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Autore: Nikki Potter    06/09/2013    3 recensioni
Avevo distrutto John Watson. Ed ora dovevo rimettere insieme i pezzi, per me e soprattutto per lui.
[...]
"Disturbo dell'adattamento. Non provo niente, Sherlock. Nemmeno il vederti ha suscitato in me qualcosa, il minimo sentimento. Per cui te ne puoi anche andare, il mondo è pieno di John Watson, trovatene un altro che non sia danneggiato e lasciami in pace"
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock&John- Pieces
PIECES


Avevo distrutto John Watson. Ed ora dovevo rimettere insieme i pezzi, per me e soprattutto per lui.

*

Moriarty aveva decisamente sbagliato per una volta. Non aveva bruciato il cuore di Sherlock, visto che ormai non batteva più e si trovava sotto cumuli di terra. Ma aveva fatto a pezzi il mio, infranto in minuscole schegge, e nessuno avrebbe potuto ripararlo. Non esisteva una colla così forte, o meglio non esisteva più. Sherlock avrebbe saputo di certo cosa fare, lo sapeva sempre, ma lui non c'era e io dovevo cavarmela da solo.

E non era facile, non lo era affatto. Perchè pensavo a lui tutti i giorni tutto il giorno.

Da quando se n'era andato era come se fossi chiuso in una bolla e non riuscissi a respirare. Annaspavo nel nulla, cercando un'ancora di salvezza che sapevo non ci sarebbe stata.

Stavo annegando giorno per giorno, trascinando la mia vita così, senza uno scopo. Vivevo solo perchè il mio corpo aveva deciso così, ma la mia mente e il mio cuore erano morti con lui.

L'ultima volta che avevo visto Ella era stato un anno fa, e mi aveva diagnosticato il disturbo di adattamento, ovvero io non stavo accettando la morte di Sherlock.

Probabilmente non l'avrei mai fatto. Un effetto di quel disturbo era che non provavo niente, ero solo un misero involucro di carne e nient'altro.

Mi sentivo intrappolato in quel corpo inutile, non riuscivo nemmeno a provare dolore, nemmeno sentimenti negativi come la tristezza, la malincionia, niente.

Figuriamoci l'adrenalina che provavo sempre in compagnia di Sherlock.

*

Poi ci fu il giorno in cui lo vidi davanti alla fermata dalla tube che prendevo sempre per andare a casa.

Era vivo dunque. Dopo più di un anno e mezzo era tornato.

Mi chiesi come potessi non provare nulla al riguardo. Avevo sempre pensato che se solo l'avessi visto un'altra volta quell'apatia, quella patina opaca che ricopriva la mia esistenza, se ne sarebbe andata lasciando il posto ai colori e alle emozioni. Invece nulla di ciò era accaduto.

Mi fu facile sorpassarlo, come se lui non esistesse. Non notai la sua espressione interrogativa e sorpresa e probabilmente non mi avrebbe sfiorato nemmeno.

Ormai ero quello che si poteva definire tranquillamente un morto che cammina.

*

Non mi sorpresi affatto di entrare in casa e trovare Sherlock in piedi davanti alla finestra del mio salotto.

Mi fissava con occhi indagatori, scrutando, tagliando la mia anima. Vedevo che era confuso.

Appoggiai le chiavi al tavolo e andai in cucina, facendo come se lui non ci fosse.

"John, non sono una tua allucinazione" proruppe allora Sherlock, certo di aver trovato la soluzione al problema.

"Lo so perfettamente" risposi calmo accendendo il bollitore per il tè.

"Non capisco...perchè mi stai ignorando?" Sherlock era veramente confuso.

Credo che avrebbe preferito di gran lunga che mi arrabbiassi e gli tirassi un pugno, che avessi una reazione insomma. Probabilmente se non fossi stato afflitto dal disturbo di adattamento era quello che avrei fatto, spaccargli quella faccia perfetta, vedere il dolore nei suoi occhi.

Mi girai guardandolo in faccia. "Cosa vedi quando mi guardi?"

Sherlock si morse il labbro inferiore prima di rispondere. "Hai perso circa dodici chili, mangi sporadicamente, solo quando ne hai voglia. Dalle occhiaie pronunciate dormi poco, incubi probabilmente. Sei venuto a vivere in questo buco di appartamento dalla parte opposta della città rispetto a tutti i tuoi amici, volevi stare da solo".

Calò il silenzio in seguito a quelle parole.

"Hai guardato ma non osservato" risposi versando il tè e aspettando qualche minuto per l'infusione perfetta.

Sherlock mi scrutò in silenzio, prima di parlare di nuovo. "Che vuoi dire?"

"Disturbo dell'adattamento. Non provo niente, Sherlock. Nemmeno il vederti ha suscitato in me qualcosa, il minimo sentimento. Per cui te ne puoi anche andare, il mondo è pieno di John Watson, trovatene un altro che non sia danneggiato e lasciami in pace" risposi prendendo la tazza calda e superandolo per sedermi sulla poltrona.

"Sei stato così male da spegnere tutto quanto?" Sherlock sembrava sopreso.

Si mise davanti a me fissandomi mentre bevevo il mio tè.

"I sentimenti sono inutili, uno svantaggio, un difetto. Non eri tu che la pensavi così? Beh non sei contento? Ora sono un perfetto robot. Non mi ricordo più neanche cosa voglia dire provare qualcosa. E il merito è solo tuo. Non era quello che volevi?" risposi con indifferenza.

"Basta, questo non sei tu. Sei sempre stato pieno di sentimenti, talmente pieno che me li hai rovesciati addosso un sacco di volte" replicò Sherlock quasi furioso.

In tutta risposta alzai le spalle.

Al mio gesto lo notai scattare e afferrarmi per il maglione scuotendomi forte.

"Dove sei? Dov'è il mio John?" urlò a pochi centimetri dalla mia faccia.

"E' morto" risposi diretto.

A quelle parole Sherlock mi lasciò di colpo, come se fosse rimasto scottato.

"Niente lo riporterà indietro" aggiunsi convinto finendo il mio tè.

"Ti sbagli. Io lo riporterò da me".

Detto questo Sherlock si voltò e se ne andò lasciandomi di nuovo nella mia solitudine.

*

Da allora erano passate diverse settimane, dove Sherlock si era praticamente installato nel mio appartamento entrando a qualsiasi ora, e cercando di fare qualsiasi cosa per salvarmi, così diceva.

Ma io sapevo che era tutto inutile.

Mi ero pure ritrasferito al 221B con lui, dopo le sue molteplici ed infinite insistenze, ma la cosa non era servita.

Ero rimasto sempre lo stesso inutile ed inesistente essere che aveva preso il posto di John Watson dopo quel 15 giugno.

Niente mi avrebbe fatto ritornare quello che ero.

*

Sherlock era fuori per un caso. Io non lo avevo mai seguito, nonostante lui insistesse tutte le benedette volte.

Ero appoggiato al davanzale della finestra, in mano una tazza di tè e lo sguardo perso a vagare sui tomi della libreria.

C'era veramente casino in quella stanza, ma non me ne importava. In passato avrei sbuffato e cercato di rimettere in ordine, adesso invece stavo lì e basta.

Bevvi un sorso del mio tè.

Quasi non sentii nemmeno i passi sulle scale di Sherlock, frettolosi e agitati.

Sbucò in salotto come un razzo.

"John, puoi passarmi un asciugamano? I fazzolettini di Lestrade ormai sono inutili".

Mi irrigidii, bloccato sul posto. Sentii la tazza di tè cadere a terra e bagnare la moquette ai miei piedi. Ma al momento non me ne importava.

L'unica cosa che facevo era osservare il viso di Sherlock sporco di sangue, di nuovo.

Sta calmo, qualcuno gli ha solo tirato un pugno sul naso, di sicuro meritato.

Continuavo a ripetermelo, eppure sentivo di non riuscire a respirare correttamente mentre in mente l'immagine davanti a me era un'altra: il cranio di Sherlock fratturato, il sangue sul marciapiede, tanto sangue, e i suoi occhi chiari sbarrati a fissare il nulla.

Mi resi conto di non riuscire più a stare in piedi, come quel giorno, e mi ritrovai in ginocchio, una mano sul petto nel tentativo di respirare.

Gli avevo toccato il polso, nulla. Era andato via da me...posai lo sguardo sulle mani, tremavano.

E poi eccola, la sentii. Una lacrima scese lentamente, bagnandomi la guancia, e il dolore tornò forte e prepotente come quel giorno.

Sentii uno strano lamento uscire dalla mia bocca prima che si rompesse del tutto la diga e le lacrime scendessero a capofitto.

Sherlock era morto e stavo soffrendo.

Lo vidi inginocchiarsi davanti a me, chiamare il mio nome con evidente sollievo prima di abbracciarmi forte, incurante del sangue che gli colava sulle labbra.

Affondai il viso nella sciarpa blu aspirando il suo odore.

Sherlock era vivo ed era tornato da me. Era tornato.

Il cuore aumentò i battiti e lo strinsi forte a me mentre continuavo a ripetere come un mantra il suo nome.

"Bentornato John" mi sussurrò Sherlock all'orecchio una volta che mi fui calmato.

"Bentornato Sherlock" gli risposi staccando finalmente il viso dalla sua spalla e osservandolo in volto.

A parte il sangue il suo viso era esattamente come lo ricordavo, bellissimo e perfetto.

Lo portai in cucina e con del cotone gli pulii il viso bloccandogli la fuoriuscita di sangue.

"Chi è stato?" domandai curioso.

"Anderson. Gli ho dato per la millesima volta dell'idiota" mi rispose Sherlock prima di ridacchiare.

"Che c'è?" risposi cercando di non ridere.

"Dovrò pure ringraziarlo. Se non mi avesse colpito tu non saresti tornato" disse Sherlock sorridendo.

Gli sorrisi in risposta anch'io. "Beh, direi che si merita un bel mazzo di fiori, che dici?"

"Gigli" replicò subito Sherlock.

"Perchè?"

"Sono belli, no?" rispose Sherlock alzando le spalle.

*

Lestrade alzò lo sguardo all'ennesimo starnuto.

"Anderson si può sapere che hai?"

Fissai Sherlock interrogativo. Non era che...

I miei dubbi furono confermati dal fatto che Sherlock evitava accuratamente di guardarmi e per di più non riusciva assolutamente a non alzare un angolo della bocca.

"Qualcuno stamattina mi ha spedito dei gigli e sono allergico" rispose Anderson prima di starnutire di nuovo vicino a Lestrade che si allontanò schifato.

"Sei veramente diabolico" sussurrai a Sherlock che stavolta sorrise apertamente.

"Secondo me li ha apprezzati" rispose con tono convinto seguendo Lestrade.

Lo affiancai. "Sì, certo".

Ci fissammo un secondo prima di scoppiare a ridere come due idioti.



ANGOLO AUTRICE
Spero che vi sia piaciuta.
Un bacio
Nikki Potter

  
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