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Autore: kirlia    03/09/2013    4 recensioni
[Sequel di "Eternal Flame - Un amore perfetto"] 
Continuano le avventure di Miles e Franziska, insieme alla piccola Annika. 
Cosa dovranno affrontare i due procuratori? Riusciranno a fare chiarezza sui loro sentimenti e finalmente vedere coronato il loro sogno d'amore segreto? 
E chi sta tramando nell'ombra - e forse dall'aldilà - per distruggere la loro felicità? 
Dal capitolo 5: 
Insomma, Miles aveva ammesso di amarmi, magari non direttamente, ma le sue intenzioni erano chiare! La mia felicità, quella che avevo intravisto nei miei sogni e nei momenti di pericolo era a portata di mano, così vicina da poterla afferrare in un attimo e stringerla al petto, rendendola finalmente mia.
Eppure esitavo. Perché lo facevo?
Perché avevo paura. Paura che tutto si rivelasse una sciocchezza, paura che Miles si sarebbe stancato di me, mi avrebbe abbandonato o avrebbe fatto solamente finta di volermi bene come Manfred von Karma aveva fatto dal giorno della mia nascita.
E avevo paura di deludere me stessa, cedendo a qualcosa che avevo rifiutato per anni. Avevo paura di cambiare.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Franziska von Karma, Miles Edgeworth, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Perfect for Me'
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Bonfire Heart

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Capitolo 1 – Bittersweet
 
If I tell you 
Will you listen? 
Will you stay? 
Will you be here forever? 
Never go away? 

Never thought things would change 
Hold me tight 
Please don't say again 
That you have to go 

Bittersweet.


{Miles Edgeworth}

«…Franziska!»
I miei occhi grigi si spalancarono improvvisamente e, incuranti della luce che si aggrediva, si guardarono subito intorno, alla ricerca di una cosa che desideravano ardentemente vedere.
Un salottino dal tono verde chiaro mi circondava, ed io ero seduto sul divanetto proprio di fronte al caminetto spento. Dei fiori di uno squillante arancione acceso davano un tocco di vivacità alla camera. Indossavo ancora la mia giacca color magenta scuro.
Ma non erano quelle le tonalità che il mio sguardo stava cercando con tanta ansietà. Per un attimo il mio cuore perse un battito, mentre il dubbio si insinuava dentro di me, poi finalmente un lampo di colore azzurro cielo attrasse la mia attenzione, e fu subito seguito da un senso di sollievo.
Annika era seduta sul tappeto del salotto, e cercava di insegnare a camminare a due zampe al suo povero cucciolo sfortunato. In quel momento si era voltata verso di me, e le sue guance si erano tinte di un chiaro rosa confetto.
«Ti sei svegliato, Onkel! Tante Frannie non c’è, è andata a comprare delle cose» commentò la bambina, non prima di avermi lanciato un’occhiata curiosa, probabilmente per il tono un po’ disperato con cui avevo chiamato la zia.
Mi rilassai con un sospiro che non mi ero accorto di stare trattenendo.
Un sogno. Era stato solo un sogno.
Le mie due “ragazze” erano ancora lì, non se n’erano andate! Era solo stato un incubo terribile partorito dalla mia mente a causa di quei pensieri preoccupanti che continuavano a tormentarmi.
Era stato talmente reale, talmente vero fino ad ogni minimo dettaglio…! La loro partenza e i loro sguardi mi avevano spezzato il cuore.
Per un attimo riuscii quasi a rilassarmi e mi dissi che ero fin troppo paranoico, ma questa falsa sicurezza durò solo per pochi minuti. Sì, quello che avevo vissuto era solo un incubo, ma l’avvertimento di Franziska non l’avevo sognato: aveva davvero l’intenzione di partire al più presto.
E io? Come avrei fatto senza di lei?
Adesso, dopo quella visione che avevo avuto appisolandomi sul divano del salotto, mi ero reso conto che non potevo davvero lasciarmi sfuggire Frannie e Annie.
La consapevolezza che avrei dovuto fare di tutto per tenerle qui negli Stati Uniti cresceva dentro di me, e la mia mente cominciò ad elaborare piani e strategie di tutti i generi per allontanare la partenza.
Contrattempo, ci voleva un contrattempo. Non sapevo ancora di che tipo, ma l’avrei trovato in fretta.
I ricordi di quella partenza che era solo frutto della mia immaginazione – almeno per il momento – mi scorrevano ancora davanti agli occhi, e per poco non mi facevano piangere. Sì, un uomo adulto come me era capace di piangere, per le sue due cose più preziose.
A quel pensiero, il mio sguardo corse di nuovo alla bambina davanti a me, che nel frattempo aveva lasciato perdere il tentativo di ammaestrare Phoenix. Lei mi guardò di nuovo con i suoi occhi color cielo così simili a quelli di Franziska e mi sorrise dolcemente.
Ripensai che parte del sogno comprendeva la mia conversazione con Annie, nella quale mi aveva rivelato la sua voglia di restare qui in America insieme a me e alla zia, e mi chiesi se questo suo desiderio fosse vero o solo parte delle mie fantasie. Avrei dovuto chiederlo alla diretta interessata.
Risposi al suo sorriso, per poi decidere di farle una proposta.
«Annika, che ne pensi di andare al parco a far fare una passeggiata a Pess e Phoenix?»

I due cuccioli correvano eccitati nel grande prato verde, e io facevo persino fatica ad inseguirli con lo sguardo. Sembravano talmente sereni, mentre giocavano insieme, finalmente liberi dai loro guinzagli e in grado di esplorare il giardino!
Mi chiesi se anche io potevo essere spensierato come loro, se in un attimo tutti i miei problemi fossero svaniti e avessi avuto la possibilità di lasciarmi andare a…
No. Non potevo lasciar vagare la mia mente tra questi pensieri talmente superficiali, non quando la partenza di Franziska incombeva su di me come un temporale sul punto di scatenarsi in tutta la sua furia.
Avevo indossato una pesante giacca nera, sopra il mio solito completo, così calda e imbottita che chiunque mi avesse visto, probabilmente, si sarebbe chiesto se stessi per fare una gita in montagna. In effetti non c’era molto freddo, ma la sensazione di gelo dentro di me era così profonda da farmi chiedere se non mi sentissi bene. Ero ancora convalescente, ma la ferita alla spalla non pulsava più di quel dolore accecante che avevo sentito fino a poco tempo prima: sembrava essere stata sostituita da un dolore più profondo, più angosciante. Era come se qualcuno mi avesse inferto una stilettata al cuore. Non si trattava di una ferita fisica, ma sopportarla era molto più difficile.
«Onkel Miles, sei molto pensieroso. Cosa c’è che non va?» sussurrò la bambina accanto a me, mentre mi stringeva la mano con le sue piccole dita gentili e mi guardava curiosa.
Annika aveva un particolare istinto nel capire quando stava succedendo qualcosa di strano, e sentivo che con lei avrei proprio potuto dire di tutto. Avrei potuto persino confessarle la mia… attrazione… per Franziska? No, forse non quella. Ma solo perché si trattava di una bambina ancora troppo piccola per capire le dinamiche degli adulti, anche se possedeva una tale consapevolezza da sembrare molto più grande dell’età che dimostrava.
Prima di risponderle, la aiutai a sedersi su una panchina un po’ troppo alta per lei, dove poi mi sedetti a mia volta. Solo allora decisi di cominciare.
«Annie, sapevi che tua zia ha intenzione di riportarti in Germania?» le chiesi, ignorando di proposito la domanda che mi aveva fatto. Raccontarle tutto ciò che mi passava per la mente in quel momento sarebbe stato piuttosto arduo, per non parlare del fatto che io stesso non sapevo cosa mi stesse succedendo.
La piccola sbarrò gli occhi, poi scosse la testa facendo il broncio. Non potei evitare un’espressione contrariata: avevo già capito che Frannie avesse fatto quella scelta contro il parere della bambina, ma pensavo che almeno gliene avesse parlato. Invece era all’oscuro di tutto.
«Nein! Io non voglio tornare in Deutschland!» gemette sconsolata, incrociando le braccia e mantenendo un’espressione corrucciata che indicava che non era affatto d’accordo.
Non la interruppi quando continuò con le sue spiegazioni.
«Io voglio restare qui con te, Onkel! Con te e la Tante. Sie Bitte [Per favore], perché non posso restare? Non ci vuoi più con te?» mi chiese con uno sguardo a cui non si poteva proprio dire di no. E fu in quel momento che me ne resi conto: Franziska non ne aveva parlato con la nipote proprio per la sua capacità fuori dal comune di convincere tutti a fare quello che voleva!
Me n’ero reso conto la prima volta quando la bambina aveva praticamente costretto Larry, con un solo sguardo color cielo e la forza di volontà, a tenere con sé i nostri cani durante quel processo in cui la zia era stata accusata dell’omicidio nella sorella, Angelika von Karma. L’avevo poi vista usarlo ancora altre volte, sempre con buoni risultati. Che fosse un potere sovrannaturale? Non era nella mia natura crederlo, ma dopo tutto ciò che avevo visto, tra cui evocazioni di morti da parte di alcune sensitive, non sapevo più a cosa credere.
Che lo fosse o no, funzionava, e fu proprio in quel momento che mi resi conto di avere a portata di mano il contrattempo che stavo cercando.
Annika sarebbe stata la chiave per convincerla, se non ad annullare, almeno a posticipare la partenza di quella che avevo considerato per molto tempo la mia “sorellina”.
«Ma certo che vi voglio con me, Mädchen [bambina]» sussurrai, con un sorriso e una carezza ai bellissimi capelli pallidi, talmente somiglianti a quelli di lei «Non vorrei che andaste mai via. Ma Frannie sembra un po’ preoccupata per qualcosa, e vorrebbe andarsene. Forse potresti chiederle di restare…?» conclusi, calcando molto sull’ultima frase.
Sapevo che si sarebbe resa conto subito di quello che le stavo chiedendo di fare in realtà e, quasi a volermelo confermare, lei sorrise subito, con una scintilla di furbizia negli occhi. Bene, sembrava proprio che avessimo un accordo.
«Ma certo, le parlerò io!» affermò, per poi slanciarsi verso di me e stringermi in un dolce abbraccio.
Oh, era proprio questo quello di cui parlavo: come potevo allontanarmi da quest’affetto così disinteressato, dalla serenità che riusciva a darmi questa piccina con un solo sorriso?
E in questo includevo ovviamente anche Franziska: per quanto fosse rigida e scostante, sapevo esattamente quali sentimenti provasse verso di me, e non mi sarei mai deciso a lasciarla andare. Non ora che finalmente ci eravamo ritrovati, dopo tanti anni di separazione in cui ci eravamo dedicati soltanto ai nostri compiti di procuratori.
Mentre la stavo ancora stringendo tra le braccia, scorsi qualcosa di un rosso fiammante molto familiare in fondo alla mia visuale.
La mia auto strava attraversando la strada che costeggiava il parco, e riuscivo a scorgere la piccola figura di Frannie che guidava e si dirigeva verso casa.
Non avevo una vista acutissima, ma riuscii a notare l’espressione tetra sul suo viso, e si trattava di qualcosa che avevo visto molto raramente: solo la morte di suo padre e quella di sua sorella avevano avuto l’onore di essere delle occasioni in cui il suo bellissimo volto di porcellana si era distorto ad assumere quell’aspetto. Un brivido mi scosse. Cos’era successo di talmente terribile da ridurla in quello stato?
Annika, nel frattempo, aveva sciolto l’abbraccio, e si era voltata a seguire il mio sguardo. Ma probabilmente aveva soltanto riconosciuto la mia auto, perché disse:«Sì! Tante Frannie sta tornando a casa. Sbrighiamoci, dobbiamo raggiungerla!»
Sembrava molto emozionata, forse a causa di quel piano che avevamo stretto tacitamente. Richiamò a gran voce i due cuccioli, che nel frattempo avevano scavato un’enorme buca in mezzo ai cespugli. Scossi la testa, dimenticandomi per un attimo di quello che avevo visto, poi feci nota mentale di chiedere al detective Gumshoe di venire a riparare quel danno. Non che lo trattassi come faceva un certo procuratore dotato di frusta, ma a volte anche io mi avvalevo del suo aiuto, grazie al potere dato dalla mia posizione.
Quando quei due diavoletti tornarono e riuscimmo a rimetterli al guinzaglio, il mio pensiero tornò alla preoccupazione che avevo visto nel volto di Franziska, e non riuscii a non mordicchiarmi nervosamente il labbro inferiore. Cosa succedeva di così grave? Di cosa non ero evidentemente al corrente?
«Annie, potresti ripetermi perché Frannie era uscita, prima?» le chiesi, ammettendo di non averla ascoltata quando me l’aveva detto. Ero ancora un po’ troppo scosso dall’idea che ciò che avevo vissuto era stato solo un sogno, in quel momento.
La piccola mi guardò con uno sguardo interrogativo, ma rispose.
«Mi ha detto che era andata a comprare delle cose…» lasciò un po’ la frase a metà, per indicare che non aveva idea di cosa dovesse esattamente fare la zia.
Comprare delle cose. Aveva proprio l’aria di essere una scusa, ma non avrei saputo dire cosa nascondeva in realtà.

Arrivati a casa, lasciammo liberi i cuccioli – anche se definire Pess un cucciolo era solo un modo carino di minimizzare la sua taglia – prima di renderci conto che appena avrebbero visto Franziska…
Beh, quando ce ne accorgemmo, era troppo tardi.
Phoenix era solo un piccolo spitz tedesco, e nemmeno troppo entusiasta della presenza della donna in casa: cercava sempre di evitarla, soprattutto per le occhiatacce che lei tendeva sempre a lanciargli. Per quanto riguardava il grosso labrador, invece, la storia era totalmente differente.
Pess sembrava adorare Franziska, probabilmente proprio perché lei lo detestava, e cercava in tutti i modi di attirare la sua attenzione e farsi voler bene da lei. Non si era proprio reso conto che si trattava di una missione praticamente impossibile.
Questo strano desiderio del cane, però, tendeva a risultare piuttosto comico in alcune occasioni, e questa era una di quelle.
Frannie aveva fatto la sua comparsa in corridoio appena ci aveva sentiti entrare, uscendo dallo studio. Ebbi solo un attimo per chiedermi cosa ci facesse in quella stanza, visto che non ci erano stati assegnati casi da studiare, prima che succedesse. Pess si diresse verso di lei praticamente galoppando, per poi saltarle addosso, e io non riuscii ad impedire che le leccasse il volto come se fosse uno di quei dolci che gli piacevano tanto.
«Miles! Wegnehmen dieses Tier von mir! Dies ist zum Kotzen! [Toglimi questo animale di dosso! Che schifo!]» cercò di dire la mia… ehm… “sorellina”, che tra la saliva del cane e il suo peso, non riusciva a cacciarlo via.
Annika rideva divertita dalla scena, senza riuscire a fare alcunché per richiamare indietro il labrador, e io mi lasciai sfuggire una risatina sommessa. Era veramente buffo vedere Franziska von Karma, il Genio, in certe situazioni. La rendeva molto più umana di quanto fosse per quasi tutto il resto del tempo di fronte al mondo, ed era in questi momenti che mi rendevo conto di quanto fossi legato a lei: non quando cercavamo di risolvere un caso insieme, non quando ci salutavamo freddamente in ufficio, ma in queste scene di vita quotidiana che proprio non volevo perdere.
Non volevo perderla, non adesso che ci eravamo ritrovati.
Stavo per ricominciare a pensare a piani per non farla partire, tra cui quello di manomettere l’aereo che doveva prendere, quando la bambina mi riportò alla realtà, tirandomi per una manica.
«Onkel Miles, forse dovresti aiutare la Tante. Potrebbe arrabbiarsi…» commentò, con un piccolo risolino che tentò di nascondere con la mano.
Oh, giusto. Franziska mi avrebbe di certo frustato a morte se non l’avessi aiutata entro i prossimi tre secondi.
Presi Pess per il collare e lo allontanai da lei, per poi carezzargli il muso e chiuderlo gentilmente nello studio, ricordandomi ovviamente di liberarlo al più presto. Non avrei potuto sostituire di nuovo i mobili di quella stanza, che avevo appena comprato.
«Dovresti tenere più a bada quel tuo Hund [cane], herr Miles Edgeworth» disse nervosamente la vittima del mio cane, rassettandosi la camicetta bianca e tentando di darsi un contegno. Sembrava essere stata sorpresa da un tifone: i corti capelli color del cielo erano scompigliati da una brezza inesistente, le gote, solitamente candide, tinte da un leggero rossore – probabilmente per l’imbarazzo dell’accaduto – e lucide per le “coccole” del mio cane… nel complesso era splendida.
Solo una nota stonava nella sua bellezza: gli occhi. Franziska aveva degli occhi stupendi, di una tonalità talmente delicata! Ma in quel momento non riuscivano a trasmettere altro che un’agonia che sembrava torturarla dentro, e io non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Probabilmente doveva essere legato a quella sua uscita improvvisa di cui non sapevo nulla, e le avrei chiesto al più presto spiegazioni.

La serata passò senza nessun avvenimento particolare: cenammo quasi in silenzio, a causa del malumore della ragazza che ci aveva contagiato tutti. Persino la piccola Annie non sembrava avere voglia di parlare, per non attirare su di sé le occhiate angosciate della zia, che sembrava non riuscire a smettere di sospirare.
Fu compito mio, per quella sera, accompagnare la bambina a dormire, e lo feci in fretta, sperando che avrei finalmente avuto un po’ di tempo per parlare con Franziska.
La trovai in salotto, raggomitolata in un angolo del divanetto dalla stoffa verde chiaro. La camera era completamente buia, rischiarata soltanto dalla luce di una lampada che creava ombre lunghe e oscure intorno a lei. Sembrava essere immersa nei suoi pensieri, tanto era assente, ma mi resi conto solo avvicinandomi che in realtà stava piangendo sommessamente.
Mi avvicinai cautamente, ma non in silenzio. Non volevo prenderla di sorpresa, ma non si voltò verso di  me nemmeno una volta, segno che non si era accorta della mia presenza.
Temendo di spaventarla, la chiamai dolcemente.
«Frannie…? Cosa c’è che non va…?» mi sedetti accanto a lei, senza invadere troppo il suo spazio. Sapevo che non le piaceva stare troppo vicina alle altre persone, e non volevo irritarla.
Lei continuò a fissare un punto imprecisato davanti a sé, come se non mi avesse ancora notato, e questo mi spaventò. Cos’era successo di tanto grave da preoccupare a tal punto Franziska?
«Frannie…?» ripetei cautamente, ma più ad alta voce, per attirare la sua attenzione. Mi avvicinai di qualche centimetro a lei, notando finalmente nell’oscurità che stringeva qualcosa tra le mani. Sembrava un documento. Cercai lentamente di prenderlo per poterne leggere il contenuto, ma la sua presa era ben salda su quel foglio.
Finalmente sembrò accorgersi di me e si voltò. La poca luce della stanza si rifletteva nei suoi occhi color cielo, in quel momento terribilmente lucidi di pianto. Mi si strinse il cuore a vederla in quello stato: ultimamente aveva avuto seri motivi per sentirsi disperata, motivi che avrebbero distrutto persino la salute mentale di molte persone. Ma lei era stata forte, capace di sopportare tutto e di superare quei traumi, lentamente.
E adesso la vedevo di nuovo così.
In un impeto di coraggio, spinto da un istinto che non credevo di possedere e da un’ondata di quello che credevo di poter definire “affetto” verso di lei, la abbracciai.
Stretta per darle forza.
Dolcemente per consolarla.
A lungo per tenerla vicina a me più tempo possibile.
La sentii irrigidirsi, all’inizio, come se non si aspettasse questo contatto e non le fosse gradito. Per un attimo ebbi paura di aver sbagliato tutto, mi dissi che avrei dovuto lasciarla al suo dolore, aspettando che si riprendesse e avesse la forza di parlarne. Poi però lei sospirò, lasciando andare un respiro che sembrava essere stato trattenuto in gola per molto tempo, e con esso arrivarono i singhiozzi.
Si strinse a me il più possibile, come se fossi la sua sola ancora di salvezza, come se non potesse contare su nessun altro. Come se si fidasse solo di me.
« È… terribile, Miles…» cominciò sussurrando, piangendo sul mio petto e stringendosi ancora di più.
Io le carezzai i capelli, che in quella penombra sembravano aver assunto quasi il mio stesso colore, quello dei nuvoloni d’inverno. La sentii subito piangere più forte, come se quella consolazione le facesse quasi male.
«Cos’è successo? Sono sicuro che non sia tanto grave da farti piangere, Frannie. Niente dovrebbe esserlo» chiesi di nuovo, sussurrando quasi piano quanto lei. Non ero sicuro del perché stessi sussurrando: in fondo la camera dove Annika stava dormendo era dall’altra parte della casa, e non ci avrebbe sentito nemmeno se avessimo parlato con un tono normale di voce. Però, non volevo turbare ulteriormente Franziska, che sembrava così fragile e indifesa in quel momento.
«Hanno rifiutato… per loro sono una delinquente. Sai, per la storia del testamento… non accetteranno l’affidamento di Annie…» disse, con le parole intervallate da singhiozzi e sospiri pesanti e ansiosi.
Oh no. Come avevo fatto a non capirlo subito? Eppure mi ero reso conto immediatamente che doveva trattarsi di qualcosa di così tragico da paragonarlo alla morte di suo padre e di Angelika. Dovevo immaginare che il problema fosse legato alla bambina: Annika era diventata la persona più importante nella vita della mia “sorellina” nello stesso momento in cui l’aveva incontrata. Era stato come un colpo di fulmine per lei, conoscere questa nipote. Una parente che finalmente non la odiava per la sua imperfezione e tutti gli errori che aveva commesso, una creatura legata a lei dal sangue che la ammirava e le voleva bene come nessun altro.
Non potevo non ammettere di essere quasi invidioso del modo in cui i suoi occhi si illuminavano davanti alla piccola, del modo in cui il sorriso spuntava spontaneo sulle sue labbra di fronte a lei. Non succedeva con nessun altro, nemmeno con me.
E adesso volevano portargliela via. Come avrebbe fatto?
E io? Io sarei sopravvissuto all’assenza di Annika?
«Ma perché, Frannie? Credevo che non avessero emesso una condanna per quella modifica» le chiesi, non perché volessi cambiare argomento, ma perché, curiosamente, non ero stato informato di nulla.
Non sapevo che Franziska fosse stata giudicata, ma adesso che ci riflettevo ricordavo che, quando le avevo chiesto della sua liberazione, all’ospedale, aveva risposto piuttosto vagamente e in modo nervoso. Mi aveva nascosto che era stata sanzionata e a causa di questo, ora non le era più concesso di occuparsi della bambina.
«Io… non posso vivere… senza di lei, Miles! Come posso lasciare… che me la portino via?» gemette, per poi nascondere ancora il viso nella mia spalla. I suoi singhiozzi erano sempre più forti e disperati, e io non sapevo proprio cosa fare per calmarla.
Eppure una volta mi dissi che mi sarei sempre occupato di lei, che non avrei lasciato che soffrisse ancora. Aveva già sopportato troppo dolore nella sua breve vita.
Ma cosa potevo fare per lei, in questo caso? Come potevo fare in modo che Annie rimanesse con lei e con me?
Con me…
In quell’istante ebbi l’idea giusta. Avrebbe risolto tutto: l’affidamento di Annika, il contrattempo per la partenza di Franziska!
Ebbi solo un attimo di esitazione, giusto il tempo di riflettere su ciò che la mia decisione avrebbe comportato nella mia vita. Ma cosa c’era di preoccupante, in effetti? Volevo già che la piccola rimanesse con me, insieme a quella ragazza che ora piangeva sul mio petto. In quel modo avrei solamente reso permanente il mio desiderio.
Frannie. Lei avrebbe capito che la mia era solo una tattica per poterle tenere strette a me?
Ma in fondo non c’era niente di sbagliato: gliel’avrei confessato a tempo debito, soltanto quando fossi stato sicuro che non mi si sarebbe rivoltata contro per quel mio gesto, soltanto quando avessi saputo che mi avrebbe perdonato. E nel frattempo avremmo vissuto insieme.
Mi allontanai da lei soltanto lievemente, giusto il tempo di farle incrociare i suoi occhi tristi con i miei, ormai determinati. Mentre pronunciavo quelle parole, sentivo che avevo fatto la scelta giusta.
«Franziska, sarò io ad adottare Annika.» 


Angolo di Kirlia: 
Ed eccomi di nuovo qui, per presentarvi la nuova storia! 
Come potete vedere - parlo ovviamente ai poveri sventurati che leggono per la prima volta le mie favolette - questo non è altro che un sequel di un'altra fiction, che potete ritrovare facilmente utilizzando il comando "serie" lì in alto. 
Per tutti gli altri, NON UCCIDETEMI! So che mi considererete sicuramente crudele per lo scherzetto fattovi nell'epilogo, e sono pronta ad trovare nella mia posta lettere di protesta XD 
Per quanto riguarda la trama: cosa ne pensate? Spero vi piaccia *-* 
Bene, mi sembra che come primo capitolo abbia già detto abbastanza. Aspetto i vostri commenti! 
Un bacione!
Kirlia <3

 
   
 
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