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Autore: mirror1695    03/09/2013    5 recensioni
Un funerale, un addio.
Uno specchio che evidenzia troppi dettagli scomodi.
Con il lavoro che facevano c'era da aspettarselo, le spie non sono esattamente note per la loro longevità. Facendo a lungo quel lavoro ci si fa dei nemici, nemici potenti spesso, pronti a tutto per toglierti di mezzo, a costo di passare sui cadaveri di chi ti sta accanto, di coloro a cui tieni.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Federica,
che sostiene,
conforta, incoraggia, 
e a cui avevo promesso di dedicare
la prima storia pubblicata.

 

Di Specchi E Addii
 

Natasha si tira su i capelli in una crocchia, fissa le ciocche troppo corte per arrivare alla nuca con qualche forcina. Si trucca, anche un po' di più del solito, un po' più pesante, con un po' più di cura traccia la riga sugli occhi, si passa il rossetto con il pennellino invece che direttamente con lo stick. Si concede un po' di tempo, se lo prende. Lo vuole e ne ha bisogno. E pur di prenderselo si è svegliata un'ora prima, ma adesso che sono le sei, e Washington D.C. alle sei è ancora più grigia del solito, inizia a dubitare un po' di sé.

Guarda nel riflesso della toletta la sedia dall'altro lato della stanza.

La sera prima aveva preparato i vestiti, ben sapendo che in una giornata così pensare non le avrebbe fatto bene, che a volte avere una routine da seguire ti da quel poco di sicurezza necessaria a proseguire. E allora ci si affida, alla sé della sera prima, si infila con calma le calze velate, le srotola sulle gambe, si fa scivolare addosso il vestito nero. È nuovo, non lo ha mai messo, l'aveva comprato per chissà quale occasione – non la ricorda neanche più – ma alla fine non era riuscita a indossarlo. Ricorda che la sera lo guardava e aspettava impaziente, perché le piaceva davvero tanto e non vedeva l'ora di trovare un pretesto per poterlo mettere. L'aveva provato, pure, solo per se stessa e solo lei sa quanto le era sembrato strano sentirsi così normale, immaginando che Clint un giorno l'avrebbe visto e avrebbe fatto una battutaccia oscena su quanto le stava bene. Lei si sarebbe finta infastidita, ma in realtà avrebbe gongolato; lui ridendo avrebbe sminuito un po' il complimento e non si sarebbe sbottonato troppo. Si sarebbero guardati complici, come al solito, ma sarebbero rimasti al sicuro nei propri ruoli, cercando di illudersi che fossero ancora ben definiti – solo colleghi!

Di certo non avrebbe mai pensato di metterlo in una simile occasione però, pensa con una punta di amarezza.

Guarda fuori dalla finestra. Il grigio lì fuori si è schiarito appena. No, il sole oggi non uscirà, prevede. Oggi è un giorno troppo triste. Per gli addii serve la pioggia.

E davanti al quello specchio grigio tentenna ancora – sarà una buona idea andare?

Guarda giù, verso le sue belle scarpe di vernice: la sera prima ha passato un buon quarto d'ora per scarpa a lucidarle perfettamente, un lascito di un passato non troppo lontano in cui si era avvicinata molto alla comune definizione di “soldato”. Poi sale su con lo sguardo, sulle calze nuove, sul suo vestito così importante.

Che cosa triste, patetica, ridicola, lasciarsi governare dalla propria vanità in un giorno così. Mettersi tutta in tiro per andare a un funerale.

Un singulto, che non sa neanche lei se è l'inizio di un pianto in grande stile o di una risata di scherno, la riscuote, la mette alle strette. E lei quando è alle strette prende le redini della storia a forza, si mette dietro la macchina e spinge fino a tirarla fuori dal pantano, non si fa tante domande, agisce e basta.

Fa quello che le dice l'istinto, si affida al pilota automatico.

L'hanno addestrata così bene proprio per situazioni di quel tipo, perché se le emozioni prendono il sopravvento ci sia sempre una parte vigile pronta a subentrare in comando per evitare cazzate di alcun genere.

E allora afferra il cappotto scuro e la borsa, e si avvia verso la porta e riesce persino a non guardarsi indietro neanche una volta fino a che non incontra lo specchio nel corridoio, quello grande vicino alla porta – perché ci ha messo tutti quegli specchi in quel dannato appartamento?

Lo specchio le restituisce l'immagine di una donna mora, non troppo alta e ma sottile nel suo completo scuro. È talmente pallida che i cerchi scuri sotto gli occhi risaltano un po' troppo anche da sotto il correttore, e gli occhi stessi somigliano più a due voragini senza fondo di quanto avrebbe sperato. Ma comunque ha un viso un po' più dolce, ora che la crocchia si appena un po' allentata. Ma l'unica cosa a cui riesce a pensare è la scatola di tinta per capelli nella spazzatura e a quanto stava meglio rossa.

Era così risoluta la sera prima, prima di coricarsi. Poi la notte era scivolata nella stanza e l'aveva abbracciata stretta nelle sue braccia di dubbi e incertezze. Poteva leggere ogni domanda che si era fatta nella fronte corrucciata, ogni scappatoia che non aveva potuto trovare, che la morte è quanto di più definito esista. Quando era riuscita a prendere sonno era già troppo presto per poter essere considerato tardi.

Quella mattina si era alzata ancora più convinta, solo per ripercorrere di nuovo i passi speranzosi della notte – era quella che chiamavano “fase di negazione”?

Sulle voragini compaiono due sospetti lucciconi, e si trattiene con un notevole sforzo dal premersi una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi, che lei non è una che di solito si accascia contro un muro a piangere. Lei è forte, si dice. Lei è una dura, e questo non cambierà, non può, non deve.

Allora tira su col naso – di soffiarlo e tirare via nel mentre il centimetro o poco meno di fondotinta che ha sulla faccia non se ne parla neanche – e raddrizza un altro po' la schiena. Stringe i denti, contrae la mascella.

Si somiglia già un po' di più.

Ed esce.

 

*

 

A sorpresa è spuntato il sole, alla fine.

È quel sole freddo, tipicamente invernale, che illumina la città di luce bianca.

Così scopre che un funerale con il sole è persino peggio di uno con la pioggia. Che è un po' più beffardo, perché ti viene da pensare che è proprio una bella giornata, non fosse per la bara che cala piano piano nella fossa.

Sono stati tributati tutti gli onori militari, al caduto.

I tre spari in aria, le trombe.

Sotto il sole triste e malinconico di quella giornata, si sono riunite più persone di quante se ne aspettasse. I colleghi della sua squadra, e, schierati uno di fianco all'altro, anche i membri dell'altra squadra, quella improvvisata. Gli Avengers.

Si è stupita vedendo Fury spremere persino fuori qualche parola sul posto vuoto nella fila di Vendicatori. Anzi meglio: di agenti. Lì, in quel momento, erano tutti solo agenti.

Lei è rimasta ai margini della congregazione, pur essendo una delle più coinvolte. La più coinvolta, forse. Ma ha badato bene a non farsi vedere.

Un'ombra, e niente più.

Il prete finisce di recitare la preghiera e le mani si succedono a lanciare una dopo l'altra manciate di terra sopra al legno scuro nella bara.

Stringe forte i denti, si impedisce di lasciare sfuggire alcuna lacrima.

Anche se è finita. Anche se non lo rivedrà più. Anche se dovrà bruciare quel suo bel vestito, e anche se Clint non avrà più l'occasione di farla quella battutaccia. Anche se è difficile. Non è la prima volta, certo, che qualcuno muore e gli fanno un funerale, ma questa le pare più complicata da superare. Forse è colpa di Clint, perché sta perdendo un ottimo collega, a cui non ha mai esitato ad affidare la propria sopravvivenza, forse è per la rabbia che le causa l'impotenza, il non poter fare niente, il fatto che non ci sia una scelta questa volta. O forse perché, al diavolo!, alla fine lo amava davvero. Forse perché era davvero un brutto scherzo del destino permettere loro di trovarsi, di scegliersi, finalmente, di lasciare cadere le maschere e ammettere che non erano più così distanti emotivamente per una notte o poco più, e poi separarli così, improvvisamente, con brutalità.

Con il lavoro che facevano c'era da aspettarselo, le spie non sono esattamente note per la loro longevità. Facendo a lungo quel lavoro ci si fa dei nemici, nemici potenti spesso, pronti a tutto per toglierti di mezzo, a costo di passare sui cadaveri di chi ti sta accanto, di coloro a cui tieni.

Proprio per questo sa che quella è la scelta giusta.

Però, cazzo, non se lo aspettava che seppellire se stessa sarebbe stato così difficile questa volta.


Note:
Buonsalve! Questa è la prima storia che pubblico. In origine era parte di una storia originale, ma ho notato che poteva adattarsi anche a questa sezione immaginando che, in un contesto post-Avengers, Nat e Clint abbiano avuto un incontro con qualche vecchio "amico" della Romanoff. Ho immaginato che proprio per proteggerlo lei abbia deciso di fingersi morta e quindi di allontanare da lui gli occhi di questi ipotetici cattivi. Mi sono presa la libertà di immaginare che non fosse la prima volta che prendeva una simile decisione (di cambiare identità "morendo"), ma che in questa particolare situazione la abbia presa NON SOLO per salvare se stessa. Ho tentato di mostrarla mentre si prepara per andare a salutare l'ormai vecchia vita, con rimpianto, ma consapevole che quella è ormai l'unica scelta possibile.
Fatemi sapere cosa ne pensate e siate spietati, mi raccomando! ;)
- Mirror.

  
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