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Autore: chi_lamed    04/09/2013    2 recensioni
"E allora ridi.
Ridi perché il temporale è davvero passato.
Non quello fuori, ma dentro di te."
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
- Questa storia fa parte della serie 'Anche i cieli che lacrimano nascondono arcobaleni'
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. I luoghi non inventati da J.K. Rowling e la trama di questa storia sono invece di mia proprietà ed occorre il mio esplicito e preventivo consenso per pubblicare/tradurre altrove questa storia o una citazione da essa.
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.
 

Anche i cieli che lacrimano nascondono arcobaleni


 
 
«Ma perché non si può un unicorno?»
La domanda giunge a bruciapelo insieme ad un assordante tuono che fa tremare cielo e terra, perfetta sintonia che oggi si è mutata in un’alleanza a dir poco insolita e quasi preoccupante.
Questo pomeriggio d’autunno inoltrato la furia del temporale ha deciso di dare spettacolo.  Da mezz’ora sta offrendo il meglio del suo repertorio: pioggia, vento e fulmini a volontà.
In lontananza un lampo accecante squarcia l’aria, illuminandola d’un bianco irreale. Pochi attimi, un battito di ciglia, ed il rimbombo accorre veloce, bronzo sonoro e stentoreo che si propaga per ogni dove.
Lei ancora ti fissa intensamente con i suoi occhi grigio scuro, dondolando appena le gambe. Nelle mani ha un libro d’illustrazioni sulle creature magiche, il suo argomento preferito.
Tra il temporale e le sue domande senza sosta non hai idea di quale dei due riesca ad essere più incalzante.
Sono giorni che insiste, a qualsiasi ora ed in qualsiasi momento, con la richiesta di un animale domestico.
E gli unicorni, si sa, non rientrano in questa categoria.
Per tua fortuna.
Alzi teatralmente gli occhi al cielo, iniziando a ripetere parole dette e ridette più volte.
«Sai che vivono solo nelle foreste e che…»
«Ma abbiamo un giardino, e grande!» ti interrompe con veemenza.
La logica dei suoi quattro anni è ferrea.
Vorresti sorridere, ma vieni brutalmente trafitto da un’espressione piccata che gelerebbe chiunque all’istante. Molto meglio rimanere serio a tua volta, fingendo un’esasperazione che solo in parte è reale.
Sospiri.
Il volume illustrato viene riposto con calma sul tavolino a tre gambe, accanto alla poltrona su cui siete entrambi seduti. L’esiguo spazio rotondo è ingombro di una decina di pergamene che attendono d’essere massacrate senza pietà con abbondante inchiostro rosso.
Dovranno pazientare, è solo sabato mattina.
Seduta sulle tue ginocchia, lei aspetta ancora una risposta.
La attiri più vicino in un piccolo gesto consolatorio, mentre con un altro tuono il temporale si avvia verso il termine. La finestra ti mostra in lontananza nubi color cenere che si muovono veloci ed intanto ancora piove, anche se più dolcemente.
Vorresti trovare le parole adatte per toglierle quell’aria imbronciata.
Comodamente acciambellato sul divano di fronte a voi, Smile vi fissa placido e sonnacchioso.
«Lui non ti basta?» domandi con voce di seta, ammiccando al nero felino, che nel frattempo sbadiglia agitando la coda e si stiracchia mostrando gli artigli.
«No.» piagnucola lei. Incrocia le braccia in una buffa imitazione di un adulto stizzito. «Lui è tuo.»
«Come?» le sopracciglia all’unisono scattano all’insù.
«Lui è il tuo gatto.» ripete. «Io voglio… vorrei qualcosa che è solo mio.»
Approvi la correzione che ha fatto da sé con un lieve sorriso.
Non ha tutti i torti, in fondo. Ma se la assecondi finisce che continuerà a domandarti unicorni fino allo sfinimento.
Il temporale là fuori decide di andarsene salutando con un ultimo, potente rimbombo. Giusto sopra le vostre teste. I vetri della finestra per qualche istante rispondono tremando rumorosi.
Smile scatta sull’attenti, terrorizzato, il pelo ritto per la paura improvvisa. Con mossa fulminea ed un miagolio disperato scende dal divano e corre a saltarti in grembo, posizionandosi – o per meglio dire, incastrandosi – giusto tra te e lei, senza curarsi di graffiare per farsi spazio e sentirsi al sicuro.
E l’istinto di protezione si fa vivo ed immediato.
Il tuo abbraccio la stringe delicatamente, mentre ricordi come fosse ieri quando passavi parte delle tue serate a cullarla durante i temporali, sussurrandole parole stillanti serenità e sicurezza. L’altra mano scende in una lenta carezza sulla schiena del tuo – vostro – felino ancora tremante.
«Pa’, io non ho mica paura.» esclama con vocetta convinta, guardandoti in tralice. È ancora offesa.
Oh, ti sta servendo il tuo quotidiano attimo di sarcasmo su piatto d’argento.
«Perché tu sei grande, vero?» le fai il verso, imitandone il tono che usa quando si rifiuta di farsi aiutare in qualsiasi cosa.
«No, perché tu sei qui.» è l’innocente risposta.
La mano trema, il fiato si spezza ed il cuore salta un battito, facendo un triplo tuffo carpiato all’indietro.
Il nodo alla gola arriva veloce più dei fulmini del temporale ormai cessato.
Le sorridi – un sorriso sghembo – ma dentro di te senti l’impulso di alzarti da lì e di rintanarti da qualche parte, nel tuo consueto angolino di dolore.
Cos’è questa, Severus?
Commozione?
Oppure sono ricordi lontani, affiorati all’improvviso dalle acque calme e azzurre dell’oblio, accompagnati da rimorsi solamente in apparenza sopiti?
Braci lasciate a se stesse, inermi se non toccate, quasi insignificanti, ma pronte ad ardere di nuovo se solo alimentate con il minimo soffio di memorie mai veramente sepolte nel passato.
C’è stato un tempo in cui quest’affermazione infantile poteva concorrere per il primo premio di “considerazione più sbagliata dell’intero universo”.
Un tempo in cui la tua presenza era portatrice di dolore e di morte e la paura tua fida alleata, emergeva dagli sguardi terrorizzati di vittime inermi che sei stato costretto a veder morire senza poter fare nulla per loro, tranne guardare e soffrire in silenzio. Solo due limpidi occhi azzurri non hanno avuto timore alcuno e ti hanno regalato, con il loro ultimo battito di ciglia, l’assoluzione di un vecchio padre amato e rispettato.
Un brusco movimento ti riporta alla realtà, insieme ad un miagolio offeso come non mai.
Tua figlia s’è sollevata sulle ginocchia e ti osserva con intensità.
Il povero Smile ne ha fatto le spese, così finisce per spostarsi e si raggomitola alla bell’e meglio sul bracciolo della poltrona, formando un tondo perfetto.
«Pa’… momento triste?» domanda preoccupata.
Chi è il ciarlatano che va in giro raccontando che i bambini non capiscono?
Provi a sorriderle scuotendo la testa, cercando un sorriso vero che metta in fuga l’ondata di emozioni color pece, ma ti esce solamente una smorfia che non convincerebbe nessuno.
A lei non sai mentire.
Ti circonda il collo con le sue piccole braccia, stringendoti con irruenta delicatezza.
«Così ti passa?» mormora accanto al tuo orecchio.
«È già passato.» sussurri.
Ricambi quell’abbraccio stringendola a te. Finché avrai respiro la proteggerai da qualsiasi male, lo prometti a te stesso e al cielo ancora una volta.
Stranamente la prima a staccarsi è lei.
Non smette di scrutarti, come se volesse leggerti dentro. Le mani giocano a premere i numerosi bottoncini della giacca come fossero pulsanti di qualche marchingegno Babbano.
Daresti qualsiasi cosa in questo momento per sapere cosa frulla in quella testolina bionda.
«Ma… se un unicorno non si può… » riprende da dove era stata interrotta, ma che birbante! «Qualcosa di piccolo piccolo?»
Anche la vocina s’è fatta piccola piccola, è la stessa con cui alla sera ti domanda la favola della buonanotte infagottata sotto le coperte e tra le braccia il fido orsacchiotto di peluche. Difficilmente le hai risposto di no.
Oh, santo Merlino… qualcosa di piccolo?
Sulla fronte fa capolino immediato la tua solita ruga, compagna degli attimi di concentrazione. In perfetto ordine alfabetico ripassi velocemente i nomi di tutte le creature magiche, ma arrivi solo alla “m”.
«Una Puffola Pigmea.» esclama così piano che a malapena la senti. Le manine adesso sono tutte un torcersi ed un tormentarsi tra di loro, mentre il mento già trema per un principio di capricci in arrivo.
E allora ridi.
Ridi perché il temporale è davvero passato.
Non quello fuori, ma dentro di te.
Pioggia battente sono state lacrime di dolore e disperazione, nuvole plumbee l’oscurità in cui sei caduto e che ti ha inghiottito senza avere pietà del tuo momento di smarrimento. E fulmini le infinite staffilate inferte da tanti, troppi, per pura cattiveria, vendetta o solamente per incolpevole ignoranza.
Poi è arrivato il vento che ha spazzato la tempesta, fresco, leggiadro ma inesorabile, accompagnato dalle ultime stille dal cielo, limpide e pure, quali le lacrime miracolose d’una fenice purpurea.
Inizialmente hai cercato di osteggiarlo, cercando riparo da esso e rintanandoti nel tuo mondo di solitudine. Lui però t’ha stanato ugualmente, abbattendo ogni difesa eretta a baluardo. Ti ha stanato e ti ha avvolto come brezza leggera che dona ristoro, come fresco alito che nel deserto spira quando deve annunciare la notte stellata.
Ridi ed intanto lei ti guarda buffamente torva, temendo che tu stia prendendoti gioco delle sue infantili pretese.
Ridi e basta.
«E se poi Smile si offende?» la rimbecchi, ma intanto hai già un “sì” sulle labbra. Una Puffola Pigmea è una richiesta decisamente più accettabile di un unicorno e di qualsiasi altra creatura.
«Ma no, lui è buono, come te!» e adesso sorride anche lei, rispondendo al tuo sguardo sereno. Ha già capito tutto, troppo furba per poter essere ingannata così semplicemente. Il felino chiamato in causa si limita a agitare le orecchie non appena sente il suo nome, ma rimane dov’è, comodamente accoccolato con quiete serafica.
Ritorni serio nel vano tentativo di riacquistare la paterna autorevolezza che ti spetta.
«Però dovrai occupartene tu, sarà una tua responsabilità…»
Ouch!
Non ti lascia nemmeno finire.
In un baleno scatta in piedi, incurante di essere saltata come una molla sulle tue ginocchia. Ti stringe il viso tra le mani e tiene gli occhi spalancati per la sorpresa, luminosi di gioia più delle fiamme che danzano nel caminetto acceso.
«Rosa?»
Eh?
Il nesso tra risposta e nuova domanda non ti è subito chiaro.
Poi capisci.
«E rosa sia.» asserisci con un sospiro degno di un condannato alla prigionia perenne.
Tale madre, tale figlia.
Il salto a terra del tuo piccolo terremoto è come quello di un grillo.
«Maaa’! Papà ha detto che mi compra una Puffola!» la corsa in cucina, invece, è degna d’una gazzella. «Rosa!» termina con un urletto di gioia incontenibile, cui risponde una cristallina risata. Si preannuncia un prossimo futuro di vivaci battute di scherno per il tuo cedimento.
Povero te.
Sulla poltrona rimanete solo tu e Smile.
Lui un tantino disorientato da tutto questo trambusto, tu ancora frastornato e non sai più se per la gentile ed inaudita concessione o se per l’idea di un cosino rosa che prossimamente girerà per tutta casa.
In un anelito di solidarietà maschile – no, non è vero, ma fai finta di crederlo –  il tuo felino ti fa la gentilezza di tornare a sedersi sulle tue ginocchia ancora un po’ malandate per il maltrattamento inaspettato. Si lecca con noncuranza una zampa, osservandoti serio. Lui non è mai sceso a compromessi, non ne ha mai avuto bisogno, da vero padrone qual è sempre stato.
Fuori dalla finestra, il primo sole di questo sabato mattina ha saputo sconfiggere il temporale incessante.
Anzi, ha addirittura stravinto.
Anche per te è stato così, pensi, mentre una mano scende a carezzare dolcemente la testa di Smile, che sembra gradire estatico.
Dopo la tempesta, la quiete.
Nel tuo caso, oggi come ieri, in dono è arrivato anche l’arcobaleno.


***

Angolino autrice: che ci posso fare, se ogni tanto se ne esce la mia vena smielata? Perdonatemi.
Ho dato finalmente il nome alla serie, se qualche personaggio vi sfugge, basta che date un'occhiatina alle altre storie. Se dopo averlo fatto vi sfugge ancora, probabilmente è perché la sorpresa è ancora in fase di infiocchettamento. :D
Sono ben accette crtiche costruttive circa trama e stile narrativo.
Chiara

 
  
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