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Autore: Vanilla_91    02/09/2013    15 recensioni
Tokyo, centro della cultura, finanza, educazione e politica. Oltre alla grande presenza di quartieri, scuole, college, musei e ferrovie la dinamica e moderna capitale ha un lato di sè che pochi conoscono veramente.
La città è capeggiata da diverse bande a cui nessuno osa ribellarsi. Le organizzazioni criminali si suddividono il potere, ma due sono quelle che esercitano una maggiore influenza.
Kagome è una giovane ragazza di 18 anni che, suo malgrado, si ritrova invischiata in questo brutto ambiente e farebbe di tutto per uscirne. Inuyasha è nato e cresciuto in questo clima e non fa fatica a destreggiarsi tra individui loschi e situazioni difficili.
Due persone così diverse, con sogni e destini contrastanti, due ragazzi costretti a crescere in fretta.
Dal testo:
"Ciò che io ho sempre voluto è diventare qualcuno. Essere potente, temuto e rispettato. Voglio che quando gli altri mi vedano passare sappiano di essere inferiori. Non è ciò che ognuno vorrebbe?"
"No!"
"No? Se non è questo, cos'è che tu vorresti? Cosa c'è di più bello del potere?"
" E' semplice: la libertà!"
Riusciranno i protagonisti a trovare ciò che hanno sempre cercato?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Naraku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Osservavo con aria assente i giochi che la luce solare, proveniente dalla piccola ed unica finestra alle mie spalle, creava sulla mia scrivania. Adoravo osservare quegli effetti di chiaro-scuro, luce ed ombra, mi lasciava immaginare che vi fosse, in egual misura, del bene e del male in ogni cosa. Era, probabilmente, la voglia di fuggire dalla realtà che mi faceva perdere tempo in sciocchezze del genere.

-Kagome, hai di nuovo la testa tra le nuvole.- mi richiamò spazientita la voce della mia migliore amica.
Il mio nome è Kagome Higurashi, ho 18 anni e la mia vita è un inferno. Non ho conosciuto la gioia dell’infanzia, né la spensieratezza dell’adolescenza. La mia esistenza è stata segnata nel momento in cui Naraku Kumo è entrato a far parte della mia vita.
Non ho mai avuto una vera famiglia; mia madre era una delle numerose amanti di mio padre, una donna che aveva affogato i suoi dispiaceri nell’alcool fino a restarne uccisa. Mio “padre”era uno spacciatore di droga. Un uomo losco, un essere che sperperava il suo denaro tra donne, stupefacenti e gioco d’azzardo fin quando i suoi stessi vizi non avevano ucciso lui. La mia unica ancora di salvezza era stato mio fratello maggiore, Sota, a lui dovevo i pochi istanti di tranquillità vissuti. Quando entrambi i nostri genitori morirono, il timore di essere separati e trascinati in qualche orfanotrofio ci aveva dilaniato, ma il destino aveva in serbo per noi qualcosa di ben peggiore: Naraku Kumo. Avevo circa 8 anni il giorno che lo incontrai la prima volta, fu lo stesso giorno in cui scoprì che mio padre era stato ucciso dal capo di una delle più pericolose bande criminali di Tokyo. Lo stile di vita dissoluto condotto dall’uomo che mi aveva dato la vita l’aveva portato ad accumulare un debito ingente a cui non era stato capace di far fronte e la vendetta era, ovviamente, arrivata rapida e letale. Fu allora che il signor Kumo prese sotto la sua “custodia” me e mio fratello per assicurarsi che il debito fosse saldato e ci annunciò che sarebbe spettato a noi saldarlo. Anche quella volta fu Sota a salvarmi, promise a Naraku che si sarebbe messo alle sue dipendenze fin quando il debito non fosse stato saldato. Con il passare degli anni Sota era diventato uno dei più fidati di Naraku. Sapevo quanto aborriva questa vita, quanto detestava ciò che era costretto a fare, ma era arrivato a conquistarsi la fiducia del “capo” permettendo a me di vivere nel modo più sereno possibile. Vivevamo nella lussuosa villa di Naraku ormai da molti anni e solo la “posizione” di mio fratello mi aveva permesso di vivere sotto il suo dominio senza subire eccessivi soprusi e angherie. Naraku mi aveva concesso di studiare, sostenendo che istruita avrebbe trovato più modi per “impiegarmi” e aiutare così Sota a ripagare il debito contratto da nostro padre. Pretendeva da me, vista la sua generosità, il massimo e non esitava a punirmi in modo violento in caso di  insuccessi scolastici.
Durante gli anni di alloggio in casa Kumo avevo avuto però la possibilità di conoscere persone stupende, persone che come me non avevano avuto possibilità di scelta e che erano stati trascinati in quello squallido ambiente per cause non a loro imputabili. Ne erano un esempio Sango e Kohaku. Entrambi erano figli del braccio destro di Naraku; loro padre era stato trucidato da uno sconosciuto sotto i loro occhi e Naraku aveva preso anche loro sotto la sua “ala protettiva.” Sango ha solo un anno più di me ed è la mia unica amica. È una ragazza solare, forte, fiera e determinata che non ha permesso alle difficoltà della vita di piegarla. Suo fratello, Kohaku, aveva seguito la stessa strada di mio fratello e ne era diventato l’amico più intimo e fidato. Le cose erano peggiorate, se possibile, all’incirca due mesi fa quando Sota e Kohaku erano scomparsi. Naraku continuava a sostenere di star facendo tutto ciò che è possibile per ritrovarli, ma di loro non si avevano più notizie. Inutile dire quanto io mi sentissi paralizzata per la paura di poter perdere mio fratello, la mia famiglia, eppure dentro me sentivo che lui e Kohaku erano ancora vivi. Ne ero sicura!
-Kagome, ma insomma mi stai ascoltando?- mi richiamò spazientita Sango.
-Scusami, Sango, ma sai quanto io detesti la matematica. E poi, con tutto ciò che ci sta accadendo, fatico un po’ a tenere il passo con la realtà.- ammisi triste.
-Lo so. È anche per me così, ma sai anche che non possiamo permetterci errori.- mi disse fissando con aria greve il libro che stringeva tra le mani.
Mi limitai ad annuire non sapendo come ribattere, mentre, inconsapevolmente, la mia mano corse a coprire, all’altezza del braccio, un brutto livido segno dell’ultima “punizione” di Naraku. Tentai di dirle, per l’ennesima volta, quanto io fossi convinta che Sota e Kohaku stessero bene, ma dei colpi alla porta mi interruppero. Entrambe tremammo inconsapevolmente. Il timore che Naraku potesse convocarci nel suo ufficio era sempre radicato in noi. Adesso che né Sota, né Kohaku, erano più lì la nostra situazione si era fatta molto più delicata: il signor Kumo pretendeva da me che il debito che Sota con il suo “lavoro” stava pagando venisse saldato. Più volte mi aveva proposto di diventare la sua amante e, di fronte ai miei continui rifiuti, mi aveva non troppo velatamente minacciato di costringermi alla prostituzione pur di recuperare il suo denaro. Fin’ora ero riuscita ad evitare tutto ciò grazie alla speranza di Naraku di poter ritrovare uno dei suoi migliori uomini e svolgendo lavori sicuramente più dignitosi ma che mi permettevano comunque di saldare un po’ alla volta il mio debito. Erano cifre modiche e sicuramente troppo magre per poter pagare una somma così ingente.
-A..avanti..- diede il permesso Sango.
Entrambe sospirammo di sollievo quando a entrare nella nostra stanza fu Koga. Alto, muscoloso, lunghi e lisci capelli scuri raccolti in un’alta coda e che facevano risaltare ancor di più quegli splendidi e orgogliosi occhi azzurri; Koga era una delle persone a cui volevo più bene. Non apparteneva agli uomini di Naraku, ma si era trovato invischiato in quella vita a causa di una vendetta. Non mi aveva mai raccontato la sua storia, se non in modo vago, ma sapevo che a differenza di Naraku non era un uomo crudele.
-Salve, bambole.- ci salutò con tono gioviale.
-Ciao, Koga.- rispondemmo allegre.
-Sapete quanto io adori trascorrere del tempo con voi, ma oggi vado di fretta.- ci avvisò.
-Cosa ti porta qui, Koga?- gli domandò Sango.
-Naraku vuole vederti, Kagome.- mi annunciò serio.
-C..cosa? E perché?- domandai improvvisamente spaventata.
Ogni volta che mi trovavo faccia a faccia con il padrone di casa avvertivo i conati di vomito. Lo stomaco si contorceva e quando mi era vicino diventava quasi impossibile controllarlo. Era incredibile il ribrezzo che quel tizio mi suscitava e in più il timore per le sue intenzioni nei miei riguardi si faceva sempre più forte.
-Non lo so, piccola. Però oggi mi sembra di buon umore.- mi disse tentando di riassicurarmi.
-Vieni, ti accompagno e ovviamente ti aspetterò fuori.-
Rivolsi un cenno a Sango e seguì Koga per quegli intricati corridoi che ben conoscevo.
-Se hai bisogno di aiuto, urla, Kagome, e io non esiterò ad accorrere in tuo soccorso.- mi disse realmente convinto delle sue parole mentre ci avvicinavamo all’ufficio di Naraku.
-Ti ringrazio, Koga, ma so che sto solo rimandando l’irrimandabile. Se Sota non torna il signor Kumo non ci metterà molto a buttarmi in mezzo ad una via.- dissi esprimendo i miei timori ad alta voce.
-Una cosa del genere non la permetterò mai. Kagome, ti ho più volte detto che per te sono disposto a fare molto.- mi disse bloccandosi nel mezzo del corridoio e parandomisi di fronte.
-Ti sono grata per tutto l’aiuto che mi offri.- tentai di dire ma lui mi sorprese.
Si avvicinò a me e afferrate le mie mani le strinse delicatamente tra le sue.
-Sposami, Kagome.-
-C..come?-
-Immagino tu abbia capito da un po’ di tempo che mi interessi.- affermò.
Lo guardai sconvolta, non avendo mai in realtà compreso nulla. Avevo sempre pensato che i suoi gesti nei miei confronti fossero dettati esclusivamente dall’amicizia e dall’affetto.
-V..veramente io..- esitai in imbarazzo.
-Non importa! Mi piaci, Kagome. Ecco, adesso lo sai.- mi disse guardandomi speranzoso negli occhi.
Sapevo di dover dire qualcosa, ma la sua ammissione così come la sua proposta mi avevano letteralmente scioccata, paralizzandomi la mente e seccandomi la gola.
-Anche io, come te, credo che Sota sia ancora vivo, ma fin quando non riusciremo a trovarlo tu corri un grave pericolo. So che Naraku ti vuole per sé e so che ti ha anche minacciata dicendoti che ti avrebbe costretta a prostituirti, ma io una cosa del genere non la permetterò. Se tu mi sposassi, Kagome, Naraku sarebbe costretto a tenere le sue manacce lontane da te. Con me saresti al sicuro..-
-Koga, io non so che dire..-
-Dì solo di sì.-
-Non possiamo sposarci solo per un desiderio di protezione. Un matrimonio comporta molte cose, molte responsabilità..-
-Ti rispetterò, Kagome. Ovviamente non saresti costretta a fare nulla che non vuoi..- mi disse serio.
Arrossì quando compresi a cosa si stesse riferendo.
-Non sarebbe in ogni caso possibile, Koga. Fin quando il mio debito non sarà saldato io appartengo al signor Kumo. Naraku non mi lascerà andare.-
-Naraku per soldi sarebbe capace di vendere anche suo figlio. Non sarà per me un problema pagare il tuo debito liberandoti così da questo peso. Sposami, Kagome. Sposami e non te ne pentirai.-
-Ti ringrazio, Koga.- cominciai.
-Questo vuol dire che accetti?- mi domandò esaltato.
-Aspetta..lasciami parlare. Apprezzo davvero tanto l’aiuto che mi offri e non ti ringrazierò mai abbastanza. Mi dispiace di essere stata fin’ora cieca riguardo ai tuoi sentimenti, ma la situazione che mi circonda non mi permette di prestare attenzione anche a queste cose.-
-Se sono i tuoi sentimenti nei miei confronti a bloccarti, Kagome, dammi la possibilità di farti cambiare idea.- mi pregò.
-N..non è solo questo. Sei una persona importantissima per me, ma ti voglio bene come se ne vuole ad un fratello. Non ho mai avuto una famiglia e tu lo sai. Da bambina ho giurato a me stessa che se un giorno mi fossi sposata l’avrei fatto solo per amore. Solo se realmente avessi amato l’uomo che sarebbe diventato mio marito. Non posso venir meno a un giuramento fatto a me stessa e non posso costringere te a passare il resto della tua vita con una donna che non sarà mai in grado di ricambiare il tuo amore. Con il trascorrere degli anni ti renderei infelice e questo non potrei sopportarlo.-
-Ne sei sicura, Kagome?-
Mi limitai ad annuire e lui sospirò.
-Non insisto solo perché so che quando ti metti in testa una cosa è impossibile farti cambiare idea. Ma sappi che se tu ci ripensassi non dovrai far altro che dirmelo.- mi disse stringendo leggermente la presa sulle mie mani e senza distogliere mai i suoi occhi dai miei.
Annuì ancora una volta e lo abbracciai per trasmettergli ancora tutta la mia gratitudine. Quando ci staccammo Koga era tornato lo stesso di sempre e tenendomi per mano mi accompagnò sino all’ufficio di Naraku.
Giunti dinnanzi a quella maestosa porta di legno scuro sentì le gambe cominciare a tremare. Feci un profondo respiro raccogliendo tutta la forza e il coraggio di cui ero dotata. Mostrarsi spaventata o debole dinnanzi a Naraku sarebbe stato un errore imperdonabile. Non volevo dargli l’opportunità di giocare con me al gatto e al topo.
Bussai e attesi che la sua voce subdola e fredda mi invitasse ad entrare.
Quando oltrepassai la soglia mi ritrovai in quel maledetto ufficio che purtroppo conoscevo molto bene. I colori rosso e oro erano predominanti e ben rispecchiavano la personalità lussuriosa, avara e lasciva del proprietario di casa. Gli arredamenti lussuosi, i tappeti pregiati e gli ornamenti costosi quasi creavano un ambiente irreale in cui tutto urlava pericolo e falsità. Naraku se ne stava comodamente seduto sulla sua poltrona con un sigaro tra le mani, il corpo fasciato da abiti all’ultima moda e gli occhi infidi e scuri che mi studiavano con lascivia.
-Buongiorno, signor Kumo.- lo salutai educatamente inchinandomi.
-Kagome..quante volte ti ho detto di chiamarmi semplicemente Naraku? Ci conosciamo ormai da molto tempo e non vedo il bisogno di tutte queste formalità tra noi. Più volte ti ho fatta partecipe del mio desiderio di una maggiore intimità tra noi..-
-Ha notizie di Sota e Kohaku?- domandai tentando di cambiare argomento.
Lui scoppiò in una sonora risata che mi rese ancora più inquieta e nervosa.
-Vedo che non sei ancora pronta ad accettare la mia proposta. No, non ho ancora avuto notizie di tuo fratello e questo mi spinge a dover trovare altre soluzioni.-
-Altre soluzioni?- domandai non realmente desiderosa di conoscere il significato delle sue parole.
-Kagome, il debito di tuo padre doveva essere saldato anni fa. Alla sua morte, essendo Sota solo un ragazzino, ho concesso generosamente alla tua famiglia altro tempo e devo ammettere che i servigi di Sota mi hanno ampliamente soddisfatto. Ma..- ed esitò.
-Ma..?- lo invogliai a continuare.
-Ora che Sota è sparito io non posso attendere in eterno. Sono stato molto paziente con te fin’ora ma è giunto il momento di chiudere questa storia. Hai i soldi per saldare il tuo debito?- mi domandò con aria tronfia.
Ovviamente sapeva che non avevo a disposizione una cifra del genere.
-No, purtroppo, signor Kumo.-
-Come pensi di risolvere la situazione allora?-
-I..io non lo so.-
-Io ti ho offerto due vie, piccola Kagome. Concediti a me e io riterrò saldato il tuo debito.-
-Oppure?-
-Oppure sarò costretto a farti lavorare come prostituta in uno dei miei bordelli stradali. Sarebbe un peccato però offrire un fiore puro e delicato come te alle intemperie della strada. Immagina il genere di uomini con cui avresti a che fare: violenti, bramosi e insensibili. Cosa ne pensi mia piccola Kagome?-
Strinsi i pugni infastidita. Le strade che mi aveva proposto mi schifavano entrambe in egual modo. Finire a letto con lui, che aveva la fama di essere rozzo e violento, sarebbe stato forse anche peggio dell’essere toccata ogni sera da decine e decine di sconosciuti che mi avrebbero usata senza alcun riguardo.
-La tua non è una scelta difficile, eppure mi sembra tu stia abusando troppo della mia generosità. Capisco il momento complicato che tu stai attraversando e solo per questo ti concederò alcuni giorni per pensarci. Ma bada, se entro cinque giorni non mi avrai dato la tua risposta ti prenderò e ti costringerò poi a lavorare per strada. Stai quindi attenta a non approfittare della mia indulgenza, Kagome.- mi disse con tono cattivo.
Mi limitai ad annuire senza proferir parola perché troppo disgustata da ciò che il destino aveva in serbo per me.
-Posso andare?- gli domandai.
-No! È ora che tu cominci a lavorare seriamente per ripagare il tuo debito.- disse con tono nervoso mentre sfogliava alcuni documenti presenti sulla sua scrivania.
-Oggi si terrà un importante summit. Agli occhi di tutta la città passerà come un incontro tra i più alti vertici per questioni ambientali; si tratterà invece di un incontro tra le più importanti personalità di Tokyo. Voglio che tu vada lì.-
-C..cosa dovrò fare?-
-Lavorerai come hostess. Vedi di fare un buon lavoro e non farmi giungere lamentele altrimenti te ne pentirai. Adesso va via. E ricordati: hai solo cinque giorni, Kagome.-
Mi limitai ad annuire e corsi via da quell’ufficio che puzzava di tabacco e chiuso. L’ultimatum di Naraku mi tormentava e il compito che mi aveva affidato mi rendeva ancor più inquieta. Sapevo quanto quegli incontri potessero essere pericolosi e delicati e quali rischi correvo. Sospirai impotente. La mia vita era davvero un inferno..
 
 
 
All’incirca due ore dopo mi trovavo all’entrata di uno dei più prestigiosi hotel della città in attesa degli ospiti. La divisa che mi avevano costretto ad indossare mi creava non poche noie. La gonna nera era estremamente corta ed attillata per non parlare poi della camicia bianca trasparente, aderente ed estremamente scollata. Sapevo che in quel tipo di eventi le hostess offrivano anche “divertimento” agli ospiti, ma io non avevo intenzione di essere il giocattolino serale di uno di quei loschi individui e le occhiate lascive che più di una persona mi aveva lanciato mi lasciavano l’amaro in bocca. Passai l’intera serata a schivare le avance malcelate di diversi uomini che avevano almeno il doppio della mia età e quando tutto fu finito tirai un respiro di sollievo. Quando tutti furono andati via, restammo a riordinare solo io ed un’altra ragazza che aveva all’incirca la mia età, mentre le mie “colleghe” erano andate via accompagnate dagli invitati alla serata.
-Senti, sono le 02:00 di notte e se non ti dispiace io andrei via..- mi disse con tono sgarbato l’altra ragazza.
Se i suoi modi non fossero stati così arroganti e maleducati probabilmente mi sarei offerta di terminare le pulizie da sola.
-Forse non ti sei accorta che è rimasta ancora una sala da pulire.-
-Carina, ti sembro forse cieca?  Sono già le 02:00 di notte e se non mi muovo non riuscirò ad acchiappare più nessun cliente.-
-V..vuoi dire che ti prostituisci?-
-Perché tu no? Perché credi che ci abbiano mandate qui? Purtroppo né tu, né io abbiamo avuto questa sera la fortuna di essere scelte, ma se mi muovo ho ancora la possibilità di racimolare qualche soldino per strada.-
-Io non sono una prostituta.- mi affrettai a negare.
-Certamente, e io sono una regina. Se non fossi una sgualdrina perché ti avrebbero mandata qui ad allietare la serata di questi ricconi? Ma sai che ti dico? Non mi importa nulla della tua vita! Tu finisci qui, io devo andare!-
Senza aggiungere altro o degnarmi di un sol sguardo, gettò malamente a terra gli attrezzi per pulire e uscì sculettando dalla sala. Trattenni il mio malumore convincendomi che fosse molto meglio trascorrere la notte a pulire piuttosto che vendere il mio corpo. Quando finalmente, un’ora dopo, ebbi terminato cominciai a spegnere le luci nelle varie sale per poi andare via.
-Ehi, chi ti ha dato il permesso di spegnere?- urlò qualcuno.
Avevo appena spento le luci che illuminavano la sala principale, dove si era tenuto l’incontro, quando quella voce nel buio mi fece sussultare.
Riaccesi immediatamente l’illuminazione per vedere chi, oltre me, si trovasse ancora in quella parte dell’edificio. Rimasi incantata a fissare quel ragazzo apparso dal nulla.
Era alto, almeno dieci centimetri più di me, gli abiti che indossava non celavano il suo fisico allenato ma non pompato, le spalle e il torace erano ampi e le gambe lunghe. La parte che più mi lasciò incantata era però il suo viso. I lineamenti decisi e marcati erano estremamente mascolini e piacevoli, il naso dritto, i capelli corti e scuri. Ma la cosa che più di tutto mi stregò furono quegli occhi. Occhi così, forse, non ne avevo mai visti. Scuri, neri, con delle luminose e caratteristiche sfumature violacee. Bui e profondi come il mare in tempesta, mi attiravano in un modo assurdo. Rimasi forse molto tempo a fissarlo perché lo sentì ridacchiare.
-Ti piace quello che vedi, vero?- mi domandò con tono superiore.
Mi squadrò poi dalla testa ai piedi imbarazzandomi e facendomi sentire terribilmente a disagio. Riuscivo quasi a sentire il percorso che quegli occhi tenebrosi avevano seguito e tracciato sul mio corpo troppo esposto.
-Devo dire che non sei da buttare anche tu.- ghignò.
-Chi sei tu? Cosa ci fai qui?- gli domandai infastidita dalla sua prepotenza e dalle strane sensazioni che i suoi occhi mi suscitavano.
-Sei una di quelle che prima di darla fanno mille domande?- mi chiese con tono quasi scocciato.
Spalancai la bocca incredula e mi convinsi di non aver sentito bene.
-Prego?-
-Sei sorda?-
-Senta, non so chi lei sia, ma non dovrebbe trovarsi qui. Ora se per favore vuole andare via cosicché io possa fare altrettanto le sarei molto grata.- dissi infastidita.
-Non posso stare qui? E chi lo dice? Avanti, non fare la difficile!-
-Mi scusi, ma non riesco davvero a capire che cosa vuole da me.- dissi irritata da tutta quella situazione.
Mi squadrò ancora una volta dalla testa ai piedi.
-Sei una hostess, no?-
-S..si, questa sera ho lavorato qui.- dissi, non rispondendo direttamente alla sua domanda.
-Avvicinati!- mi disse con tono suadente.
Come se le mie gambe fossero dotate di volontà propria, mi ritrovai a camminare verso di lui, mente i miei occhi restavano intrappolati in quel manto scuro che erano i suoi.
-Avanti, bambina, non fare la difficile.- mi disse quando mi ritrovai dinnanzi a lui.
-Cosa vuole?-
-Potresti iniziare con un lavoretto di bocca e poi vedremo.- mi ordinò con tono quasi scocciato.
Le sue parole ruppero l’incantesimo che le sue iridi mi avevano imposto e di botto mi allontanai di diversi passi da lui.
-Ma come si permette? Per chi mi ha preso?- gli urlai mentre sentivo prepotente la voglia di schiaffeggiarlo.
-Non fare l’innocentina e muoviti. Sei qui per questo e se ti dimostrerai all’altezza ti pagherò profumatamente. Adesso smetti di starnazzare come un’oca e mettiti a lavoro.-
-Deve aver frainteso, signore. Io non sono di certo qui per soddisfare i suoi desideri.- urlai.
-Davvero? La divisa che indossi dice il contrario. Eppure se così non fosse che problema c’è? Tutte le donne sono puttane!-
Persi il controllo di me e lo schiaffeggiai. Il suono del mio schiaffo rimbombò nitido tra le pareti dell’enorme sala vuota.
-Lei è un porco. Un essere schifoso.- gli urlai.
In un gesto fulmineo catturò il mio polso in una presa ferrea e quasi dolorosa, mi avvicinò a sé finché il suo viso non si trovò a due centimetri dal mio.
-Hai idea di cosa hai combinato? Hai idea di chi ti sei messa contro?- ringhiò.
-I..io..- tentai di dir improvvisamente spaventata.
Chiunque fosse quel ragazzo, se si trovava a quell’incontro voleva poter significare una sola cosa e cioè che non era un soggetto affidabile e pulito.
-Fai bene a tremare, perché sappi che ti sei scavata la fossa con le mani da sola. A chi appartieni?-
-A N..Naraku..- dissi di getto senza riflettere.
Se la situazione fosse stata meno pericolosa gli avrei chiarito che io non appartenevo a nessuno, ma semplicemente avevo un debito con Naraku.
-Bene. Sappi che da questo momento sarò il tuo inferno. Ricorda nessuno tratta in questo modo Inuyasha  Taisho!- mi disse riavvicinando il suo viso al mio.
Mi lasciò poi andare di colpo. Le mie gambe cedettero e mi ritrovai rannicchiata per terra a singhiozzare mentre lo vedevo voltarmi le spalle e andare via. Ero sicura di essermi cacciata in un grosso guaio!




Angolino dell'autrice: Ehm, si sono di nuovo io!
So di avere altre tre storie in corso ma a mia discolpa posso solo dire che " Come te,,nessuno mai" è quasi conclusa e che questa non sarà molto lunga!
Per i contenuti ho ritenuto adatto il rating arancione, ma se qualcuno si è per caso in qualche modo sentito offeso dal testo provvederò a mettere quello rosso!
Che altro? La storia mi girava in testa da troppo tempo per non buttarla giù e spero vi piacerà :)
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate :)
Baci, Vanilla ^^
   
 
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