Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: nefert70    02/09/2013    0 recensioni
Il 27 ottobre 1597 muore, senza eredi legittimo, Alfonso II d'Este.
E' la fine della dinastia estense a Ferrara...
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ferrara – Palazzo ducale
28 gennaio 1598
Ferrara si era svegliata sotto una malinconica pioggerellina invernale, la sola che si ricordasse del triste giorno che andava a cominciare.
Sin dal mattino, nel cortile interno del palazzo, c’era stato un movimento silenzioso e ordinato.
Il duca Cesare era ancora a letto, mai si era così attardato.
Il cameriere personale aveva già servito la colazione sul piccolo scrittoio posto di fronte alle ampie finestre.
Il duca decise infine di alzarsi, mestamente si avvicinò allo scrittoio, guardò l’abbondante colazione e senza prendere nulla si diresse verso lo spogliatoio.
La chiesa era stranamene deserta quella mattina, ma il duca come d’abitudine volle assistere all’ultima messa nella Cattedrale. Fin da quando era piccolo il padre lo avevo condotto la mattina presto, prima di cominciare la giornata alla messa in cattedrale e nulla gli avrebbe impedito di assistervi nel suo ultimo giorno a Ferrara.
A fine celebrazione l’arcivescovo Metteucci, contro ogni previsione, lo aveva raggiunto e gli aveva impartito una speciale benedizione, dopo di ché era rientrato a palazzo.
Il campanile della chiesa stava suonando i tre ritocchi quando, il duca affacciato alla finestra del suo studio, vide le poche carrozze che avrebbero composto il corteo già predisposte e i cavalli che scalpitavano sotto la pioggia.
Dall’ampio portone la duchessa, sostenuta dalla figlia e seguita dalle dame e gentiluomini costituenti la sua corte, si diresse verso la prima carrozza.
A fatica la duchessa salì e con lei la figlia Giulia.
Non passarono che pochi minuti e i restanti figli, Luigi, Laura e Caterina ripercorsero il tragitto della madre e della sorella e si sistemarono sulla carrozza successiva.
Le dame e i gentiluomini nelle tre altre carrozze.
Poco dopo, dal palazzo uscirono i quattro gentiluomini di camera del duca e salirono sull’unica altra carrozza libera.
Il duca Cesare volse un ultimo sguardo all’ufficio che era stato suo per pochi mesi, poi prese un foglio dalla scrivania e con il capo chino raggiunse la porta, l’aprì, percorse il lungo corridoio e raggiunse le scale che lo avrebbero condotto all’ampio portone da cui erano già usciti i suoi familiari.
Senza alzare gli occhi si diresse, mesto, verso la carrozza, salì e il corteo partì.
A scortare il misero corteo c’era l’esercito del duca: 600 cavalieri, 200 archibugeri a cavallo e 300 soldati di fanteria.
Lentamente il corteo attraversò il giardino del Padiglione e si diresse verso Porta degli Angeli dove il duca Cesare diede il suo ultimo ordine.
Il duca fece fermare la carrozza e chiamato il comandate della guarnigione gli consegnò il foglio che teneva in mano e disse “Liberate tutti i prigionieri. Che almeno qualcuno sia felice in questa giornata” poi battendo con il palmo sulla portiera fece riavviare la carrozza.
Le carrozze uscirono dalla città e si diressero verso la loro nuova capitale, Modena.
 
Ferrara – Sagrato del Duomo
29 gennaio 1598
La città si era svegliata ancora avvolta dalla nebbia ma i preparativi, per accogliere il legato pontificio, non potevano attendere.
Ventidue giovani appartenenti alle più importanti famiglie di Ferrara fin dalle prime luci dell’alba si erano posizionati, in ordine di importanza, alla Porta di Castel Tedaldo reggendo il sontuoso baldacchino ducale.
Erano le ore otto quando comparve il lungo corteo composto da 8000 fanti e 12000 cavalieri che componeva l’esercito del nuovo signore di Ferrara, il cardinale Pietro Aldobrandini.
Il cardinale scese dal magnifico cavallo bianco e inchinatosi, posò la fronte sulla nuda terra ferrarese poi raggiunse il Magistrato che, affiancato dai collegi dei Dottori e dalle Corporazioni della Arti, gli consegnò le chiavi delle porte cittadine e delle prigioni.
Il cardinale risalì sul cavallo e, fra rombi di artiglierie e suoni di trombe, percorse le vie cittadine ornate di archi trionfali e di sontuosi tappeti.
Il corteo ci mise più di due ore per raggiungere il centro della città e il sagrato del Duomo dove il nuovo Signore ricevete l’omaggio del Vescovo e del clero.
Sempre sotto il baldacchino sorretto dai ventidue giovani riccamente vestiti raggiunse il palazzo.
--------------
Il cardinale era seduto alla sua scrivania e stava contemplando le pareti affrescate dello studio.
Dalla finestra sentiva ancora le urla di giubilo dei cittadini ferraresi.
Il segretario Lanfranchi bussò ed entrò senza attendere il permesso.
“Mi avete fatto chiamare”
“Si” rispose il cardinale “ Desidero che lanciate delle monete al popolo. Duecento scudi in monete spicciole ritengo siano un importo adatto. E poi affiggete la concessione a mascherarsi, dopotutto è carnevale, che il popolo si diverta”
“Come desiderate eminenza.”.
Poi Lanfranchi si inchinò ed uscì.
 
Ferrara – Palazzo del legato pontificio
1 febbraio 1598
Il segretario del cardinale bussò alla porta dello studio e ricevuto l’invito ad entrare aprì la pesante porta.
Arrivato di fronte alla scrivania cominciò  “Eminenza ho ricevuto molte lamentele da parte dei cittadini, sembra che i soldati, nonostante siano stati accolti e ospitati nelle casa ferraresi si siano dati a gozzoviglie ed eccessi, mancando di rispetto a diverse signore. I cittadini chiedono un  vostro tempestivo intervento”.
Il cardinale sospirò profondamente “Richiamate tutti gli uomini e chi ha commesso degli eccessi sia spedito nelle campagne”.
“Molto bene eminenza” .
Nel frattempo mostrò al cardinale la pergamena che aveva in mano “Eminenza, ecco la stesura definitiva della costituzione come avevate richiesto. Manca solo la vostra firma”
Il cardinale prese il grande foglio e cominciò a scorrerne le parole.
Riduzione della gabella sul frumento e le biade, nonché del dazio sul vino, il sale e il pesce d'acqua dolce e di mare; abolizione del boccatico, che gravava su cittadini e contadini, della cosiddetta "dadia" sui lavori a carico di chi li effettuava e di chi li ordinava, e del dazio sul pesce pescato nel Po; blocco del prezzo del pane; divieto del transito di armi in città; divieto di danneggiare i beni privati di Cesare d'Este, salvaguardia dei diritti dei carcerati sui propri averi durante il periodo della detenzione, con designazione della Compagnia della Morte quale garante; amnistia ai sudditi e ai vassalli per delitti commessi prima del 29 gennaio, l'istituzione di un Tribunale di Rota, formato da cinque uditori, dottori e non ferraresi, in carica per cinque anni, deputati a discutere e decidere cause e controversie della legazione ferrarese. ;
Terminato di leggere il cardinale commentò “Perfetta ma visti i problemi tra la popolazione e i soldati aggiungerei qualcosa che mantenga il controllo dei soldati del presidio di Ferrara, allo scopo di evitare offese ai cittadini e disordini di ogni genere.”
 “Naturalmente, Eminenza” rispose il segretario inchinandosi e dirigendosi verso la porta.
 
2 febbraio 1598
La sala delle udienze era gremita di  cortigiani, in prima fila i membri delle più importanti famiglie di Ferrara.
Il cardinale giunse con un po’ di ritardo e chiese immediatamente scusa ai suoi ospiti, poi la cerimonia di investitura cominciò.
Ad uno ad uno, i ventidue giovani che avevano scortato il cardinale al suo arrivo in città furono chiamati.
Il ginocchio poggiato a terra, il capo chino, le parole di rito e la lama della spada che si poggiava prima sulla spalla destra e poi su quella sinistra, il cardinale lì nominò cavalieri.
_________
 
Il salone delle feste era illuminato da centinaia di candele il Cardinale Aldobrandini attendeva i suoi ospiti sul pianerottolo dell’ampio scalone di marmo bianco.
La maggior parte dei nobili ferraresi era già giunta, mancavano solo i membri delle più importati famiglie della città e la duchessa Lucrezia.
Il cardinale rischiarò il suo bel volto con un ampio sorriso nell’accogliere prima il marchese Bonifacio Bevilacqua, Francesco Sacrati, i fratelli Ottavio ed Ercole Tassoni, il conte Alfonso Giglioli e per finire il conte Ercole Bevilacqua.
Il cardinale cominciava ad innervosirsi, ormai i suoi illustri ospiti era tutti giunti, mancava solo la duchessa, girandosi verso il suo segretario  “Per caso la duchessa ha annunciato che non sarebbe venuta?”. “No, monsignore. Anzi quando ho recapitato l’invito si è dimostrata entusiasta a differenza della duchessa Margherita”.
Proprio in quel momento il cardinale vide l’esile figura della duchessa che a fatica saliva i primi gradini della scalinata, immediatamente scese e porse il suo braccio alla duchessa che lo accettò con un ampio sorriso.
“Ho temuto non veniste” disse il cardinale
La duchessa sorrise “Non sarei mancata per nulla al mondo ai festeggiamenti per il vostro insediamento e poi è molto tempo che non partecipavo più a un banchetto”
Il cardinale ricambio il sorriso lanciando alla sua compagna uno sguardo, che il giorno dopo avrebbe accresciuto, le già innumerevoli voci, che davano il cardinale e la duchessa amanti.
Il cardinale fece accomodare la duchessa alla sua destra poi battendo le mani diede inizio al lauto banchetto.
 
8 febbraio 1598
La duchessa non si era più alzata dal letto dal mattino successivo al ricevimento dato dal cardinale.
La sua inferma salute dopo gli ultimi avvenimenti aveva subito un ulteriore tracollo.
Negli ultimi giorni aveva chiamato il notaio e aveva voluto redigere un nuovo testamento.
Un leggero bussare alla porta svegliò il leggero sonno della duchessa, poi una delle sue dame si avvicinò “Madonna, è giunto il notaio con la versione definitiva del vostro testamento”.
Aiutata dalla dama Lucrezia si sistemò gli ampi cuscini dietro la schiena “Fatelo passare”.
Il notaio appena attraversata la porta di inchinò e si diresse verso il piccolo scrittoio posto di fronte alla finestra, posò la sua cartelletta, la aprì e ne trasse pochi fogli vergati fittamente.
“Ecco Madonna Lucrezia, il testamento come mi avevate richiesto” e porse i fogli ad una dama.
Lucrezia fermò il passaggio con un gesto della mano “No, leggetemelo voi, poi io lo firmerò”
“Come desiderate” disse il notaio e cominciò “Io Lucrezia d’Este sposa di Francesco Maria della Rovere, duca  d’Urbino, nelle mie piene facoltà…Lascio 30.000 scudi da elargirsi tra le varie congregazioni religiose che in questi ultimi anni mi furono care ed esattamente…. Lascio 30.000 scudi al duca d'Urbino mio marito, come convenuto nel patto dotale, pregandolo di ricordarmi sempre con affetto.….   Lascio tutti i miei beni in Francia di derivazione materna a mia sorella la duchessa di Nemours. Lascio tutti i miei beni in Italia al cardinale Pietro Aldobrandini, pregandolo di riceverli come segno di gratitudine e affetto… ”
Il notaio terminato di leggete porse il foglio ad una delle dame che lo porse alla duchessa “Spero di aver eseguito bene le vostre direttive?”
“In modo eccellente” rispose Lucrezia apponendo la sua firma in calce al documento.
 
11 febbraio 1598
Lucrezia stava riposando quando udì bussare alla porta “Chi può essere?” chiese debolmente.
Una della dame aprì la porta e poi comunicò alla duchessa “Madonna, l’abate Brunetti chiede di essere ricevuto”
Lucrezia fece un sorriso amaro e poi “Mio marito vuole assicurarsi che stia morendo. Accontentiamolo. Fate passare l’abate”
L’anziano monaco entrò titubante nella stanza e rimase a dovuta distanza, inchinandosi “Madonna, vengo da parte del vostro sposo che ha saputo del vostro malessere”
“Dite piuttosto che il mio sposo vuole assicurarsi che questa volta rimarrà vedovo” rispose ironica Lucrezia.
L’abate sapeva che la duchessa diceva la verità ma naturalmente non poteva darle ragione così apertamente “Madonna non dite così, il vostro sposo è sinceramente preoccupato” mentì l’abate.
“Certo, comunque comunicategli che non sarò un peso per lui ancora per molto. Non lo accuso di nulla. Il destino si è accanito contro le nostre due persone, mio fratello e suo padre sono stati le cause dei nostri dolori, nessun altro. Ormai sono entrambi nel mondo della verità, e tra poco li raggiungerò anche io. Io lo perdono per tutto il male che mi ha causato. Chiedetegli di perdonare il mio a lui. Ora andate. Lasciatemi riposare”.
“Come desiderate, madonna Lucrezia.” L’abate s’inchinò ed uscì dalla stanza.
 
13 febbraio 1598
L’abate Brunetti era nella stanza che gli avevano assegnato, seduto al piccolo scrittoio stava scrivendo una missiva al suo duca.
Eccellenza,
 Vi comunico con vivo cordoglio che ieri sera alle ore 11 madama Lucrezia d’Este, vostra moglie, è morta nella sua stanza nel palazzo ducale di Ferrara
Vostro fedelissimo,
     Abate Brunetti
 
_______
 
Il cardinale era nello studio che era stato di Cesare di Montecchio e prima di lui di tutti i duchi di Ferrara, ormai erano diversi giorni che trascorreva il suo tempo in quella stanza ricevendo tutti i rappresentanti delle maggiori famiglie di Ferrara che venivano a chiedergli posizioni di rilievo come ringraziamento all’ostilità dimostrata nei confronti di Cesare d’Este.
Il conte Ercole Trotti era appena uscito dall’ufficio e il cardinale si era alzato dalla sedia e stava guardando fuori dalla finestra.
Il  tempo, da quando era giunto a Ferrara, era sempre grigio e pioveva in continuazione, il cardinale cominciava ad odiare quell’umidità che gli penetrava nelle ossa, neppure tutti i camini accesi riuscivano a riscaldarlo.
Un leggero bussare alla porta distorse il cardinale dai suoi pensieri “Avanti”
Il segretario entrò “Eminenza, mi è stato appena comunicato che la duchessa Lucrezia è morta ieri sera alle ore 11”
Il cardinale si fece il segno della croce “Vado immediatamente nella sua stanza. Organizzate sontuose esequie, voglio che sia degno della dama che fu.” E così dicendo uscì dallo studio attraverso un’ala di nobili che si apriva al suo passaggio.
 
Ferrara, Duomo
14 febbraio 1598
La bara della duchessa era stata predisposta al centro della navata, attorniata da sei candelabri che illuminavano la buia chiesa, nessuno era presente per vegliare la salma.
Solo due guardie erano state poste all’esterno della cattedrale a controllare che nessuno trafugasse o infierisse sulla salma della duchessa.
Un ragazzino cencioso osservava la scena dall’angolo della strada di fonte alla chiesa, sembrava che attendesse qualcosa, in mano aveva un foglio che poco prima un elegante gentiluomo gli aveva consegnato.
Suonava mezzanotte quando le due guardie si sedettero a terra e cominciarono a russare sonoramente.
Ecco, il momento era giunto, il fanciullo si avvicinò cautamente all’ampia scalinata e piano la percorse, arrivato al portone spinse la piccola porta nell’ampio portone della chiesa e senza neppure aprirla tutta la oltrepassò.
Richiuse cautamente la porta e si diresse verso le luci al centro della navata, giunto, non si fece neppure il segno della croce, srotolò il foglio e lo appoggiò sul drappo di velluto che ricopriva il feretro.
Poi veloce come era entrato uscì e si perse nei vicoli bui di Ferrara.
______
 
Il foglio era stato posto, come gli era stato detto, in modo che fosse perfettamente illuminato dalla flebile luce delle sei candele. Le lettere sembravano prendere vita e danzare la lenta melodia delle satiriche parole.
“Inimica alla Patria e al proprio sangue,
sotto tinto color di falsa aita.
Precipitando altrui perde la vita,
 l’iniqua donna che qui giace esague.”
 
 
 
 
FINE
 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: nefert70