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Autore: wingsam    08/09/2013    0 recensioni
"Quel suo essere spregevolmente sarcastico, ecco cosa lo rendeva indegno di lei. Non aveva mai importato che fosse il primogenito del re, né il suo corpo perfetto e scolpito, o il volto come quello di una figura angelica completa di boccoli biondi. Davanti agli occhi di Reayd non era altro che un pallone gonfiato, un bambino viziato cresciuto troppo in fretta, uscito dalla crema viscosa e pesante dell'ozio e del capriccio per comprare con due monete il mondo intero. Dibel non si meritava di condividere un'esistenza forzata con un individuo spregevole simile. Si meritava di meglio."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Anche il buio si inchina di fronte all'amore
Grazie per aver deciso di leggere questa mia piccola creazione! :)

Buona lettura! 












titolo




Herles si fece avanti, parandosi innanzi all'immagine della ragazza dai lunghi capelli biondi.

L'impugnatura affusolata della spada roteò sicura fra le sue grosse dita, e la lama disegnò con precisione una serie di lente spirali sibilanti nell'aria, rifulgendo della luce infiammata dell'alba.

-Infine ci siamo, Reayd- bofonchiò a denti stretti -Un brusco risveglio, suppongo. Ma del resto lo sapevi, ci eravamo messi d’accordo, no?- Un ampio ghigno si aprì sul suo volto squadrato, mostrando l'intera arcata dentaria. Si voltò in direzione della manciata di compagni alla quale dava le spalle, uno più orrido e deforme dell'altro. -Ragazzi, vi avevo detto che una secchiata d'acqua sarebbe bastata! Prenderlo a calci nel sonno è da vigliacchi- fece sogghignando.

Quel suo essere spregevolmente sarcastico, ecco cosa lo rendeva indegno di lei. Non aveva mai importato che fosse il primogenito del re, né il suo corpo perfetto e scolpito, o il volto come quello di una figura angelica completa di boccoli biondi. Davanti agli occhi di Reayd non era altro che un pallone gonfiato, un bambino viziato cresciuto troppo in fretta, uscito dalla crema viscosa e pesante dell'ozio e del capriccio per comprare con due monete il mondo intero. Dibel non si meritava  di condividere un'esistenza forzata con un individuo spregevole simile. Si meritava di meglio.

Reayd si alzò in piedi, stretto dagli spasmi di dolore a cui i suoi muscoli erano costretti. Sputò a terra, abbassò una mano sul fianco in cerca della spada e strinse il vuoto.

-Oh, cosa succede?- disse Herles, fingendosi dispiaciuto. -Non sei pronto per il duello? Domattina al sorgere del sole, davanti alla mia tenda, l'hai detto tu stesso. E ora ti presenti al mio cospetto privato della tua arma?

Non ci volle molto a Reayd per comprendere cos'era accaduto: uno degli uomini del principe doveva avergli sottratto la spada prima di averlo svegliato a suon di percosse. Rivolse a quest'ultimo un'occhiataccia, sfiorando il bagliore di quell'inconfondibile metallo con lo sguardo, quasi avesse potuto richiamare a sé la spada semplicemente tramite la volontà.

-Peccato, durerà meno del previsto!- esclamò Herles, stringendo l'elsa con entrambe le mani.

-Principe, vi prego!- implorò Dibel oltre la muraglia di scagnozzi, tentando di rendersi visibile e fungere da contrattempo. Scostò ampie ciocche di capelli dal volto angustiato, madido di sudore. -Ci sono altri modi per risolvere la quest...

-Non interferire!- ruggì Herles, voltandosi di lato.

-Non rivolgetevi a me con questo tono! Sono pur sempre la figlia del re delle Terre Orientali!

Herles diede le spalle all’avversario, mettendo in mostra un nugolo di muscoli contratti. -Non ci provare, non attacca! Ormai è deciso, duelleremo per contenderci la tua mano- Tornò con calma a scrutare il piccolo uomo a pochi passi da lui. -Anche se l’esito dello scontro è già decretato- In uno scatto improvviso issò sopra la testa la spada di metallo nero e, senza il minimo sforzo, la fece calare silenziosa e rapida.

 

Reayd si trovò spiazzato; non poteva difendersi, tanto meno provare a contrattaccare. Ma gli anni passati a pescare a mani nude nei corsi d’acqua si rivelarono di fondamentale aiuto, perché al momento opportuno la sua mente comandò in automatico al corpo di guizzare in avanti. Si abbassò, fece una capriola e scivolò sotto le gambe divaricate dell’enorme opponente. Qui, non pensò ad altro che a recuperare quello di cui necessitava: prima ancora che Herles potesse afferrarlo o ferirlo, Reayd inquadrò il ceffo giusto nel mezzo della combriccola, prese la rincorsa e spiccò un balzo.

Due piedi uniti raggiunsero in volo la bocca di un ladro assoldato dal principe della regno di Narmelde, quel fresco mattino, procurandogli una botta accecante e un buco di tre denti nella gengiva inferiore.

La spada era lì, fra i ciuffi d’erba imperlati di rugiada, ad un palmo dalla mano di Reayd. Ma l’uomo non fece in tempo a raccoglierla, poiché un pericolo incombeva: Herles correva furente nella sua direzione, roteando abilmente la lama corvina sopra la testa riccioluta.

Un altro fendente proveniente dall’alto minò all’incolumità di Reayd, che però rotolò su un fianco schivandolo con successo. Ne giunse un altro, e un altro ancora, ad ognuno dei quali Reayd riusciva a sfuggire per mezzo di un’accorta movenza, mentre la furia del principe regnava sui rumori del placido boschetto. E ad ognuno di essi corrispondeva uno strillo acuto di fanciulla, di Dibel, che si vedeva costretta ad assistere impotente ad un duello all’ultimo sangue tra colui che pretendeva il suo amore e colui che amava, serrata dietro le fila di sudici uomini dagli occhi spenti e lascivi.

Le dita pronte di Reayd non sbagliarono quando passarono sopra alla spada, ed egli presto ne fu nuovamente in possesso. Si erse in piedi con un balzo e digrignò i denti.

-Fatti sotto, siamo pari!

-Con piacere, nullità- rise Herles, sfoderando la forza dei bicipiti.

Diedero inizio ad un bollente duello, acciaio nero contro metallo bianco, colpi secchi e tintinnanti, parate, affondi, fendenti da ogni direzione. I loro piedi scattavano come quelli di un insetto dalle molteplici zampe, le schiene si curvavano e le braccia si torcevano. Non c’era più spazio per le parole, soltanto le azioni e la fatica del corpo delineavano lo svolgersi dello scontro, tra uno scoppio di scintille cremisi e l’altro.

Reayd dovette ammetterlo, quella montagna di muscoli senza cervello sapeva combattere. In quanto ad abilità intellettive scarseggiava, ma per quanto riguardava l’arte della guerra era impeccabile. Riusciva ad intuire ogni sua mossa con un largo anticipo, senza contare l’incredibile agilità con la quale spostava l’ammasso del suo tozzo corpo per trovarsi nel posto giusto all’istante voluto. Una macchina perfetta.

E quella macchina ebbe la meglio su di lui; Reayd non s’accorse che l’altro aveva accorciato le distanze e, alzando un ginocchio, gli schiacciò violentemente un piede. Approfittando della sua distrazione dovuta al dolore acuto, la lama scura di Herles saettò e gli trafisse su un fianco il ventre.

 

Maledetto, pensò Reayd scivolando in terra. Il mondo prese a vorticare intorno a lui, il cinguettio degli uccelli si confuse con un rumore sordo simile a quello del boato di una cascata inesistente.

Oltre a possedere forza fisica e capacità inaudite, il principe faceva uso di colpi bassi. Infallibile, scorretto e imprevedibile. Il peggiore avversario che poteva trovare. O il migliore.

Reayd portò una mano alla ferita, dove il sangue sgorgava a fiotti, e nel contempo gli venne spontaneo guardare in direzione di colei che gli aveva rubato il cuore, verso Dibel. La ragazza che aveva incontrato per caso nel bosco, il cui cuore fin dal primo istante aveva comunicato al suo l’eterno amore che in vite precedenti si erano promessi.

Dibel gli stava rivolgendo uno sguardo afflitto, disperato, ai limiti della sopportazione. Lacrime mute solcavano le sue guance argentee.

Fu quella visione a rinvigorire la speranza di Reayd, a riempire nuovamente i polmoni, tonificare i muscoli affaticati ed aiutarlo a ignorare il dolore.

Non fu un problema schivare quello che Herles credeva fosse l’ultimo affondo, il colpo mortale; dopodiché afferrò l’elsa della spada a due mani e, urlando a squarciagola, la infranse contro il piatto di quella avversaria, dando sfogo a tutta la forza di cui disponeva.

La lama nera scivolò via dalle dita di Herles con un violento fracasso, provocando a queste un contraccolpo micidiale. Il principe si fece sfuggire un gemito, mentre osservava la propria arma volteggiare a qualche braccia di distanza e conficcarsi nel terreno.

La mente animale e calcolatrice del figlio reale non esitò un attimo. Caricò il peso sulle gambe e inferse una ginocchiata spaventosa sul mento dell’opponente, mandandolo dritto al tappeto.

-Complimenti- sussurrò con il fiato corto, quasi fra sé, fregandosi le mani. -Non ti credevo tanto abile. Mi hai stupito, falegname- disse, accentuando il tono graffiato della voce sulle ultime sillabe. Si diresse alla sua spada con passi felpati. -Non credo di averti mai accennato qualcosa sulla spada che impugno. Mi è stata donata da mio padre, quando sono stato proclamato al regno come figlio della casta reale alla quale appartengo, il giorno in cui venni siglato col nome di principe. Sai, è raro imbattersi in un metallo di tale colore, non pensi anche tu?

Reayd batté più volte le palpebre per mettere a fuoco quello che gli occhi vedevano. Cercò di tirarsi su, ma la ferita da parte a parte che batteva come un tamburo sul fianco sinistro glielo impedì. Mentre il corpo si abbandonava nuovamente sull’erba, intravide Herles riprendere possesso della spada nera e accarezzarne la parte non tagliente, strabordante di riflessi nervosi.

-E’ stata forgiata dagli orchi- proseguì questi spavaldo. -L’arte degli orchi è rinomata per essere la più calzante alla bellicosità, ma questo tu già lo sai. Non è vero?

-Chiudi quella bocca!- gridò Reayd stringendosi le braccia al ventre, imitando un verme trafitto dall’amo.

-Hai passato parecchio tempo insieme a quei luridi animaletti, si?- lo accusò ancora il principe, facendo tornare a scintillare un beffardo sorriso fra le guance rasate.

-Basta, vi prego!- pianse Dibel dimenandosi, ma nessuno si curò di lei, a parte l’uomo che veramente provava un sentimento puro e profondo nei suoi confronti.

-Tu non sai niente- biascicò Reayd fra i denti -Ho oltrepassato le mura reali per ferm…- Un colpo di tosse lo costrinse a pulirsi le labbra da un rivolo di sangue. -Ho impedito agli orchi di lanciare un attacco al nostro regno, idiota!

Herles strinse gli occhi ad una fessura tagliente. -Come no! Nei villaggi, e soprattutto al castello, le voci che girano dicono tutt’altro. Mi domando perché!

Dal momento che il principe stava camminando verso di lui, Reayd doveva inventarsi qualcosa, o sarebbe davvero finita. Strinse il manto erboso sotto di sé con le dita intrise di sangue, vagando con lo sguardo.

-Quando tu eri ancora un poppante, io lavoravo per una società segreta. Un gruppo di uomini le cui gesta erano all’oscuro della popolazione. Il loro unico fine era l’ottenimento della pace, dell’equilibrio tra i vari regni. Io ero parte di…

-Risparmiami il resoconto delle tue mirabolanti avventure- lo interruppe Herles, quando fu ad un passo dal suo naso. Si era fatto stranamente serio e risoluto. Rivolgendosi agli uomini che aveva corrotto qualche ora prima, esclamò: -Uno di voi trattenga la principessa, gli altri imprigionino questo poveretto!

In men che non si dica Reayd si trovò con gli arti paralizzati, ognuno ben stretto da mani adunche e irremovibili. Non poteva muovere neppure il collo.

Il principe si chinò e toccò il profondo taglio che aveva inferto al suo nemico, senza curarsi di provocargli fitte lancinanti. -Scommetto che ti sei già accorto di perdere troppo sangue, vero? Cavolo, è davvero profonda- Poi fece incrociare le iridi grigie di Reayd con le sue, azzurro acceso. -Eh si, sembri un cadavere. Se vuoi, posso porre fine alle tue sofferenze.

-No!- implorò la principessa, strattonando le braccia che la paralizzavano come un animale imbizzarrito. -Pietà, non uccidetelo!

Herles parve in un certo modo ferito dal comportamento della fanciulla. -Perché dici questo, Dibel? Noi due siamo destinati a vivere insieme, ad unire i due regni dei quali presto saremo governanti assoluti e detenere un potere immenso- Le si avvicinò e la accarezzò con il dorso di una mano. Mentre ella si divincolava disgustata, lui proseguì freddamente: -Io, e te. Proprio come i nostri genitori hanno deciso anni fa. Per quale motivo ti interessa tanto un vecchio con il doppio dei tuoi anni? E’ un misero taglialegna, si nasconde nell’ombra delle fronde e ti spia quando meno te lo aspetti. E’ un barbone, un essere inutile!

Dibel non trovava le parole per ribattere, per spiegare che Reayd non era quello che sembrava. La persona del principe la sovrastava, le appariva gigante e imbattibile. Lei, che non aveva mai accettato l’etichetta che la sua condizione le aveva imposto, una fanciulla dal passato più che tormentato, come sarebbe riuscita nell’intento di scalfire le convinzioni di un reale come Herles? Ora più che mai era tornato in lei il richiamo della libertà, della giustizia, e dell’amore vero. Cose che non necessitavano di parole per trovare radici nel cuore, e non avevano neppure bisogno di trovare conferma nel prossimo.

Una voce nel profondo le disse di arrendersi, e così fece. Trasse un lungo sospiro, e infine diresse un’occhiata inespressiva al principe. -Non sarò mai vostra. Mai.

Herles rise, dapprima lievemente, poi di gusto, reclinando la testa all’indietro. Fece roteare la lama orchesca con destrezza, passandosela da una mano all’altra. -Questo lo vedremo.

Reayd stava perdendo coscienza. Sentiva le forze abbandonarlo, lo provavano le sue gambe sempre più incapaci di sorreggerlo in piedi. Lentamente, tra i respiri mozzati, si abbandonò alla presa salda degli uomini assoldati dal principe. Dalla vita in giù era coperto da un reticolo di fiotti rossi.

Herles gli fu presto alle calcagna. -Torniamo a noi, non perdiamo tempo- disse -Non vorrei che la morte mi precedesse e ti togliesse la vita al mio posto.

La visione smeralda della vegetazione, del fisico tarchiato ed esplosivo di Herles, della dolce Dibel, si confuse in una sola macchia incolore. Reayd afflosciò la testa sul collo, socchiudendo gli occhi.

-Hai perso, Reayd- affermò il principe, torcendo il braccio per prepararsi al colpo mortale. Ignorò ciò che il moribondo stava mormorando, quasi una sorta di preghiera a mezza voce, quello fu per lui soltanto fonte di divertimento. Increspando le guance intoccate con un ultimo fastidioso sorriso, dispiegò il gomito e la spada nera penetrò la carne del petto di Reayd, andando dritta al centro del cuore. Come vi era entrata, ne uscì lesta lasciandosi dietro uno spruzzo copioso.

 

Calò un silenzio surreale nella boscaglia. Le foglie smisero di chiacchierare, il vento si congelò e ogni forma di vita divenne quieta spettatrice della scena che si stava consumando. Solo Dibel spezzò la desolazione con una serie di singhiozzi contenuti, contorcendosi al basso divorata da una disperazione oscura, tra le mani dell’uomo incaricato di occuparsi di lei.

Era finita. Il suo eterno amore si era appena dissolto come una goccia d’acqua nel deserto, inesorabilmente evaporato, perso.

 

Poi ci fu una grande esplosione abbacinante.

Gli occhi di Herles sussultarono e vennero feriti, e furono costretti a nascondersi dietro le mani, che lasciarono cadere la spada. I briganti vennero spazzati via da una forza prorompente, e si ritrovarono ad atterrare a decine di braccia di distanza. Un magico vento caldo stava spazzando i capelli biondi di Dibel, che ora, libera dalla morsa d’acciaio del tirapiedi, osservava meravigliata lo spettacolo.

Dallo sterno di Reayd stava fuoriuscendo una sagoma accecante simile ad una stella, dai molteplici raggi diffusi e da un nucleo centrale del colore del fuoco. Il corpo dell’uomo morente venne circonfuso da un bagliore, si innalzò dal suolo come tirato da mani invisibili e, una volta divenuto pura luce, pura essenza impalpabile, venne risucchiato dal nucleo dell’astro nascente sospeso a mezz’aria.

Poi si produsse un secondo spostamento d’aria più violento e maestoso del precedente, e la stella cambiò tonalità; le assunse tutte quante, assumendo l’aspetto di una sorta di arcobaleno sferico, di uovo fluttuante dai magnifici colori del cosmo. Per finire, l’involucro perse quota e toccò con delicatezza il terreno: un’onda si propagò sulla sua superficie, mostrandone la consistenza semiliquida.

Herles non aveva potuto far altro che indietreggiare, inorridito e sconcertato come non mai. A stento aveva compreso cosa era successo, tanto era stato lo splendore che il processo aveva emanato.

Dibel avanzò sicura in direzione dell’uovo. Deglutì, e lo sfiorò delicatamente, con gli occhi gonfi di lacrime.

Fu a quel tocco che Reayd rinacque.

L’uovo si schiuse come un fiore baciato dai primi raggi del sole, aprendosi in centinaia di spicchi affilati e trasparenti quanto il vetro, i quali caddero sul prato e si infransero in miriadi di schegge, schegge d’acqua. Quel che rimaneva dell’involucro ovoidale si schiantò sull’erba come un corpo privato dello scheletro, incapace di sorreggersi in piedi. Si sollevarono schizzi e spume di liquido multicolore, profumato di rose e miele; dove andarono a posarsi, là nacquero nel giro di un istante pianticelle e mazzi di fiori variopinti.

Ai piedi di un troneggiante albero di mele appena giunto alla vita, in prossimità del punto dove l’uovo giaceva fino ad un istante prima, non c’era più un uomo alla soglia dei cinquant’anni, il cui spirito era limitato entro i confini di un corpo scomodo e decaduto.

Adesso c’era un ragazzo. Dimostrava non più di una ventina d’anni; capigliatura e barba ben curati, del colore del rame inondato dai raggi solari. Vestiva un’uniforme molto elegante, di un tessuto paglierino impreziosito da decori che si intrecciavano in una ragnatela rossa sul petto disegnando la testa di un drago. Portava appesa alla cintola una lunga spada d’oro massiccio, priva di fodero.

I suoi occhi si mossero piano, le iridi argentate sfolgorarono d’estasi. Si volse verso Dibel, che lo guardava al colmo della gioia, nel mezzo di un pianto liberatorio, il viso umido di lacrime perlacee. Allora si fiondarono uno nelle braccia dell’altra, si strinsero forte, e piansero insieme. Si baciarono a lungo, con trasporto, tra sussulti di incontenibile felicità.

-Tu mi hai salvato- sussurrò il giovane all’orecchio della principessa.

-E’ stato il caso a volerlo- balbettò lei, stringendolo ancora più forte.

-Il fato, Dibel. Il destino.

Si baciarono ancora, increduli e tremanti.

 

Il ragazzo si girò e guardò con pietà Herles, a parecchie braccia di distanza, disteso a terra con le mani agli occhi. Tremava come una foglia.

-Alzati, principe- decretò fieramente, mentre si chinava per studiare una massa rovente e informe ai suoi piedi.

Herles allora tentò di ricomporsi alla bell’e meglio, issandosi sulle gambe con la stessa certezza di un inesperto funambolo che sale per la prima volta sui trampoli. Il suo sguardo a stento riusciva a carpire l’aspetto di quello che rimaneva di Reayd.

-Cosa…cosa è accaduto?- domandò con voce flebile. A quanto pareva, aveva smarrito la sua spavalderia.

-E’ giunto il mio turno, sarò io a raccontarti qualcosa adesso- riprese il giovane. Indicò un mucchietto di acciaio luminescente sul terreno.  -Questa è per caso la tua spada? Questo groviglio informe di metalli incandescenti è la tua preziosa lama di fattura orchesca? Mi dispiace, dev’essersi rovinata per colpa mia. Mi dispiace- Non c’era traccia di canzonatura nella sua voce fresca e schietta, solo sincero rispetto e constatazione della realtà. -Vuoi sapere cos’è successo? E’ presto detto.

Il giovanotto reale vide quell’improbabile ragazzo compiere grandi falcate e accostarsi a lui. Gli porse una mano. -Prima tirati su, voglio parlarti come mio pari- gli disse. I suoi occhi furono più eloquenti di mille parole.

L’animo di Herles si concesse un ultimo, gratificante capriccio. Se in quell’individuo c’era ancora traccia dell’uomo che stava per uccidere, non gli avrebbe mai permesso di rivolgersi a lui con quei modi da superbo eroe. Quindi gli strattonò la mano nel tentativo di farlo cadere, per poterlo colpire in volto con la mano libera.

Ma tutto questo non avvenne affatto. Semplicemente il ragazzo non si fece trascinare al basso, ma invece contrappose la propria forza a quella del principe e lo fece alzare in piedi senza che questi neppure lo volesse.

Herles, confuso da quell’inaudito vigore e umiliato dalla cattiva riuscita del suo giochetto, decise allora di freddare i bollenti spiriti.

-Perfetto. Innanzitutto il mio nome è Gramond, Gramond Holevienne- esordì il giovane annuendo.

Il cuore dell’altro ebbe un sussulto. -Gramond?...vuoi dire che…che sei…

-Si- lo incalzò il ragazzo -Sono l’eroe di cui narrano i libri che leggete ai vostri bambini per farli addormentare. Mi pare giusto raccontarti come sono andate le cose- Fece cenno a Dibel di raggiungerlo, e la attirò a sé con un braccio, cingendole affettuosamente le spalle. -Tanto tempo fa, prima che il padre di tuo padre nascesse, uno stregone gettò su di me una maledizione. Io vivevo felicemente con Dibel in una casa molto lontano da qui, e ci amavamo molto. Ci conoscemmo…beh, non importa- Si lasciò scappare una risata innocente, e Dibel lo seguì a ruota. Herles era sempre più disorientato. -Un giorno uno stregone si innamorò della ragazza che amavo, e, per averla per sé, mi fece precipitare negli abissi di una terribile maledizione. Il mio corpo ritornò quello di un neonato, mentre il mio spirito manteneva la sua consapevolezza. Per finire mi gettò in un fiume…ma evito di raccontare il resto, non ha rilevanza. Ti basti sapere che il mio corpo invecchiava ad un decimo della velocità di un qualsiasi altro uomo.

Dibel carezzò il volto del suo amato, riconoscendo le sofferenze alle quali aveva dovuto arrendersi per secoli. -Ma non era finita- proseguì Gramond -Lo stregone lanciò anche su Dibel una maledizione: impose al suo corpo di smettere di invecchiare, sicché restasse bella e nel fiore degli anni ignorando lo scorrere del tempo. Così la costrinse a trasferirsi nella sua dimora, un castello fatiscente e desolato. Ebbe un figlio, e questi ne ebbe uno a sua volta, e così via, mentre il potere della sua famiglia si imponeva sulle genti dando vita al regno delle Terre Orientali. In questo modo la sua discendenza si dispiegò nei secoli; ma la principessa del castello restava la stessa, ignorata da questo o sfruttata da quell’altro. Puoi immaginare quale perfido destino le è spettato?

Herles si strinse nelle spalle, scosso da un brivido freddo, incapace di proferire parola.

-Finché un giorno…-Gramond incrociò gli occhi verdi di Dibel, e le scoccò un rapido bacio sulle labbra. -Ci incontrammo. Lei riuscì ad eludere la sorveglianza del suo castello, io diedi ascolto al mio fiuto, o per meglio dire, al mio cuore…e ci trovammo nel mezzo del bosco, proprio là dietro- disse indicando una radura poco distante. -Ma qui non c’è più bisogno che mi dilunghi. La storia la conosci anche tu, dal momento che sei apparso dal nulla e ti sei sentito in potere di padroneggiare su di me. Di importi come promesso sposo di Dibel, mentendo riguardo a fasulle promesse di matrimonio!- Gramond dovette farsi forza per non permettere alla rabbia di avere la meglio su di lui.

Herles si guardò intorno alla ricerca dei suoi tirapiedi, ma non avevano perso tempo ed erano fuggiti, nessuno escluso. Era da solo, innanzi alla schiacciante verità.

Deglutì sonoramente, fissandosi i piedi. -Sei…siete l’eroe che cinquecento anni fa combatteste al fianco del Re Leone Fiamma in Petto? E…e scacciaste la minaccia dei Corvoceronti  e del loro signore malefico?- esclamò tutto d’un fiato, come se avesse bisogno di ulteriori conferme. Non gli bastava l’aspetto di Gramond, quello che ogni libro di storia e delle favole raffigurava minuziosamente?

L’eroe storse la bocca in un umile sorriso. -Bravo, esatto. Proprio così- Mollò una pacca sulla spalla del principe, facendolo sobbalzare. -Quella fu la mia ultima battaglia, prima di…insomma, poi tornai al villaggio, da Dibel, e decidemmo di trasferirci nel bosco del regno di Narmelde, che allora era chiamato in altro modo. Le promisi che non l’avrei più abbandonata, non avrei mai più appesantito il suo cuore con il terrore del pensiero della mia morte in battaglia.

Dibel si allontanò da lui e gli strinse le mani. -L’importante è che la maledizione sia stata spezzata, amore mio. Possiamo stare insieme, adesso.

-Si- soggiunse Gramond sottovoce -Possiamo vivere come desideravamo, prima che quel mostro scindesse i nostri destini legati.

-E quell’uovo, e il fiore di luce? E quei colori…cosa è successo? Come…come è…- proruppe Herles, non contento del resoconto ottenuto. Probabilmente non era in grado di capacitarsi appieno della situazione, di rendersi conto dello smacco che il suo egocentrico carattere aveva subito.

La coppia rise amabilmente. Dibel prese parola, scuotendo energicamente il capo. -Non lo sappiamo, e non ci importa. Suppongo sia stato il nostro amore perdurato nel tempo, e soprattutto il fatto che fossimo insieme quando è avvenuto…l’impensabile- La sua voce s’incrinò al rievocare l’immagine del suo amato con una spada conficcata nel cuore. -Vedi, principe, quando trovi il vero amore…quando incontri quella persona speciale, il tuo specchio…quando percepisci il legame, che va al di là di tutto, vita e morte…niente è impossibile.

Gramond le carezzò i capelli, commosso. -Anche il buio si inchina di fronte all’amore, come la maledizione.

Non ci ho capito un accidente, pensò la mente adulta di Herles. Forse se questa fosse stata più infantile, più giocosa e riconoscente delle piccole cose della vita, se fosse stata educata a riconoscere l’amore in un seme di quercia, come si faceva nei tempi antichi, nei tempi di Dibel e Gramond, forse avrebbe compreso le loro parole.

Ma era sulla buona strada. In cuor suo una scintilla era stata deposta dalle parole uscite dalle bocche dei due giovani, e presto avrebbe germogliato.

-Ora va’, Herles- esclamò Gramond, in tutta la sua regale, spontanea teatralità. -Torna a casa e racconta di quello che hai visto e sperimentato. Parla al tuo regno della discendenza dello stregone, istruiscilo e mettilo in guardia dalla piovra nera che è il potere che ammorba le Terre Orientali- Poi addolcì lo sguardo, lasciando emergere la parte migliore del suo animo. -Cerca di combinare finalmente qualcosa di buono, eh?- Mollò una seconda sberla sulla spalla di Herles.

Questi non poté far altro che assentire, con gli occhi di bambino persi su quella che era la sua spada, icona di un potere sepolto dalla nuova consapevolezza che aveva acquisito in quel giorno, in quell’incontro.

-Addio- disse Dibel, rivolgendo al principe un sorriso. Venne presa per mano da Gramond ed insieme scomparvero dietro i bracci degli arbusti del bosco fiorente, accompagnati da solitari animaletti che celebravano la loro riunione cantando e volando, sgattaiolando e compiendo archi in cielo in loro onore.






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WingSam

  
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