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Autore: Ser Balzo    07/09/2013    4 recensioni
Un uomo e un ragazzo si incontrano, sull'orlo del baratro, alla fine di tutto.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rendez-vous

I have a rendezvous with Death

At some disputed barricade,[...]

It may be he shall take my hand

And lead me into his dark land

And close my eyes and quench my breath [...]

I've a rendezvous with Death [....]

And I to my pledged word am true,

I shall not fail that rendezvous.


- Alan Seeger, I Have a Rendezvous With Death



«In piedi, in piedi! Muovetevi, per la miseria!»

Piero si alzò in piedi con calma, come se volesse contrastare la brutalità di quell’ordine con una lentezza esagerata. Le scarpe sfondate scivolarono pigramente sul fango, affondando quasi completamente nel liquame grigiastro.

Il tenente Colli gli diede una spallata, mentre attraversava la trincea per mettere in guardia il suo plotone. Non lo fece per cattiveria: quel misero fosso scavato nella terra e nella roccia era così stretto che a malapena ci passavano due persone.

Piero sentì una puntura sulla nuca, all’attaccatura dei capelli. Con un gesto rapido dovuto all’esperienza, afferrò il pidocchio che gli stava mordendo la carne. I pidocchi non erano poi tanto male: erano le pulci, le vere bastarde. Quelle mica le potevi schiacciare. Dovevi soltanto abituarti ai loro morsi, e pazientare, mentre dormivi sdraiato nel fango.

Pazienza. Questa era la chiave della loro guerra. Una guerra fatta di attese, di noia, di lampi accecanti nel buio. Ad un certo punto tra loro e gli austriaci c’erano stati soltanto nove metri. Piero li aveva sentiti sussurrare, nella notte.

Francesco stava finendo di mangiare la brodaglia marroncina che spacciavano per pranzo. Come scodella utilizzava l’elmetto rovesciato, dato che aveva perso la gavetta. All’arrivo del tenente scattò in piedi come una molla e si mise l’elmetto in testa, dimentico del rancio che conteneva: rivoli di minestra di farina scivolarono lungo il volto sporco di terra.

«Piero... che succede?»

Piero guardò quel ragazzo alto e allampanato, con le lunghe mani morbide da borghese e gli occhiali tondi da letterato. Quando era arrivato, qualche mese fa, guardava tutti dall’alto in basso, blaterando che la guerra non era affare dei contadini, ma dei nobili galantuomini. In breve tutti l’avevano preso in antipatia. Gli parlavano con asprezza, lo trattavano male, gli rubavano le sigarette e il cibo. Anche la gavetta, che lui credeva di aver perso, in realtà era nascosta nello zaino di Piero.

«Succede che ci mandano di là, Cecco» rispose bruscamente Piero.

Francesco ebbe un singulto, che gli distorse la faccia in una maschera di sofferenza.

«Non... non chiamarmi Cecco.»

Piero lo guardò stupito. «Perchè?»

«Cecco mi chiamano qui. Mi prendono in giro, perchè ho lo stesso nome dell'imperatore austriaco. Non mi piace Cecco.» Francesco puntò i suoi grandi occhi su Pietro, che non potè fare a meno di sentire la sua anima aprirsi. «Chiamami... chiamami Fra’. Mia mamma mi chiamava... mi chiama Fra’.»

Ancora una volta, Piero rimase stupito. Nella vita di tutti i giorni, Francesco probabilmente lo avrebbe squadrato dall’alto in basso, dandogli del voi con tono imperioso. Eppure, lì in mezzo al fango, era solo un ragazzino spaventato, che chiedeva di farsi rassicurare da un bifolco contrabbandiere come lui.

Piero aveva odiato quel ragazzo, per tutto quello che era e che rappresentava. Ma in quel momento non ci riuscì. «Io... come vuoi» borbottò, stupito di se’ stesso.

Francesco gli fece un gran sorriso. «Grazie. Io... io voglio che... se devo morire, voglio sentirmi chiamare Fra’. Non Cecco.»

«Non è detto che tu muoia. Alla prima occasione, buttati a terra. Funziona.»

Francesco annuì nervosamente, sempre sorridendo. «Grazie, Piero. Sei un amico.»

La voce perentoria del tenente Colli squarciò l’aria marcia della trincea. «Soldati! Inastare le baionette!»

Piero afferrò il pugnale baionetta dal fodero e lo fissò sotto la canna. Francesco ci mise più tempo, per via del tremito convulso che aveva ormai preso possesso delle sue mani.

«Non perdere troppo tempo con quella.»

Francesco lo guardò come un cerbiatto innocente fissi il fucile di un cacciatore. «Io... cosa?»

«La baionetta... se ci infilzi qualcuno, è probabile che rimanga li dentro. Tu molla il fucile e prendi la vanghetta. Quella funziona benissimo.»

«Tu... pensi che arriveremo a dover... infilzare la gente?»

«Può darsi.»

Francesco annuì, ancora una volta. «Io... spero proprio che torni a casa, Piero.»

Piero ebbe un moto di stizza verso quel giovane uomo. Non lo sopportava, perchè con tutta quella sua dannata gentilezza rendeva la gavetta nascosta nel suo zaino un peso intollerabile. «Lo spero anche io» disse quasi in un ringhio.

«Compagnia, in posizione!»

Piero e Francesco si addossarono alla parete viscida della trincea, là dove le scale permettevano di salire ed entrare nella terra di nessuno. La quindicesima compagnia si posizionò proprio dietro di loro, schiacciandoli addosso al muro di terra umida. Erano una massa di carne pigiata e sudata, sporca e maleodorante, piena di pulci, zecche e ogni tipo di parassiti. Erano i soldati del Re.

«Pronti per l’assalto! Signori ufficiali, in testa ai reparti!»

Era il momento decisivo. Gli interminabili, infiniti, strazianti attimi di attesa, prima dell’assalto.

Piero sapeva già cosa fare. Avrebbe corso per un po’, poi si sarebbe buttato in un cratere, aspettando che l’assalto fallisse e che i brandelli del battaglione ritornassero di corsa nella loro trincea. Funzionava da prima della guerra, quando i Carabinieri beccavano lui e i suoi uomini con le mani nella marmellata. Si buttava per terra, dove l’erba era alta, e strisciava via, mentre quelli stupidi che scappavano di corsa venivano acchiappati dagli sbirri. Funzionava sempre.

Francesco artigliava il fucile con mani convulse. Aveva le nocche bianche, esangui. «Hai famiglia, Piero?»

Quella domanda, sibilata, strozzata, un ultimo, disperato tentativo di normalità in quella realtà sconvolta dalle bombe, fece nascere dentro Piero qualcosa che mai avrebbe pensato di provare per Francesco. Qualcosa che somigliava terribilmente alla compassione.

«Io... ce l’avevo. E tu?»

«Io no... non ancora. Ho una ragazza. Si chiama Maria.»

«Sono sicuro che è bellissima.» Non sapeva da dove gli venissero queste parole. Sorgevano spontanee da qualche luogo nel suo petto.

«Spero che... sopravviva a tutto questo. Noi moriamo perché lei possa vivere in pace.»

«Piantala, maledizione. Smettila con questa morte.»

«E come faccio? E’ dappertutto.»

«Sì, beh... tu non lasciarla entrare anche dentro di te.»

«Sei un uomo coraggioso, Piero.»

«Se fossi coraggioso, me ne sarei andato già da un pezzo.»

Francesco emise un brandello di risata, poi tornò di nuovo lugubre. «I Carabinieri... li hai visti?»

«No.»

«Sono dietro, nelle retrovie. Se noi ci ritiriamo... loro ci sparano.»

Piero cercò di girare la testa, per cercare di individuare i grossi cappelli scuri dei Carabinieri. Ma l’unica cosa che riusci a scorgere fu un mare di acciaio, facce sporche e pareti di fango.

«Beh, se cercano di spararti, sparagli prima tu... Fra’.»

Francesco sorrise, al sentire quell’affettuoso nomignolo. Un sorriso stanco, incrinato, ma che brillava di una strana luce. Una luce che, nonostante venga chiusa in una cassa, riesce comunque a filtrare dalle fessure del legno. «Sono contento che tu sia qui, Piero. Anche se ti ho conosciuto stamattina... sono felice che tu sia qui, con me, sull’orlo del baratro. Alla fine di tutto.»

Francesco era calmo. In pace. Le mani non tremavano più.

Con gesti rapidi, tolse la baionetta, si infilò la canna del fucile in bocca e premette il grilletto.

Il grido di Piero si perse nello scoppio del colpo. Il corpo vuoto di Francesco cadde a terra, gli occhialetti torni sporchi di sangue rotolarono nel fango.

Nessuno parlò. Non era la prima volta che qualcuno decideva di tirasi fuori dalla guerra in modo definitivo, e non sarebbe stata l’ultima.

«Pronti per l’assalto!»

Piero strinse il fucile, costringendosi a guardare davanti a se’. Ne aveva visti molti, troppi andare via per potersi permettere il lusso di piangere. Ma quella volta, qualcosa scattò dentro di lui. Un pesante lucchetto, nelle profondità della sua anima, era stato aperto, ed era caduto fragorosamente a terra.

Il silenzio era rotto da un’indistinto mormorio. Qualcuno pregava, qualcun altro dava fondo alla propria riserva di cognac. C'era chi vomitava, spruzzando succhi gastrici nel fango e sulle divise degli altri soldati, e chi piangeva, singhiozzando come un bambino.

Piero era in silenzio. Non c’era bisogno di preghiere per esprimere quello che stava provando. Era tutta la vita che scappava. Fuggiva dai problemi, evitando le rogne di un lavoro onesto; fuggiva dalla legge, strisciando nell’erba alta; fuggiva dalla famiglia, maltrattando sua moglie e lasciandola fuggire via con il primo venuto. Ma ora non più.

Quel povero, disgraziato ragazzo gli aveva cambiato la vita.

«Savoia!» urlò il capitano Morelli.

«SAVOIA!» gridarono gli uomini.

Un urlo pieno di rabbia, di odio, di paura, di amore, di terrore, di campagne assolate e di fredde trincee. Un urlo che voleva dire tutto, e niente.

Piero gridò con tutta la sua voce. Lui non aveva preghiere per la Morte, solo quel grido.

Aveva paura, una paura matta. Aveva il terrore che le mitragliatrici austriache lo facessero a brandelli. Che la sua vita finisse quel giorno. Ma avvertiva un’altra potente forza entrare dentro di lui, scorrergli nelle ossa, nelle vene, nel cuore, nella testa, nell’anima. Quel giorno, lui non sarebbe scappato.

Dietro quella trincea, lei lo aspettava. Lei aspettava tutti. Era da tempo che Piero le sfuggiva, ma oggi l’avrebbe affrontata.

Aveva un appuntamento con la Morte. Lei gli si sarebbe presentata, spalancando braccia maestose e tremende.

«Vieni» avrebbe detto.

E lui le avrebbe sputato in faccia.

In quel momento, il fischietto del capitano trillò.

Gli uomini si lanciarono sulle scale e poi fuori, a rotta di collo verso il loro destino, mentre le mitragliatrici austriache compivano con democratica solerzia il loro dovere, falciando ricchi e poveri, ufficiali e soldati.

Lì davanti, in mezzo al fumo e al fuoco, Piero vide la Morte sorridergli.

Con un ghigno selvaggio, Piero rispose al sorriso. Poi si gettò in avanti, verso di lei.

E la Morte lo accolse a braccia aperte.





NOTE DELL'AUTORE: Sono incappato in questa poesia di Alan Seeger in maniera piuttosto cafona, guardando un trailer del videogioco Gears Of War 2 (un trailer che, a prescindere dai gusti, trovo stilisticamente molto bello: http://www.youtube.com/watch?v=rXIjDzlGc5I). La poesia mi colpì molto, e qualche giorno fa mi è ritornata alla memoria: così ho deciso di scriverci qualcosa sopra. Credo che non renda granchè giustizia alla poesia, ma spero che sia quantomeno decente. In ogni caso, se volete dire qualcosa al riguardo, non avete che da scrivermi.

Inchini e riverenze, e alla prossima puntata!
  
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