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Autore: Splendente come il sole    06/09/2013    3 recensioni
Sara è una ragazza di quattordici anni, dagli occhi singolari e l'aspetto troppo spesso composto, il cuore apparentemente sotto controllo.
Abbandonata dal padre a nove anni appena, rimane sola con una madre ancora molto giovane, dal cuore spezzato e affaticato, in una situazione economica molto critica.
Ed ora eccola qua : al suo primo giorno di liceo.
Non siete curiose/i di sapere di più ?
-Questa è una One shot. Parecchi mesi fa avevo scritto una storia dalla trama molto simile, che ora ho cancellato. Era scritta in otto, brevissimi capitoli.
Il titolo era sempre quello : Io ci provo.
Ecco qui una versione molto migliorata e, soprattutto, molto più lunga.
Buona lettura, amici/amiche.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Io ci provo, di Alera di Hytanica.

Mi presento.
Il mio nome è Sara. Sara Fox.
Ho compiuto quattordici anni un paio di settimane fa, il due settembre.
Sono del segno zodiacale della Vergine, già.
Se credo agli oroscopi, all’astrologia ? Beh … in realtà non saprei. Quand’ero più piccola non ci credevo affatto, come mia madre, ma adesso … Adesso è tutto troppo confuso. La mia vita è confusa. Se ci credo ? Sì, adesso, dopo aver letto un libro, “Amore e segni zodiacali”, ci credo. Diciamo.
Oggi è il mio primo giorno di scuola ; il mio primo giorno al liceo.
Se sono nervosa ? Eh sì … lo sono. Ma più che per le ore di studio che mi attendono lo sono per i compagni che tra poco conoscerò.
Non ho mai avuto dei veri amici. Mai avuto un’amica del cuore. Ci ho provato, davvero, ad integrarmi nella società … ma è troppo difficile, per me, temo. Quei pochi che mi sono capitati … Beh … Insomma, a mio parere, c’è troppa gente fasulla, troppa gente bugiarda … e io odio la falsità.
Nella mia vecchia scuola, da cui sono uscita con voti abbastanza buoni, non mi sono mai trovata bene.
Mi hanno sempre preso in giro, umiliato per qualsiasi cosa, dal mio aspetto ai miei gusti in fatto di vestiario, dalla mia voce ai miei voti scolastici … fino alla mia difficile situazione familiare ed economica. Ma non spreco energie ad odiarli, ad inveire contro di loro. Neanche più a pensarli.
Chiudo a chiave il passato e tutti coloro che vi appartengono dentro una cassa di metallo, volto ad essa le spalle e guardo dritto di fronte a me. Almeno ci provo.

Afferro il mio nuovo zaino, e scendo dalla macchina.
“Ciao mamma !” la saluto con un cenno.
“Ciao ! Buona giornata !” ribatte lei, e mette in moto, pronta ad andare al lavoro.
“Anche a te !”.

Mi volto verso la mia nuova scuola, verso tutti i ragazzi e le ragazze, miei nuovi compagni e compagne.
Con un sospiro, mi tolgo lo zaino dalle spalle e lo poggio a terra.
Quello precedente l’ho tenuto per tutti e tre anni delle medie, quello ancora prima per tutti e cinque delle elementari. E questo ? Dovrò tenerlo per tutti e cinque anni del liceo ?
Sempre se non sarò bocciata, cosa abbastanza probabile, mi sa. Ma se per questo, ho temuto di essere bocciata anche alle medie, soprattutto quest’anno. Ma non è stato così.
Ho scelto il liceo delle Scienze Umane. Per un certo periodo ho pensato che avrei preferito il Classico, ma poi, riflettendoci bene, ho capito che era questo il meglio che potessi scegliere, per me.
Non avrei mai potuto scegliere lo Scientifico, dal momento che odio la matematica … E per quel che riguarda il Linguistico … Beh, lasciamo perdere. Già mi bastano l’inglese e il latino, che sarò costretta a studiare ! Anche il francese (studiato alle medie) ed il tedesco !? Ma non esiste !
La campanella suona. E’ cominciata.

Mi fermo a chiedere al bidello in quale classe dovrei andare.
“1 A” mi risponde l’uomo con voce piatta. “Sarà sulla sessantina” penso “e non sembra né antipatico né il contrario. Direi piuttosto che se ne frega.”
Distolgo la mia attenzione dal bidello e la concentro su ciò che mi circonda.
L’istituto è molto ampio, dal momento che ospita quattro licei (Classico, Scientifico opzione Scienze Applicate, Linguistico e Scienze Umane) con tanto di classi, laboratori, palestra e cortili.
E’ tutta bianca, a tratti panna, lo stile è semplice ; l’atmosfera sarebbe anche potuta risultare piacevole se solo fossi stata più tranquilla. Forse, col tempo …
Alla fine, mi decido ad entrare in classe. A quanto pare sono già tutti dentro, alcuni già seduti, altri all’in piedi che chiacchierano e ridono, altri affacciati dalle due finestre.
Faccio un respiro profondo, e mi dirigo silenziosa in un banco con le due sedie ancora vuote.
Scelgo una sedia, vi appendo lo zaino, e mi ci siedo, guardandomi attorno in uno strano modo cauto, calcolatore.
Sono sempre stata una ragazzina dall’aspetto molto controllato, anche quando dentro ribollivo, che si trattasse di rabbia, dolore o esasperazione. Persino di gioia. Ma in quel caso era più difficile rimanere calma e composta, dal momento che ero molto meno abituata a fronteggiarla.
“Ciao” mi saluta una ragazza mia coetanea, robusta ma piuttosto carina, la voce gentile, l’atteggiamento timido.
“Ciao” ricambio, e sorrido a mia volta.
La ragazza sfiora la sedia con una mano grassoccia. “E’ libero ?”.

La mattinata trascorre rapidamente. Mi aspettavo molto di peggio.
Invece, tutto sommato, è andata bene.
I compagni sono abbastanza gentili, persino divertenti, i professori sono severi ma molto efficienti.
Improvvisamente, sento il mio cuore molto più leggero. Sento che finalmente, nella mia vita, è tornato l’ordine e persino l’armonia.
“Del resto” penso “questa non è stata un’estate per niente facile.”

Alla fine, suona la campanella, e tra saluti e schiamazzi usciamo tutti dalla scuola.
Mi sforzo di individuare mia madre tra la folla, nella nostra auto, e quando ci riesco la raggiungo quasi correndo.
“Ciao mamma !” la saluto allegra.
“Ciao, Sara. Su, sali.”
Obbedisco, prima però metto lo zaino nel cofano, poi salgo e mi rilasso sul sedile un po’ consunto ma tanto familiare.

Preparo io il pranzo quel giorno.
Mia madre è visibilmente stanca dopo una mattinata da segretaria, e tra poco dovrà continuare come donna delle pulizie fino alle sette e mezzo di sera.
Mentre lei si rilassa sul divano davanti alla Tv io preparo gli gnocchetti di patate e la carne arrostita, nel mentre apparecchio la tavola. Mi sento in forma, energica come non mi capita da parecchio tempo.

“Sono felice che sia andata bene oggi, a scuola” commenta mia madre con disinvoltura, mentre si taglia un pezzo di pane.
“Già” dico solo io. E domani ? D’ora in poi, come sarebbe andata ?

Alle tre e mezza mia madre esce di casa per recarsi al suo secondo lavoro, quello pomeridiano.
E’ assolutamente necessario, e anche così la situazione non è certo rosea.
Quel bastardo di mio padre se n’è andato da ormai cinque anni. A quel tempo ne avevo nove, di anni, mia madre ne aveva ventisette. Ed era stata lasciata per un’altra donna, persino più giovane di lei. Io ero stata abbandonata, disconosciuta come figlia.
Ma non spreco le mie energie neanche per odiare lui. Anche lui, il primo di tutti, era chiuso in quella cassa di metallo, per quel che mi riguardava.

Lui e la sua amante.
Conoscevo quella stronza. Aveva persino provato a farmi sua amica, prima di riuscire con facilità a tirarsi il mio padre trentenne. Lui e mia madre non si erano mai sposati, ma avevano vissuto nella stessa casa da quando lei era rimasta incinta di me.
Ma le cose non avevano mai davvero funzionato bene.
C’erano sempre stati alti e bassi, come in tutte le coppie, ma nel loro c’era sempre stato qualcosa di impossibile.
Non dubitavo del fatto che si fossero fatti le corna a vicenda, fino al momento della rottura definitiva.
D’accordo ; ma io cosa c’entravo in tutto questo ?

Finora non ho mai realmente pensato all’amore.
Non mi sono mai innamorata.
E’ capitato che cominciassi a provare una certa simpatia, che mi piacesse un ragazzo, magari a scuola, magari al di fuori, che in quel momento mi aveva trattato meglio degli altri o mi aveva persino difeso.
Ma non mi sono mai davvero innamorata.
L’unica persona che finora ha meritato il mio amore è stata la mia mamma.

“Fox !” .
La voce stridula del professore di italiano e latino mi fa trasalire. Sollevo lo sguardo verso di lui, le guance in fiamme per la vergogna. Come diavolo ha fatto ad arrivare proprio davanti al mio banco senza che me ne accorgessi ?
Chiudo il diario segreto che stavo scrivendo sotto il banco e lo getto nello zaino aperto, senza staccare gli occhi, verdi con una leggera sfumatura d’oro, da quelli del professore, scuri e indignati. Riacquisto la mia solita compostezza.
“Cos’è questa storia ? E già al secondo giorno di scuola ! Ma come ti permetti di distrarti in questo modo durante le lezioni, e fare come se io non ci fossi ?!”.
Rabbrividisco interiormente ; come sempre.
Ma non dimostro nulla. Sollevo il mento con aria di sfida, tuttavia dico : “La prego di scusarmi, professore. Non accadrà più.”
L’uomo, alto, slanciato, piuttosto attraente per essere alle soglie della cinquantina, mi scruta attentamente il viso bianco e pallido, dai luminosi e singolari occhi, probabilmente cercando di capire quanto fossi sincera.
Io sostengo il suo sguardo.
Nessuno fiata.
Alla fine, con una smorfia seccata, il professore lascia cadere il discorso borbottando un “Sarà meglio per te, Fox” e torna verso la cattedra.
In quel momento la campanella suona. E’ l’ora di antropologia, con una professoressa donna, e di sicuro più gentile e paziente.

Alla fine, arriva la tanto sospirata ricreazione.
Ripongo tutto nello zaino in fretta e furia, recupero tre euro dalla tasca dei jeans attillati, e mi precipito fuori, verso i cortili, verso il bar della scuola.
“Sara, aspetta !” urla Alice, la mia compagna di banco da due giorni a questa parte. “Devi comprare la merenda ?”chiede seguendomi.
“Sì. Anche tu ?”. Lei annuisce.
“Beh, muoviamoci allora !”.

Se mi sono fatta un’amica, alla fine ?
Non saprei …. Probabilmente sì. Sorrido.
Ma posso davvero lasciarmi andare, lasciarmi trasportare da questo turbine di amicizia misto a gioventù, adolescenza ?
Ho paura. PAURA.
Non voglio avere l’ennesima, cocente delusione.
Ma non voglio neanche continuare a stare sola. NON POSSO.

Provarci. Provarci come ? Provarci perché ?
La paura mi acceca, ci acceca, ci impedisce di fare tante cose, anche di dire tante cose.
Paura ; prudenza.
Rimpianto.
Solitudine.

“Com’è andata al lavoro, mamma ?”chiedo alla donna dai capelli ramati e dagli occhi azzurri, seduta a tavola di fronte a me.
Lei mi rivolge un sorriso spento, che non riesce a raggiungere gli occhi, pur luminosi per natura. “Come al solito, amore. Non c’è male.” E si alza per sparecchiare.
Mi alzo a mia volta, e l’aiuto come sempre.

E’ sera.
Mi sporgo dal piccolo balcone della nostra modesta casa affittata, e guardo il cielo scuro sopra la mia testa biondo-rame.
Un’insolita energia mi attraversa ogni volta, lì, in piedi in quel balcone, di fronte a quel cielo notturno con la sua Luna e le sue stelle.
Non cerco di dominarla, né di nascondere le emozioni che traspaiono dal mio viso.
Quando sono sola non ce n’è alcun bisogno, no ?
E neanche ne ho voglia.

Rientro in casa, decisa a lavarmi i denti e ad infilarmi al più presto nel letto, quando sento dalla camera da letto la voce di mia madre che parla al telefono.
Mi blocco. Un momento … cos’è quel tono allegro, frizzante, malizioso ?... Ehi, sta civettando !
Non l’ho mai fatto, ma stavolta incollo l’orecchio alla porta, e origlio sperando di afferrare qualche brandello di conversazione.
Mia madre cinguetta : “Ma daaai, macché vent’anni, lo sai benissimo che ne ho trenta !”.
Per la cronaca, ne ha trentadue, compiuti in luglio.
“Sì, certo, lo immagino proprio : chissà che fisici vedi, con tutte le ragazzette che ti girano intorno ! Per lavoro, certo, non intendevo insinuare altro, so che sei molto professionale …”
“Oddio, se la fa con un professore !”
All’improvviso abbassa la voce, e sussurra in tono cospiratorio : “No, Sara non ne sa niente, ovvio … Sì, certo, ma non vorrei annusasse qualcosa … Dopotutto vi vedete tutti i giorni, lì a scuola …”
“Oddio, con un mio professore !”.
“Sì, domattina allora … Certo, se sei riuscito a prenderti un giorno … Facciamo a casa tua, allora … Ok, a domani.”
“Non ci posso credere ! Non va al lavoro ma ad un incontro clandestino !”.
Poi, velocemente, chiude la comunicazione. Corro il rischio che mi becchi in castagna a spiarla, ma riesco ad allontanarmi in tempo, e mi chiudo in bagno.

Riesco ad addormentarmi solo a notte fonda, probabilmente verso le tre del mattino o anche più tardi.
La mamma domattina si vedrà con un mio professore mentre io sarò a scuola … A casa sua … Probabilmente per fare sesso … Sospiro.
Mia madre è ancora molto giovane, ha un bel viso regolare, i capelli del colore del fuoco, gli occhi del cielo e del mare, una bella carnagione dorata, il fisico alto e slanciato, forse un po’ ossuto, ma dal seno abbastanza florido. E’ una bella donna, senza dubbio, e non sarà propriamente vivace e allegra, ma comunque dolce e paziente, dal portamento elegante, i modi raffinati.
Non dovrei stupirmi del fatto che qualcuno le avesse messo gli occhi addosso (e domani probabilmente anche le mani) né che volesse avere un’avventura di tanto in tanto, magari per sentirsi più donna. E se invece volesse proprio rifarsi una nuova vita ? Ne avrebbe tutto il diritto. Forse sarebbe anche meglio, così.
Alla fine mi costringo a non rimuginarci più, e piombo nel sonno poco dopo.

La mattina, quando mi alzo, ho l’emicrania.
Mi dirigo nel piccolo bagno dalle pareti giallo pastello, e fisso la mia immagine nel piccolo specchio sopra il lavandino. Sono esausta, ho le occhiaie intorno agli occhi, l’aspetto dimesso e sofferente. Mi massaggio le tempie, chiudo gli occhi, cerco di rilassarmi il più possibile.
Poi mi sciacquo il viso con l’acqua fredda, mi lego i lunghi capelli del colore del tramonto in un con due mollette, e m’infilo nella doccia.
Me la prendo comoda, lavandomi con l’acqua molto calda, il bagnoschiuma profumato, sperando che il mal di testa passi da solo. Non succede. Mi dirigo in cucina avvolta nel mio accappatoio bianco. “Mamma, ho mal di testa” dico con una voce lamentosa che non mi appartiene.
Mia madre mi fissa sorpresa. “Ah, ecco perché ci hai messo tanto. Di solito sei tu quella più veloce tra noi due.” Guarda l’orologio antico appeso al muro. “E’ tardi, Sara. Ecco, ora ti preparo un’aspirina. Tu intanto vestiti, su.” Obbedisco, il cuore e la mente in subbuglio.

Dato che qui in Sicilia fa ancora caldo quando apro l’armadio opto per un candido vestito che arriva appena a metà coscia e dalla scollatura profonda che lascia vedere buona parte del mio seno già ben sviluppato. Non indosso il reggiseno, non oggi.
Apro una piccola scatola colorata e tiro fuori una collanina dorata ed un anello blu a forma di cuore.
Dopodiché afferro lo zaino, pronto dalla sera prima, e mi dirigo in cucina.
Il mal di testa si è solo leggermente attenuato, quindi prendo l’aspirina, e con mia madre a fianco esco di casa.
Non mi ha ancora detto nulla sul mio aspetto, cosa molto strana. Spero che i prof stiano a loro volta zitti.

Non riesco a concentrarmi granché sulle lezioni (psicologia, latino, storia, informatica, religione), un po’ perché il mal di testa passa solo dopo un paio d’ore, un po’ per come sono vestita (o meglio poco vestita) e quindi per gli sguardi che ricevo continuamente (d’apprezzamento e maliziosi quelli dei pochi ragazzi in classe, o fuori quando esco nei corridoi per andare in laboratorio o in cortile ; di curiosità o critica quelli delle altre ragazze ; di disdegno e, appunto, critica, quelli dei prof), ma nessuno mi dice niente.
Nessuno a parte la mia “amica” Alice, in bagno. “Ma perché sei così poco vestita, oggi, Sara ? Proprio da te non me l’aspettavo, sai” commenta con un tono divertito e disinvolto, per mia fortuna. Chino il capo, senza rispondere, ma sorrido timidamente. Poi infilo una mano tra i capelli biondo-rame e sciolgo la coda di cavallo, in modo che ricadano in morbidi boccoli sulle spalle e lungo la schiena. “Così. Mi andava. E poi con questo caldo penso di essere giustificata”, e sbuffo appoggiandomi alla parete.
“Insomma” mormora Alice soprappensiero.

Mia madre e il prof suo amante sono anche loro in cima ai miei pensieri. Staranno scopando ? O magari stanno solo chiacchierando e bevendo un caffè insieme … Ma dovevano per forza farlo a casa di lui ? Uhm …
Chissà se è un mio professore, qui alle Scienze Umane … Matteo Brunetti, forse ? Oggi era assente, a lezione di latino, l’ha sostituito Andreotti … Ma avrà quarantacinque anni ! Forse anche di più …
Sbuffo, improvvisamente contrariata. “Non mi riguarda !”.

“Com’è andata oggi al lavoro, mamma ?” chiedo come al solito, ma stavolta …
“Bene, cara” risponde lei tranquilla. “Grazie. E a te ? Passato poi il mal di testa ?”.
“Sì.”

Dovrei forse affrontare mia madre ?
Sta per andare al lavoro, quello pomeridiano. Forse.
Sono nervosa, ansiosa. Riesco a mandare giù solo qualche pezzo di petto di pollo (che comunque odio), il resto lo manda giù mia madre. Sembra abbastanza serena, quasi contenta, oserei dire.
Non mi va di rovinare tutto, non oggi.
Alla fine sparecchiamo insieme, dopodiché lei comincia a lavare piatti, posate e griglia.
“Questo vestito non è molto adatto per la scuola, comunque, Sara” commenta finalmente mia madre. “Era ora” penso, dopodiché comincio ad avvertire un’improvvisa stanchezza.
“Già” dico solo.
Lei non aggiunge altro, ma emette un lungo sospiro che non comprendo appieno.

Sono le quattro. La mamma se n’è andata da più di mezz’ora ed io sono sola in camera mia, con i compiti di matematica, italiano e inglese davanti. Ho già finito quelli di latino.
Sospiro. La mamma sarà davvero andata al lavoro ?
Mi sforzo di non pensarci ; continuo con i compiti.

Sono le cinque e mezza. Con i compiti ho appena finito.
Decido di chiamare la mia compagna Alice, con cui proprio stamattina abbiamo scambiato i numeri.
Afferro il cellulare che mia madre mi ha regalato per il mio dodicesimo compleanno, mi getto sul letto, e digito il suo numero, l’agenda in mano.
“Ciao, come va ?”
“Non c’è male. Giornata spettacolare, eh ?” commento con sarcasmo.
“Oh, magari ! Anche tu hai finito i compiti ?”
“Già. Dici che possiamo vederci ?”
“Dove abiti ? Posso venire col motorino, se ti va di fare due chiacchiere.”
“Non saprei. A te va ?”chiedo, un po’ sulla difensiva.
“Eh certo ! Allora, che si fa ?”
“Vediamoci al parco” dico in fine.

Il parco più grande della mia piccola città, Siracusa, è piuttosto vicino a casa mia. Prendo la bicicletta dallo sgabuzzino e mi ci dirigo.
Arrivata all’entrata, sistemo la bicicletta in un angolo e mi siedo su una panchina all’ombra dei grandi alberi, aspettando la mia amica che non tarda ad arrivare con il suo piccolo scooter nuovo di zecca.
“Ehilà, sister” esclama aprendo le braccia. Mi lascio abbracciare, seppur un po’ rigida, sorpresa, ma ricambio l’abbraccio.
Ci sediamo tutte e due sulla panchina. Sappiamo ancora così poco l’una dell’altra.
“Eri sola, a casa ?” domanda curiosa.
“Già. Mia madre fa due lavori, uno il mattino, l’altro il pomeriggio.” Per quanto ne so, aggiungo mentalmente.
“Ah. E tuo padre ?” Chiede di lui in modo strano, come se sperasse di riuscire a spronarmi, a farmi confidare con lei.
Malgrado mi aspettassi questa domanda, interiormente sussulto, come sempre. “Non ho un padre” rispondo solo, il tono piatto.
Lei china il capo, a disagio. “Scusami. Io non …”
“Figurati” la blocco io.

Facciamo una passeggiata lungo il parco, osservando le giostre, i bambini che giocano, la grande fontana centrale, i grandi alberi.
Alice mi racconta un po’ di sé. Ha vissuto a Milano, in Lombardia, per i primi nove anni di vita, dopodiché si è trasferita qui con la famiglia. Suo padre ha trovato impiego in fabbrica, tramite un cugino. Sua madre lavora alla posta. Ha una sorella e un fratello più grandi. Lei si chiama Anna, ha i capelli biondo miele e gli occhi turchini, diciotto anni compiuti in luglio. E’ all’ultimo anno di liceo Scientifico, nel nostro stesso istituto. Lui si chiama Gabriele, ha sedici anni, e va anche lui allo Scientifico, sempre là con noi.
Mi dà di gomito. “E’ single. Si è lasciato con la fidanzata, Roberta, da quasi due mesi. Se vuoi posso fartelo conoscere.” Mi fa l’occhiolino. Io arrossisco, poi scoppio a ridere, divertita, ma, in fondo, anche interessata.
“E tu che hobby hai ?” mi chiede in fine. A lei piace molto fare shopping, giocare con l’iphone che i suoi le hanno regalato per il compleanno, chattare su facebook e skype, fare i giri col motorino, leggere libri, soprattutto quelli fantasy.
“Anche a me piace molto leggere” rispondo divertita. “E il genere che prediligo è proprio il fantasy. Ma amo molto anche quello storico. E anche la poesia mi piace molto.”
“Wow” commenta Alice, poi indica un bar. “Ci prendiamo un gelato ?”.
La guardo di sottecchi. “Non ho soldi.”
Alice ci pensa un attimo su. “Oggi offro io. Domani tu. Mi compri la merenda a scuola.” Sorride.
“Ma …” inizio a protestare.
“Niente ma !”

Mentre mangiamo il gelato sedute in panchina (io al cioccolato e al bacio, lei all’ amarena e al limone) continuiamo a chiacchierare. “Mi sembri molto appassionata di lettura” commenta Alice. “Avrai una bella collezione.”
Scuoto la testa, intimamente a disagio. “Solo una decina. Più che altro li prendo in prestito alla biblioteca. Molto raramente li compro.”
“Ah” dice solo lei.
Io sorrido, e aggiungo : “Un’altra mia passione è la musica. La adoro quasi tutta.”
Ma anche lì … La ascolto quasi solo al cellulare, o quando capita che ho l’internet al computer. Abbiamo una vecchia radiolina, ma anche lì avremo una decina di Cd.

Guardo il cielo, il sole che sta lentamente calando. Penso a mia madre. “E’ ora che torni a casa” dico fissando Alice, e mi alzo. Lei si alza a sua volta e mi abbraccia.
Io la stringo, molto più tranquilla di prima.
Lei mi lascia andare. “Comunque scherzavo, per la merenda” dice in tono piatto.
Mi stringo nella spalle. “Ma figurati. Pago io, domani.” Un pensiero negativo mi attraversa la mente, e rabbrividisco di rabbia. “Non sono una morta di fame, Alice.”
“Non intendevo insinuare nulla del genere ! Dicevo solo …”Alice mi volta le spalle, e lascia perdere.
Io aspetto, paziente ma non calma.
Alla fine, mi dirigo verso la mia bicicletta, il cuore in subbuglio, gli occhi brucianti di lacrime, la gola chiusa in una morsa dolorosa.
“Sarebbe scortese farti pagare, tutto qua” mi blocca lei improvvisamente. Io mi fermo ma non mi giro a guardarla.
“Prima l’ho detto perché volevo accettassi il gelato.” Sento che si avvicina.
“Non c’è bisogno dell’orgoglio, Sara. Non tra amiche. Io sono di questo parere. E tu ?”.
Il mio corpo trema, squassato da strane sensazione. Alzo gli occhi al cielo. “Anch’io.”

Siamo pace, con Alice.
E adesso sono a casa, ancora sola. Sono le sette.
Mi dirigo in bagno e accendo la luce, pronta a farmi una doccia. Ma mentre mi tolgo il vestito bianco e provocante e le mutandine opto per un bel bagno ristorante.
Lego i capelli belli alti, e comincio a riempire la vasca.
Nel frattempo, mi preparo lo zaino per domattina.
Di solito non giro mai per casa completamente nuda, anche se siamo solo io e la donna che mi ha messo al mondo.
Provo una strana sensazione di libertà, vorrei stare così sempre.
Alla fine, mi immergo nella vasca, e chiudo la porta del bagno per stare in perfetta intimità con me stessa.
Sento la tensione dei muscoli sciogliersi sempre di più, faccio dei respiri profondi, mi rilasso completamente, non penso più a niente. Non esisto più.
Mi giro di schiena, immergo la faccia nell’acqua senza farla arrivare ai capelli, allargo il più possibile le gambe, mentre il calore invade il centro del mio essere, della mia femminilità, e gemo di piacere.

Alla fine, esco dal bagno, e mi avvolgo nell’accappatoio.
Vado in cucina. Sono le sette e mezza. Mia madre dovrebbe arrivare entro dieci minuti, massimo quindici.
Torno in camera mia, e indosso il pigiama, dopodiché accendo la radiolina e metto uno dei pochi cd.
Alle otto mia madre non è ancora tornata. Mezz’ora.
Inquieta, accendo la tv in cucina, e mi metto ai fornelli al posto suo, cercando di non pensare.
Preparo la pasta con la salsa, apparecchio la tavola, qualsiasi cosa, ma non devo pensare.
Alle otto e venti, ecco mia madre. E non è sola.

“Ciao, cara” mi saluta con finta allegria. Alle sue spalle riconosco il mio energico e severo professore di italiano e latino.
“Ciao mamma” rispondo meccanicamente, fissandoli entrambi. “Salve, professore” lo fisso con aria di sfida.
“Oh” mia madre fissa entrambi, uno per volta, e poi dice : “Sara, ho potuto conoscere, già da un mese, il tuo professore. Ci siamo conosciuti, e …” Mia madre si blocca, e fissa l’uomo in cerca d’aiuto. “E ci siamo messi insieme” conclude lui per lei, con un’intensità che comprendo perfettamente. Non parlo. Non ho niente da dire. Solo una cosa mi frulla in testa : “Conosciuti dove ?” domanda con durezza ma senza rabbia.
Mia madre oggi portava un paio di comodi jeans e un T-shirt rossa, mentre ora porta un vestito scollato e provocante quanto il mio quest’oggi, solo non bianco ma rosso acceso.
Mia madre è evidentemente a disagio. “Al lavoro. E’ in casa sua che faccio le pulizie.”
Oddio.

Questa è un’altra notte insonne.
Il prof è rimasto a mangiare e a dormire da noi. Non ci capisco più niente. Ma che è successo a mia madre ? E’ solo sesso o si tratta di amore, quello di cui tanto si parla ?
Alle tre e mezzo mi alzo dal letto e apro il più piano possibile la porta. Mi tolgo le pantofole e cammino verso la camera da letto dove “dormono” loro due. Mi attacco un orecchio alla porta.
Sento una risatina da parte della mamma, poi il lenzuolo che si muove, in fine dei lunghi gemiti di piacere.
“Sì … Così” ansima lui, e riesco a sentire il suo respiro selvaggio.
Mi stacco dalla porta, triste. “E’ solo sesso” penso.

Poi sento che non ce la faccio più, e torno indietro.

“La mamma ha tutto il diritto di rifarsi una vita”mi dico, lì rannicchiata nel letto. Mi sento come stordita. E questa notte non dormo proprio.

“La mamma ha tutto il diritto di rifarsi una vita” mi dico ancora quando mi alzo alle sei del mattino (e di solito mi alzo alle sette meno un quarto).
Che sia per sesso, per amore, o per soldi non mi riguarda. E’ una sua scelta, stop. Io ho, e avrò, già le mie da prendere. E comincio da ora : scelgo di mettermi da parte.
Io non c’entro. Io non mi intrometto. Anche se fa male. Anche se sarà dura.
Faccio una doccia veloce, con l’acqua quasi gelida ; indosso una T-shirt casta e un paio di jeans attillati, gli anfibi (fino al giorno prima portavo i miei sandali rossi. Ho queste due paia di scarpe. Almeno), e decido che per oggi posso anche truccarmi, dato che sembro un cadavere. Prendo i trucchi scadenti della mamma dallo sportellino, lì nel bagno, e metto un velo di fondotinta, il fard, e l’ombretto azzurro, che si abbina alla maglietta e alle scarpe. Il rossetto ? Uhm … Ok.
Per essere una che non ha chiuso occhio, durante la notte, e anche la notte prima non l’abbia passata granché … Beh …. Sto davvero bene.
Mi fisso allo specchio, afferro la spazzola e comincio a pettinare i miei ribelli capelli color del tramonto, e per stamattina li lascio liberi. Dopodiché mi faccio una linguaccia allo specchio. Inutile. Ho il morale a pezzi. E l’emicrania è tornata.
Cazzo.

Decido di azzardare un’altra aspirina, sperando che sia più miracolosa di quella precedente, poi controllo l’orologio : le sette e mezzo.
“Notte lunga, eh, mamma ?” penso con una smorfia ironica, ma dentro sto cuocendo a fuoco lento.
Proprio quando ormai ho deciso che le lascerò un biglietto e andrò a scuola in bicicletta (dato che la campanella suonerà solo tra mezz’ora e il tragitto dura circa venti minuti andrà bene, no ?), ecco che spunta l’amante della mamma-mio professore. In boxer. Cerco di nascondere sia lo sconcerto che il disgusto ma non so fino a che punto mi riesca.
L’uomo fa scroccare rumorosamente le nocche. “Dunque, cara Sara, dato che entrambi dobbiamo andare nello stesso posto, stamattina, ci andremo insieme, con la mia auto parcheggiata qui sotto.”
Rabbrividisco, e forse non solo interiormente. La mia espressione si fa dura come il granito. “E mia madre, professore ?”.
Lui sembra leggermente stupito dal mio tono di sfida, come dalla mia espressione. Era davvero convinto di avermi in pugno ?
Alla fine, si scioglie in un sorrisetto melenso, falso come Giuda. “Credi davvero che non ti abbia sentito, stanotte ?”. Non sembrerebbe un’accusa, sembra che voglia solo mettere in chiaro che nulla può sfuggirgli.
Faccio un sospiro. “Che cosa vuole da lei ?” Lo fisso con un misto di durezza e sfida. “Sesso ? Tutto qua ? E doveva per forza infilarsi qua dentro ? E poi perché proprio mia madre, con le tante puttane che ci sono !?” Il mio tono si alza sempre di più, la mia voce si fa più stridula. Non riesco più a controllare le mie emozioni. Ci provo, ma non ci riesco.
L’uomo si avvicina rapidamente, lì in cucina, e mi dà un violento schiaffo. Indietreggio di un paio di passi, sbatto contro il tavolo. Ho la vista leggermente offuscata. Le lacrime lottano per uscire, ma io non glielo permetto. Mi indurisco il più possibile, lo fisso con odio, poi gli salto addosso per aggredirlo con violenza. Prima che riesca a bloccarmi entrambi i polsi riesco a graffiarlo in viso e nelle braccia con le mie lunghe unghia, gli assesto un calcio leggero nelle vicinanze delle parti basse. Inutile. Mi getta sul piccolo divano, tenendomi saldamente i polsi, poi mi gira di schiena, con tutta la sua forza, e mi dà un violento calcio nel sedere. E poi un altro, e un altro. Mi sbatte a terra, sul pavimento. Sbatto il viso. Le lacrime me lo bagnano completamente, ho la vista annebbiata. Lotto per rialzarmi, ma lui mi afferra per i lunghi capelli e li tira con forza. Comincio a gridare, ma lui mi mette una mano sulla bocca. Continua a tirare i capelli. Gli mordo la mano con tutta la forza che riesco a mettere nei miei denti. Lui strilla e mi lascia andare.
Mi rialzo, barcollando, ricado a terra, cerco di allontanarmi da lui, afferro un piatto di vetro. “Mammaaaaaa !!!!!” .
Mia madre spunta un attimo dopo, nuda e atterrita. “Che succede !? Che state facendo ?!” . Fissa il lungo graffio sul viso del suo amante, la ferita sanguinante sulla mano, a causa del mio morso. Poi fissa me, in lacrime e tremante come una foglia, i capelli tutti scompigliati, il viso arrossato. “Parlate, maledizione !!” .
L’uomo la fissa con sguardo assassino. “Questa cagna di tua figlia mi ha aggredito ! Se torni in camera da letto vedrò di darle una lezione come si deve” e nel mentre mi fissa, e capisco subito cos’ha in mente : vuole violentarmi.
Fisso mia madre con sguardo atterrito, sconvolto, terrorizzato. “E’ lui che mi ha aggredito !” dico con una voce roca, strozzata, che non mi appartiene e mi sembra lontanissima. Fisso i miei polsi artigliati. So cosa sta per succedere. Cerco di muovermi verso il divano, barcollando. Poi arriva il buio. Un istante prima, mia madre : “Sara ! Oh, mio Dio !”.

Dolore. Dolore. Dolore.
Lentamente, acquisto un po’ di lucidità, e capisco da dove viene.
Mal di testa. Tremendo mal di testa.
Bruciore ai polsi, alle braccia, al sedere, al viso.
Dolore. Dolore. Dolore.
Lentamente, riesco a pensare a qualcos’altro.
Confusione. Confusione. Dolore. Incoscienza. Coscienza.
Improvvisamente, mi ricordo di mia madre, e articolo il suo nome con le labbra ; “Mamma”, ma la voce non esce.
“Tesoro !” sento improvvisamente. “Sei sveglia !” Mia madre mi stringe delicatamente la mano ed io, riacquistate un po’ di forze, faccio altrettanto. “Mamma” riesco a sussurrare in fine.
“Oh, tesoro come stai ?”. Mi accarezza la testa dolorante. Sta piangendo silenziosamente, ma la voce è strozzata.
Mi guardo intorno, acquisto del tutto lucidità. Sono in una camera d’ospedale.
Tento di mettermi a sedere (il sedere ancora dolorante) ma mia madre mi blocca. “Ferma, cara. Sta’ tranquilla. Adesso devi solo riacquistare le forze. Il ché vuol dire : riposare. Sta’ tranquilla.” E torna ad accarezzarmi i capelli.
Deglutisco più volte, a fatica. “Dov’è quel bastardo ?” chiedo con voce bassa, rauca.
Mia madre china il capo. “Dove che sei svenuta (sul divano, per miracolo ! Sei riuscita ad arrivare al divano), ed io ti ho soccorso, si è presto subito i vestiti e se n’è andato.
Dopodiché io ho chiamato il centodiciotto, e nel mentre che li aspettavamo ti ho trascinato fino al letto , e …” la voce le si spezza del tutto, le sfugge un singhiozzo che mi strazia. Le stringo il braccio con forza, mi metto a sedere. “Mamma … è finita.” La guardo dritto negli occhi. “E’ finita.”

Sono rimasta incosciente per più di tre ore. Ora sono sveglia, qui in ospedale.
Il medico mi visita, arriva la polizia.
“Volete denunciare Matteo Brunetti per aggressione ?” chiedono i poliziotti a me e a mia madre. Io la fisso dritto negli occhi. Forse non resterò ugualmente in quella scuola, ma quel bastardo deve comunque pagare. Non deve permettersi di alzare le mani alle ragazzine indifese. Non è nessuno. Solo un violento e un porco. Fisso il poliziotto che ha parlato dritto negli occhi, distogliendo lo sguardo da mia madre. “Sì, io voglio denunciarlo.”

Sono le dodici e mezzo. I poliziotti se ne sono andati. Il medico ha detto che il mio svenimento è stato dovuto allo shock, e mi è stata data una crema per le piccole ferite ai polsi e alle braccia, oltre che un’aspirina per il mal di testa, anche dovuto alle tirate di capelli.
Resterò qui per tutto il pomeriggio e tutta la notte, sotto osservazione. Domattina, se sarà tutto a posto, potrò tornare a casa.
Mi faccio accompagnare in bagno da mia madre. Mi fisso allo specchio. Ho un livido scuro sotto l’occhio destro, là dove ho sbattuto nel pavimento. Mi sciacquo delicatamente il viso, poi vado a fare pipì. Mia madre mi fissa attenta tutto il tempo.
“Mi dispiace tanto, amore mio” sussurra in fine. Io la fisso, dispiaciuta. Una parte di me dice che è giusto che si senta in colpa, che quello che è successo è colpa sua, ma io non voglio darle retta. “Dispiace anche a me, mamma. Ma adesso è finita. Non ci pensiamo più. Intanto la polizia ne prenderà nota, per quel che riguarda il bastardo. Ma l’importante è che sia io sia tu stiamo bene. Il resto è da dimenticare.”
Mia madre mi fissa, gli occhi luminosi. Poi mi stringe a sé. “Sì, amore. Hai ragione.”

Mia madre è tornata a casa a prendermi il pigiama, l’asciugamano (non l’accappatoio) le pantofole, lo spazzolino, il dentifricio, il cellulare, il libro preso in prestito alla biblioteca questo mese, e il mio libro scolastico d’inglese, dato che ho una lunga poesia da ripetere fra tre giorni.
Le ho detto che non c’è bisogno di restare qua, stanotte. Può benissimo tornare a casa.
“Ma assicurati che la porta sia chiusa a chiave, e non aprire a nessuno” le ho detto, per sicurezza.

Quando torna, e mi ridà il cellulare con il resto, sono le due e mezzo. Ci sono già quattro sms di Alice.
Il primo : “Oh, Sara, non dirmi che non vieni oggi. Ti pregooooo.” Alle otto e dieci, dieci minuti dopo la campanella.
Il secondo, alle nove : “Niente da fare, eh ? Ma è successo qualcosa, Sa’ ?”
Il terzo, alle dieci e cinque : “Qui una noia assoluta. Spero che da te vada meglio. T.V.B.”
Il quarto, alle dodici : “Oh, Sara, ho una brutta sensazione, ma stai bene ? Ti prego, appena puoi rispondimi. Tua Alice.”
Mi sfugge un sospiro. Decido di chiamarla. Mia madre esce fuori dalla stanza. “Sono qui fuori, Sara.” Mi sorride rassicurante. Ha con sé una bottiglia di Campari.
Cerco di lasciar perdere, e digito il numero della mia amica.
“Pronto Sara !”
“Pronto Alice. Sei a casa ?”
“Io sì. Ho appena finito di pranzare. Ma tu dove sei ?”
“In ospedale, purtroppo.”
“Cosa !? Ma perché ? Cos’è successo ?”
“Una lunga storia …” dico solo. Non so cos’altro dire. Forse non avrei neanche dovuto chiamarla.
“Sto arrivando.” E chiude la comunicazione.

Venti minuti dopo, Alice è lì in stanza con me, seduta sul mio letto.
Le racconto tutto. Compreso il fatto che me ne andrò dalla scuola. “Domattina mia madre chiederà il trasferimento alla “Marchesa”. Lì continuerò a frequentare il liceo delle Scienze Umane” annuncio. Non riesco neanche a guardarla in faccia. I miei occhi si riempiono di lacrime. “Questo doveva essere il mio quarto giorno di scuola, lì.”
Dopo un momento di incredulità, Alice si sporge verso di me e mi abbraccia stretta. “Quel verme schifoso pagherà, Sara” mi promette in un sussurro.

Vomito. Una, due, tre volte. Poi mi fermo.
Il medico dice che è abbastanza normale, visto lo shock che ho subìto. Mi visita nuovamente. Dice che sto bene. Devo solo stare tranquilla e riposare. Nel caso vomitassi ancora, cominceremo con le medicine.

Alice, come mia madre, non mi lascia per tutto il pomeriggio. Le racconto la trama del mio libro, studiamo insieme la poesia di inglese, ci scambiamo diverse canzoni col cellulare, chiacchieriamo di ragazzi. Di suo fratello.
“Quando gli ho detto che eri in ospedale per chissà quale motivo voleva accompagnarmi, e anche mia sorella Anna. Ma io non sapevo cos’avevi, e comunque non volevo ti sentissi troppo in imbarazzo. Così ho presto lo scooter e sono venuta da sola. “ Mi fissa con un sorrisetto malizioso. “Ho fatto bene ?”. Scoppio a ridere di gusto.

Alla fine, arriva il momento per quelle due di andarsene. Le saluto con due baci. Alice mi fa una promessa : “Dirò ai miei di chiedere il trasferimento.” Prima che potessi risponderle, è già sparita.

Mi abbandono al sonno verso le nove e mezzo. Presto, davvero presto, per i miei soliti orari.
Riesco a dormire fino alle sei del mattino, ma il mio sonno è inquieto e pieno di incubi.

“Ti ucciderò … Maledetta, osa denunciarmi e ti ucciderò … Ucciderò te, e quella cagna di tua madre …” Poi mi sento precipitare nel vuoto … Precipitare, precipitare, senza mai arrivare a niente. Mi sveglio di soprassalto, in un bagno di sudore, quella risata malvagia che ancora mi rimbomba nelle orecchie.
Mi dirigo verso il bagno dell’ospedale come una sonnambula. Non piango. Proprio non mi va, adesso.
Mi sciacquo bene il viso con l’acqua gelida e faccio pipì.
Dopodiché mi fermo davanti allo specchio. Il livido sotto l’occhio c’è ancora. Ci vorrà un po’ per sparire, ancora …
Il dolore al sedere, ai polsi, alle braccia e alla testa è però svanito, soprattutto grazie ai medici. Mi sento abbastanza bene, ho solo un po’ di nausea.
E’ mattino. Tra poco arriverà mia madre. Devo tornare a casa con lei. Non le racconterò mai del mio sogno.

“Sì, sì, Alice, sto uscendo adesso con mia madre … Sì, sì, tranquilla … Ed ora spegni il cellulare e torna in classe, su …” Scoppio a ridere, poi stacco.

Fisso il tramonto fuori dalla mia finestra.
Sono tornata a casa già da tre giorni. Tre giorni un po’ strani.
Parlo al cellulare con Alice, ci scambiamo sms, mi viene a trovare e facciamo un giro in bicicletta insieme … Mi parla della sua casa, della sua famiglia, di suo fratello. “Perché non vieni a casa mia, uno di questi giorni ?” mi chiede allegra come sempre. Io sorrido. “Va benissimo. Facciamo domani alle tre e mezzo ?” . Alice ci riflette su. “Domani è lunedì. Va benissimo. Così faccio i compiti, e tu mi dai una mano.” Mi fa l’occhiolino.
Questo oggi pomeriggio.

Ma neanche Alice scaccia i miei incubi, la notte, e le mie ansie il giorno. Quelle, anzi, un poco ci riesce, ma la notte è molto diverso …

Sono legata al letto.
Non posso muovermi. Sento le corde che mi legano i polsi alle spalle, che mi feriscono la carne.
E poi sento lui. Lui, con il suo respiro selvaggio, affannoso … Poi lo vedo, lo sguardo animalesco.
Mi viene incontro.
Scopro di essere nuda, completamente nuda. Lui mi sale addosso, mi spalanco le gambe a forza, mentre io grido, e mi violenta.

Non cacceranno il maledetto dalla scuola. Continuerà con il suo lavoro, a scuola, come professore di italiano e latino.
La polizia, quindi, non gli farà niente, ma annoterà la piccola aggressione. Un’altra denuncia simile, e finirà dietro le sbarre. Questo mi conforta un poco.
Mia madre mi sta vicino il più possibile, quando è in casa, ma deve anche andare a lavorare, la mattina … E per il pomeriggio, troverà presto un altro impiego, mi rassicura.
“Non lo stai più vedendo, mamma ?” chiedo, cercando di mascherare l’impeto d’odio.
La sento tremare. “No … Certo che no, Sara.” Poi mi abbraccia, cercando di trattenere le lacrime.
Io non le parlo dei miei incubi.

Come non ne parlo con Alice. La situazione deve essere già abbastanza critica così, figuriamoci se rincarassi la dose … Alice odia quanto me e mia madre quell’uomo. E lei deve continuare a vederlo. Ogni mattina, dal lunedì al sabato. Un giorno, quando gli altri erano già tutti usciti, l’ha guardato dritto in faccia e gli ha detto, quasi sputandogli : “E’ davvero disgustoso, quello che hai fatto, maledetto porco.” Lui non le ha risposto, a quanto pare. Ma l’ha guardata con un sorrisetto. Lei si è avvicinata per tentare di dargli uno schiaffo, ma lui le ha bloccato la mano, e l’ha spinta con forza, mandandola a sbattere nel muro. Lei, infuriata, gli è saltata addosso come feci io, a quanto pare, e mentre lui la bloccava è riuscita a sferrargli un calcio nelle parti basse. Lui l’ha buttata a terra, trattenendo un urlo, e le ha mollato uno schiaffo. Poi le ha detto, mentre lei si dibatteva : “Maledetta puttana ! Non provarci mai più, hai capito ?!”. Lei gli ha sputato in faccia. Poi è riuscita a dargli un altro calcio, rialzandosi, ed è corsa fuori.
Questo è quanto mi ha raccontato.

Due settimane e mezzo dopo, siamo entrambe all’entrata del nuovo liceo. Dal giorno dell’aggressione tra Alice e il prof bastardo, i suoi genitori hanno deciso di ritirare anche lei dalla scuola ; nel frattempo aspettavamo insieme di poter tornare a scuola, seppur in un istituto diverso.
Il padre di Alice, Luigi, voleva anche andar a dare una lezione a quel “farabutto” ma la moglie, Sofia, la madre quarantenne di Alice, e Alice stessa, l’hanno convinto a lasciar perdere. “Prima o poi sarà Dio a punirlo, quel maledetto.”

“Sara, lui è mio fratello Gabriele. Gabry, questa è Sara.”
“Piacere” mormora lui, ed io lo imito. E’ la mia prima volta a casa di Alice.
Fisso suo fratello, un po’ in imbarazzo. Anna, che ho già conosciuto, ha ereditato i suoi splendidi capelli biondo miele dalla bella madre, al contrario degli altri due che li hanno castano dorato, e che hanno ereditato dal padre. Ma tutti e tre hanno ereditato gli splendidi occhi azzurro intenso della madre, che mi colpiscono subito, soprattutto in questo ragazzo. Alto, slanciato, i capelli ribelli, gli occhi magnifici, il portamento quasi raffinato.
Gabriele si passa una mano tra i capelli. “Che ne dici, sorellina, se porto la nostra ospite a fare un giro in motorino ?” .

“Saraaaa, svegliaaa che è giornoooo.”
Reclamata dalla mia amica, ritorno al presente e mi decido ad entrare nella mia nuova scuola. E qui, come mi andrà ?!

“Io sono Elisabetta” si presenta la ragazza che mi ha appena prestato la gomma. Io sorrido : lei sa già il mio nome, e quello di Alice. La prof di italiano e latino ci ha già presentate alla classe, ma ha tralasciato di presentare loro a noi.
“Piacere” mormoro, poi lei sorride ad Alice e si gira verso il prof di matematica che nel frattempo sta spiegando.
Rilasso le spalle, sforzandomi di seguire la noiosa lezione, un sorriso sereno dipinto in volto.

Siamo a quarta ora, la penultima. L’ora di biologia.
Sono in laboratorio, Alice da un lato, Elisabetta dall’altro.
Elisabetta è un ragazza alta, forse la più alta della classe, dai lunghi capelli castani scuri, la pelle olivastra, il sorriso dolce. Abbiamo fatto una bella chiacchierata l’ora precedente, a lezione di storia, dato che la prof era assente e a quanto pare nessuno poteva sostituirla. Ed ora lei ci viene dietro.
“La mie materie preferite sono senza dubbio le principali del nostro corso : antropologia, pedagogia, psicologia e sociologia. Certo, sono un po’ pesanti, ma è proprio per quelle che ho scelto questo indirizzo. Come tutti, immagino.”
“Eh sì” conferma Alice, facendo ondeggiare i capelli castani.
Io annuisco, e sorrido.

Dopo l’ora di economia, “finalmente” (anche se ormai non mi viene tanto più di dirlo) suona la campanella definitiva, e usciamo tutti da scuola.
Salutiamo Elisabetta con un bacio, che corre subito verso l’auto della madre, poi Alice mi tira per un braccio. “Oggi da me, eh.”
“Eh già.”

Anch’io adoro le quattro materie principali del corso, vale a dire le Scienze umane, ma mi piacciono molto anche quelle di Diritto ed Economia. Mi affascinano, diciamo. E, naturalmente, anche l’italiano e la religione. Come alle medie.

“Oh, Sara” Gabriele mi stringe forte a sé, da dietro, mi preme contro di lui, e a me mi sfugge un lungo sospiro.
Ha chiesto a sua sorella se poteva portarmi a fare un secondo giro col suo scooter, e lei ha acconsentito, pur mettendo il broncio. Non so fino a che punto era sincera.
Non ci ha seguiti. Siamo solo, qui in un angolo appartato del parco, sotto i grandi alberi.
Comincia a toccarmi, ora sul serio. Mi accarezza il ventre, lo stomaco, sale fino al seno. Io ansimo, lo lascio fare.
Lui mi spinge contro un muro e comincia a baciarmi con passione.
Il mio primo bacio. Il mio primo, rovente bacio.
Ricambio con ardore, meglio che posso, poi comincio a toccarlo anch’io. Gli accarezzo la schiena, i fianchi stretti, poi mi aggrappo alle sue spalle ampie, mi incollo al suo corpo, cercando in lui calore, piacere, forza.

Gemo, a tratti di dolore, a tratti di piacere, mi muovo sotto di lui, dimeno la testa.
Lui me la prende tra le mani. “Guardami” sussurra, ansimando.
Lo guardo negli occhi, azzurri come il cielo, come il mare, me li ricorda entrambi. Poi si spinge di nuovo dentro di me, con ardore, e allora vedo le stelle.

Ci sono cinque chiamate di Alice, e due di mia madre. Avevo spento il cellulare.
Gabriele accarezza delicatamente il mio corpo nudo, ed io il suo.
“Non sono mai stata più felice in vita mia” sussurro all’improvviso. Questa frase mi sgorga dal cuore, come un fiume in piena. La libero. La pronuncio.
“Davvero ?” sussurra lui a sua volta. Mi bacia il capo.
Mi sollevo per fissarlo, lì nel mio letto. A casa mia. “Sì. Io … credo di amarti, Gabriele.”
Lui sorride. “Bene” dice con dolcezza.


Dieci anni dopo …
“Oh, Saruccia” mi canzona Alicetta, dandomi una leggera manata sulla spalla e facendomi sdraiare sulla panca imbottita. Scoppiamo a ridere.
Mi rimetto a sedere e mi sistemo alla meglio i lunghi capelli biondo ramato e la camicetta bianca. Afferro la bottiglia di Whisky da terra, lì sul prato, e ne bevo un sorso. Rabbrividisco, e chiudo gli occhi. Come brucia !
Alice, la mia migliore amica da ormai dieci anni, mi guarda storto con i suoi vividi occhi azzurri, gli stessi di mio marito Gabriele, suo fratello maggiore. “Oh, andiamo, e smettila con questo alcool ! Non capisci che ti fa male ?! E se restassi incinta da un momento all’altro ?!”.
La fulmino immediatamente con il mio sguardo verde-dorato, e batto un tacco rosso lì sul prato. “Ma smettila, Alì ! Ci siamo laureati meno di quattro mesi fa ! E abbiamo appena cominciato a lavorare sul serio ! Non abbiamo neanche una casa nostra … siamo solo in affitto …” La mia voce si affievolisce, da indignata si fa amara.
Alice non cede. “Ma dai, Sa’. Gabriele ha già trovato un lavoro perfetto, millecinquecento euro al mese ! Certo, anche grazie ad un bell’aiuto, ma … E che importa, se lo meritava ! Anzi, ve lo meritavate ! E anche tu …” Fa una smorfia ; aspetta un mio commento.
Io sospiro, leggermente affranta. “La dottoressa Mattei … Ha fiducia in me. Sono una psicologa ufficialmente … Ma di cose ne ho ancora da imparare …”
“E che importa ! Sei sotto la sua guida, tanto ! E ti dà già novecento euro al mese !” Sorride con calore. Io ricambio, con tutta la sincerità possibile. “Hai ragione !” esclamo improvvisamente, seppur non tanto convinta. “Vedremo cosa fare con la casa … Un mutuo sarebbe molto meglio … E per un figlio … Ne discuteremo stasera !”.
Sì.

E’ da tempo che immagino di avere un figlio, o una figlia. O anche entrambi. Molto tempo, per quanto permettano i miei ventiquattro anni.

Ho sposato Gabriele poco dopo aver compiuto i ventuno anni. Sono stati raccolti tutti i soldi necessari, e ci siamo scambiati le promesse matrimoniali sia al comune che in chiesa. Indossavo un meraviglioso abito da sposa, che avevo scelto sei mesi prima. Era costato tanto … Metà del denaro l’aveva messo mia madre, metà io, grazie al mio lavoro pomeridiano come commessa. Lavoravo tutti i giorni dalle tre e mezzo fino alle otto di sera per quattrocento euro al mese. E avevo messo da parte quasi tutto, per quasi due anni. Avevo iniziato a diciannove, insieme all’università.
L’università me la pagava metà mia madre e metà il mio compagno, grazie al suo primo lavoro come tecnico di computer.
Non volevo facessero questo … Potevo benissimo pagarmela io, col mio lavoro. Ma era inutile insistere con loro. Lo stesso era valso per l’abito da sposa e tutto il resto. Mia madre aveva insistito tanto. “Sei la mia unica figlia ! Esisti solo tu, per me, Sara ! Lascia che faccia ciò che è giusto !”.

Un marito che amo da sempre, con cui faccio l’amore ancora il più possibile, una casa non nostra ma che paghiamo ogni mese, per averla … E i nostri figli.
Questo penso, mentre Gabriele, gli occhi turchini annebbiati dalla passione, mi libera della vestaglia e preme la sua virilità, ancora fasciata dai pantaloni, in quel punto tanto sensibile in mezzo alle cosce, ancora coperto dalle mutandine. Sospiro, inarcandomi, priva di volontà, e mi protendo verso di lui.
Siamo in piedi lì vicino al letto. Gabriele prende a baciarmi con ardore, a lambirmi con le labbra e la lingua ovunque, io gli allaccio le gambe intorno al bacino, e chiudo gli occhi, sentendomi come innalzata verso il cielo, il paradiso.
Gabriele mi abbraccia forte, poi mi getta sul letto. Mi tiene bloccata lì sotto di lui, comincia a lambirmi i seni morbidi e turgidi con le labbra, la lingua. Gemo, inarcandomi nuovamente. Lui si issa sopra di me, si solleva, e fa per sfilarsi i jeans. “Gabriele” sussurro, i sensi annebbiati dalla passione. Lui mi fissa con quei suoi occhi ardenti, che tanto adoro. “Sì, Sara ?” . Prende a baciarmi dolcemente il volto, si spinge contro di me.
Io gli accarezzo i capelli castani, lo fisso negli occhi. “Voglio avere un figlio con te” dico decisa e speranzosa allo stesso tempo.

“E’ maschio” dichiara la ginecologa.
Sorrido, radiosa, felice più che mai.
Un maschio. Un maschietto. Sono davvero felice.

Esco dallo studio e chiamo Gabriele per comunicargli la notizia. Accanto a me ho la mia cara mamma poco più che quarantenne.
Ho ventiquattro anni.
Tra poco avrò un figlio, un bimbo tutto mio.
E sono felice. Sono molto felice.

Dieci anni dopo …
“Antonio !!” urlo a squarciagola. “Paola !!” .
Non ho idea di che fine abbiano fatto. Eravamo al supermercato, erano entrambi alle mie spalle … Paola, la mia bambina di sei anni, nel carello, e Antonio, il mio primogenito di nove, che la faceva girare in tondo …
“Antonio !!” urlo ancora. Nessuna risposta. Le lacrime cominciano a riempirmi gli occhi verdi-dorati, il terrore ad assalirmi. Mi stringo le braccia snelle intorno al ventre prominente, poggio le mani sul mio pancione. Su mia figlia, che dovrebbe nascere entro due mesi. “Oddio.”
Sto per andare da uno dei cassieri, per farmi aiutare, quando una signora anziana, vestita elegantemente, mi blocca. “Signora, ha perso i suoi figli ?” mi domanda, la voce ansiosa. Si accorge del mio stato e fa una smorfia. “Sì !” esclamo. “Perché !? Lei l’ha visti ?!” . La vecchia mi indica un bambino e una bambina messi in un angolo, già fuori dal supermercato, intenti a parlare con uno zingaro. Mi precipito verso di loro senza più curarmi della vecchia che mi ha aiutato.

“Che modi che avete ! Ma che modi ! E’ proprio una vergogna ! Siete una vergogna !”urlo, più forte ad ogni parola.
Antonio e Paola sono nel sedile posteriore, muti e immobili come non capita praticamente mai.
Io mi sento un po’ male. Lo spavento, il terrore di aver perso le mie creature, anche se per pochi attimi, mi ha molto scombussolata.
Mi sforzo di tenere le mani ben salde sullo sterzo, gli occhi lucidi fissi sulla strada. Prima torniamo a casa, meglio è. Ho davvero bisogno di riposare, di rilassarmi. O rischio di partorire prima del tempo.

“Come stai, mamma ? Come sta Asia ?” domanda preoccupato mio figlio Antonio.
Sono sdraiata nell’unica posizione possibile, qui nel letto mio e di mio marito Gabriele. Sto male, e non è certo la prima volta, durante questa terza gravidanza. Sospiro. “Che vuoi che ti dica, Antoniuccio ? Non bene. O meglio, io non sto tanto bene, ma sono sicura che la tua nuova sorellina stia benissimo.” Mi sforzo di sorridere, di pensare positivo.
Fisso i suoi splendidi occhi, identici ai miei, mentre lui china il capo, poi esclama in tono sarcastico: “E riguardo alla vecchia sorellina ? Dice che ha fame. Io dico che sta pure per piangere !” Sbuffa in tono teatrale, ed io scoppio a ridere. Mi sollevo verso di lui. “Avanti, tesoro, pensaci tu. Anzi, sistemate la tavola insieme. Poi prendete pane e wusterl e dateci dentro. Tra poco arriverà papà … poi ve la vedrete con lui. Adesso su, vai.”

Il dolore che mi sta trapassando da ormai due ore o più è implacabile, terribile, inimmaginabile per qualcuna che non ci sia ancora passata … Tanto che, alle fine, quasi mi sento come spezzata in due … Gli spasmi si susseguono senza tregua, lacerandomi ogni volta, dandomi come l’impressione di scoppiare.
Ho già ben conosciuto questa tortura, quest’inferno massacrante … L’ho conosciuta a venticinque anni, l’ho riprovata a ventotto, e la sto riprovando ancora una volta, a trentaquattro anni. Le doglie si fanno sempre più frequenti, sempre più terribili, di minuto in minuto, di ora in ora. Urlo, scalcio, cerco di alzarmi, cerco di gattonare … Di ricordarmi cos’ho imparato ai corsi pre- parto. … Mi rendo conto, e con me anche i medici, che il momento del parto vero e proprio è sempre più vicino … Il terribile travaglio è quasi passato … Ora è arrivato il momento della fase più faticosa, più difficile e terribile … Ma anche meraviglioso perché da qui nascerà mia figlia, la mia piccola Asia.

Sia durante il parto di Antonio che quello di Paola, accanto a me ho avuto mia madre. Adesso non ce l’ho più. Perché è morta. E’ morta di tumore al fegato, un anno e mezzo fa. Ho sofferto tantissimo per lei ; per un due mesi quasi non riuscivo a ragionare. Mi sono fatta forza per amore dei miei figli, di mio marito, della mia migliore amica e cognata da ormai vent’anni, Alice.
Poi rimasi incinta della mia Asia, ed ora eccomi qui, in un letto d’ospedale, pronta a darla alla luce.

Passarono quattro ore, forse più, poi finalmente arrivò il momento. Quello ancor più difficile e traumatico.
Il primo parto, quello in cui ho dato alla luce Antonio, fu il più terribile : il travaglio durò dieci ore. Dieci ore di sofferenze atroci. Poi finalmente feci la dilatazione e, dove un enorme sforzo, mio figlio, di ora nove anni e mezzo, finalmente nacque.
Quello di Paola durò sette ore e mezzo, e la bambina rischiò quasi di morire, strozzata dal cordone ombelicale.
Quando in fine anche lei nacque, sei anni e mezzo fa, giurai a me stessa e a mio marito che mai più avrei subìto una tale sofferenza, anche se le mie creature, una volta uscite dal mio grembo, mi avevano tanto rallegrato. Come avevano rallegrato Gabriele, e probabilmente ci avevano uniti ancor di più.
Nonostante il mio giuramento, ora sono qui, e stiamo per avere la piccola Asia.

Mio marito e mio suocero sono fuori con i bambini.
Alice ed Anna, mie cognate e care amiche, e Sofia, mia suocera, sono qui accanto a me, insieme ai medici.
In un attimo di sbigottimento, intravidero la testa della neonata. “La vedo !” La ginecologa mi venne accanto e mi sussurro : “Adesso cara devi proprio mettercela tutta. Alla prossima devi spingere, e devi farlo con tutte le tue forze.”
“Non ho più forze” riesco a malapena a sibilare, poi ricado esausta sul cuscino. Finché l’ennesima fitta atroce non mi squarcia viva.

“Sì che ce le hai, avanti !” mi incoraggia la ginecologa. “Per te non è mica la prima volta ! Avanti, Sara !” Mi prende il viso bagnato di sudore e di lacrime tra le mani. “Urla se vuoi, impreca, ma per l’amor di Dio dai alla luce tua figlia.”
La fisso con occhi appannati, esausti. Mi sento impazzire, morire.
“Coraggio, Sara … Puoi farcela … puoi farcela anche stavolta” mi dice Alice con voce strozzata, stringendomi la mano. Fisso i suoi splendidi occhi azzurri, e vedo la mia amica del cuore dal primo anno di liceo … E anche il mio grande amore, il mio uomo. Poi vedo mia figlia, e mi decido a farla finita.

“Più forte, Sara !”
“Non ce la faccio !” grido di rimando, disperata. Non ce la faccio … forse, almeno stavolta, era meglio il cesareo …
“Sì che ce la fai ! Forza, spingi !”
Lo sforzo quasi mi solleva dal cuscino e dal letto, poi ricado ansimante ed esausta.
All’ennesima, atroce fitta, riprovo, mentre mi scostano i capelli color del tramonto dal volto. Voglio mia madre … La voglio ancora … qui con me …
“Non ti fermare … Sta uscendo … Riesco a vederlo … Ancora un po’, coraggio !”
Spalanco i miei grandi occhi verde-dorato quando con una fitta atroce mi sento aprire in due, una tensione terribile sembra lacerarmi come un colpo di spada.
Urlo a pieni polmoni e finalmente la sento uscire. Con un gemito di meraviglia e di intenso sollievo, sento mia figlia scivolare via da me, completamente, e un totale senso di liberazione m’invade. Poi, sento un brivido di eccitazione e di gioia autentica quando la stanza risuona del suo primo vagito.
Ricado suo cuscini respirando a fatica, troppo stanca per chiedere se sia tutto a posto, troppo stanca per guardare …
La voce di Alice mi giunge piena di emozione. “E’ un’altra splendida bambina, bella e perfetta come Paola e Carlo. Dai alla luce figli meravigliosi, cara sorella.”
Lo so, cara sorella.

Asia Maria D’Alberti, nata il venti luglio duemilatrentatré, alle ore diciotto e trenta.
Segno : Cancro.
Occhi : azzurri -dorati.
Capelli : castano dorato.

Mah. Per quel che riguarda il segno zodiacale, io sono Vergine, questo si sa.
Mia figlia Paola Ginevra è nata il dieci gennaio duemilaventisette. Il suo segno è il Capricorno. Dunque è lei la figlia che mi somiglia di più ? Secondo gli astrologi …
Le mie due bellissime principesse.
Un’infanzia molto più serena, felice e agiata per loro, della mia. Grazie, Signore.
Poi c’è il mio bellissimo principe, il mio unico maschietto : Antonio. Lui è del segno dell’Ariete. Come il padre. Uhm …

Avevo tanto bisogno di parlare un po’ dei miei tre figli, della mia famiglia.
Non ho passato un’infanzia tanto bella, e neanche la preadolescenza.
Ed ora, mentre ho i miei figli più grandi intorno a me e allatto la mia ultimogenita, ci ripenso un po’ … E più ci ripenso più mi rendo conto di quanto sono felice. Mi viene da ridere di gioia.



   
 
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