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Autore: Columbrina    07/09/2013    3 recensioni
A Fang
Il fatto che Lightning avesse permesso a Snow di vivere nella casa che avrebbe visto il coronamento dei sogni familiari di lui insieme a Serah, non significava affatto che i due dovessero comportarsi come se nulla fosse successo.
[...]
“Me la sono sempre cavata da sola, da quando ho quindici anni. Non ho bisogno di te. E vuoi sapere il perché?”
Snow, senza dire niente, annuì piano.
“Perché tutte le persone che amo, prima o poi, scompaiono dalla mia vita”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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A Fang, perché gliel'ho promesso e per il solo fatto di esistere.

 
 
Il fatto che Lightning avesse permesso a Snow di vivere nella casa che avrebbe visto il coronamento dei sogni familiari di lui insieme a Serah, non significava affatto che i due dovessero comportarsi come se nulla fosse successo.
Il dolore era disceso su di lei come una valanga. Una valanga fatta di passato.
Era bravo a fare finta di niente, specie quando nel cuore della notte la sentiva singhiozzare, passando distrattamente vicino alla porta della sua stanza per assicurarsi che stesse bene; lei, di contro, era brava a fingere di non notarlo, tanto che stringeva i denti e faceva in modo che non si emettesse alcun suono, che le lacrime potessero scendere per far fronte al bruciore che le dilaniava la gola, ma erano come indurite nell’angolo di occhio da cui solitamente scendevano, quindi finiva per singhiozzare ulteriormente.
Era riuscita a scendere a patti con le sue debolezze, controvoglia. Lightning, però, non si spiegava perché Snow non ne facesse accenno quando si incrociavano in cucina, consumando ognuno la propria colazione e limitandosi ai convenevoli che si scambiano le persone civili quando non hanno più nient’altro da dirsi. Poi uscivano entrambi e Lightning era solita rientrare molto tardi, quando Snow era già a letto nella sua stanza, quindi si faceva una doccia, si cambiava e poi pensava. Pensava al punto che la testa le pulsava forte, come se tutti i pensieri che aveva accumulato durante questi anni, volessero uscire senza ascoltare storie. I pensieri non l’avrebbero mai messa alla gogna, quindi cercava di reprimere il dolore inespresso con pianti silenziosi e viaggi intimi e liberatori.
E Snow che la osservava silenziosamente, dallo spiraglio soffuso che apriva la porta socchiusa, sentendosi impotente per l’ennesima volta.
Poi prendeva a piangere anche lui.
 
 
***




“Non credevo ti avrei mai trovata qui”
Il crepitio del legno della passerella la fece voltare, perché quel passo pesante e quella voce così soffusa erano inequivocabili, senza che si impegnasse a indovinare che fosse Snow Villiers in persona a prendere ora posto vicino a lei, sul molo della spiaggia.
“Non credevo mi sarei fatta mai trovare. Il punto è… Perché non fai altro che osservarmi?”
Gli occhi azzurri di Snow si adagiarono sul suo viso levigato e accigliato come due ombre cupe, per poi perdersi nell’orizzonte della linea del cielo rosato, mentre il chiarore dei primi raggi silenziosi sbuffava via l’ultimo grigiore della notte. Entrambi i loro sguardi si impregnarono di quel metaforico risveglio dei sensi, frattanto che il cuore sprofondava ancora in un sonno profondissimo.
Accorato da quel silenzio un po’ teso, Snow ci mise un po’ a rispondere.
“Vuoi saperlo proprio?”
Ora erano gli occhi di Lightning a scrutarlo incessantemente per trovare una risposta; cercava di leggergli in quell’azzurro limpido, che giocava a nascondino con lunghe ciocche di capelli biondi che gli ricadevano disordinatamente sullo sguardo. Eppure, quel sentore malinconico che proveniva da ogni, straziante momento gli conferiva un ché di elegante, un fascino distratto che solitamente veniva corrotto dalle sue chiacchiere inutili.
Snow Villiers era proprio un curioso soggetto: anche con la schiena inarcata, le mani giunte e stretto nelle spalle in questo modo, riusciva ad apparire inconsapevolmente fragile, come se fosse fatto delle poche certezze che avevano contraddistinto i loro giorni dalla morte di Hope fino a quello; non era importante neanche il fatto che la superasse di qualche spanna anche da seduto.
Lightning prese un metaforico respiro.
“Voglio sapere cosa hai intenzione di fare. A lungo andare, questa calma apparente stanca”
Snow rise sommessamente, abbassando lo sguardo.
“Che tu ci creda o no, ti sto facendo un favore”
Sentì la rabbia montare dentro di sé, come un fuoco che stesse istigando tutto ciò che c’era stato di inespresso in questi ultimi tempi.
Però Lightning gli era grata: Snow era stato il primo a farle finalmente provare una sensazione diversa dall’insofferenza.
“Ah sì?”
“Sì. Dandoti il tempo di soffocare la rabbia prima che questa possa prendere il sopravvento su di te. Sai perché passo davanti alla tua stanza tutte le sere? Per assicurarmi che tu stia piangendo. Lightning, credimi, se non stessi reagendo dinanzi a tutto ciò che ti sta – che ci sta – succedendo in questi ultimi tempi, sarei seriamente preoccupato”
Il sole stava facendo timidamente capolino da dietro il confine tracciato dal mare, calmissimo, come se non volesse compromettere il castello che le loro parole stavano costruendo.
Nei loro gesti – i movimenti concitati delle mani, gli sguardi fugaci e le parole inespresse – non c’era la certezza che fosse tutto frutto di un’apparente forzatura, quasi un istinto di sopravvivenza, anzi stavano trovando il modo di rafforzare ciò che avevano costruito durante la loro avventura insieme, dove entrambi si erano ritrovati a discapito delle aspettative, dove si erano stretti la mano e si facevano forza l’un l’altro.
Lightning, per la prima volta, apprezzò veramente Snow Villiers.
“E tu, eroe? Come stai?”
“Tiro avanti. Ora devo fammi forza e rimettermi definitivamente in sesto per pensare a me e a te, ai ragazzi e a tutta Bodhum. Lo devo a Serah”
Lightning gli rivolse uno sguardo interrogativo, che si mischiò all’accoratezza di sentire ancora la determinazione di un eroe, facendole sperare che avesse smesso i suoi panni solo temporaneamente, giusto il tempo di smaltire il nero del dolore.
“Mi ha chiesto di pensare a te, di prendermi cura di te fino a quando non sarebbe tornata e io intendo tener fede a questa promessa” annunciò, con crescente enfasi, stringendo i denti per non arrendersi all’effettiva realtà dei fatti.
Stavolta, fu Lightning a ridere sommessamente, disillusa.
“Serah non tornerà più; che senso ha mantenere la promessa?”
“Allora vorrà dire che mi prenderò cura di te per sempre”
Se avessero chiuso gli occhi e aperto un po’ di più le orecchie, avrebbero potuto sentire un suono sospetto, una specie di tonfo sommesso, come una sfera di vetro che veniva agitata all’interno di una scatola, seguito da un fremito e un fruscio che si insinuava all’interno dei loro sguardi e dei loro volti, rendendoli più sorpresi di quanto non fossero già. Sì, perché in altre occasioni Lightning non si sarebbe fatta scrupoli a dare il benservito verbale a Snow.
Un attimo di esitazione, giusto un momento che, per quanto essenziale, non riuscì a impedire a lei di barricarsi all’interno del suo incrollabile senso d’indipendenza.
“Me la sono sempre cavata da sola, da quando ho quindici anni. Non ho bisogno di te. E vuoi sapere il perché?”
Snow, senza dire niente, annuì piano.
“Perché tutte le persone che amo, prima o poi, scompaiono dalla mia vita” ammise, sentendo i cocci di una fragilità passata rimettersi insieme e pungerle sulla pelle, sugli occhi e sulle parole “Prima o poi tutti se ne vanno, sì, ma la vita non mi dà neanche il tempo di tentare di salvarli. I miei genitori sono andati e ho lottato per Serah. Serah se n’è andata e ho lottato per Hope. Hope ha lottato per se stesso, ma non è bastato, è andato via anche lui. Vedi perché cerco di non affezionarmi mai troppo? L’assuefazione porta alla distruzione e quando viene a mancare, ti consuma dentro, ti sviscera e ti impedisce di respirare. Io voglio lottare, Snow. Ma non ho niente per cui farlo”
Sentì il calore sudato delle mani di Snow che si stringevano teneramente intorno alle sue dita esitanti, un po’ spaventate, come se stessero assaporando una sensazione per la prima volta. Se le portò vicino al petto e poi vicino alla bocca, baciandole con le parole.
“Ora devi lottare per te stessa, Light” sussurrò Snow, quasi respirando vicino alle sue mani “Devi lottare. Sei una guerriera, sei un fulmine. Un fulmine che protegge. Sì, Light, hai la forza di proteggere ciò che ti è rimasto come i bei ricordi di Serah e dei tuoi genitori, gli insegnamenti che hai dato a Hope, perfino il pugno che mi hai mollato una volta… Sono queste le cose per cui vale la pena vivere. E Serah non avrebbe voluto diversamente”
“Non sai quello che voleva Serah”
“Sì che lo so, perché quello che voleva Serah lo volevamo entrambi e cioè la tua felicità. E come noi, la vogliono Hope e i tuoi genitori”
A quel punto, Lightning smesse i panni che aveva portato per tanto tempo, ovvero quelli dell’insofferenza, dell’apparente mancanza di scrupoli che avevano sradicato la sua umanità, sepolta sotto la sua identità. I suoi occhi stavano prendendo i colori dell’alba, simile a un quadro a olio per quanto era suggestiva. E la spiaggia era ancora deserta.
“Claire” sussurrò lei, respirando quelle parole, respirando la sua identità.
“Come?”
“Claire, è il mio nome. Volevi saperlo, no?”
“Già lo sapevo; lo disse Barthandelus con l’inganno… Però, ha un altro impatto, detto da te”
Lei si limitò a sorridergli. Non uno di quei sorrisi calorosi, dove le labbra si schiudevano fino a mostrare i denti e formare delle pieghe sotto agli occhi, ma giusto un po’ accennati, che non fanno trasparire nulla se non la certezza di potersi sentire finalmente al sicuro, a casa.
E Snow non l’aveva mai trovata così bella.
“E poi, visto che posso iniziare a chiamarti per nome, vuol dire che siamo una famiglia in tutto e per tutto!”
Stavolta rise, sempre sommessamente, come se fosse un sospiro grave.
“Bel tentativo, eroe, ma per te resterò sempre Lightning
Snow alzò le mani come per dire “ci ho provato”.
“Meglio così, però… Credo che Lightning ti si addica di più”
Si sorrisero e presero a battibeccare, come sempre, coronati dai raggi caldi di un sole che sembrava sorridere ad entrambi; un calore che entrambi avevano avvertito più volte, con Serah e Hope, così come una luce che avevano già visto nei loro occhi. Era come se Serah e Hope stessero sorridendo a entrambi.
Nel mentre, Snow pensava a quello che gli aveva detto Lightning, poco fa, sul fatto che tutte le persone più importanti della sua vita, scomparivano prima che lei avesse il tempo di assaporare gli attimi più belli.
E le promise che mai si sarebbe allontanato. Ma non lo promise a Serah, stavolta. Bensì a se stesso e a lei.
Sì, sarebbe stata questa la sua missione.
 
“Ehi, Light… Un’ultima cosa”
“Cosa?”
“Grazie”
Light gli accennò un sorriso.
“Non ho fatto niente”
“Una cosa l’hai fatta, un po’ di tempo fa… Mi hai dato forza quando non ci credevo più, quando tutti credevano che fosse tutto normale, quando ero smarrito perché tu mi hai detto una cosa. Quindi, permettimi di ricambiare il favore e, oggi, lo dico io a te”
“Cosa, Snow?”
“Sii forte, Light. Anzi, siamo forti… Insieme

 
 
 
 
 
 
Note a margine:
 
Storia nata dopo la lettura di questa meraviglia, dal titolo Melodies of life, di cui ho l’onore di conoscere l’autrice: una ragazza stupenda che conosco con il nome di Fang, una delle mie più grandi sostenitrici della Neve Fulminante – la coppia formata da Snow e Lightning – e del tredicesimo capitolo.
Vorrei ringraziarla perché mi ha ispirato, emozionato e fatto uscire dal buio tunnel in cui mi aveva incastrato la mancanza di ispirazione.
 
Perciò Fang, grazie mille e goditi questa storia.
 
Menzione speciale va a quattro donne fantastiche, la cui gratitudine va anche per il solo fatto di esistere:
 
Ad _alister, che mi ha scritto per il compleanno.
 
A Vivy, una delle più grandi seguaci della Neve Fulminante.
 
A Laxy, che mi ha fatto scoprire la GuinLance. Devo ricambiare il favore in qualche modo.
 
A Manila, che si sta approcciando a questa coppia con crescente entusiasmo.
 
   
 
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