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Autore: Liveandlove    05/09/2013    1 recensioni
Dal testo :
Ero scappato dalle mie responsabilità e adesso dovevo pagare delle conseguenze peggiori di quelle da cui ero fuggito. Solitudine, monotonia, senso di colpa.
Tutto questo mi massacrava a fuoco lento e con calma mi uccideva.
Quando davanti a quell'ospedale avevo trovato la forza di muovere anche solo un piede, lo feci nella direzione sbagliata. Esitai e mi rigirai verso la finestra che si affacciava verso di me, ma poi corsi sotto la pioggia scrosciante verso la parte opposta pur di non doverlo vedere, incontrare, sentirmi dire che non mi avrebbe mai perdonato e durante la corsa mentre il mio petto non faceva che alzarsi ed abbassarsi per le svariate emozioni che provavo e per la stanchezza, era come se assieme alle lacrime, gocce di sudore e alla pioggia che scivolavano sul mio corpo se ne fosse andato via tutto quello che mi era più caro.
«...»
Speravo che quello non fosse un sogno o un'allucinazione, ma prima di poter reagire o far qualcosa sussurai un «Jonghyun» che lui sentì benissimo e che attirò la sua attenzione verso di me, poi le mie palpebre si chiusero.
JongKey **
INCOMPLETA
Genere: Commedia, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Jonghyun, Key, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Please, froget me.

Chapter I

Ero scappato dalle mie responsabilità e adesso dovevo pagare delle conseguenze peggiori di quelle da cui ero fuggito. Solitudine, monotonia, senso di colpa.
Tutto questo mi massacrava a fuoco lento e con calma mi uccideva.
Quando davanti a quell'ospedale avevo trovato la forza di muovere anche solo un piede, lo feci nella direzione sbagliata. Esitai e mi rigirai verso la finestra che si affacciava verso di me, ma poi corsi sotto la pioggia scrosciante verso la parte opposta pur di non doverlo vedere, incontrare, sentirmi dire che non mi avrebbe mai perdonato e durante la corsa mentre il mio petto non faceva che alzarsi ed abbassarsi per le svariate emozioni che provavo e per la stanchezza, era come se assieme alle lacrime, gocce di sudore e alla pioggia che scivolavano sul mio corpo se ne fosse andato via tutto quello che mi era più caro.
Finalmente l'ultima camapana della giornata suonò e potei tornarmene a casa e star da solo, con i miei pensieri e la mia coscenza senza grida o brusii.
Varcai la soglia del portone trascinato dalla massa di adolescenti scalpitanti di raggiungere l'uscita, quando qualcuno mi prese per il colletto e mi sbatté contro uno muretto. Mi ritrovai faccia a faccia con Minho.
Mi ero quasi spaventato a morte ritrovandomi così vicino quei due enormi occhi a palla come quelli di un anime. Sempre così calmo, serio e pareva quasi passivo ma non lo era affatto. «Mi servono dei soldi.»
Alzai un sopracciglio e poi sbuffai con un angolo della bocca alzato.
Sapeva che se voleva ottenere qualcosa da me senza il mio consenso sarebbe dovuto arrivare alle mani. Così mentre ormai il cortile e l'entrata erano deserti, in quel vicolo cieco presto ci sarebbe stato molto sangue.
Minho si fece indietro e si fecero avanti i suoi amichetti senza cervello ma con molti muscoli con cui mi avrebbero potuto fare a pezzetti. Quella rana era così; attivo ma passivo. Improvvisamente sentii una dolore allo stomaco, mi sentii bruciare dentro e fisicamente.
La vista si fece sempre più opaca, offuscata.
Eppure mi avevano solo dato un gancio nello stomaco, mentre io che cercavo di sferrare qualche pugno non ne mandavo quasi nessuno a segno e quelli che ci andavano erano così deboli da non poter nemmeno distruggere un pezzo di porcellana a causa del mio fisico gracile.
Istintivamente le mie gambe cedettero e quando fui a terra mi rannicchiai su me stesso. Pensavo che di lì a poco sarei svenuto - ed il fatto che non lo fossi già era un miracolo, dati i molteplici contatti fisici e il dolore - per i troppi pugni, ma qualcuno lo impedì.
Guardai davanti a me e cercai di concentrarmi sulla figura dalla pelle olivastra e dalla corporatura abbastanza muscolosa e quando finalmente capii chi era e cosa stava realmente accadendo pensai di essere impazzito del tutto.
Non potevo credere di avere anche le allucinazioni; la solitudine ed il vuoto mi stavano facendo uscire di senno in un momento debole come quello.
Forse era solo un mio desiderio. I miei occhi scuri coperti dalle lenti grigie vedevano il ragazzo a cui aveva voltato le spalle e che aveva lasciato un vuoto dentro di me, salvarmi. Aveva un'espressione corrucciata - suo solito, quando era arrabbiato - tanto che sembrasse avere le sopracciglia unite. "Certe cose non cambiano mai.'" pensai supponendo che fosse tutto vero. Speravo che quello non fosse un sogno o un'allucinazione, ma prima di poter reagire o far qualcosa sussurai un «Jonghyun» che lui sentì benissimo e che attirò la sua attenzione verso di me, poi le mie palpebre si chiusero, sentì come se mi avessero colpito al capo provando un dolore tremendo e persi conoscenza.

Come mostravano nei film mi risvegliai con la vista offuscata che migliorò gradualmente e un mal di testa tremendo, come se fossi reduce da una sbronza.
Guardai la stanza interamente bianca con alcune croci rosse ed i letti che parevano barelle sempre con coperte e fodere bianche.
I ricordi e quell'allucinazione mi investirono come un'uragano e involontariamente, anche se non stava uscendo la minima lacrima dai miei occhi mi scappò un singhiozzo.
Me l'ero solo immaginato e probabilmente dopo essere svenuto per le botte qualcuno mi aveva trovato e portato nell'infermeria della scuola; già doveva essere proprio così.
Mi alzai col busto e una signora sulla trentina dallo sguardo dolce e accogliente che doveva essere l'infermiera dati i suoi vestiti, entrò nella stanza.
«Dove mi trovo?» le chiesi, per assicurarmi della mia posizione.
Improvvisamente sentii di nuovo un grande dolore allo stomaco e notai la benda che lo copriva leggermente intrisa di sangue.
Mi coprii lo stomaco con una mano, come se mi potesse aiutare ad alleviare il dolore e infine constatai che avevo solo quella fasciatura, qualche livido e un cerotto sul labbro inferiore spaccato.
«Nell'infermeria della scuola. - dopo qualche secondo di silenzio mi chiese - Hai qualcuno che ti possa venir a prendere? Non so se in queste condizioni sarai in grado di tornare a casa da solo.» Sventolai la mano. Ovviamente non avevo nessuno da chiamare.
Avevo Taemin, ma non avrei voluto che mi vedesse in queste condizioni così dissi semplicemente «Non si preoccupi, casa mia non è distante da quì.»
Mentii, ma lei sembrò cascarci in pieno e dopo avermi restituito la borsa mi guardai allo specchio per rendermi conto del mio stato.
Guardai sbalordito i miei capelli biondi tutti spettinati ed arruffati che subito sistemai con le dita, il mio corpo mal ridotto e la matita colata che oscurava ancora di più la zona occhiaie. Ma c'era qualcosa di particolare. Sulla sbavatura il segno di una dito, come se qualcuno avesse cercato di pulirmela. Quella era una cosa che era solito fare il ragazzo delle mie allucinazioni. Un tempo, davanti a lui non esitavo nemmeno un secondo a far uscire tutte le lacrime e la tristezza oppresse dentro di me che lui ascoltava in silenzio senza perdersi nemmeno una parola, come se dicessi qualcosa di davvero interessante.
A fine sfogo mi passava un dito sul trucco colato e mi diceva in modo soave «Sei bellissimo.» facendomi tremare e sorridere estasiato alle sue parole e al suo tocco, facendomi dimenticare tutte quelle lacrime. Ma non poteva essere vero. Forse involontariamente mi ero strofinato gli occhi lasciando quel segno, perché anche se lui fosse stato realmente lì non mi avrebbe mai aiutato.
Perché io non l'avevo fatto con lui.
E finalmente mi avviai a fatica verso casa, questa volta sperando che nessuno mi prendesse nuovamente per il colletto. Durante il tragitto non passavo inosservato, poiché le mie condizioni erano uguali e quelle di in un invalido su una sedia a rotelle, eppure mi sentivo costantemente fissato e seguito ma più questa sensazione si faceva sentire e più il posto si faceva isolato. Forse dopo un pomeriggio di riposo mi sarei sentito meglio e più normale.
Appena a casa mi tuffai sul divano e non mi presi nemmeno la briga di cambiarmi i vestiti e mi addormentai subito. Quando aprii gli occhi la luce dalla finestra entrava tenue e calda e c'era una strana puzza di chiuso e metallo nell'aria.
Mi alzai indolenzito e mi ricordai del giorno precedente e capii il perché di quell'odore di metallo che era più di sangue, così andai in bagno e nella cassetta dei medicinali mezza vuota tirai fuori il disinfettante e delle bende.
Prima decisi di farmi un bagno e quando tolsi le bende sentii uno strano pizzichio su tutta la zona. Mi asciugai e poi disinfettai la pelle che sentivo bruciare e infine mi fasciai con delle nuove bende pulite. Il labbro era ancora rotto ma il cerotto era scomparso.
Forse nel sonno mi era cascato oppure me l'ero tolto involontariamente infastidito poiché ho sempre odiato i cerotti sulle labbra.
Da quando mi ero svegliato aveva completamente ingnorato che ora fosse e che sarei dovuto andare a scuola, così quando per caso buttai uno sguardo sull'orologio scattai come un militare.
Non ero in ritardo fortunatamente mi ero svegliato presto, ma avrei fatto meglio a sbrigarmi. Coprii il mio corpo gracile con il mio solito vestiario colorato e alla moda e non mi preoccupai nemmeno di cambiare i libri che avevo nella borsa poiché non avrebbe fatto alcuna differenza.
Fortunatamente non arrivai in ritardo perciò mi sedetti direttamente al mio posto, poggiai il capo sul banco con lo sguardo verso la finestra e chiusi gli occhi.
I compagni avevano notato che ero ammaccato, ma non si fecero scrupoli nel fare commenti a bassa voce ovviamente pensando che io non li sentissi perché se gli avessi risposto li avrei schiacciati anche con una sola parola e loro lo sapevano.
Dalla porta entrò una tipa molto bassa con i capelli grigi a caschetto e degli occhiali quadrati posati sul naso. Sbatté la cartella un paio di volte sulla cattedra per azzittire gli alunni - con scarso successo - e poi si sedette affranta, pronta a spiegare una lezione che quasi nessuno avrebbe seguito.
Ormai la lezione era già cominciata da un quarto d'ora e le mie palpebre si erano arrese ma le mie orecchie erano sull'attenti, quando qualcuno bussò alla porta e quella automaticamente si aprì.
Non mi presi la briga di controllare chi fosse entrato, sicuramente qualche compagno ritardatario e non alzai il capo nemmeno quando la professoressa disse che era un nuovo alunno. «Ragazzi, oggi abbiamo un nuovo alunno che a quanto pare anche il primo giorno di scuola è arrivato in ritardo. - la classe ridacchiò - Beh, si presenti.»
«Io vengo dalla Songdo High School.» Quando sentii quella voce mi ghiacciai e le mie pupille divennero più grandi di quelle di Minho.
Non era possibile. Quella era la sua voce.
Ciò voleva dire che l'altro giorno era tutto vero oppure avevo avuto un'allucinazione premonitrice, cosa alquanto improbabile.
Pian piano mi girai verso il ragazzo che stava in piedi alla cattedra.
Mi ripresi subito dallo shock e lo guardai dalla testa ai piedi. Istintivamente mi morsi un labbro e pensai "Cazzo. Sei ancora perfetto."
Il labbro ricominciò a sanguinare, ma non me ne accorsi e la presa del mio dente si face sempre più forte come la sensazione che avevo nel cuore.
Mi sentii vivo, lontano dalla mia voglia di calma e monotonia.
Un brivido di piacere mi percorse per tutto il corpo e la passione si riaccese improvvisamente in me, come una lampadina che si era fulminata.
Poi arrivò il momento in cui i nostri sguardi si incontrarono e allora trattenni il respiro.
Non seppi quanto tempo fosse passato.
Avrei potuto fissare quei bellissimi pozzi scuri in cui io vedevo l'universo, anche per giorni interi fino a quando la professoressa si schiarì la gola e disse «Sa' se ci dicesse il suo nome non ci dispiacerebbe.» Anche lui doveva aver trattenuto il respiro perché quando si girò verso la professoressa prese dei grandi respiri tremando leggermente,
poi chiuse gli occhi per qualche secondo.
Ripuntò i suoi nei miei e vidi una luce diversa che sembrava essere tra il malizioso e il malvagio, ma sapevo che quello sguardo era pieno di rabbia e delusione e che cercava semplicemente di dirmi qualcosa, e i suoi occhi mi dissero che si sarebbe voluto vendicare.
Uno sguardo che avrebbe fatto venire i brividi di paura a chiunque ma non a me e lui lo sapeva. «Kim Jonghyun.» soffiò infine lui.
Quando fissai il suo nuovo sguardo ritornai alla realtà dei fatti e a ciò che avevo fatto, perciò riposai subito il capo sul banco dalla parte opposta e chiusi gli occhi.
«Bene, adesso puoi andare a posto, puoi sederti in uno dei banchi vuoti. Sai, sei rimasto quì per una ventina di minuti ma hai detto solo qualche parola.»
Sentii i suoi passi venire verso di me e io sperai con tutto il cuore che non venisse al banco accanto al mio ma allo stesso tempo desideravo che lo fosse per osservare di nascosto ogni cosa di lui. Volevo memorizzare ogni cosa e vedere quanto era cambiato.
La sedia del banco accanto al mio strusciò sul pavimento e io col cuore a mille sentii il suo sguardo bruciare sulla mia schiena e farci un buco.
La mattinata passò apparentemente calma e monotona come fino a ieri desideravo, ma lì era tutto tranne che calmo.
Lui era lì che mi fissava e non faceva nulla per nasconderlo, mentre io facevo di tutto pur di evitare il suo sguardo.
Era impossibile sbirciare di nascosto poiché non staccava mai il suo sguardo da me. Sempre muto e impassibile, come avevo sempre fatto anch'io.
Questa situazione mi rendeva teso come una corda di violino e quando qualcuno mi parlava scattavo immediatamente sull'attenti agitato.
L'unico a sapere qualcosa era il piccolo maknae, Taemin.
Gli avevo accennato qualcosa sul perché ero diventato così.
A mensa istintivamente riempii due vassoi e quando vidi il mio nuovo compagno di classe seduto in fondo gliene posai uno sul tavolo e poi mi andai a sedere al tavolo accanto.
Lui lo fissò per quasi un minuto, prese la forchetta di plastica, girò la pasta e assaggiò solo uno spaghetto. Accanto a me il maknae fece la sua rumorosa comparsa.
Per sbagliò fece cadere il vassoio sul tavolo bianco sporco e prese posto sulla sedia accanto a me strusciandola.
Lo fulminai immediatamente con lo sguardo e lui in tutta risposta mi fece gli occhi dolci. «Scusa, Hyung.» Sventolai la mano, come a dire che non importava e gli si stampò in faccia uno dei suoi bei sorrisi mentre io con l'occhio non facevo che osservare il ragazzo del tavolo accanto.
«Hai notato anche tu quel ragazzo, vero?» mi chiese lui, spaventandomi.
«Mmh.» gli risposi per dire sì. «È carino.» commentò.
Mi irrigidii e per poco non gli lanciai una scarpa in testa. Però dissi solo «Sembra un dinosauro.» «Strano - disse ridacchiando - lo fissi da quando sei a mensa.»
Sbuffai e mi alzai cercando di scappare da quella tortura e andai a buttare i resti del mio pranzo che quasi non avevo toccato mentre il maknae rimase lì a pensare di sicuro a cos'avevo in mente.
Piano piano le acque si calmarono tra le lezioni di trigonometria, inglese e chimica fino a quando non sentii il brontolio dello stomaco del ragazzo accanto a me.
Per poco non scoppiai a ridere così mi alzai e andai verso la macchinetta. "Le sue abitudini non sono cambiate a quanto pare." pensai.
Presi un pacchetto di noccioline, il suo snack preferito e lo misi sul suo tavolo. A nessuno era passato indifferente il fatto che gli avessi comprato quel pacchetto e portato il cibo a mensa perciò tutti non facevano che parlare e bisbigliare.
Non lo facevo perché ero in debito con lui, lo facevo perché era quello che mi sentivo di fare e basta. Jonghyun mi guardò storto e se lo mise in tasca facendomi sorridere come un ebete. Forse un giorno ci saremmo riavvicinati.
L'ultima campana suonò ma la voglia di varcare la soglia del cancello era nulla.
Volevo rimanere lì. O almeno volevo poter osservare da lontano quel ragazzo che una volta non poteva far a meno di toccarmi. Mentre mi facevo trascinare da tutti quei teenagers ecco nuovamente qualcuno che mi prese per il colletto.
Trattenni il respiro pronto a sputare ancora sangue e a incontrare gli occhi di Minho.
Ma quando riaprii i miei, gli occhi che incontrai erano più piccoli, più scuri e dannatamente meravigliosi. Il ragazzo di fronte a me non mi sbatté da nessuna parte, anche se avrei voluto che lo facesse. Ci guardammo forse per qualche minuto e poi mi chiese irritato
«Spiegami che cosa vuoi. - "Dio, questa voce" pensai. - Cos'è cerchi di farti perdonare facendo il mio schiavetto? Sappi che non funziona. E sappi anche che non ci sarà modo che io ti perdoni, quindi lasciami stare. Nulla cambierà.»
«Non voglio. - risposi fermamente - Lo so che sono imperdonabile, ma ti prego dammi una chance.» Dicendo quelle parole sarei voluto scoppiare e dirgli che mi dispiaceva, che mi mancava e che vederlo così da lontano senza potregli parlare o poterlo toccare mi uccideva. Improvvisamente i miei occhi si fecero lucidi e quelle dannate lacrime non mi ascoltavano e stavano per uscire.
«Davvero. Mi dispiace.» ripetei cercando di sembrare fermo nonostante le lacrime stessero per tradirmi, ma fu così anche per la mia voce tremante che uscì dalla mia bocca. «Adesso basta.» sembrò quasi implorarmi lui con voce spezzata.
Quando sentii che anche la sua voce era cambiata e che l'aveva tradito, sentii come una pugnalata al cuore e le lacrime pungere ancora di più.
Non riuscivo a vederlo in quello stato e vedere me stesso in uno stato peggiore.
Fissai i suoi occhi lucidi pronto ad abbracciarlo e a dirgli che mi dispiaceva. Ma lui si girò e se ne andò.


© 2013 LiveandLove S.p.A., Roma
"Please, forget me."



In the next episode...

"Taemin look at me but his eyes are glistening. 
«You said, you forgot him.»"



OhYeah!
Sì una FanFiction sugli SHINee.
Non so che dire. Ahaha. Non l'ho ricontrollata, mi spiace.
Domani lo farò, promise!
Non è perfetta ma spero che vi piaccia.
Let me know ;)


  
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