Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: Sabriel Schermann    04/09/2013    4 recensioni
Amal strattonò violentemente il braccio dalla mano dell'uomo, scappando veloce dalla parte opposta.
Si sdraiò supino sul terreno polveroso, sentendo dei passi avvicinarsi a lui.
Sapeva che stava morendo. Gli mancava tanto sua sorella.
Ma gli sembrava quasi di poter sentire la sua voce rassicurarlo, sussurrare ancora:”Ascolta il rumore del vento”.
[Fanfiction classificata all'ottavo posto al contest "Il meglio di me" indetto da Lilith in Capricorn sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La guerra dei bambini

 

 

Amal era un bambino di dieci anni, afghano.

Amal era sempre stato un bambino allegro, un bambino perennemente con il sorriso sulle labbra.

Anche quando il papà lo picchiava, insieme alla madre, incinta.

Anche quando vedeva i suoi coetanei giocare con un lungo pezzo di ferro in mano.

Amal sorrideva sempre, perché sapeva che se avesse mai smesso di sorridere, tutto sarebbe finito.

Sapeva che presto anche lui avrebbe impugnato quel buffo aggeggio come i suoi compagni.

Sapeva che il suo futuro, lasciando fare alla vita, non sarebbe stato dei migliori.

Un giorno aveva visto uno di quei bambini con quei buffi oggetti in mano, poco distante da casa sua.

Era uscito per salutare il papà, ma lui ormai era già lontano.

Ancora gli bruciava la guancia dal violento schiaffo della sera prima.

Gli aveva fatto male, e aveva pianto silenziosamente per mezz'ora, chiuso nello sgabuzzino segreto sotto il letto.

Ma voleva bene al suo papà, e quando lo aveva visto andare via voleva abbracciarlo, ma ciò che trovò fu solo un campo sterrato e deserto, un bambino all'orizzonte.

Rimase qualche minuto ad osservarlo da lontano, manovrare quell'oggetto.

Poi decise di avvicinarsi.

Salam!”, lo salutò, ma il bambino non sembrava voler ricambiare il saluto.

Lo guardò con viso spaventato, gridando qualcosa e facendo un gran rumore, probabilmente con ciò che aveva in mano.

Sentì due, forse tre colpi sordi vibrare nell'aria, e due oggetti indistinti muoversi velocemente nella sua direzione.

Uno gli sfiorò un braccio e l'altro la caviglia.

Entrambi lo mancarono.

Come se una barriera invisibile lo avesse protetto.

Ma naturalmente sapeva che non era possibile.

Rimase interdetto, fino a quando non sentì altri rumori provenire dal bambino con quello strano oggetto.

Velocemente, si rifugiò in casa.

Si nascose dietro al muro, spaventato.

E fu in quel momento che capì che doveva scappare.

 

~

 

Si alzò presto quella mattina, prese qualche provvista dalla piccola cucina e svegliò la sorella.

Aidha, svegliati!”, sussurrò.

Lei si mosse e sospirò rumorosamente, venendo immediatamente zittita dal fratello.

Se il loro padre si fosse svegliato sarebbe stata la fine, per entrambi.

“Cosa c'è Amal?”, gli chiese piano la bambina con voce assonnata.

“Dobbiamo scappare”, sussurrò convinto.

Lei spalancò gli occhi a quell'affermazione.

“Cosa? Non possiamo scappare! Cosa faremo dopo?”

Il bambino rimase interdetto, riflettendo sulle parole della sorella.

In effetti, le riserve che aveva preso dalla cucina non gli sarebbero bastate che per qualche giorno.

Cosa avrebbero fatto dopo?

“Non importa, Aidha, dobbiamo scappare!”

Prese la sorella per mano, trascinandola giù dal letto e accompagnandola velocemente alla porta.

Poi l'aprì, cercando di fare meno rumore possibile.

Uno scricchiolio leggero e inevitabile si espanse lentamente per la stanza.

Rimasero in silenzio per qualche secondo, chiudendo velocemente la porta dietro di loro.

Nessuno si era accorto di nulla, nessuno sapeva che avevano appena infranto una delle regole più importanti della loro casa.

Ma poco importava ad entrambi.

Una volta liberi, corsero veloci al di là del campo vuoto, corsero lontani, e non si sarebbero fermati fino a quando le loro gambe non avrebbero ceduto e i loro cuori non avrebbero smesso di battere.

 

~

 

Quando si fermarono, avevano oltrepassato il confine di Bagram.

Avevano corso per molto, mano nella mano, fino a quando, distrutti, non si accasciarono a terra uno di fianco all'altro, incuranti del territorio in cui si trovavano.

Sembrava che il terreno non finisse mai.

Davanti a loro c'era sempre lo stesso panorama: un campo di terra polveroso, vuoto e senza alberi.

Ogni tanto incontravano delle persone con quegli strani oggetti, ma non sembravano curarsi di loro.

Sembravano concentrati su altro, su qualcosa di più importante.

Prima di sedersi, uno di loro lì fermò, puntando una mano sul petto del bambino.

“Dove state andando, ragazzini?”

La sorella si strinse forte a lui, spaventata.

L'uomo non parlava la loro lingua. Entrambi non avevano capito nulla, entrambi erano agitati.

Avevano paura che li portasse indietro, e se questo fosse successo, per loro sarebbe stata davvero la fine.

La fine della vita, la fine della speranza.

E forse, anche la fine della sofferenza.

Nessuno dei due fiatò, e un silenzio irreale li avvolse per qualche minuto.

Poi l'uomo tolse la mano, lasciando un vuoto nel petto di Amal.

Sembrava aver capito.

“Tanto non sopravviverete ancora per molto”, sussurrò.

Poi si allontanò lentamente, tenendoli d'occhio.

Ma loro non si mossero di un centimetro, come pietrificati.

Sentirono una forte esplosione, poco lontano da loro. Ma nessuno se ne curò.

Poi la sorella mormorò qualcosa, che risvegliò il bambino dai propri pensieri.

Aidha...”, la chiamò.

“La mano di quell'uomo...era piacevole. Era calda, morbida. Era la mano di un uomo amato”

Lei si staccò lentamente dal suo petto, riprendendo a camminare.

Anche se non poteva guardarla in viso, Amal aveva l'impressione che la sorella avesse capito tutto.

Era più piccola di lui di un solo anno, ma era una bambina molto sveglia e saggia.

E lui le voleva molto bene.

“Siediti, Amal. E ascolta. Ascolta il rumore della terra, delle nuvole, della vita che passa. Ascolta il rumore del vento.”

Così lui si sedette accanto a lei, facendo ciò che gli aveva detto.

Ascoltò il rumore della terra e della vita che passava. Ascoltò il rumore del vento.

Poi un'altra violenta esplosione interruppe la sua attività, ma di nuovo, lui non prestò attenzione.

Proprio in quell'istante, un lampo illuminò la sua mente.

Scoprì molte cose. Molte cose tristi, ma anche belle.

Scoprì di non essere solo. Scoprì di essere amato.

 

~

 

Era quasi sera quando degli uomini li sequestrarono.

Li presero violentemente, caricandoli come merce su un piccolo veicolo sporco.

Rimasero in silenzio per qualche ora, tre, forse.

Uno vicino all'altro, mano nella mano, godendo del calore altrui.

Aidha emise un sospiro, che fece voltare il bambino preoccupato.

Suo sorella soffriva spesso d'asma, se avesse avuto un attacco in quel momento tutto si sarebbe complicato. Come se già non lo fosse abbastanza.

Amal...”, lo chiamò.

“Sai che cos'è questa?”, gli chiese.

“Cosa?”

“Questo. Tutto questo. Sai che cos'è?”

Amal non riusciva a capire. A cosa si riferiva la sorella? Che cosa voleva intendere?

Aidha gli rivolse uno sguardo puro e intenso, come solo i bambini possono fare.

Solo loro hanno quella luce negli occhi. Quella voglia di vivere dimenticata, nascosta nel profondo delle persone oppure eliminata completamente.

Lei sapeva. Era solo una bambina, ma aveva capito tutto.

E improvvisamente capì anche lui. Non voleva perdere la sua voglia di vivere.

Non voleva perdere la vita per qualcosa che in fondo, non esisteva nemmeno.

“Non lo so, che cos'è, Aidha”, rispose con un fil di voce.

Perché in fondo non lo sapeva davvero. Sapeva che era qualcosa di pericoloso, molto pericoloso.

Ma non aveva mai capito cos'era realmente.

C'era forse qualcuno che lo sapeva?

Vedeva gli uomini combattere silenziosamente, i suoi amici perdere una gamba o un braccio a causa di qualcosa nel terreno, stranieri sconosciuti distribuire cibo e acqua che dopo solo qualche ora venivano confiscati.

Sapeva che la violenza sulle donne era all'ordine del giorno, sapeva che quella peggiore era però rivolta ai bambini.

Sapeva che era un moto di rabbia, di orrore e paura costante.

Sapeva che era qualcosa di invisibile, di silenzioso, qualcosa che si conosceva soltanto per sentito dire.

Ma nessuno sapeva cos'era realmente. Nessuno sapeva chi stava vincendo la battaglia, e se c'era davvero.

Spesso vedeva grandi capannoni in quegli immensi campi vuoti.

A volte li osservava per un intero giorno, davanti alla sua casa.

Lì si sentiva al sicuro, niente e nessuno gli avrebbe fatto del male.

E stava lì, ad osservare donne e a volte bambini entrare e spesso non uscire più.

Sapeva che se non sarebbe scappato, presto ci sarebbe entrato anche lui lì.

E forse, non ne sarebbe più uscito.

Sua sorella lo risvegliò dai suoi pensieri con un altro, altrettanto esasperato sospiro.

I loro sguardi si incrociarono per qualche secondo.

Poi sua sorella disse una frase, una frase che Amal non comprese.

“Credo che questa sia una guerra”, disse Aidha.

C'era una parola nuova lì dentro.

Non sapeva cosa significasse. L'aveva sentita spesso, pronunciata dalla bocca di suo padre e i suoi amici soldati.

Ma non ne aveva mai compreso il significato.

Forse è una cosa da grandi, pensò. Forse i bambini non c'entrano nulla, forse è solo un gioco complicato che fanno gli adulti.

Sempre più incuriosito da questa parola, pensò che forse la sorella sapeva cosa significasse.

“Che cos'è una guerra?”

 

~

 

Quando gli uomini si fermarono, presero violentemente la sorella, facendola scendere dal veicolo.

Lui rimase lì impietrito, osservò Aidha nei suoi occhi scuri, ritrovandone ancora una volta quella strana luce che lei chiamava voglia di vivere.

Poi uno dei due uomini chiuse il portone e tutto ciò che vide fu il buio della solitudine.

Dopo un'altra lunga ora, l'uomo aprì la porta e fece scendere anche lui.

Lo strinse per un braccio e lo portò verso una strada sterrata.

Dopo qualche minuto di cammino, l'uomo allentò la presa, convinto che il bambino non potesse più scappare e si fosse rassegnato.

Ma così non fu.

Amal strattonò violentemente il braccio dalla mano dell'uomo, scappando veloce dalla parte opposta.

Poi sentì un colpo sordo provenire dalla direzione dello sconosciuto e poco dopo traforare il suo petto.

Forse è uno di quegli oggetti che quello strano bambino mi lanciò ieri, pensò.

Aveva sempre creduto che fossero pericolosi. In quel momento ne ebbe la prova.

Si sdraiò supino sul terreno polveroso, sentendo dei passi avvicinarsi a lui.

Sapeva che stava morendo. Sapeva che questa sarebbe stata la vera fine, la fine della sofferenza, ma anche della gioia e della bellezza della vita.

Gli mancava tanto sua sorella.

Ma gli sembrava quasi di poter sentire la sua voce rassicurarlo, sussurrare ancora:”Ascolta il rumore del vento

Così chiuse gli occhi, sentendo il calore del suo corpo diminuire pian piano, le forze scomparire lentamente. Ascoltò il rumore del vento.

Ora, nulla sarebbe più importato.

________________________________________________________________________________________________
 

Questa fanfiction è nata per caso, probabilmente per un immediato bisogno di sfogarsi e di esprimere la propria opinione.

La "storia” da cui è tratta è questa: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1715071&i=1

Più che una fanfiction, probabilmente è uno sfogo, come il mio, ma un pò diverso.

E' comunque uno dei discorsi che mi hanno colpito di più.

L'immagine che ho creato per questa fanfiction: http://s1366.photobucket.com/user/Sabriel97/media/Laguerradeibambini1_zps9874a6e5.jpg.html?sort=2&o=0

E, un'ultima nota: Amal in arabo significa speranza. E Aidha, colei che va ma ritorna.

Spero che il senso sia chiaro come lo è per me, questi due nomi non sono stati scelti a caso.

Grazie per aver letto! :)

   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Sabriel Schermann