sull'unico letto al centro della stanza e alzò lo sguardo
sulla ragazza che se ne stava a fissarlo, indagatrice. Lasciò il borsone sul
materasso e cominciò a tirare fuori l'essenziale, ossia alcune armi che avrebbe
poi dovuto pulire.
«Che intenzioni avevi con Bobby?» ironizzò dopo aver constatato di aver
affittato una stanza per una sola persona. Non poté non trattenere una risata
non appena la sua faccia si deformò in un'espressione di stanchezza. «Oh, non
dirmi che ne hai già abbastanza, tesoro.»
«Sono abituata alle tue battute fuori luogo, Dean» ribatté, disegnandosi quel
maledetto e fastidioso sorrisetto, molto simile a quello che usava Dean quando
canzonava qualcuno.
«E io alle tue» controbatté prontamente. «Diamoci da fare.»
«Di già? Pensavo volessi risolvere il caso, prima.»
Lei e le allusioni: cosa avrebbe fatto senza di loro?
Nascose la sua smorfia compiaciuta voltandosi di spalle e si appoggiò al
tavolo, posandoci le mani ai due lati opposti. Sul ripiano foto e schedemediche
continuavano a danzarle sotto gli occhi, come se le stessero rinfacciando la
sua incompetenza.
«Darò fuoco a tutto una volta trovato quel figlio di puttana» borbottò seccata
Gwen iniziando a spostare -per l'ennesima volta- i fogli, in modo che potesse
comparare le vittime.
Origini, luoghi frequentati, età, lavoro, tratti fisici: tutto sembrava non
coincidere. Questo faceva intendere una mancanza di schema.
«Quale tra le diavolerie che conosciamo preferisce mangiarsi il contorno
piuttosto che il piatto principale?» Domandò a Dean in quel contorto modo che
avrebbe certamente inteso: a volte avere il sarcasmo che viaggiava sulla stessa
lunghezza d'onda di qualcun altro era un vantaggio.
«Rugaru?» Azzardò seduto sul letto lui, passandosi la lista mentalmente.
«Un Rugaru schizzinoso? Ne dubito» dissentì lei continuando a fissare quei
fogli che ormai conosceva a memoria. «E poi su entrambe le scene del delitto vi
erano delle impronte animali.»
«Allor-»
«Licantropi? Sei serio?» Lo anticipò voltando la testa nella sua direzione solo
per potergli lanciare una delle sue occhiate da "e io dovrei collaborare
con te? Ma per favore!". «E poi ho detto impronte animali. Di più
animali.»
Si mosse verso quella che sarebbe dovuta essere la cucina e prese un libro che
aveva dimenticato sul ripiano mentre si concedeva una pausa spuntino durante le
ricerche. Glie lo lanciò senza nemmeno avvertirlo, almeno per quanto riguardava
i riflessi era ancora utile.
«Lontre» lo anticipò nuovamente quando lo vide aprire il libro, aiutato dal
post-it che segnava la pagina incriminata. «E cani» aggiunse aprendo il mini
bar per prendere una birra.
Poco senso dell'accoglienza, decisamente.
«E tracce di una mano le quali impronte non risultano essere di nessun
pregiudicato.»
Le sembrava di star giocando ad "Indovina Chi", quello stupido gioco
da tavolo che continuava a fare furore nonostante i videogiochi avessero
conquistato la fiducia dei bambini già da un paio di generazioni.
«Avanti, Dexter. Fammi vedere chi sei» lo prese in giro aprendosi la birra e
facendone un lungo sorso.