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Autore: hapworth    07/09/2013    2 recensioni
Non riesce a dimenticare gli occhi di Haru che guardano sempre dinanzi a sé qualcosa che non c’è ma che, Makoto sa, esiste; forse non lì, forse non in quel momento… Ma c’è, è reale.
E quel qualcosa non è una “cosa” ma un qualcuno: Rin.
[Makoto/Haruka] ~ Nona classificata al 1:1 indetto da Riot:
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Prima e ultima, probabilmente, apparizione sul fandom e, siccome amo visceralmente la MakoHaru non potevo non scriverci sopra, dopo essere stata adeguatamente stuzzicata XD
I personaggi non mi appartengono e io non scrivo a fini di lucro ma per puro e semplice divertimento – anche se poi gli stessi creatori sembra che vogliano incoraggiare certe cose. Li amo, per questo ;^;
Buona lettura!

By athenachan

 
Invisibile agli occhi

"Why do I keep hoping you'll notice me when you always just look right over my shoulder?”
            
«Ti amo… Ti amo…»
«Abbracciami.»

La prima volta che hanno fatto l’amore Makoto ha creduto di essere riuscito, finalmente, ad entrare sotto la pelle di Haru; ha pensato che probabilmente era stato in grado di far cadere il suo sguardo - sempre perso oltre la propria figura – verso di sé. Poi però ha guardato i suoi occhi blu e ha capito che quello che era successo tra loro, per il moro, era stato uno sbaglio.
Non c’è bisogno di negarlo: si è sentito tradito, per un attimo, per interi istanti, si è sentito usato e umiliato nel proprio intimo, nella profondità di quel sentimento fatto di fiducia e completa devozione che, fin da bambini, lo ha sempre legato ad Haru.
Forse lo ha odiato, mentre ancora lo teneva contro di sé, il corpo tiepido, per baciarlo poi con rabbia e frustrazione; la consapevolezza che, forse, ciò che vuole non sarà mai suo. Ma è durato il tempo di un respiro profondo, l’istante prima del tuffo nella vasca; e l’odio ha lasciato il posto al dolore e a quell’amore che, ancora, gli logora il petto.
Non riesce a dimenticare gli occhi di Haru che guardano sempre dinanzi a sé qualcosa che non c’è ma che, Makoto sa, esiste; forse non lì, forse non in quel momento… Ma c’è, è reale.
E quel qualcosa non è una “cosa” ma un qualcuno: Rin.
Sempre lui al centro, insieme a tutto ciò che ruota intorno all’acqua e al nuoto. Makoto lo sa, ne è consapevole e, al tempo stesso, vorrebbe non esserlo; perché fa male, perché alla fine è sempre lui ad uscirne sconfitto sotto ogni aspetto. Perché Rin è ciò che Haru ha sempre voluto, fin da quando erano solo bambini. Makoto lo ha sempre letto nei suoi occhi chiari e limpidi, sinceri: non lo guardava mai direttamente, lo osservava in tralice quando pensava di non essere visto e, proprio questo, ha dato modo a lui di capire. Era lo stesso modo in cui lui ha sempre guardato Haru.
E ora sembra di essere tornati a tanti anni fa, prima della partenza di Rin.
Rin che guarda dritto dinanzi a sé, andando avanti con sicurezza e Haru che ne guarda da lontano la schiena; Makoto sa di essere l’ultimo, sa di essere l’ombra sullo sfondo, quella che osserva in silenzio la figura immobile del moro, che pare sempre sul punto di spezzarsi.
Sono amici. Sono sempre stati amici – più per sua imposizione che per altro, lo riconosce – però mai una volta l’altro ha voluto parlargli sinceramente di ciò che lo legava a Rin. Da un lato vorrebbe che Rin capisse e cercasse Haru per risolvere la situazione che presto sarà insostenibile, ma la parte egoista, quella parte che ha sempre cercato di sopprimere, vorrebbe tanto che superasse quell’ostacolo. Vorrebbe solo che lo guardasse.
«Ho visto Rin, oggi.» Makoto rabbrividisce internamente, diviso tra la voglia di sapere e quella, invece, di non essere informato di nulla; tuttavia Haru non è un tipo molto empatico e che gira intorno ai discorsi, dunque continua a parlare «Ha fatto finta di non conoscermi.»
Non stenta a crederlo, del resto sarebbe un comportamento molto da lui; anche se non lo dice, il castano legge negli occhi cristallini dell’amante dolore. Dolore mentre si appoggia con la schiena contro il suo petto, nella vasca, alla ricerca forse di un contatto, di un calore che Makoto non gli rifiuta, stringendogli le braccia sulle spalle, tenendolo contro di sé.
Tuttavia non parlerà, non lo farà proprio perché ama Haru e non vuole ferirlo ulteriormente. Forse è una mossa stupida: probabilmente dovrebbe prendere il coraggio e dirgli in faccia, una volta per tutte, che vorrebbe essere l’unico, per lui; ma ancora non ce la fa. Ancora è legato a quell’idea in cui l’amico di sempre lo rifiuterà sicuramente, se solo oserà dargli un ultimatum – anche se sa benissimo che Haru non lo farebbe mai.
Makoto si abbandona all’idea di riaverlo ancora, prenderlo così, da dietro, mentre sono nell’acqua che da tiepida ormai sta diventando fredda; né a lui né al moro piace farlo in quella posizione ma, forse, è lui il codardo: se solo l’amante lo guardasse con i suoi occhi cristallini, sa che non riuscirebbe a nascondere quel tripudio di sentimenti e quella sofferenza intensa che hanno un solo nome.
«Haru… Haru…» mormora piano, stringendo le braccia intorno al suo petto, il viso a strusciarsi piano contro il suo collo, i capelli che – probabilmente – solleticano le guance del moro che sta gemendo sommessamente mentre lui si spinge dentro il suo corpo. Sospira provato Makoto, sofferente ad ogni spinta, perché quel fare l’amore lo fa sentire male, perché Haru sa, anche se fa finta di nulla e lui non può fare a meno di soffrire nel tenerlo contro di sé, prendendolo.
“Amami almeno un po’… Solo un po’” pensa ad ogni affondo, mentre il compagno stringe le dita ai bordi della vasca da bagno, reclinando il capo all’indietro. Probabilmente Haru non ci pensa, probabilmente preferisce soffocarsi dentro quel rapporto che sa di dolce e amaro ma Makoto non ce la fa a far tacere la testa; non ce la fa a non pensare che Haru non è suo, che non lo sarà mai.
Il suo destino, probabilmente, è quello di continuare ad amare in silenzio. Forse è per questo motivo che, ancora, il moro non lo guarda, che ancora non riesce a superare quel legame ormai appassito e reciso alla radice da Rin stesso, non solo dopo la sua partenza ma anche dopo il suo ritorno. Per un istante ha desiderato credere di potercela fare: che non gli importasse nulla di essere solo quel rimpiazzo o quell’amico di letto che, per Haru, non è nient’altro che uno sfogo.
Ci ha provato, davvero, ma poi pensava ai suoi occhi.
Quegli occhi così limpidi, incapaci di mentire anche solo per sbaglio; ed ha capito di non potercela fare, consapevole che il moro, per lui, prova qualcosa ma non minimamente paragonabile al proprio sentimento. L’amore, per Haru, sarà sempre Rin.
Sa di non essere un rimpiazzo, del resto negli occhi dell’amante non vede mai, riflessa, l’immagine di Rin quando lo prende; tuttavia è conscio anche che quel loro rapporto non è nient’altro che uno sfogo, un leccarsi le ferite – forse – dove Haru cerca di credere che non gli importi nulla di Rin e dove Makoto cerca di convincersi che il moro è finalmente suo.
In entrambi i casi non è che una bugia. Una bugia meschina, che però li fa andare avanti, insieme, legati da quella sofferenza comune di non poter avere ciò che desiderano.
La verità, però, è che Makoto ancora spera di fare breccia nel cuore sanguinante di Haru. La verità è che non può fare a meno di sperare che, almeno un giorno – solo uno – Haru lo guardi come guarda Rin; probabilmente gli basterebbe per continuare a portare avanti una relazione fatta di dolore e tristezza, nascosta dietro ad una corazza di dolcezza che, però, non basta da sola a coprire tutto il resto.
Sa che la speranza non riuscirà mai a perderla, anche se significa continuare così per sempre.
Lo ama ora e lo amerà anche domani e, proprio per questo, può perdonare i suoi silenzi e i suoi occhi blu, che mai gli hanno mentito.

«Makoto.»
«Si, Haru?»
«Perdonami.»

Fine
   
 
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