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Autore: Wotcher    11/03/2008    8 recensioni
Scritta da Jess Pallas, tradotta da me. Era possibile salvare due persone senza alterare il corso della storia? Era possibile dar loro un futuro vent'anni dopo che fosse supposto dovessero morire? Teddy lo credeva...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Allora... allora... dopo un paio di post che due giorni fa mi ha fattono riflettere sulle FanFiction e visto la scarsità di belle FF italiane su questa ship, ho pensato "A mali estremi, estremi rimedi." Qua ci vuole una cura rinforzata di FF.
Ed io, ahimé, sono cosciente che sono molto più veloce a tradurre, che a scrivere.
E dunque dopo una chiacchierata con l'autrice di questa FF, che francamente è una delle mie preferite, ho pensato di mettermi al lavoro. Ed eccola qua.
Ah... ragazze, potrei non essere una grande traduttrice, ma ho promesso a Jess che le avrei riportato i commenti... quindi... mettetevi al lavoro!
Questa è la prima parte del prologo. :D
Buona lettura!
Note= E' una fanfiction grandiosa. Traduco la Note dell'autrice. "Questa storia è incredibilmente ricoperta di Spoiler post "I Doni Della Morte che cerca di sistemare il canon non riuscendolo ad accettare che ho iniziata il giorno dopo aver letto l'ultimo libro ed è riuscita come un modo personale di affrontare la morte dei miei due personaggi preferita. L'idea mi ha attaccato ed è rimasta e non mi ha lasciato in pace finché l'ho scritta. I mio intento è di riprendere Remus e Tonks restando nel vero Canon. Ho le dita incrociate sperando di riuscirci!"

Voglio ringraziare Jess per avermi permesso di tradurre la sua FF!!!

.

A Little More Time by Jess Pallas

Prologue: Watching

Non si tocca. Non si cambia. Non si interferisce. Si guarda solo.

Era l’unica regola che sapevano di non poter infrangere.

Era l’assoluto. La legge. Ogni nuovo iniziato nella sezione Record Storici del Dipartimento dei Misteri: Divisione Tempo, era forzato ad impegnarsi a tenerlo bene a mente prima di avere il permesso di entrare nella zona degli Indicibili del Livello Nove. Loro hanno firmato uno dopo l’altro il contratto che li legava ad essa con l’alternativa delle pene di Azkaban. Che ogni precauzione era stata presa contro di ciò, che si credeva che fosse al di là del potere di chiunque disubbidire che lo volessero o no, era completamente fuori discussione. Nel mondo magico, una cosa impossibile non era sempre come sembrava e la Divisione non avrebbe corso rischi con la storia.

Per quello era il loro lavoro. Vedere la storia svolgersi. Osservare la verità degli eventi passati e ritornare con appunti presi ordinatamente e correzioni per i libri di storia. Avvolti in un campo di passività per mezzo di un amuleto che una volta indossato non poteva essere rimosso se non nel presente, loro attraversavano il Portale Gira-Tempo nella storia e vagavano fra gli eventi essendo nulla più che invisibili e immateriali fantasmi, guardando e registrando il passato in cui loro si erano silenziosamente avventurati. Loro non portavano bacchette con loro nel passaggio, sebbene il portale risucchiasse tutta la magia e tutti i camuffamenti innaturali e passavano attraverso muri, porte e persone per trovare le verità nascoste dal roteare nebbioso del tempo.

Loro avevano risolti omicidi e scomparse. Loro avevano visto gli eventi svolgersi liberi dai politici e dalle fedeltà di coloro che hanno scritto i libri di scuola. Era il Ministro Shacklebolt che, venti anni prima, aveva richiesto al Dipartimento di trovare un modo per vedere il passato senza cambiarlo, di conoscere la verità dietro una miriade di destini sconosciuti, pulita e pura e dirla al mondo.

E poi, due anni fa, fu costruito il Portale. C’era voluto così tanto tempo per ricostruire ogni singola Gira-Tempo, dopo che le ultime erano state distrutte durante l’avventurarsi di Harry Potter nel Dipartimento dei Misteri quando non era altro che un ragazzo. E c’era voluto più tempo per costruire un mezzo per portare una persona indietro non di ore, ma decenni. Ed il tempo si era teso oltre avendo lottato per trasformare questa singola clessidra in un ingresso attraverso il quale una squadra di osservatori imparziali avrebbero potuto entrare in ogni tempo, ogni posto e guardare e registrare ciò che avevano visto senza danneggiare il passato o il futuro, senza influenzare sugli eventi.

Non si tocca. Non si cambia. Non si interferisce. Si guarda solo.

E quando Teddy Lupin si era unito alla Sezione Record Storici, quando aveva annuito ubbidientemente alle istruzioni ricevute, quando aveva firmato il contratto e accettato il suo amuleto con un sorriso, non aveva mai immaginato che sarebbe arrivato in giorno in cui avrebbe voluto infrangerla.

Ma fu la Battaglia di Hogwarts che fece vacillare la sua risolutezza.

Forse non sarebbe dovuto andare. Il suo capo di Divisione, Penelope Weasley, l’aveva preso da parte quella mattina per una parola in disparte, dicendo con un tono dolce e comprensivo che avevano avuto una richiesta dal Ministero di iniziare ad investigare in quella notte decisiva per sapere esattamente come e perché morirono così tante persone. Lei gli aveva stretto leggermente la spalla mentre diceva che sarebbe stato un compito difficile per tutti i coinvolti ma specialmente per coloro che avevano perso qualcuno quel giorno e perciò stava offrendo sia a lui che a Dennis Canon la possibilità di tirarsi indietro subito. Infatti Dennis, lo informò lei, era già partito in vacanza con sua moglie. E lei sapeva, naturalmente, che la ragazza di Teddy, Victoire, si sarebbe diplomata ad Hogwarts in un paio di mesi. Forse avrebbe potuto prendere qualche settimana di vacanza e pianificare un viaggio per festeggiare insieme…

Ma alla base di tutto c’era la domanda. Sarebbe rimasto? O avrebbe preferito andare?

E Teddy aveva scelto di restare.

Sarebbe stata una bugia dire che il pensiero di veder morire i suoi genitori non lo turbava. Ma allo stesso tempo, non aveva mai conosciuti ed era dura, davvero dura per lui, vederli come più di un concetto astratto, un come-poteva-essere, un buco vuoto nella sua vita che faceva male a volte ma dava problemi. Dopo tutto, lui non era mai stato da solo – sua Nonna l’aveva cresciuto ed amato come un figlio ed Harry, la sua famiglia e i suoi amici erano sempre stati presenti per lui, trattandolo come uno di loro sin da quando ne aveva memoria. Molly – o Zia Molly, come l’aveva conosciuta sin dall’infanzia – gli aveva detto che una volta suo padre aveva promesso che se fosse successo qualcosa a lei o Zio Arthur durante la guerra, lui si sarebbe preso cura dei suoi figli. E Molly Weasley e la sua famiglia aveva ripagato quel debito in natura.

E’ stato strano a volte, sentirli loro parlarne, questi genitori che la sua famiglia allargata ha conosciuto così bene e lui per niente. Oh, la Nonna gli aveva raccontato molte storie con le lacrime agli occhi delle avventure d’infanzia e vita amorosa di sua madre, e il regalo di Harry per i suoi diciassette anni era stato un viaggio in un pensatoio per vedere suo padre alle prese con una lezione pratica e incredibilmente divertente suoi Mollicci ad Hogwarts. Quello infatti, era stato ciò che l’ha fatto avvicinare in primo luogo all’idea delle realtà del passato.

Ma c’erano tanti buchi riguardo a loro, insieme, una coppia. Quando si sono innamorati? Perché si sono innamorati? Com’erano quan’erano insieme? Nessuno sembrava sapere veramente sapere qualcosa se non da brevi occhiate e accenni – sia Harry che Molly avevano detto a Teddy con rassegnazione che spesso cercare di decifrare lo stato emotivo di suo padre era come cercare di scavare nel granito con una spilla, e sua madre, che gli avevano detto essere solitamente così espansiva, sembrava aver rispettato i suoi desideri di tenere le cose solo fra loro due. Gli albori della loro relazione era stata apparentemente una cosa piuttosto privata, riguardo Molly sembrava saperne più di tutti, nonostante fosse molto poco. Sirius, il padrino di Harry, sembrava essere stato il principale confidente di suo padre, ma Sirius, proprio come i suoi genitori, era morto e dunque di alcun uso allo scopo di chiarire la loro storia. E la Nonna non era di più aiuto – pare che sua madre non si fosse neanche confidata sulla relazione fin quando entrò in casa con un’enorme sorriso e informò i suoi genitori che si sarebbe sposata dopo due giorni con un lupo mannaro trentasettenne e chiese “volete venire?”.

Sapeva che avevano avuto problemi. Nessuno aveva cercato di nascondergli la verità. Ma c’erano stati anche tempi felici e il loro amore aveva vinto sui dubbi e la guerra alla fine. Loro non erano modelli. Erano persone.

Persone astratte. Persone su fotografie. Persone raccontate. Persone di cui volti ed espressioni sarebbero dovute essergli così familiari, di cui gesti e modi sarebbero dovuti essere parte della sua vita ogni giorno, ma quando li cercava nel suo cuore, lui non trovava altro che fotografie, storie e ricordi di alter persone.

Erano persone di cui lui sapeva, ma non conosceva! In qualche modo, non erano molto reali.

E se fosse capitato di incrociarli nel passato, non sarebbe stato differente che entrare in un pensatoio, sentire storie e guardare fotografie. Non gli avrebbe dato un’infanzia con loro. Non li avrebbe resi più reale.

Non li avrebbe resi suoi.

Lui aveva profondamente creduto questo. Ed aveva torto.

La mattina successiva, lui vide i suoi genitori morire.

Ed era la cosa più reale che aveva mai visto.

Non era stata sua intenzione guardare. Non sapeva neanche che quello sarebbe stato il posto. Lui aveva saputo che i corpi erano stati trovati nel cortile più giù e lì, aveva supposto, erano morti. Non era stato così.

Era accaduto sulle mura in alto. Mura che Teddy aveva scelto per osservare da dove veniva l’avanzata dei giganti. Dall’aspetto sudato e malconcio di suo padre e del Mangiamorte che aveva inseguito così furiosamente su per le scale dal piano terra, il duello infiorava da un bel po’ di tempo. Il Mangiamorte che Teddy assentamene riconobbe dai suoi appunti come Antonin Dolohov roteava, urlando incantesimi quasi disperatamente mentre suo padre si abbassava contro il pezzo di marmo che era caduto giù pericolosamente vicino alla sua testa, prima di rilanciargli una maledizione che mandò Dolohov rotolando indietro, ruzzolando, con la bacchetta che gli scivolò dalla mano per scontrarsi contro la pietra, non a portata di mano. Grida e ruggiti, le urla dei giganti che si avvicinavano, gli strilli di incantesimi lanciati per aria intorno a loro, ma improvvisamente sembrava che non esistesse nulla se non questo momento e questi due uomini.

“Sporco lupo mannaro!” la voce di Dolohov era forte e accentata, resa difficile dal sangue che gocciolava dal naso e dalle labbra mentre si accovacciava contro il muro. “Bestia! Selvaggio!”

Suo padre respirava con affanno, senza fiato e quando si sentì la sua voce, così gentile in quella memoria nel pensatoio, era duramente stridente e quasi irriconoscibile.

“Questo detto da un uomo che ha appena ucciso un bambino!”

“Un mezzosangue!”

“Un bambino!” Suo padre stava sputando le parole. “Io conoscevo Colin. Ho insegnato lui. E tu l’hai ucciso come se lui fosse nulla.” Stava scuotendo il capo. “Non posso permettere che capiti ancora.”

La sua bacchetta si alzò lentamente, premeditatamente, la sua mano tremava leggermente ma non sobbalzava. “Ora è troppo. Avada…

Ma non andrò oltre. E quello fu il momento in cui il gruppo della prima avanzata dei giganti scese con fragore contro il muro su cui stava.

Le mura tremarono. In una grandine di pietre, polvere e sassi voltanti, Dolohov e suo padre scomparvero.

“REMUS!”

Non l’aveva vista arrivare, non l’aveva neanche notata fin quando si lanciò attraverso la sua forma non visibile e spettrale, con un un’ondata calda così simile ad un tocco che lo stava quasi per far cadere. Lui intravide uno sbattere di tonache, di delicati capelli marroni mentre balzava disperatamente in avanti, afferrando qualcosa che lui non riusciva a vedere abbastanza bene con la polvere che si muoveva e girava nell’area…

E poi, miracolosamente, eccoli là. Vivi.

“Ti ho preso! Remus resisti, ti ho preso!”

E l’aveva preso. Si fece indietro, appoggiandosi contro i resti incrinati e rotti delle mura, le sue mani avvolgevano freneticamente il braccio di lui mentre tirava e tirava con tutte le sue forze. Vide l’altra mano di suo padre colpire il muro, vide apparire la sua testa impolverata e disordinata, lo vide mettere gli occhi su sua moglie con un misto di shock, gioia e terrore.

“Che diamine stai facendo qui? Esci di qua, ora!”

Il suo cuore batteva con udibile forza, a Teddy venne da ridere sonoramente guardando lo sguardo che attraversò il volto di sua madre mentre afferrava il retro della tonaca di suo padre e cominciò a trascinarlo di peso un altro paio di pollici verso la salvezza.

“Intendi esattamente ora?” esclamò lei, con la sua voce che si alzava di due ottave abbondanti. “O potrei finire di salvare la tua vita prima?”

“Salvare la mia vita è bene! Tu al sicuro a casa con il nostro bambino è meglio!” Con un grugnito, suo padre si trascino ai suoi piedi. Poi gli occhi di lui incontrarono quelli di lei e si riempirono fino all’orlo con un cocktail di supplica, amore e disperazione così potente che Teddy si sentì spezzare il fiato.

“Esci da qua,” sussurrò il padre gentilmente. “Per favore.

La battaglia infuriava intorno a loro, grida, incantesimi e carneficine. Ma in un istente, un breve, eterno istante, Teddy sapeva che non potevano vedere nulla che l’un l’altro.

E in quel momento, lui seppe che loro erano diventati finalmente reali per lui.

"Avada Kedavra!"

“No!”

:D Continua! Sono sadica... lo so...
  
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