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Autore: Ghostclimber    05/09/2013    4 recensioni
Rachel.
Una fan.
Una groupie.
La ragazza con l’amore negli occhi e i fiori nei capelli.
La regina senza un re che suona la chitarra e piange e canta.
Genere: Fluff, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Robert Plant
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chissà perché, l’aveva lasciata dormire nel proprio letto.
Chissà perché, aveva dormito solo poche ore ed ora era sveglio, prima dell’alba, avvolto dal tenue chiarore delle luci della città, appoggiato su un fianco a guardarla dormire.
Chissà perché, era combattuto tra l’idea di svegliarla e fare di nuovo l’amore con lei e quella di lasciarla dormire ancora un po’.
Rachel.
Una fan.
Una groupie.
Una tizia con un’atroce massa di capelli neri come l’ala di un corvo (“probabilmente l’unica mora della California!” aveva scherzato lei stessa la sera prima), che aveva fatto a botte con un paio di ragazze alte il doppio di lei e aveva letteralmente scavalcato un bodyguard per raggiungere il backstage del concerto dei Led Zeppelin.
Robert distolse lo sguardo dal suo viso per guardare l’orologio, e i suoi occhi colsero l’alba, fuori dalla finestra. I raggi del sole lambivano ancora soltanto il mare, ancora non avevano toccato il cielo e le poche propaggini di basse nuvole che solcavano l’orizzonte. Mare rosso fuoco, cielo grigio cenere. Era ipnotizzante.
-è bellissimo, vero?- chiese Rachel, con voce ancora un po’arrochita dal sonno, dall’alcol e dal fumo, -i figli del sole si svegliano.
-da quanto sei sveglia?
-pochi minuti.- Rachel si voltò verso la finestra, tenendo il lenzuolo stretto al petto.
-toglie il respiro.- disse Robert.
Chissà perché, aveva voglia di fare sesso con lei, ma al tempo stesso voleva restare così. Non si ricordava nemmeno com’era andata a finire la sera prima, ricordava solo lei che beveva un sorso di vino rosso al bar dell’albergo e che poi accettava un tiro di erba (“uno solo, non di più, solo perché insisti”, aveva detto). Poi il vuoto.
Robert allungò una mano a toccare i capelli della ragazza, e si stupì nel trovarli incredibilmente morbidi, come fossero di seta. Passò le dita nella chioma corvina, sperando di non trovare nodi, di non farle male, perché chissà come Rachel sembrava fatta di vetro, pronta a spezzarsi al primo tremito. Lei si voltò, e nei suoi occhi azzurri come l’acqua Robert vide la scintilla dell’amore, una scintilla così forte da fare male. La percepì, più che sentirla, che trovava un posto contro il suo petto e lo adattava a sé, la guancia liscia contro i peli del petto, un braccio appoggiato alle sue costole, la punta delle dita che gli solleticava la schiena.
Con un tocco della mano appena più pesante, Robert la indusse a sollevare il viso verso di lui e la baciò sulle labbra, piano, poi sempre più forte.
Ma chissà perché, non se la sentì di andare oltre.
Un tremore improvviso fece tintinnare una bottiglia e due bicchieri sporchi di vino rimasti sul tavolo, e d’istinto Robert strinse a sé Rachel, come a proteggerla se fosse successo qualcosa. Il suo sguardo si posò su un brutto quadro marroncino e azzurro, che tremava con violenza sul chiodo che lo teneva appeso al muro.
Dopo un minuto che era sembrato un secolo, il terremoto finì, e Rachel si spostò dalla stretta di Robert. Lui ridacchiò: -grosso terremoto, eh?
-mh, no, non direi,- rispose Rachel, -però immagino che se uno non ha l’abitudine può far paura.- sì interruppe, come pensierosa. Dopo un’esitazione, aggiunse: -poi siamo ai piani alti, si sente di più.
-senti un po’…- cominciò Robert, -quel quadro lì…
-è il Grand Canyon…- rispose Rachel.
-ah.
-perché, cosa pensavi?
-niente, è solo brutto.
-sì, brutto è brutto.- concordò Rachel. Di nuovo cadde il silenzio; Robert si sentiva lievemente a disagio. Sapeva che avrebbe dovuto dire o fare qualcosa, ma era come stordito… forse aveva fumato troppo. Ma aveva poi fumato? Cosa diavolo aveva fatto la sera prima per conciarsi così?
-Rachel?
-Reach, chiamami Reach.
-Reach… che diavolo è successo ieri sera?
-tu cosa vorresti fosse successo?- Robert rimase spiazzato. E questo cos’avrebbe voluto dire? Reach sorrise e si voltò per appoggiare il cuscino alla testiera del letto, ci si adagiò e si portò i capelli su una spalla, dove cominciò a pettinarli con le dita. Robert si appoggiò allo stesso modo, dalla propria parte del letto.
-Reach?
-mh?
-perché Reach?
-perché no? Ognuno cerca qualcosa, reaches out for something, e io non sono da meno.
-e cosa cerchi?
-e tu?- di nuovo, una domanda a cui Robert non sapeva rispondere. Aveva tutto. Una moglie, una figlia, uno stuolo di fan adoranti, la sua musica, Dio, soprattutto la musica. Reach aveva scovato una mezza dozzina di fiorellini nella propria chioma e li aveva appoggiati ordinatamente uno accanto all’altro sul lenzuolo davanti a sé. Sorrise: -santo cielo, ma che abbiamo fatto ieri sera?
-abbiamo fatto l’amore in un prato.- rispose Robert, di colpo certo che fosse la verità.
-già, è vero… e tu hai cantato. È stato un bellissimo concerto, mi sono divertita molto.
-anche tu hai cantato.- ribattè Robert. Gli occhi di Reach si offuscarono e lei si voltò, quasi vergognosa. L’argomento cadde nel vuoto. Robert si versò dell’acqua dalla brocca che c’era sul comodino e la sorseggiò pian piano; strano ma vero, non gli procurò la meravigliosa sensazione post-sbronza che di solito gli dava l’acqua fresca. Concluse di essere ancora ubriaco.
-Reach?
-eh?- stavolta suonava un po’esasperata.
-chi sei?
-e tu chi sei?
-chi sei? Dimmelo, devo saperlo.- la pregò Robert.
-io posso salvarti. Ma tu devi lasciarti salvare. Saprai come.
-sei la mia coscienza?
-forse.
-sei un angelo?
-forse.
-una regina?
-una regina senza re? Forse.
-sei…- l’ultima ipotesi era folle, ma valeva la pena tentare. –sei Dio?
-oh, no, questo no.- Reach aveva parlato con un tono così definitivo che si ritrovarono di nuovo nel silenzio. Entrambi tenevano le mani occupate, lei con i fiorellini e lui con il bicchiere. Si accorse di non averle offerto acqua.
-Reach?
-sì?
-vuoi dell’acqua?
-no, non ne ho bisogno, grazie. È meglio che vada.- si alzò dal letto, nuda, senza imbarazzo, prese un abito abbandonato su una sedia e se lo infilò facendolo passare dalla testa.
-ciao, Robert.- disse, avviandosi verso la porta. Fu allora che lui sembrò riscuotersi dal torpore: balzò fuori dal letto, la prese per le spalle e con un gesto quasi disperato l’abbracciò e la coprì di baci. Lei rispose ai baci, si lasciò alzare il vestito e gli permise di entrare. Fecero l’amore in piedi, contro il muro della camera d’albergo, quasi con disperazione. Robert venne dentro di lei e si lasciò scivolare a terra, ancora abbracciato a Reach, faticando a trovare aria da respirare.
-Robert?
-Reach, sono innamorato di…
-tutti siamo innamorati, Robert.- lo interruppe lei, -ma tu non sei innamorato di me.
-ci possiamo rivedere?- chiese lui, tenendola ancora stretta a sé, ancora dentro di lei, quasi avesse paura di interrompere il contatto.
-tu oggi parti, e non vedo il motivo di seguirti.
-ti prego.
-non ho detto di no. Mi rivedrai. Ti aiuterò, se accetterai il mio aiuto ci incontreremo di nuovo, da un’altra parte, e tutto andrà per il meglio. Attento alla strada, Robert.
 
Rachel.
Una fan.
Una groupie.
La ragazza con l’amore negli occhi e i fiori nei capelli.
La regina senza un re che suona la chitarra e piange e canta.
Robert, disteso in un letto d’ospedale, con atroci dolori al bacino fratturato, disperatamente cosciente, in ansia per la sorte di Maureen e di Carmen, la invocò, urlando il suo nome.
-sì?- chiese una voce. Robert la vide dinanzi a sé, che gli tendeva la mano e sorrideva tra le lacrime.
-è come hai cantato tu, Robert. Non è così difficile come sembra. Te l’ho promesso, no?- si chinò verso di lui e lo baciò teneramente sulle labbra, poi svanì come fumo.
Un medico dall’aria stanca ma soddisfatta entrò nella stanza e disse: -signor Plant, ci sono ottime notizie. Sua moglie e sua figlia sono fuori pericolo, si riprenderanno.- Robert trasse un profondo sospiro di sollievo e si abbandonò finalmente alle lacrime.
Tra le mani aveva una manciata di fiori di campo.

 
   
 
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