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Autore: Vals Fanwriter    04/09/2013    5 recensioni
Niff (Nick/Jeff) | Mini-Long | Angst, Romantico, Sentimentale, Introspezione a palla | Missing Moment | Ambientata durante l’episodio di Michael (3x11)
Il quinto giorno, però, tutto fu più chiaro. Dovette aspettare la riunione dei Warblers per avere delle risposte, ma alla fine arrivarono. Lo vide mettere piede in aula canto, dopo più di dodici ore di completa assenza. Ed era diverso, ancora più diverso di quando lo aveva lasciato in camera a poltrire invece di insistere per svegliarlo e trascinarlo a lezione. E il cambiamento non consisteva soltanto negli sguardi complici che si scambiava con Sebastian Smythe, [...] il cambiamento, Jeff lo vedeva nei suoi occhi, ora duri e sicuri, nella sua postura dritta e rigida, nel mento sollevato, nelle mani infilate nelle tasche dei pantaloni con disinvoltura, nei capelli stranamente troppo ordinati.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeff Sterling, Nick Duval, Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Nick/Jeff
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Getting over you.

Capitoli: 1/3

Rating: Verde.

Pairing: Niff.

Genere: Angst, Romantico, Sentimentale, Introspezione a palla.

Avvertimenti: Mini-Long, Missing Moment, Ambientata durante l’episodio di Michael (3x11).

 

Note.

Dunque, non so bene com’è nata questa storia – o meglio lo so, ma sono dettagli che immagino io possa trascurare al fine di concludere queste note in quattro e quattr’otto. L’unica cosa che so per certo è che non doveva essere una mini-long, ma semplicemente una one shot troppo lunga. Pensavo che me la sarei sbrigata in fretta e che le cose si sarebbero risolte in massimo cinquemila parole, e invece ho superato le diecimila; e poiché la storia non è collocata temporalmente in un solo giorno, ho deciso di dividerla in punti strategici per lasciarvi un po’ di suspense e dubbi, ma soprattutto per alleggerirvi la lettura (per ovvi motivi).

Prima di lasciarvi alla “prima parte” – chiamiamola così – voglio ringraziare un po’ di persone: la mia pseudo-beta, Robs, per essersi sorbita questa cosa abnorme; la mia Niffer suprema, Silvia, per avermi dato il suo parere come al solito; e infine quella bulla di therentgirl che mi ha già imprecato dietro a dovere per aver scritto questa cosa, ma che in fondo in fondo mi vuole bene. u.u

Per concludere, vi ricordo che il prossimo aggiornamento cadrà tra 6 giorni (3 capitoli ogni 6 giorni, già) vale a dire il 10 Settembre. Come al solito, aspetto le vostre maledizioni e vi lascio un paio di link in fondo alla pagina, così che possiate rintracciarmi. :*

 

Vals

 


 

goy

 

1.

 

 

Cinque giorni. Per una persona normale cinque giorni non erano niente. Passavano in fretta, bastava non pensarci e volavano via che non te ne accorgevi neanche. Erano un attimo che si ripeteva nel tempo in maniera sempre uguale e che doveva essere vissuto sempre allo stesso modo.

Doveva, appunto. In teoria.

Cosa ci si aspetterebbe da un’Accademia pomposa come la Dalton, del resto? In genere, nulla più di quello. Sveglia al mattino e, di conseguenza, l’immane faticaccia impiegata per lasciare il proprio letto; maratona per trovarsi pronto in tempo per la lezione delle otto e mezzo del mattino; il compagno che continua a ripeterti di sbrigarti, che altrimenti la professoressa ti farà una delle sue solite strigliate isteriche; tu che lo rassicuri inutilmente e gli suggerisci di avviarsi; corsa per i corridoi e soliti sorrisi di circostanza e giustificazioni per l’evidente ritardo.

Nulla più di quello, appunto. In teoria.

Invece, quei cinque giorni lì proprio non volevano tornare monotoni come avrebbero dovuto essere. Constavano di un cambiamento graduale, ma pur sempre visibile, fin dal primo istante in cui era iniziato. Nessuno se ne accorgeva veramente, forse perché nessuno prestava troppa attenzione alla vita di Nick Duval. Ormai la gente lo conosceva e sapeva che non era un ragazzo appariscente, che non era capace di attirare l’attenzione dei compagni con gesti eclatanti. Non si parlava mica di Smythe, insomma? Lui sì che induceva le persone a guardarlo – con tanto d’occhi il più delle volte e per più d’un motivo – ma Nick era l’esatto opposto di Sebastian. Sarebbe stato stupido pensarlo capace di freddezza, presunzione e superiorità…

Eppure Jeff lo aveva notato fin dal primo dei cinque giorni in questione, quel mutamento di personalità che si diceva poco prima.

Il primo giorno era stato semplicemente sorpreso di vederlo tornare in camera presentando in viso un’espressione insolita; era un’espressione assorta e vuota e qualsiasi cosa gli stesse passando per la testa in quel momento doveva essere di sicuro qualcosa di serio e grave. Era stato questo uno dei motivi per cui Jeff gli aveva domandato immediatamente cosa ci fosse che non andasse e cosa gli fosse successo – lui sapeva leggere ogni suo cruccio in maniera particolare e inaspettata.

Nick aveva scosso la testa lentamente e aveva risposto che non c’era nulla di cui Jeff avesse dovuto preoccuparsi, ma non l’aveva guardato negli occhi, né aveva sorriso. Le labbra erano rimaste strette e diritte come una linea sottile e lo sguardo sempre insipido e sfuggente. Jeff aveva insistito soltanto un poco per saperne di più, ma poi aveva rinunciato. Sapeva quando era il momento di lasciargli spazio, anche se continuava a sembrargli tutto troppo strano. Nick gli raccontava sempre tutto quello che gli succedeva, stupido o complicato che fosse. Allo stesso tempo, però, era certo del fatto che quella sorta di segreto non poteva sussistere a lungo, lo sapeva lui e lo sapeva anche Nick. Prima o poi sarebbe saltato fuori tutto.

Perciò l’agitazione che lo aveva accompagnato nel dormiveglia, la prima sera, non era stata poi così oppressiva.

Il secondo giorno le stranezze erano cominciate al mattino presto. La sveglia era suonata al solito orario – le sette suppergiù – e Jeff l’aveva spenta senza badarci più di tanto e si era girato dall’altro lato, mugugnando qualcosa di indistinto e aspettando, in cuor suo, che arrivasse Nick e che lo svegliasse con tocchi delicati e con voce dolce.

Invece, niente di tutto quello si era manifestato. Il silenzio in camera aveva continuato a persistere per infiniti minuti, tanto che Jeff si era accorto perfettamente del ritardo colossale in cui sarebbe incappato se avesse continuato a poltrire a letto. Poltrire, poi, era un parolone grosso. Aveva smesso di dormire nel momento in cui la sveglia era suonata, stava semplicemente aspettando Nick, la sua voce, il materasso che si abbassava sotto il suo peso, la sua mano che scostava con gentilezza le coperte dalla spalla di Jeff.

Aveva aperto gli occhi e si era messo a sedere, allora. L’orologio segnava le otto men un quarto e Nick… Beh, lui era ancora sotto le coperte.

Dunque toccava a lui svegliarlo quella mattina, si era detto. E così si era alzato, si era avvicinato all’altro letto e gli aveva posato una mano tra i capelli pettinandoglieli un po’ e cercando di non svegliarlo troppo bruscamente.

‹‹Nicky›› aveva bisbigliato, ‹‹è ora, svegliati.››

Nick si era accucciato su se stesso, sfuggendo alle carezze della mano di Jeff e non aveva proferito parola. L’altro aveva osservato attentamente le sue spalle che si alzavano e abbassavano in maniera ritmica, ma non lenta e rilassata. Non stava dormendo.

‹‹Nicky›› ci riprovò, sfiorandogli la spalla con la punta delle dita.

A quel punto, Nick si era coperto fin sopra la testa con le lenzuola e aveva mugugnato qualcosa di basso ed indistinto che Jeff non aveva recepito.

‹‹Cosa?››

‹‹Va’ avanti tu, ti raggiungo dopo.››

E questo era piuttosto singolare, dato che solitamente accadeva il contrario. Jeff arrivava in ritardo, mentre Nick lo aspettava al banco e scuoteva la testa fingendosi serio e nascondendo alla meglio un sorrisino complice e divertito.

Jeff non aveva aggiunto nulla. Aveva provato a mandare via, per la seconda volta, quella strana sensazione che gli premeva all’altezza dello stomaco, si era preparato, non senza mancare di scoccare occhiate preoccupate alla sagoma di Nick sotto le coperte, e poi si era avviato in classe, arrivando per la prima volta in orario alle lezioni del mattino. Nick, però, non si era presentato.

Il terzo giorno le cose avevano iniziato a peggiorare. Nick gli era parso ancora più silenzioso, per quel poco di tempo che trascorreva insieme a lui e agli altri suoi amici. Si dice poco perché la sua presenza – in camera, in biblioteca, nei corridoi – cominciava a risultare pressoché inesistente. Spariva dalla circolazione per intere giornate e non si sapeva che fine facesse.

Addirittura, la sera del quarto giorno non era tornato in camera e Jeff l’aveva avvertita addosso e dentro di lui, quell’inquietudine che andava crescendo di giorno in giorno e la sensazione di aver perso per sempre una parte di lui. Era come se Nick stesse scappando da qualcosa e Jeff cominciava a pentirsi di non avergli chiesto esplicitamente quale fosse il problema, quando ne aveva avuto l’occasione.

Il quinto giorno, però, tutto fu più chiaro. Dovette aspettare la riunione dei Warblers per avere delle risposte, ma alla fine arrivarono. Lo vide mettere piede in aula canto, dopo più di dodici ore di completa assenza. Ed era diverso, ancora più diverso di quando lo aveva lasciato in camera a poltrire invece di insistere per svegliarlo e trascinarlo a lezione. E il cambiamento non consisteva soltanto negli sguardi complici che si scambiava con Sebastian Smythe, quel demonio che aveva strappato con la forza il ruolo di leader a chiunque avesse voluto provare a guadagnarselo; il cambiamento non stava nemmeno nel fatto che stesse affiancando Smythe anche dietro il tavolo che un tempo veniva occupato dal Consiglio – a mo’ di braccio destro insomma; il cambiamento, Jeff lo vedeva nei suoi occhi, ora duri e sicuri, nella sua postura dritta e rigida, nel mento sollevato, nelle mani infilate nelle tasche dei pantaloni con disinvoltura, nei capelli stranamente troppo ordinati.

Quello non era Nick. Quello era la fotocopia sputata di Smythe.

Ma quando era successo? Quando era capitato che l’avesse perso di vista così a lungo da permettere a Sebastian di farlo diventare così?

C’era il suo zampino sotto, su questo non aveva dubbi, ma non era sicuro che quattro giorni e mezzo fossero bastati a renderlo così… così non Nick. Possibile che la cosa fosse cominciata prima?

No. Ricordava perfettamente quello che era successo “prima”. Era tutto come al solito. Loro che ridevano, scherzavano, forse qualche piccolo sprazzo di silenzio, ma non gli era sembrato poi così grave. Tutto era iniziato quando era tornato in camera il primo dei cinque giorni, ne era sicuro.

Ed ora era lì, in piedi, col fare più superbo di questo mondo, a guardarlo senza vederlo davvero. Il quinto giorno.

Si sentì sprofondare improvvisamente. Era così vicino, ma il suo sguardo era tremendamente lontano. E non solo da lui, ma anche da tutti gli altri. Era un’altra persona.

‹‹Suppongo che conosciate perfettamente il motivo per cui siete stati tutti convocati qui, nella sala riunioni, questo pomeriggio.›› Era stato Smythe a parlare. Si era seduto al posto dei Consiglieri – Nick occupava la poltrona alla sua destra adesso – e se ne stava con i gomiti poggiati sul tavolo e gli occhi fissi sui suoi compagni. Sembravano piccole api operaie ai suoi occhi, mentre lui non era altro che l’ape regina. ‹‹Le Nuove Direzioni ci hanno sfidato ufficialmente. Deve esservi giunta qualche voce in proposito.››

Qualcuno annuì, qualcun altro bisbigliò, Jeff e Thad si scambiarono un’occhiata preoccupata, ma sia l’uno che l’altro erano più in ansia per quella sorta di alleanza che sembrava essere stata stipulata tra Sebastian e Nick, piuttosto che per la sfida. A Thad probabilmente era bastato osservare per un attimo il viso di Jeff per capire, comprendere e condividere i suoi pensieri. Il suo compagno di stanza aveva fatto una specie di lavaggio del cervello a Nick, questa era la prima opzione speculabile; oppure Nick aveva battuto la testa da qualche parte e aveva improvvisamente deciso di diventare l’ombra di Sebastian. Perché, a questo punto, era evidente che il tempo in cui Nick era scomparso dalla circolazione, nei giorni precedenti, lo aveva trascorso insieme a Sebastian a fare qualcosa di molto simile a un “corso per apprendisti-cattivi-ragazzi”. Una roba del genere, insomma. Di certo, non era cambiato così tanto da un secondo all’altro.

‹‹Lo vedi?›› Bisbigliò Jeff, facendo aderire la spalla a quella di Thad per avvicinarsi e farsi sentire meglio. ‹‹Lo vedi com’è diverso? Com’è possibile che sia così diverso?››

Thad squadrò attentamente prima Nick – che ora stava come registrando, in maniera disinteressata e indifferente, il movimento della bocca di Sebastian ad ogni suono che rilasciava – e poi Jeff. Quest’ultimo si stava mordicchiando il labbro inferiore nervosamente, senza staccare gli occhi da Nick neanche un attimo, e si torceva le mani irrefrenabilmente. Percepì tutta l’ansia che provava in quei movimenti. Allungò la mano e la posò sulla sua per stringerla e fermarlo. Jeff finalmente lo guardò.

‹‹Lo vedo›› disse Thad, ‹‹e ti prometto, Jeff, che cercherò di capire che cosa gli è successo. Anche a costo di sorbirmi due ore di stronzate da parte di Sebastian. Riuscirò a capire cosa è accaduto.››

Jeff sospirò e annuì, ma non disse null’altro. Strinse la mano di Thad con la sua, come per infondere a se stesso un po’ di sicurezza, e si costrinse a puntare nuovamente lo sguardo in direzione della scrivania, nonostante la vista di quel Nick gli facesse malissimo.

Sebastian non aveva smesso di parlare, intanto.

‹‹Ci vogliono al parcheggio del centro commerciale, dopodomani›› stava dicendo il loro leader. Pareva tutto così facile per lui, un gioco da ragazzini di prima elementare, una prova da superare ad ogni costo. ‹‹In palio c’è Michael. Se vogliamo vincere le Regionali, deve essere nostro. Dobbiamo guadagnarcelo.››

Sebastian che parlava di “guadagnare” non era affatto negli schemi. Tanto quanto non lo era quella bocca, la bocca di Nick, che si incurvava in un sorriso complice e a tratti diabolico, in direzione di Sebastian. Un solo gesto, una piccola smorfia che fece rompere qualcosa nel petto di Jeff, il quale si ritrovò a schiudere le labbra e a memorizzare ogni singolo mutamento di quel viso, cercando forse di scorgere una piccola briciola del vecchio Nick. Ma nulla, era scomparso. Più lo guardava e più gli appariva diverso. Il respiro gli si stava facendo frenetico e così calò le palpebre in un vano tentativo di scomparire dalla stanza.

Il brusio continuava. La voce di Sebastian stava proseguendo indisturbata, spiegando strategie, esponendo gli orari e le modalità di quella battaglia di voci, ma Jeff si stava allontanando. Non voleva ascoltare, non voleva convincersi che tutto quello fosse reale. E poi…

‹‹Jeff.››

L’avrebbe riconosciuta tra mille, quella voce. Aveva quel tono delicato ed era una delle tante cose che gli avevano fatto perdere la testa per quel ragazzo gentile e diligente. Almeno quella, pensò, era rimasta la stessa.

‹‹Jeff.›› Nick lo chiamò nuovamente e solo allora Jeff aprì gli occhi, sperando quasi di ritrovare su di sé quello sguardo cordiale, quelle iridi di quel verde splendente. Di ritrovare lui.

Ma era stata solo un’illusione. Quando le sue palpebre si erano sollevate e il suo sguardo aveva incontrato quello di Nick, l’unica cosa che aveva trovato ad aspettarlo era stata durezza, serietà e ancora lontananza.

Deglutì a vuoto, cercando di scacciare tutte le cattive sensazioni che gli erano ripiombate addosso, e rispose con voce flebile e afflitta.

‹‹Sì?››

‹‹Non hai sentito?›› Domandò Nick, senza alcuna premura. ‹‹Sebastian ti ha affidato le coreografie di “Bad”. Devi prepararle entro domani e insegnarle al gruppo.››

Quel tono autorevole era troppo da sopportare. Nick non gli si era mai rivolto a quel modo. In un’altra occasione lo avrebbe convinto infilando nelle sue frasi milioni di “per favore” accompagnati da sguardi imploranti e dolcissimi; invece, adesso, la sua sembrava tutto fuorché una richiesta, era un ordine da eseguire all’istante senza discutere. Erano occhi fermi e gelidi, i suoi.

Il cuore gli fece malissimo.

‹‹Non›› bisbigliò con un tono di voce talmente basso da venire coperto dal brusio dei compagni, ‹‹non credo di esserne in grado.››

Nick assunse l’espressione di chi non è sicuro di aver afferrato bene il significato di una frase, però non disse nulla. Scoccò uno sguardo a Sebastian, come chiedendogli silenziosamente cosa fare, ma quest’ultimo non si scompose affatto.

‹‹Non ne sei in grado?›› Chiese, ma più che altro era una domanda retorica.

Jeff puntò lo sguardo sulle sue stesse scarpe, a disagio, e scosse lentamente la testa lasciandosi andare ad un sospiro tremulo.

‹‹Il tempo è poco, non sono in grado.››

Non era quello il problema, naturalmente. Non c’entrava niente il tempo con il suo rifiuto. Anche Nick ci stava arrivando pian piano, ma invece di comprenderlo, lo guardava con delusione, allo stesso modo in cui si poteva guardare un bambino negligente e irrispettoso.

Fece per dire qualcosa – Jeff lo notò mentre sollevava appena la testa, senza scoprirsi eccessivamente – ma Sebastian gli posò una mano sul braccio per incitarlo a lasciargli la parola.

‹‹Troveremo un altro modo per risultare vincenti.››

E di nuovo, Sebastian incontrò gli occhi di Nick. E stavolta stavano entrambi ghignando.

 

 

*

 

 

Lasciò la sala riunioni con un enorme peso sullo stomaco. Non ricordava di essersi mai sentito così distrutto e spezzato a metà, forse proprio perché non era mai accaduta una cosa simile con Nick. Anche quando era di cattivo umore, Nick lo trattava con riguardo e con la massima attenzione, cercando sempre di non ferirlo. Se voleva stare da solo, lo allontanava con delicatezza. Non gli sbatteva mai la porta in faccia. Invece, adesso, sembrava non valere più niente. Sembrava che Nick avesse cancellato tutto quello che Jeff era per lui, il loro legame, la loro imbattibile amicizia.

Thad camminava al suo fianco, intanto che Jeff pensava e si struggeva, ma era come se non ci fosse. Probabilmente gli stava anche parlando, cercando di distrarlo o di rassicurarlo, però la testa di Jeff era da un’altra parte. L’aveva lasciata nella sala riunioni ad analizzare il comportamento di Nick. Ci aveva lasciato anche un pezzo di cuore su quel divanetto scuro.

Il suo corpo si muoveva per inerzia, il suo capo annuiva ogni tanto senza neanche recepire le frasi di Thad, il nodo alla gola si faceva sempre più pressante.

‹‹Jeff. Jeff, dai, fermati.››

Si sentì trattenere per un polso e, solo allora, si fermò. Sollevò lo sguardo spento su Thad e si costrinse a tornare alla realtà. Erano già giunti alle scale che conducevano ai dormitori e non se n’era neanche reso conto.

‹‹Scusa, io…›› Scosse la testa, con gli occhi un po’ lucidi, ma cercò di trattenere il pianto.

Non c’era nulla per cui valesse la pena piangere – cercava di dirsi, pur di non crollare. Nulla, se non si contava la nostalgia e la mancanza, la sensazione di irreparabile cambiamento e quella di essere sull’orlo di un precipizio, pronto a cadere e a non tornare più su.

‹‹Jeff, non fare così.›› Thad gli prese le mani tra le sue e le accarezzò con dolcezza, ma Jeff ora teneva lo sguardo basso. Gli era sfuggita una lacrima senza che lui riuscisse ad impedirlo.

Con Nick, succedeva così. I sentimenti non si potevano comandare quando si trattava di lui. Venivano da soli. Lo colpivano inaspettatamente, sempre, di qualunque cosa si trattasse, emozione o tristezza. Solo che quella sensazione era nuova e mai provata, e stava lentamente distruggendo Jeff dall’interno.

‹‹Scusa, adesso smetto›› biascicò con voce tremante. Ma i suoi occhi continuavano a riempirsi di lacrime. Li asciugava e poi tornavano punto e a capo.

‹‹Lo so come ti senti. In un modo o nell’altro, lo so.›› Thad stava parlando piano, quasi cercando di non farsi sentire da qualcuno che non fosse Jeff – anche se il corridoio era palesemente vuoto – e continuava a muovere i pollici e a strofinarli sulle sue nocche con lentezza. ‹‹Ma sarà semplicemente un momento storto, lo sappiamo entrambi che Nick non le fa queste cose.››

Jeff annuì, ma non alzò ancora lo sguardo. Si sentiva così debole e se ne vergognava quasi. Avrebbe voluto essere più forte e saperle gestire con più fermezza, certe faccende.

‹‹No, non le fa›› disse soltanto e Thad, a quel punto, emise un sospiro.

‹‹Ti ho promesso che parlerò con Sebastian – si vede lontano un miglio che c’è il suo zampino – ma tu devi stare tranquillo. Lo devi fare per me, okay?››

Si era avvicinato a Jeff, adesso, ed era riuscito ad incontrare i suoi occhi. Jeff aveva dovuto alzare lo sguardo per forza, quando Thad aveva inclinato appena la testa per riuscire a guardarlo in viso.

Sorrise, allora, anche se non era completamente convinto dalle parole di Thad. Era più forte di lui, temeva che tutto quello fosse irrisolvibile. Nick non si lasciava plagiare dagli altri, quindi se era cambiato doveva essere stata una sua decisione. Sebastian poteva aver insistito un po’, certo, ma più di tanto…

‹‹Ci proverò›› assentì infine, con l’intenzione di non farlo preoccupare ulteriormente. Ma Thad poteva leggergli lo sguardo e sapeva che era una promessa inutile quella di Jeff. Si sarebbe ritrovato solo, al buio, in camera, e avrebbe ripensato a Nick ed ad ogni suo singolare gesto di quel giorno. Magari, non lo avrebbe visto tornare in camera, per la seconda volta in quella settimana, e avrebbe passato la notte a domandarsi dove fosse e cosa stesse facendo.

Si sentiva così stupido a preoccuparsi in quella maniera, ad essere l’unico a preoccuparsi. Ma non riuscì ugualmente ad impedirselo.

 

 

Thad lo lasciò sulla soglia della sua camera, qualche minuto dopo, e lui entrò, sperando di trovare un po’ di pace al suo interno. La stanza, però, era terribilmente vuota e triste, e Jeff stette per una serie di minuti interminabili seduto sul suo letto, ad osservare inespressivo quello dell’altro, dalle coperte perfettamente lisce e ordinate. Non si aspettava che sarebbe tornato, ma dentro di sé ci sperava. Stando da soli, forse, sarebbe stato tutto più facile. Da solo con Jeff, Nick si sarebbe rivolto a lui come soleva fare di solito, oppure gli avrebbe rivelato qualcosa di importante, il motivo del suo cambiamento, magari.

Aveva bisogno di parlargli, aveva un disperato bisogno di capire cosa stava succedendo. Così aspettò, alternando lo sguardo tra il suo letto e la porta, ogni qual volta sentisse flebili rumori provenire dall’esterno.

Stava quasi per riporre ogni sua aspettativa e mettersi a letto, abbandonando il buon proposito di presentarsi a mensa per la cena, quando la serratura scattò con un rumore sordo che gli arrivò alle orecchie in maniera amplificata, risvegliandolo dal suo stato di trance.

E Nick apparve. La luce fece riversare in camera la sua ombra, accompagnando il suo ingresso, e gli occhi di Jeff si illuminarono di una luce nuova e diversa, come se avessero ritrovato la parte perduta di sé.

‹‹Nicky.››

Nick si chiuse la porta alle spalle lentamente, in maniera tutt’altro che brusca, e al contempo puntò gli occhi in quelli dell’altro. Nella penombra, Jeff fu sicuro di intravedere stanchezza nel suo sguardo, ma tutta la cattiveria e l’impenetrabilità che aveva visto in sala riunioni non c’erano già più. Avvertì il cuore molto più leggero a quella scoperta.

‹‹Ehi.››

Jeff gli sorrise lievemente, nel sentire la sua voce più tenue e delicata nel tono, una premura appena accennata riservata soltanto a lui. Erano scuse nascoste, Jeff riusciva a capirlo solo guardandolo in viso e ascoltando la sua voce. Lo conosceva così bene, del resto.

‹‹Non sei sceso a cena?›› Domandò Nick, ancora fermo sull’uscio, il pugno chiuso sulla tracolla della sua borsa.

‹‹Pensavo di rimanere qua, veramente. Non mi va tanto di scendere e vedere gente›› rispose Jeff e scrollò le spalle, ma non aggiunse ulteriori dettagli o spiegazioni a quella frase. Nick sapeva benissimo come trovarli e coglierli.

‹‹Capisco›› disse infatti. Successivamente si mosse in direzione della scrivania, la raggiunse e depose con attenzione la cartella su una sedia, lo sguardo basso e pensoso. Rimase in silenzio, immobile, per un paio di minuti, poi riprese a parlare. ‹‹Io invece penso che uscirò stasera.››

Jeff schiuse le labbra, stupito e allo stesso tempo un po’ deluso. In cuor suo, sperava che Nick sarebbe rimasto con lui, che sarebbero rimasti fino a notte fonda a parlare, a spiegarsi, a chiarire, e invece lui stava per andarsene di nuovo. Ingoiò a vuoto, ma non si mise a protestare.

C’erano silenzi che parlavano molto di più delle parole stesse.

‹‹Con Sebastian?›› Chiese soltanto, sottintendendo tutto il resto e sperando che Nick lo capisse da sé. Non sapeva neanche da dove era nata quella domanda, ma era l’unica cosa che gli premeva sapere per davvero.

‹‹Sì›› confermò Nick, incerto.

‹‹Oh›› mormorò Jeff.

E poi non emisero alcun suono per almeno dieci minuti. Nick aveva iniziato ad impiegare il tempo frugando nella sua cartella, alla ricerca di qualcosa che pareva non trovare, o forse stava semplicemente aspettando di essere fermato dal compagno, di sentirsi dire “Non andare”. Jeff non poteva saperlo con certezza, ma era quello ciò che sentiva di volergli dire e così ci provò, cercando di non aspettarsi troppo dalla sua risposta.

‹‹Perché non rimani?››

Le mani di Nick smisero di armeggiare con la sua borsa, nell’esatto momento in cui quelle parole raggiunsero le sue orecchie. Si irrigidì sul posto e Jeff lo vide sgranare gli occhi lievemente, probabilmente perché non si aspettava quella proposta.

‹‹Rimanere?›› bisbigliò senza voltarsi.

‹‹Con me›› precisò Jeff, anche se non ce n’era veramente bisogno. ‹‹Rimani con me, Nicky.››

Quell’ultima frase suonò come una preghiera alle orecchie di entrambi, ma a Jeff non importava di apparire patetico. Voleva essere trasparente con lui, voleva fargli capire che ci teneva, anche a costo di sembrare un idiota e rischiare di starci male come quella mattina, come quei cinque giorni precedenti. Voleva averlo al suo fianco perché gli mancava.

Nick si raddrizzò, lasciando che le braccia gli sfiorassero i fianchi con fare arreso, ma non si voltò a guardarlo. Non ancora almeno.

‹‹Vuoi che rimanga?››

Non un “no”, non un “sì”, un’altra domanda. Come se non dipendesse da lui la scelta di restare in camera. Come se non fosse in grado di decidere.

Jeff si costrinse a non farsi inutili pensieri e a concentrarsi solo su quell’istante e su loro due.

‹‹Sì che lo voglio›› replicò, deciso.

Fu allora che Nick sollevò lo sguardo su di lui e fu allora che Jeff si rese conto di quanto fosse combattuto. Voleva restare, ma allo stesso tempo non voleva. E Jeff non riusciva a capire dove fosse il problema, questa volta non riusciva a leggergli dentro come avrebbe voluto.

‹‹Io… non lo so.››

Di nuovo incertezza.

‹‹Resta, Nick.››

Jeff allargò appena le braccia, come per accoglierlo. Accoglierlo e farlo sdraiare al suo fianco, e tenerlo vicino a sé tutta la notte.

Vide comparire, negli occhi di Nick, il desiderio che aveva della sua stretta salda e affettuosa, ed ebbe l’impressione che fosse sul punto di cedere e tornare quello di prima. Ma invece di fare un passo verso di lui, Nick arretrò, prima un poco, poi di più, fino a raggiungere la porta della loro camera.

‹‹Mi dispiace, Jeff.›› Disse così, poi gli diede le spalle, abbassò la maniglia ed uscì, quasi stesse scappando da lui.

Per un piccolissimo momento, Jeff ci aveva davvero sperato.

 

 

 



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