Libri > Il ritratto di Dorian Gray
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Autore: Padmini    05/09/2013    3 recensioni
Alan Campbell è stato corrotto e condotto alla perdizione da Dorian Gray. Nonostante i suoi tentativi di fuggire dal male fatto persona, viene travolto dalla personalità dell'uomo e cade sempre più in basso, fino all'atto finale che lo distruggerà.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alan Campbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tramonto rosso sangue

 

 

 

 

 

Il cielo era terso e il sole riusciva addirittura a scaldare la terra.

I raggi dorati della luce che inondava la città filtravano tra le foglie degli alberi creando magici giochi di ombre al di sotto delle fronde. Allegre famigliole con prole al seguito, maestose signore che sfoggiavano i loro bizzarri cappellini e gli abiti d'alta sartoria e uomini elegantemente vestiti passeggiavano lungo i viali di Hyde Park, accompagnati dalla soave sinfonia del cinguettio degli uccellini, dal ronzare degli insetti nel prato e dal fruscio delle code degli scoiattoli che correvano da un albero all'altro come sinuose onde di pelo rossiccio.

Era una giornata felice, spensierata e carica di frizzante allegria.

Solo un uomo, seppur immerso in quell'atmosfera, non riusciva a percepirne l'armonia.

Alan Cambpell camminava a capo chino, scuro in volto, con passi lunghi e affrettati, come se stesse scappando da qualcosa.

Nessuno, attorno a lui, avrebbe potuto immaginare quali torbide e minacciose immagini si stavano pian piano delineando nella sua mente. Non riusciva a sentire la luce del sole.

Ciò che percepiva erano nere nubi che si ammassavano minacciose nel suo futuro e gli impedivano di vedere oltre e un malefico vento, alimentato dal passato sempre più soffocante, lo spingevano verso un abisso che lui stesso aveva creato, giorno dopo giorno, calandosi sempre di più nel mondo depravato e ozioso di Dorian Gray.

 

I ricordi erano fin troppo vivi nella sua memoria e anche se lui cercava disperatamente di liberarsi da quei fardelli, si presentavano dinnanzi ai suoi occhi danzando e ammiccando, torturandolo, in un infinito stillicidio. Se chiudeva gli occhi ogni momento passato con lui ritornava, vivido e piacevolmente doloroso, di fronte alla sua coscienza.

Ricordava perfettamente il giorno in cui lo aveva conosciuto. Non poteva sapere, però, che sarebbe stato la sua dannazione.

Lo aveva portato un paio di volte a teatro e qualche altra volta a visitare delle mostre di quadri, ma a lui tutto ciò non interessava. Non si era mai dedicato alla conoscenza delle arti, tutto ciò che destava interesse in lui stava nel suo laboratorio di chimica, dove si sentiva un vero re.

Dorian Gray era riuscito a smuovere il piedistallo delle sue certezze, insinuandosi nella sua vita come un veleno, intossicandolo giorno dopo giorno, fino all'inevitabile fine.

La sua pelle, il suo sorriso, quelle labbra che sembravano petali di rosa posati sul marmo di una statua che avrebbe fatto impallidire gli scultori greci e ridimensionato il concetto di bellezza e perfezione. Se chiudeva gli occhi gli sembrava di sentire sotto le sue dita la delicata consistenza di quella pelle, così bianca e liscia, e di poterne addirittura percepire il profumo soave, un odore inebriante che non aveva mai trovato in nessun fiore, che non aveva inspirato in nessun vino.

Quanti amplessi li avevano visti vicini. Quante notti insonni aspettando che si facesse vivo e poi trascorse baciandolo su ogni centimetro di pelle nuda, assaporandolo e godendone appieno l'essenza.

Era drogato, assuefatto da quell'uomo, tanto da non capire, da non percepirne la pericolosità. Lo aveva ucciso pian piano, senza che se ne rendesse conto. Quando finalmente la consapevolezza di ciò che stava facendo gli aveva aperto gli occhi, era inorridito. Era davvero lui a commettere quegli atti immorali? Davvero aveva amato un uomo, lasciando che i loro corpi si unissero nel peccato? Quel giorno, di ritorno da casa di Dorian, si era lavato ripetutamente, passando con energia la spugna sulla pelle, sperando di riuscire a cancellare le ombre del suo peccato, invano.

 

Nei giorni seguenti aveva ignorato ogni messaggio da parte dell'uomo che aveva amato e se gli capitava di vederlo al club o a qualche festa alla quale si costringeva di partecipare, lo ignorava.

Tutti ormai avevano notato che qualcosa tra di loro si era spezzato e anche Dorian, dopo qualche mese, aveva rinunciato a cercarlo.

Ciò nonostante non si sentiva meglio. Il senso di colpa e la coscienza delle sue perversioni lo tormentavano giorno e notte, si adagiavano su di lui come cappe nere e pesanti, che non riusciva a togliersi.

Si spogliava e si poneva davanti allo specchio e poi con la spugna ruvida si grattava la pelle, fino a farla sanguinare, ma nulla sembrava aiutarlo ad uscire da quel tunnel nero nel quale era entrato e di cui non riusciva a scorgere la fine.

 

Quel giorno si era costretto ad uscire, dopo mesi e mesi di reclusione auto imposta, per vedere un po' di sole. Appena varcata la soglia di casa aveva nascosto gli occhi sotto la mano aperta perché tutta quella luce lo abbagliava. Era disabituato alla luminosità del giorno, tanto più che a Londra una giornata così serena era rara.

Aveva quasi corso fino al parco per riuscire a respirare qualche buon odore che lo distraesse, per rilassarsi sotto le verdi fronde degli alberi, ma nulla aveva sortito l'effetto sperato.

La nube nera della depressione incombeva su di lui senza lasciargli respiro. Ripensò a quello che gli era successo qualche giorno prima, e ancora faticava a crederci.

 

Quando il suo servitore gli aveva consegnato un telegramma di Dorian era rimasto basito. Il solo pensare che quel demonio gli avesse scritto lo aveva fatto rabbrividire. Cosa poteva volere da lui? Da mesi, ormai, non si parlavano né si vedevano.

Aveva aperto il messaggio con mani tremanti e bagnate da un lieve sudore ghiacciato.

Non era il solito invito che era stato abituato a ricevere.

Era una richiesta d'aiuto.

Aveva sospirato, indeciso sul da farsi, poi aveva sorriso. Dorian aveva bisogno di lui, urgentemente tra le altre cose. Sarebbe andato da lui, avrebbe risposto all'appello ma … non lo avrebbe aiutato. Si sarebbe goduto la sua disperazione, assaporando la vendetta dopo mesi di sofferenze.

Lo avrebbe lasciato nei suoi problemi perché sapeva di essere migliore di lui. Lo avrebbe visto bruciare nell'inferno che lui stesso si era creato e avrebbe gioito nel vederlo distruggersi tra le sue perversioni e i suoi peccati.

 

Mentre la carrozza lo portava in quella casa che lo aveva visto godere e perdersi nei meandri del peccato più oscuro, i suoi pensieri vagavano nelle più diverse direzioni. Non riusciva a capire cosa Dorian potesse volere da lui.

Quando infine era giunto a destinazione era entrato in casa a testa alta, orgoglioso di sé stesso e del potere che in quel momento aveva sull'uomo che per tanti anni lo aveva tenuto al guinzaglio del suo potere.

Si era fatto scortare nel salone, dove Dorian lo stava attendendo. Aveva immediatamente notato il residuo di un'emozione molto forte sul suo viso, ma era durato solo un istante. Deglutendo a fatica, era entrato nella stanza.

 

Quel che era accaduto nelle ore seguenti era impresso a fuoco nella sua memoria, eppure sembrava che fosse successo ad un altro. Non poteva credere a quello che aveva fatto. Si guardava le mani e ancora vedeva il sangue di Basil Hallward. Si era insinuato nella sua pelle come un tatuaggio malefico che, tuttavia, solo lui poteva vedere.

L'intera Londra stava cercando il pittore, anche se con decrescente interesse, ma lui si sentiva comunque a disagio, complice obbligato di un delitto a cui non aveva partecipato.

Non avrebbe voluto nascondere le prove della colpevolezza di quel demonio dai capelli d'angelo, ma non aveva avuto altra scelta. Il ricatto era stato troppo pesante, troppo crudele e lo aveva lasciato senza scampo. Si sentiva braccato, come stritolato da mani invisibili che gli toglievano il fiato.

Tutti attorno a lui gioivano della vita, lui sentiva di percorrere il sentiero della morte.

Ormai aveva capito che per lui non ci sarebbe più stata speranza. I suoi peccati gli si stavano ritorcendo contro. Se Dorian avesse detto ciò che avevano fatto insieme lui sarebbe stato rovinato. Non gli aveva lasciato scelta e ora era dannato. Avrebbe potuto stare zitto, così come lui gli aveva chiesto, e non avrebbe subito conseguenze. La sua anima, tuttavia, urlava nel suo petto e chiedeva giustizia, espiazione da quei peccati immondi di cui si era macchiato.

Lasciò che una lacrima solitaria gli inumidisse il viso, scivolando silenziosa sulla barba incolta, e andasse a cadere sui cenciosi abiti che ormai non si era più cambiato da quel giorno d'inferno, in cui aveva visto la rovina della sua anima e quella dell'anima di Dorian Gray.

 

Senza accelerare il passo tornò a casa. Vedeva ormai ogni cosa con occhi diversi. Tutto sembrava rallentato, lontano. Senza dire una parola al servitore che lo aveva accolto andò nel suo studio e si chiuse a chiave. Posò per qualche istante il peso del corpo stanco sul legno scuro della porta, poi si risollevò.

Si voltò lentamente verso la finestra. Il sole stava scendendo lentamente all'orizzonte, come un'immensa palla dorata, illuminandolo di mille scaglie di fuoco che lo bruciavano dentro.

Non riuscì ad attendere oltre.

Passando davanti al tavolo da lavoro prese il bisturi e andò a sedersi nella poltrona, lisa dal tempo e dall'usura. Si accomodò e sollevò il braccio, poi abbassò la manica della camicia e osservò il braccio candido, macchiato qua e là dall'azione corrosiva degli acidi. Restò pensoso qualche istante, poi affondò la lama nella carne e la fece scivolare verso il basso, recidendo le vene.

Subito il sangue iniziò a sgorgare copioso, come uno strano vino, ma lui non provava dolore. Sentiva che si stava depurando. Con il fluire del sangue scorrevano via anche i suoi peccati.

Il tramonto si tinse del fluido vitale di Alan Campbell mentre lui reclinava il capo e chiudeva gli occhi, cullato dalla Morte che, benigna e consolatrice, lo era venuta a prendere.

   
 
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