Ore diciannove.

Brendon e la sua giovane mogliettina erano seduti intorno al quel grande tavolo in legno di ciliegio che la donna aveva tanto desiderato, in vista dei bambini, diceva sempre.

Il ragazzo, appena ventiseienne terminata la cena, sentendosi stanco come capitava da un po' a questa parte, salutò la ragazza e salì in camera, rintanandosi tra le soffici coperte della loro stanza padronale.

Delle urla.

Il suono delle sirene riempì l'area di quel fresco sabato mattina americano.

Una giovane, con una coperta azzurra avvolta attorno spalle, restava con un capannello di agenti davanti l'ingresso della sua casa.

Piangeva.

Le sirene del 911 riflettevano sui vetri di quella villetta a due piani dalla facciata bianca, una pallida luce azzurra, che illuminava il salotto in stile rustico: il caminetto, sul quale troneggiavano foto di una coppia felice, il divano ruggine, il tavolo e i tappeti colorati.

Quel giorno twitter, facebook, myspace erano impazziti. Una era la notizia principale.

“Morta la giovane star dei Panic at the disco, stroncato da un malore.”

“Muore Brendon Urie, cantante della Band americana Panic at the disco, i dottori rivelano che le cause del decesso sono naturali”

Lunghi dossier gli erano stati dedicato su tutti i giornali nazionali e internazionali. La notizia di quella morte così improvvisa e inaspettata aveva colpito tutti, tanto che se ne parlò per diversi giorni.

Come la morte di ogni grande artista, anche quella di Brendon aveva causato un gran caos tra i fan. Ormai il suo nido d'amore con Sarah era diventato una sorta di santuario. Appese tutt'intorno alle palizzate che ne scandivano il perimetro, bigliettini e pupazzi decoravano e coloravano l'area.

Il giorno del funerale, una cerimonia sobria, tra pochi intimi, il cielo era plumbeo. Nuvole basse e scure si ammassavano, formando un intricato manto impenetrabile persino al raggio di sole più temerario.

Davanti alle decine di sedie bianche, altrettante persone erano ferme, fisse a guardare quella bara di legno lucida che custodiva dentro di sé quel giovane con ancora tutta la vita davanti. Le sedie in prima fila erano occupate da coloro che con lui avevano condiviso un intera vita, i suoi amici d'infanzia e i famigliari.

Spencer con gli occhi gonfi e rossi, nel suo completo nero,si fissava le punte delle scarpe. Non riusciva a sostenere l'immagine del suo migliore amico in quella prigione eterna, alla sua destra vi era Dallon, il cui colorito era ancora più pallido del solito.

Era buffo in quel completo nero. Tutto ciò che spiccava erano i suoi grandi occhi azzurri, persino il ciuffo che di solito cadeva lungo sul viso quel giorno era stato domato. E poi, e poi c'era lei. La sua pelle diafana era coperta da un lungo tessuto scuro, il viso pallido, segnato dalle lacrime era incorniciato da lunghi boccoli neri. In una mano stringeva un fazzoletto merlato dello stesso colore del suo viso, nell' altra una rosa rossa, unica macchia di colore in quella desolazione.

I suoi occhi spenti guardavano la cassa. Il suo Brendon era lì. Il suo amato Brendon.

Si portò il fazzoletto e ricominciò a piangere ascoltando il pastore dare l'ultimo addio al suo amato. Spencer le passò un braccio intorno alle spalle e l'attirò a sé, sussurrandole qualcosa all'orecchio cercando, invano, di calmarla.

Lentamente la bara venne posata sul fondo della fossa e coperta.

Sarah sorretta sempre da Smith, si avvicinò per ultima e si inginocchio, tra le lacrime.

Adagiò delicatamente la rosa sulla montagnola di terriccio appena smosso e stette a guardare, persa, la lapide marmorea davanti a sé.

"Brendon Boyd Urie"

4. 12. 1987 - 2. 16. 2013