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Autore: mikchan    03/09/2013    3 recensioni
*SEQUEL DI LIKE A PHOENIX*
Il tempo passa, la vita continua e i brutti ricordi diventano passato. Per tutti è così, anche per Amanda, giornalista in carriera, sfruttata dal suo capo, in crisi con se stessa e con i sentimenti che prova per il suo ragazzo e in cura da uno psicologo. Tutto questo, e Amanda lo sa, è dovuto proprio a quel passato che non l'ha abbandonata, alla perdita delle cose più importanti che avesse al mondo. Ma il passato ritorna, sempre, e per Amanda si ripresenta in una piovosa giornata invernale.
Saprà il suo passato darle un'altra opportunità, oppure è davvero tutto finito?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Like a Phoenix'
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1- NEW LIFE


Sbuffando, uscii dalla metro a passo svelto e mi strinsi nel cappotto.
Era metà novembre e le temperature si erano notevolmente abbassate. Anche nella metro, schiacciati gli uni agli altri, si sentiva il freddo entrare dagli spifferi delle porte.
Feci le scalinate della ferrovia quasi di corsa, tenendo stretti al petto i due caffè che il mio simpatico capo mi aveva fatto andare a prendere dall'altra parte della città. "È il migliore, lo sai", lo scimmiottai affondando la testa nella sciarpa non appena misi piede all'aria aperta. Tirava un vento piuttosto forte e le nuvole avevano oscurato il cielo, preannunciando un brutto temporale. Sperai con tutta me stessa che tardasse perché avevo lasciato a casa l'ombrello e non avevo neppure la macchina.
Tirai un sospiro di solievo quando aprii le pesanti porte di vetro della redazione e mi trovai al chiuso e al caldo.
Salutai con un cenno Martha, la segretaria del banco informazioni e schiacciai il pulsante dell'ascensore. Vi salii in fretta e pigiai il tasto dell'ultimo piano, quello del direttore, aspettando con un sospiro che l'ascensore salisse lentamente.
Prima di uscire mi diedi un'ultima occhiata allo specchio, ma a parte le guance e il naso arrossati dal freddo, la matita sbavata e i capelli scompigliati non avevo niente che non andasse. Senza nemmeno togliermi la giacca o appoggiare la borsa mi diressi spedita all'ufficio del direttore, che da quando mi aveva assunta sette mesi prima si divertiva a trattarmi da schiavetta tuttofare. In pratica, facevo davvero ogni cosa, dall'andare a prendere caffè dall'altra parte della città, all'aggiustare fotocopiatrici tranne che scrivere qualcosa che somigliasse ad un articolo. La cosa più vicina a uno di essi erano le infinite bozze che i pigri veterani si divertivano a inviarmi per essere corrette prima di andare in stampa. Avevo visto di quegli errori talmente grossolani che spesso mi ero chiesta se non lo facessero apposta a riempirmi la casella mail di articoli. Certo, sapevo che prima di iniziare ad essere una vera giornalista dovevo "fare gavetta" e alla fine dovevo ammettere che molte volte, solo stando accanto ai più bravi di loro avevo imparato tecniche e accorgimenti che all'università non mi avevano insegnato. Eppure tutta quell'attesa stava incominciando ad innervosirmi e mi sentivo veramente sfruttata a volte, come quella mattina: che bisogno c'era di andare a comprare un caffé dall'altra parte della città quando c'era un comodissimo bar al primo piano della redazione?
Con un sospiro, bussai alla porta e la aprii quando sentii la voce del direttore invitarmi ad entrare. "I caffè", spiegai appoggiando i due bicchieri sulla sua scrivania.
"Grazie mille, Amanda. Sei un tesoro", disse il direttore, Paul Brown con un sorriso. Ricambiai più per educazione che altro e, dopo aver salutato lui e il nuovo agente letterario che stava intervistando uscii dal suo ufficio e risalii sull'ascensore per scendere di qualche piano e dirigermi alla mia scrivania.
Nonostante tutto, non potevo davvero lamentarmi. Ero entrata in una delle migliori redazioni giornalistiche del paese dopo nemmeno un anno di tirocinio dopo l'università. I colleghi erano tutti gentili e disponibili, a parte qualcuno che si divertiva alle spalle dei novellini, ovvero io e un'altra ragazza, Jamie Lindsey, che in quel momento era già seduta al suo posto e stava battendo qualcosa al computer.
"Ciao Jamie", la salutai sfilandomi la giacca e buttando la borsa ai piedi della scrivania.
"Altra corsa per i caffè?", mi chiese con un sorriso, alzando lo sguardo dal monitor. Jamie era una ragazza dolcissima, magra e piccolina, dai biondi capelli e gli occhi azzurri e spesso mi ero chiesta come aveva fatto a sopravvivere in quel posto pieno di vipere per più di un anno, ma probabilmente era per il suo talento nella scrittura.
"Dio, non ricordarmelo", sbuffai sedendomi e accendendo il pc.
Jamie ridacchiò. "Ti capisco, ci sono passata anch'io", disse facendomi un'occhiolino.
Mugugnai qualcosa, inserendo velocemente la password ed entrando nel mio account. Nemmeno due secondi dopo, la mia casella di posta fu invasa da articoli e mi lasciai sfuggire un gemito davanti alla trentina di mail che avevo davanti.
"Al lavoro", sbottai, infilando gli occhiali che usavo per stare al computer e aprendo il primo file.
Per l'ora di pranzo, quindi qualche ora dopo, ne avevo finite quasi la metà e mi lasciai convincere dalla mia dolce collega ad andare a mangiare qualcosa alla paninoteca davanti alla redazione.
"Sono esausta", sospirai sedendomi ad un tavolo appartato.
"A chi lo dici", mi imitò Jamie sfilandosi il cappotto. "Non hai idea di quante bozze mi abbiano inviato oggi. Non so nemmeno come farò davvero a finire l'articolo che Brown mi ha chiesto".
"Un articolo?", esclamai sorpresa. Jamie era alla redazione da più tempo di me, eppure era una novità che il direttore assegnasse un articolo a giornalisti così giovani.
"Una stupidata", disse scuotendo la testa e prendendo il menù. "Cinquecento parole su dei ragazzini che hanno allagato una scuola in centro. Sono andata ieri ad intervistare il dirigente e devo consegnare tutto entro questa sera", mi spiegò.
"Se vuoi puoi passami un po' delle tue bozze", le proposi. Ero davvero contenta per lei, nonostante fosse effettivamente un articolo di poco conto ed ero pronta ad aiutarla anche accaparrandomi una decina di articoli in più da correggere.
"Saresti davvero gentile, ma non voglio riempirti di lavoro".
"Tranquilla", esclamai annuendo al suo sguardo indeciso.
Jamie stava per rispondere ma fu interrotta dalla suoneria di un telefono. Ci misi qualche secondo a capire che era il mio e lo tirai velocemente fuori dalla borsa, leggendo il nome sul display e sospirando. "Ti dispiace?", le chiesi indicando la chiamata. Jamie scosse la testa e sorrise.
Schiacciai il tasto verde e mi preparai all'uragano.
"Pronto?", dissi neutra, come se non sapessi chi fosse dall'altra parte della cornetta.
"Perché te ne sei andata così, ieri sera?". Chiaro e coinciso, il mio ragazzo, Austin, sputò la domanda da un milione di euro. Austin ed io stavamo insieme da quasi due anni. Era un ragazzo dolcissimo, alto, dai capelli biondo scuro e gli occhi castani. Lo avevo adorato subito quando ci eravamo conosciuti, grazie ad alcuni amici dell'università e avevamo presto scoperto di avere molte cose in comune: eravamo entrambi giornalisti, anche se in redazioni diverse, entrambi adoravamo i film romantici, soprattutto i classici, e detestavamo le commedie demenziali, eravamo entrambi cresciuti senza un padre ed eravamo entrambi reduci da una relazione devastante. Nessuno dei due aveva mai chiesto nulla del passato dell'altro, ma come io pensavo ancora a Lui, era chiaro che anche Austin pensava ancora alla sua ex-ragazza che, dal poco che mi aveva raccontato, lo aveva mollato sull'altare per un'altro.
"Avevo bisogno di pensare", risposi alzandomi e uscendo dal locale. Non che ritenessi quella conversazione privata, ma sapevo che probabilmente ci saremmo messi ad urlare e non volevo dare spettacolo.
"A cosa devi pensare?", ribatté, trattenendo una parolaccia tra i denti.
"Alla proposta che mi hai fatto, Austin", sospirai.
"Ripeto, cosa c'è da pensare? Stiamo insieme da parecchio e ormai è più il tempo che passiamo in una sola casa. Qual'è il problema se ottimizziamo i costi e andiamo ad abitare insieme?", esclamò irritato.
"È proprio questo il punto", dissi sbuffando. "Non è facile cambiare abitudini così di punto in bianco".
"Non ho detto che devi trasferirti domani, dannazione", sbottò alzando la voce.
"Come fai a non capire che non è una decisione da prendere su due piedi?", ribattei stringendo il pugno. "È ovvio che in questo modo ridurremmo i costi e tutto, ma andare a vivere assieme e un grandissimo passo. Cosa facciamo se non sopportiamo le abitudini dell'altro?"
"E come fai a saperlo se non provi?", esclamò Austin. "So anch'io che è un grande passo, Amanda. Ma se te l'ho chiesto evidentemente è perché ci tengo a te".
"Dammi un paio di giorni, Austin", sussurrai, sentendo il cuore stringersi in una morsa a quelle parole.
"È una pausa?", mi chiese, abbassando anche lui il tono.
Scossi la testa, nonostante non potesse vedermi. "No, certo che no. Io ti amo, ma devo pensare a questo nuovo cambiamento, capisci?".
Lo sentii sospirare. "No, non capisco", ammise. "Ma rispetto i tuoi tempi, Amanda".
"Grazie", mormorai. "In ogni caso voglio vederti questa sera", dissi cercando di sembrare allegra, quando invece avevo un enorme macigno sul petto.
"Passo a prenderti alle nove e mezza", disse lui senza scomporsi. Era chiaramente ancora arrabbiato, ma cercava di non farmelo pesare.
"Okay. Ti amo", lo salutai.
"Anch'io", rispose dopo un secondo di silenzio, e poi chiuse la chiamata.
Fuori dal locale, al freddo, mi appoggiai il telefono al cuore e presi un respiro profondo. Sapevo di stare facendo la stronza, che Austin non si meritava quel comportamento, ma proprio non riuscivo a prendere in considerazione l'idea di trasferirmi a casa sua. Lo amavo davvero tanto, non lo nascondevo a me stessa e, come aveva detto lui, spesso passavamo intere giornate a casa di uno o dell'altro, ma non riuscivo a trovarle motivazioni sufficienti. Portare la nostra relazione a quel livello così intimo mi spaventava tantissimo. E io sapevo che il problema non era Austin e nemmeno la stupidata che stavamo insieme da troppo poco tempo. Il problema ero io, con le mie paranoie e le mie paure. Come potevo accettare di andare a vivere da lui se avevo un timore pazzesco di rovinare la mia relazione come avevo fatto con quella precedente? Non volevo farlo soffrire, non dopo tutto il tempo che avevamo passato insieme, non dopo tutta la sua dolcezza e la sua comprensione.
Sospirai e scossi la testa.
Entrai di nuovo e mi diressi al tavolo dov'era seduta Jamie, regalandole un pallido sorriso.
"Austin?", mi chiese solo.
Io annuii e presi in mano il menù. Non avevo voglio di parlarne, non in quel momento e non sapendo che presto avrei avuto qualcuno che pagavo perché mi ascoltasse e Jamie capì, cambiando argomento e iniziando a parlare del suo articolo.
Dopo pranzo tornammo in redazione e dedicai il resto del pomeriggio alle bozze da correggere. Quando cliccai sul pulsante "invia" dell'ultima erano le sei e mezza passate e, sbadigliando, spensi tutto e mi preparai per tornare a casa. Jamie era uscita qualche ora prima e quindi dovetti fare il tragitto fino alla fermata dell'autobus da sola. Nemmeno a farlo apposta, appena misi piede sul mezzo il temporale scoppiò in tutta la sua potenza e sospirai, pensando ai venti minuti buoni che dovevo camminare per arrivare a casa. Pensai per un attimo di chiamare Austin, ma poi rinunciai, decidendo di fare una corsa. Fortunatamente, appena scesi dall'autobus incontrai la mia vicina di casa che era andata a fare la spesa e, aiutandola a portare i pacchi, ne approfittai per ripararmi dalla pioggia.
Aprii la porta del mio appartamento con uno sbuffo, sfilando con forza la chiave che era rimasta incastrata nella toppa: dovevo decidermi a farla riparare o prima o poi si sarebbe bloccata del tutto e l'avrei rotta.
Accesi la luce e appoggiai la borsa al ripiano all'entrata, sfilandomi stancamente le scarpe con i tacchi ormai fradice. Non feci neanche in tempo ad entrare in cucina che una pallina di pelo mi corse incontro, appiccicandosi alla mia gamba felice.
"Wulfie!", esclamai, abbassandomi e prendendo in braccio il cucciolo di cane che Austin mi aveva regalato qualche mese prima. Era un dolcissimo meticcio, piccolo e peloso, dal manto grigio e le orecchie bianche a punta, simili a quelle di un lupo.
Wulfie abbaiò felice e mi leccò la faccia. L'avevo lasciato in casa da solo quel giorno perché non potevo portarlo al lavoro e nemmeno lasciarlo a casa di Austin insieme a Lissie, la sua bellissima cagna, un elegante Golden Retriever dal pelo marroncino e gli occhi dolci e per un attimo mi guardai intorno spaventata, alla ricerca di danni all'arredamento. Fortunatamente non aveva mangiucchiato nulla di importante come le tende o il tavolo del soggiorno e c'erano solo un po' di crocchette sul pavimento della cucina, vicino alla sua vaschetta. "Bravo piccolo" dissi accarezzandolo tra le orecchie e rimettendolo sul pavimento. "Hai fame, vero?", gli chiesi poi, pur sapendo che non poteva rispondermi. Wulfie abbaiò di nuovo e lo presi come un sì, afferrando la ciotola e riempiendola per metà. Appena la riappoggiai per terra, Wulfie vi si avventò e, ridacchiando, gli misi accanto anche dell'acqua fresca, nella quale immerse subito il musetto. "Vado a farmi una doccia", continuai come se stessi parlando con una persona. "Poi più tardi arriva Austin". Wulfie alzò le orecchie al nome del mio ragazzo e poi tornò alla sua scodella.
Mi abbassai per lasciargli un ultima carezza sul dorso e poi mi diressi in camera, contenta di poter finalmente togliere quello scomodo completo elegante che ero costretta a indossare al lavoro. Mi infilai sotto la doccia con un sospiro di solievo e mi lasciai accarezzare le spalle dal getto d'acqua. Ero davvero stanca, ma non vedevo l'ora di rivedere il mio ragazzo, nonostante la discussione del giorno prima. Discussione che, in realtà, non si poteva considerare nemmeno tale, visto che, dopo la sua legittima proposta di adare a vivere insieme ero fuggita da casa sua senza una parola. Non sapevo cosa mi fosse preso e ragionando a mente lucida mi rendevo conto che era stato un comportamento senza senso e maleducato. Eppure non avevo potuto fare a meno di irrigidirmi a quelle parole, mentre la mia mente inevitabilmente tornava indietro nel passato e al periodo che avevo trascorso a casa del mio ragazzo durante le superiori. Non avevo potuto evitare di pensare ai nostri progetti per il futuro e a come tutto fosse crollato come un castello di carta. E forse era per questo che avevo paura di dire quel sì, avevo paura che una volta fattesi serie le cose, tutto sarebbe finito, lasciandomi un vuoto nel cuore ancora più grande di quello che già avevo.
Un guaito di Wulfie e il suo grattare sulla porta mi risvegliarono dai miei pensieri e mi sciacquai in fretta, uscendo dal bagno senza nemmeno asciugarmi i capelli e andando direttamente in camera. Wulfie mi seguì, mugolando triste quando mi sedetti sul letto con lo sguardo perso nel vuoto. Mi succedeva tutte le volte che ci ripensavo e che risaliva la consapevolezza di essere io la colpevole di tutto quello. Me l'ero cercata, ora non avevo nessun diritto di avere rimpianti.
Con un sorriso stanco mi vestii in fretta e presi Wulfie sulle mie ginocchia, accarezzandogli dolcemente la testa. "Credi che io sia un completo disastro con gli uomini?", gli chiesi tristemente.
Wulfie abbaiò, allungandosi per leccarmi la guancia e ridacchiai. "Beh, almeno tu non la pensi così".
Wulfie abbaiò di nuovo, tirando fuori la lingua in quello che sembrava una specie di sorriso. Scossi la testa e mi diressi in cucina, dove mi preparai qualcosa di veloce da mangiare. Ormai erano le otto e avevo tutto il tempo del mondo per prepararmi come si deve all'arrivo di Austin e sapevo anche dove mi avrebbe portata, al solito pub in centro.
Mi cambiai con calma, scegliendo un comodo abito nero, con le maniche di pizzo ricamato e gli stivali che mi aveva regalato mio fratello il Natale precedente.
Dopodiché, accesi il computer e, sedendomi comodamente sul letto accanto a Wulfie, aprii la mail e riguardai le ultime bozze che mi erano rimaste e rispondendo a quella di una vecchia amica dell'università, con la quale parlavo ogni tanto.
Quasi non mi accorsi del tempo che era passato, perché quando Austin suonò il campanello ero ancora stravaccata sul letto, struccata e spettinata.
Lo feci entrare in soggiorno e, mentre giocava con Wulfie, finii di prepararmi.
"Sempre la solita ritardataria", commentò quando uscii dal bagno.
C'era effettivamente un po' di tensione, ma decisi di non farci caso, regalandogli un grande sorriso mentre uscivamo dall'appartamento e chiudevo la porta a chiave. "Sai come sono", ridacchiai, togliendo quest'ultima dalla serratura con uno strattone.
Austinsi limitò ad alzare un sopracciglio, seguendomi giù per le scale. "Purtroppo", mugugnò.
"Tutto bene al lavoro?", gli chiesi, cambiando argomento.
Lui annuì, prendendomi la mano mentre aprivo il portone. "Il solito", rispose evasivo e quando diceva così sapevo che era successo qualcosa.
"Hai poi scritto quell'articolo?", chiesi infatti, cercando di capire il problema, ricordandomi di quel pezzo su cui stava lavorando da giorni.
Austin si irrigidì. "Sì", rispose evitando il mio sguardo.
"Ma...", iniziai, capendo che c'era qualcosa sotto.
"Ma non me l'hanno pubblicato", mi rivelò sbuffando mentre entrava in macchina.
"È assurdo", esclamai. Sapevo che Austin era un bravissimo giornalista e lavorava per quella testata da anni. Aveva quindi accumulato esperienza e altri articoli e proprio non mi spiegavo perché il suo capo non avesse accettato il suo.
"Lascia stare", borbottò accendendo il riscaldamento. Poi si voltò verso di me. "Andiamo a bere qualcosa?", mi chiese.
Io annuii, sorridendo felice di avere indovinato per l'ennesima volta i suoi programmi.
"Mi è sembrato felice, Wulfie", commentò.
"Certo!", esclamai. "Sono una padrona modello, io!".
Austin ridacchiò. "L'hai già portato dal veterinario?".
Esitai un attimo a rispondere. "No", ammisi.
"Una padrona modello", ripeté Austin ridendo e trascinando anche me con il suo sorriso.
Parlammo per tutto il viaggio in macchina dei nostri cani e del lavoro e sentii che tutto stava tornando al suo posto.
Quando arrivammo al pub era ancora quasi vuoto, ma noi ci sedemmo al nostro tavolino e continuammo a parlare come non facevamo da secoli. Ero felice che Austin avesse accantonato la faccenda del trasferimento perché non ero decisamente pronta a parlarne, figuriamoci a pensarci seriamente. Amavo Austin, era stata la mia ancora di salvezza dopo anni di buio assoluto, ma qualcosa dentro di me mi frenava dall'approfondire quella relazione come avrei tanto voluto. Ci avevo messo mesi e un'infinità di appuntamenti per convincermi a farmi baciare e quasi il doppio per lasciarmi andare e fare l'amore con lui. Sapevo che quell'attaccamento al passato era sbagliato e deleterio, ma avevo bisogno del mio tempo per abituarmi alle novità e non fare paragoni che avrebbero sminuito tutto. Ma Austin mi era stato vicino, mi aveva sopportata e corteggiata fino allo sfinimento con quel suo carattere dolce ma deciso e alla fine non avevo potuto fare altro che cedere e decidere di iniziare una nuova vita.
Certo, non era semplice e nessuno aveva mai detto che lo sarebbe stato. Sapevo che Austin mi adorava così tanto solo perché non sapeva il motivo della mia rottura con il mio ex, altrimenti mi avrebbe spedito fuori dalla sua vita a calci nel sedere. Della mia relazione con Lui sapeva solo che era finita dopo quasi tre anni e che non ci eravamo più sentiti. Ero caduta seriamente in depressione in quel periodo, soprattutto dopo l'aborto: uscivo a stento di casa, non avevo più contatti con persone che non fossero mia madre o mio fratello e ogni notte mi svegliavo in preda agli incubi più angoscianti. Non era stato facile venirne fuori e soprattutto superare quella stupida convinzione mentale che mi meritassi tutto quel male dopo il mio comportamento e c'era stato bisogno di uno psicologo che mi aiutasse a venire a patti con me stessa, psicologo che frequentavo anche allora, una volta al mese. Questo Austin lo sapeva e ogni trenta giorni mi ricordava il mio impegno del giorno dopo e mi accompagnava lui stesso alla clinica, aspettandomi per tutto il tempo necessario e poi portandomi a prendere un gelato o una cioccolata, a seconda della stagione.
"Domani devi andare da Klant?", mi chiese infatti Austin quando uscimmo dal pub a notte fonda.
Io annuii. "Alle tre", risposi. "Ho chiesto un permesso per uscire prima".
"Perfetto, passo alle due e mezza", disse lui con un sorriso.
Non provai nemmeno a contraddirlo e mi strinsi al suo braccio mentre andavamo alla macchina. "Resti da me, stasera?", gli chiesi quindi, mentre salivamo nel veicolo.
"Forse è meglio di no", disse lui, prendendomi alla sprovvista. "Ma, in fondo, è da tutta la sera che sogno di sfilarti quel vestito, quindi sì", rispose regalandomi un sorriso dolcissimo.
Ridacchiai nervosamente, cercando di calmare i battiti del cuore che erano aumentati a dismisura alla sua prima frase. Quella sera facemmo l'amore dopo quasi una settimana di astinenza, ma, nonostante fu bellissimo come le altre volte, c'era qualcosa dentro di me che non mi fece perdere la ragione come al solito.
Se te l'ho chiesto evidentemente è perché tengo a te.
Anch'io tenevo molto a lui e non solo perché mi aveva salvata dal baratro in cui stavo cadendo. Con lui avevo iniziato una nuova vita, diversa, ma ancora tallonata dalle ombre del passato. La sua proposta mi aveva presa alla sprovvista. Fare un passo così grande era una responsabilità enorme e temevo seriamente di non esserne all'altezza. Per quello avevo reagito in quel modo, scappando dai problemi come facevo sempre. E mi odiavo per questo, eppure non riuscivo a comportarmi diversamente.
Mi lasciai abbracciare e rimasi sveglia anche quando Austin entrò nel mondo dei sogni. Dovevo tutto a quel ragazzo, allora perché non riuscivo a renderlo felice?




Salve gente!
Finalmente sono riuscita a pubblicare il primo capitolo del sequel di "Like a Phoenix", come avevo promesso.
Questo capitolo è un'introduzione alla storia. Si sono scoperte alcune cose nuove, mentre altre sono ritornate.
Per chi conosce già Amanda, avrà capito di cosa parla quando si riferisce a Lui, per chi invece è nuovo da queste parti, vi consiglio di continuare a leggere e, se siete curiosi, di andare a sbirciare l'altra storia.
Ringrazio di cuore Clary F per il fantastico banner (è favoloso, vero?), la mia amica che mi dovrà sopportare per tutto l'anno con questa storia e tutti voi che leggerete.
Ah, prima che me ne dimentichi. Settimana prossima non so se riesco ad aggiornare, perché parto per la Norvegia per cinque giorni e ho ancora indietro un sacco di compiti da finire e il viaggio da organizzare! Spero di riuscire a correggere il capitolo in tempo, nel dubbio, vi lascio con un piccolo spoiler del prossimo capitolo.
a presto!  

vestito Amanda -->
http://www.polyvore.com/senza_titolo_40/set?id=70616271


SPOILER...
Capitolo due: UNEXPECTED MEETING

[...] Davanti a me c'era un uomo sui venticinque anni, alto e dalle spalle larghe, con i capelli castani e due occhi azzurri profondi come l'oceano. Due occhi azzurri che erano stato il mio porto anni prima e che avevo creduto di aver dimenticato. E invece erano ancora impressi a fuoco nella mia mente, con quello sguardo accigliato e sorpreso che assumevano ogni volta che succedeva qualcosa di imprevisto.
E quello era stato decisamente un'imprevisto. [...]
  
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