Buona lettura!
Herles si
fece avanti, parandosi
innanzi all'immagine della ragazza dai lunghi capelli biondi.
L'impugnatura
affusolata della
spada roteò sicura fra le sue grosse dita, e la lama
disegnò con precisione una
serie di lente spirali sibilanti nell'aria, rifulgendo della luce
infiammata
dell'alba.
-Infine ci
siamo, Reayd-
bofonchiò a denti stretti -Un brusco risveglio, suppongo. Ma
del resto lo
sapevi, ci eravamo messi d’accordo, no?- Un ampio ghigno si
aprì sul suo volto
squadrato, mostrando l'intera arcata dentaria. Si voltò in
direzione della
manciata di compagni alla quale dava le spalle, uno più
orrido e deforme
dell'altro. -Ragazzi, vi avevo detto che una secchiata d'acqua sarebbe
bastata!
Prenderlo a calci nel sonno è da vigliacchi- fece
sogghignando.
Quel suo
essere spregevolmente
sarcastico, ecco cosa lo rendeva indegno di lei. Non aveva mai
importato che
fosse il primogenito del re, né il suo corpo perfetto e
scolpito, o il volto
come quello di una figura angelica completa di boccoli biondi. Davanti
agli
occhi di Reayd non era altro che un pallone gonfiato, un bambino
viziato
cresciuto troppo in fretta, uscito dalla crema viscosa e pesante
dell'ozio e
del capriccio per comprare con due monete il mondo intero. Dibel non si
meritava di
condividere un'esistenza
forzata con un individuo spregevole simile. Si meritava di meglio.
Reayd si
alzò in piedi, stretto
dagli spasmi di dolore a cui i suoi muscoli erano costretti.
Sputò a terra,
abbassò una mano sul fianco in cerca della spada e strinse
il vuoto.
-Oh, cosa
succede?- disse
Herles, fingendosi dispiaciuto. -Non sei pronto per il duello? Domattina al sorgere del sole, davanti alla
mia tenda, l'hai detto tu stesso. E ora ti presenti al mio
cospetto privato
della tua arma?
Non ci volle
molto a Reayd per
comprendere cos'era accaduto: uno degli uomini del principe doveva
avergli
sottratto la spada prima di averlo svegliato a suon di percosse.
Rivolse a
quest'ultimo un'occhiataccia, sfiorando il bagliore di
quell'inconfondibile
metallo con lo sguardo, quasi avesse potuto richiamare a sé
la spada
semplicemente tramite la volontà.
-Peccato,
durerà meno del
previsto!- esclamò Herles, stringendo l'elsa con entrambe le
mani.
-Principe,
vi prego!- implorò
Dibel oltre la muraglia di scagnozzi, tentando di rendersi visibile e
fungere
da contrattempo. Scostò ampie ciocche di capelli dal volto
angustiato, madido di
sudore. -Ci sono altri modi per risolvere la quest...
-Non
interferire!- ruggì
Herles, voltandosi di lato.
-Non
rivolgetevi a me con
questo tono! Sono pur sempre la figlia del re delle Terre Orientali!
Herles diede
le spalle
all’avversario, mettendo in mostra un nugolo di muscoli
contratti. -Non ci
provare, non attacca! Ormai è deciso, duelleremo per
contenderci la tua mano-
Tornò con calma a scrutare il piccolo uomo a pochi passi da
lui. -Anche se
l’esito dello scontro è già decretato-
In uno scatto improvviso issò sopra la
testa la spada di metallo nero e, senza il minimo sforzo, la fece
calare
silenziosa e rapida.
Reayd si
trovò spiazzato; non
poteva difendersi, tanto meno provare a contrattaccare. Ma gli anni
passati a pescare
a mani nude nei corsi d’acqua si rivelarono di fondamentale
aiuto, perché al
momento opportuno la sua mente comandò in automatico al
corpo di guizzare in
avanti. Si abbassò, fece una capriola e scivolò
sotto le gambe divaricate dell’enorme
opponente. Qui, non pensò ad altro che a recuperare quello
di cui necessitava:
prima ancora che Herles potesse afferrarlo o ferirlo, Reayd
inquadrò il ceffo
giusto nel mezzo della combriccola, prese la rincorsa e
spiccò un balzo.
Due piedi
uniti raggiunsero in
volo la bocca di un ladro assoldato dal principe della regno di
Narmelde, quel
fresco mattino, procurandogli una botta accecante e un buco di tre
denti nella
gengiva inferiore.
La spada era
lì, fra i ciuffi
d’erba imperlati di rugiada, ad un palmo dalla mano di Reayd.
Ma l’uomo non
fece in tempo a raccoglierla, poiché un pericolo incombeva:
Herles correva
furente nella sua direzione, roteando abilmente la lama corvina sopra
la testa
riccioluta.
Un altro
fendente proveniente
dall’alto minò all’incolumità
di Reayd, che però rotolò su un fianco
schivandolo con successo. Ne giunse un altro, e un altro ancora, ad
ognuno dei
quali Reayd riusciva a sfuggire per mezzo di un’accorta
movenza, mentre la
furia del principe regnava sui rumori del placido boschetto. E ad
ognuno di
essi corrispondeva uno strillo acuto di fanciulla, di Dibel, che si
vedeva
costretta ad assistere impotente ad un duello all’ultimo
sangue tra colui che
pretendeva il suo amore e colui che amava, serrata dietro le fila di
sudici
uomini dagli occhi spenti e lascivi.
Le dita
pronte di Reayd non
sbagliarono quando passarono sopra alla spada, ed egli presto ne fu
nuovamente
in possesso. Si erse in piedi con un balzo e digrignò i
denti.
-Fatti
sotto, siamo pari!
-Con
piacere, nullità- rise
Herles, sfoderando la forza dei bicipiti.
Diedero
inizio ad un bollente
duello, acciaio nero contro metallo bianco, colpi secchi e tintinnanti,
parate,
affondi, fendenti da ogni direzione. I loro piedi scattavano come
quelli di un
insetto dalle molteplici zampe, le schiene si curvavano e le braccia si
torcevano. Non c’era più spazio per le parole,
soltanto le azioni e la fatica del
corpo delineavano lo svolgersi dello scontro, tra uno scoppio di
scintille
cremisi e l’altro.
Reayd
dovette ammetterlo,
quella montagna di muscoli senza cervello sapeva combattere. In quanto
ad
abilità intellettive scarseggiava, ma per quanto riguardava
l’arte della guerra
era impeccabile. Riusciva ad intuire ogni sua mossa con un largo
anticipo,
senza contare l’incredibile agilità con la quale
spostava l’ammasso del suo
tozzo corpo per trovarsi nel posto giusto all’istante voluto.
Una macchina
perfetta.
E quella
macchina ebbe la
meglio su di lui; Reayd non s’accorse che l’altro
aveva accorciato le distanze
e, alzando un ginocchio, gli schiacciò violentemente un
piede. Approfittando
della sua distrazione dovuta al dolore acuto, la lama scura di Herles
saettò e
gli trafisse su un fianco il ventre.
Maledetto,
pensò Reayd scivolando in terra. Il mondo prese
a vorticare intorno a lui, il cinguettio degli uccelli si confuse con
un rumore
sordo simile a quello del boato di una cascata inesistente.
Oltre a
possedere forza fisica
e capacità inaudite, il principe faceva uso di colpi bassi.
Infallibile,
scorretto e imprevedibile. Il peggiore avversario che poteva trovare. O
il
migliore.
Reayd
portò una mano alla
ferita, dove il sangue sgorgava a fiotti, e nel contempo gli venne
spontaneo
guardare in direzione di colei che gli aveva rubato il cuore, verso
Dibel. La
ragazza che aveva incontrato per caso nel bosco, il cui cuore fin dal
primo
istante aveva comunicato al suo l’eterno amore che in vite
precedenti si erano
promessi.
Dibel gli
stava rivolgendo uno
sguardo afflitto, disperato, ai limiti della sopportazione. Lacrime
mute solcavano
le sue guance argentee.
Fu quella
visione a rinvigorire
la speranza di Reayd, a riempire nuovamente i polmoni, tonificare i
muscoli
affaticati ed aiutarlo a ignorare il dolore.
Non fu un
problema schivare
quello che Herles credeva fosse l’ultimo affondo, il colpo
mortale; dopodiché
afferrò l’elsa della spada a due mani e, urlando a
squarciagola, la infranse
contro il piatto di quella avversaria, dando sfogo a tutta la forza di
cui
disponeva.
La lama nera
scivolò via dalle
dita di Herles con un violento fracasso, provocando a queste un
contraccolpo
micidiale. Il principe si fece sfuggire un gemito, mentre osservava la
propria
arma volteggiare a qualche braccia di distanza e conficcarsi nel
terreno.
La mente
animale e calcolatrice
del figlio reale non esitò un attimo. Caricò il
peso sulle gambe e inferse una
ginocchiata spaventosa sul mento dell’opponente, mandandolo
dritto al tappeto.
-Complimenti-
sussurrò con il
fiato corto, quasi fra sé, fregandosi le mani. -Non ti
credevo tanto abile. Mi
hai stupito, falegname- disse,
accentuando il tono graffiato della voce sulle ultime sillabe. Si
diresse alla
sua spada con passi felpati. -Non credo di averti mai accennato
qualcosa sulla
spada che impugno. Mi è stata donata da mio padre, quando
sono stato proclamato
al regno come figlio della casta reale alla quale appartengo, il giorno
in cui
venni siglato col nome di principe. Sai, è raro imbattersi
in un metallo di
tale colore, non pensi anche tu?
Reayd
batté più volte le
palpebre per mettere a fuoco quello che gli occhi vedevano.
Cercò di tirarsi
su, ma la ferita da parte a parte che batteva come un tamburo sul
fianco
sinistro glielo impedì. Mentre il corpo si abbandonava
nuovamente sull’erba,
intravide Herles riprendere possesso della spada nera e accarezzarne la
parte
non tagliente, strabordante di riflessi nervosi.
-E’
stata forgiata dagli orchi-
proseguì questi spavaldo. -L’arte degli orchi
è rinomata per essere la più
calzante alla bellicosità, ma questo tu già lo
sai. Non è vero?
-Chiudi
quella bocca!- gridò
Reayd stringendosi le braccia al ventre, imitando un verme trafitto
dall’amo.
-Hai passato
parecchio tempo
insieme a quei luridi animaletti, si?- lo accusò ancora il
principe, facendo
tornare a scintillare un beffardo sorriso fra le guance rasate.
-Basta, vi
prego!- pianse Dibel
dimenandosi, ma nessuno si curò di lei, a parte
l’uomo che veramente provava un
sentimento puro e profondo nei suoi confronti.
-Tu non sai
niente- biascicò
Reayd fra i denti -Ho oltrepassato le mura reali per ferm…-
Un colpo di tosse
lo costrinse a pulirsi le labbra da un rivolo di sangue. -Ho impedito
agli
orchi di lanciare un attacco al nostro regno, idiota!
Herles
strinse gli occhi ad una
fessura tagliente. -Come no! Nei villaggi, e soprattutto al castello,
le voci
che girano dicono tutt’altro. Mi domando perché!
Dal momento
che il principe
stava camminando verso di lui, Reayd doveva inventarsi qualcosa, o
sarebbe
davvero finita. Strinse il manto erboso sotto di sé con le
dita intrise di
sangue, vagando con lo sguardo.
-Quando tu
eri ancora un
poppante, io lavoravo per una società segreta. Un gruppo di
uomini le cui gesta
erano all’oscuro della popolazione. Il loro unico fine era
l’ottenimento della
pace, dell’equilibrio tra i vari regni. Io ero parte
di…
-Risparmiami
il resoconto delle
tue mirabolanti avventure- lo interruppe Herles, quando fu ad un passo
dal suo
naso. Si era fatto stranamente serio e risoluto. Rivolgendosi agli
uomini che
aveva corrotto qualche ora prima, esclamò: -Uno di voi
trattenga la
principessa, gli altri imprigionino questo poveretto!
In men che
non si dica Reayd si
trovò con gli arti paralizzati, ognuno ben stretto da mani
adunche e
irremovibili. Non poteva muovere neppure il collo.
Il principe
si chinò e toccò il
profondo taglio che aveva inferto al suo nemico, senza curarsi di
provocargli
fitte lancinanti. -Scommetto che ti sei già accorto di
perdere troppo sangue,
vero? Cavolo, è davvero profonda- Poi fece incrociare le
iridi grigie di Reayd
con le sue, azzurro acceso. -Eh si, sembri un cadavere. Se vuoi, posso
porre
fine alle tue sofferenze.
-No!-
implorò la principessa,
strattonando le braccia che la paralizzavano come un animale
imbizzarrito.
-Pietà, non uccidetelo!
Herles parve
in un certo modo
ferito dal comportamento della fanciulla. -Perché dici
questo, Dibel? Noi due
siamo destinati a vivere insieme, ad unire i due regni dei quali presto
saremo
governanti assoluti e detenere un potere immenso- Le si
avvicinò e la accarezzò
con il dorso di una mano. Mentre ella si divincolava disgustata, lui
proseguì
freddamente: -Io, e te. Proprio come i nostri genitori hanno deciso
anni fa.
Per quale motivo ti interessa tanto un vecchio con il doppio dei tuoi
anni? E’
un misero taglialegna, si nasconde nell’ombra delle fronde e
ti spia quando
meno te lo aspetti. E’ un barbone, un essere inutile!
Dibel non
trovava le parole per
ribattere, per spiegare che Reayd non era quello che sembrava. La
persona del
principe la sovrastava, le appariva gigante e imbattibile. Lei, che non
aveva
mai accettato l’etichetta che la sua condizione le aveva
imposto, una
fanciulla dal passato più che tormentato, come sarebbe
riuscita nell’intento di
scalfire le convinzioni di un reale come Herles? Ora più che
mai era tornato in
lei il richiamo della libertà, della giustizia, e
dell’amore vero. Cose che non
necessitavano di parole per trovare radici nel cuore, e non avevano
neppure
bisogno di trovare conferma nel prossimo.
Una voce nel
profondo le disse
di arrendersi, e così fece. Trasse un lungo sospiro, e
infine diresse
un’occhiata inespressiva al principe. -Non sarò
mai vostra. Mai.
Herles rise,
dapprima
lievemente, poi di gusto, reclinando la testa all’indietro.
Fece roteare la
lama orchesca con destrezza, passandosela da una mano
all’altra. -Questo lo
vedremo.
Reayd stava
perdendo coscienza.
Sentiva le forze abbandonarlo, lo provavano le sue gambe sempre
più incapaci di
sorreggerlo in piedi. Lentamente, tra i respiri mozzati, si
abbandonò alla
presa salda degli uomini assoldati dal principe. Dalla vita in
giù era coperto
da un reticolo di fiotti rossi.
Herles gli
fu presto alle
calcagna. -Torniamo a noi, non perdiamo tempo- disse -Non vorrei che la
morte
mi precedesse e ti togliesse la vita al mio posto.
La visione
smeralda della
vegetazione, del fisico tarchiato ed esplosivo di Herles, della dolce
Dibel, si
confuse in una sola macchia incolore. Reayd afflosciò la
testa sul collo,
socchiudendo gli occhi.
-Hai perso,
Reayd- affermò il
principe, torcendo il braccio per prepararsi al colpo mortale.
Ignorò ciò che
il moribondo stava mormorando, quasi una sorta di preghiera a mezza
voce,
quello fu per lui soltanto fonte di divertimento. Increspando le guance
intoccate con un ultimo fastidioso sorriso, dispiegò il
gomito e la spada nera
penetrò la carne del petto di Reayd, andando dritta al
centro del cuore. Come
vi era entrata, ne uscì lesta lasciandosi dietro uno spruzzo
copioso.
Calò
un silenzio surreale nella
boscaglia. Le foglie smisero di chiacchierare, il vento si
congelò e ogni forma
di vita divenne quieta spettatrice della scena che si stava consumando.
Solo
Dibel spezzò la desolazione con una serie di singhiozzi
contenuti,
contorcendosi al basso divorata da una disperazione oscura, tra le mani
dell’uomo incaricato di occuparsi di lei.
Era finita.
Il suo eterno amore
si era appena dissolto come una goccia d’acqua nel deserto,
inesorabilmente
evaporato, perso.
Poi ci fu
una grande esplosione
abbacinante.
Gli occhi di
Herles
sussultarono e vennero feriti, e furono costretti a nascondersi dietro
le mani,
che lasciarono cadere la spada. I briganti vennero spazzati via da una
forza
prorompente, e si ritrovarono ad atterrare a decine di braccia di
distanza. Un
magico vento caldo stava spazzando i capelli biondi di Dibel, che ora,
libera
dalla morsa d’acciaio del tirapiedi, osservava meravigliata
lo spettacolo.
Dallo sterno
di Reayd stava
fuoriuscendo una sagoma accecante simile ad una stella, dai molteplici
raggi diffusi
e da un nucleo centrale del colore del fuoco. Il corpo
dell’uomo morente venne
circonfuso da un bagliore, si innalzò dal suolo come tirato
da mani invisibili
e, una volta divenuto pura luce, pura essenza impalpabile, venne
risucchiato
dal nucleo dell’astro nascente sospeso a mezz’aria.
Poi si
produsse un secondo
spostamento d’aria più violento e maestoso del
precedente, e la stella cambiò
tonalità; le assunse tutte quante, assumendo
l’aspetto di una sorta di
arcobaleno sferico, di uovo fluttuante dai magnifici colori del cosmo.
Per
finire, l’involucro perse quota e toccò con
delicatezza il terreno: un’onda si
propagò sulla sua superficie, mostrandone la consistenza
semiliquida.
Herles non
aveva potuto far altro
che indietreggiare, inorridito e sconcertato come non mai. A stento
aveva
compreso cosa era successo, tanto era stato lo splendore che il
processo aveva
emanato.
Dibel
avanzò sicura in
direzione dell’uovo. Deglutì, e lo
sfiorò delicatamente, con gli occhi gonfi di
lacrime.
Fu a quel
tocco che Reayd
rinacque.
L’uovo
si schiuse come un fiore
baciato dai primi raggi del sole, aprendosi in centinaia di spicchi
affilati e
trasparenti quanto il vetro, i quali caddero sul prato e si infransero
in
miriadi di schegge, schegge d’acqua. Quel che rimaneva
dell’involucro ovoidale
si schiantò sull’erba come un corpo privato dello
scheletro, incapace di
sorreggersi in piedi. Si sollevarono schizzi e spume di liquido
multicolore,
profumato di rose e miele; dove andarono a posarsi, là
nacquero nel giro di un istante
pianticelle e mazzi di fiori variopinti.
Ai piedi di
un troneggiante albero
di mele appena giunto alla vita, in prossimità del punto
dove l’uovo giaceva
fino ad un istante prima, non c’era più un uomo
alla soglia dei cinquant’anni,
il cui spirito era limitato entro i confini di un corpo scomodo e
decaduto.
Adesso
c’era un ragazzo.
Dimostrava non più di una ventina d’anni;
capigliatura e barba ben curati, del
colore del rame inondato dai raggi solari. Vestiva
un’uniforme molto elegante,
di un tessuto paglierino impreziosito da decori che si intrecciavano in
una
ragnatela rossa sul petto disegnando la testa di un drago. Portava
appesa alla
cintola una lunga spada d’oro massiccio, priva di fodero.
I suoi occhi
si mossero piano,
le iridi argentate sfolgorarono d’estasi. Si volse verso
Dibel, che lo guardava
al colmo della gioia, nel mezzo di un pianto liberatorio, il viso umido
di
lacrime perlacee. Allora si fiondarono uno nelle braccia
dell’altra, si strinsero
forte, e piansero insieme. Si baciarono a lungo, con trasporto, tra
sussulti di
incontenibile felicità.
-Tu mi hai
salvato- sussurrò il
giovane all’orecchio della principessa.
-E’
stato il caso a volerlo-
balbettò lei, stringendolo ancora più forte.
-Il fato,
Dibel. Il destino.
Si baciarono
ancora, increduli
e tremanti.
Il ragazzo
si girò e guardò con
pietà Herles, a parecchie braccia di distanza, disteso a
terra con le mani agli
occhi. Tremava come una foglia.
-Alzati,
principe- decretò
fieramente, mentre si chinava per studiare una massa rovente e informe
ai suoi
piedi.
Herles
allora tentò di
ricomporsi alla bell’e meglio, issandosi sulle gambe con la
stessa certezza di
un inesperto funambolo che sale per la prima volta sui trampoli. Il suo
sguardo
a stento riusciva a carpire l’aspetto di quello che rimaneva
di Reayd.
-Cosa…cosa
è accaduto?- domandò
con voce flebile. A quanto pareva, aveva smarrito la sua spavalderia.
-E’
giunto il mio turno, sarò
io a raccontarti qualcosa adesso- riprese il giovane. Indicò
un mucchietto di
acciaio luminescente sul terreno. -Questa
è per caso la tua spada? Questo
groviglio informe di metalli incandescenti è la tua preziosa
lama di fattura
orchesca? Mi dispiace, dev’essersi rovinata per colpa mia. Mi
dispiace- Non
c’era traccia di canzonatura nella sua voce fresca e
schietta, solo sincero
rispetto e constatazione della realtà. -Vuoi sapere
cos’è successo? E’ presto
detto.
Il
giovanotto reale vide
quell’improbabile ragazzo compiere grandi falcate e
accostarsi a lui. Gli porse
una mano. -Prima tirati su, voglio parlarti come mio pari- gli disse. I
suoi
occhi furono più eloquenti di mille parole.
L’animo
di Herles si concesse
un ultimo, gratificante capriccio. Se in quell’individuo
c’era ancora traccia
dell’uomo che stava per uccidere, non gli avrebbe mai
permesso di rivolgersi a
lui con quei modi da superbo eroe. Quindi gli strattonò la
mano nel tentativo
di farlo cadere, per poterlo colpire in volto con la mano libera.
Ma tutto
questo non avvenne
affatto. Semplicemente il ragazzo non si fece trascinare al basso, ma
invece
contrappose la propria forza a quella del principe e lo fece alzare in
piedi
senza che questi neppure lo volesse.
Herles,
confuso da
quell’inaudito vigore e umiliato dalla cattiva riuscita del
suo giochetto,
decise allora di freddare i bollenti spiriti.
-Perfetto.
Innanzitutto il mio
nome è Gramond, Gramond Holevienne- esordì il
giovane annuendo.
Il cuore
dell’altro ebbe un
sussulto. -Gramond?...vuoi dire che…che sei…
-Si- lo
incalzò il ragazzo
-Sono l’eroe di cui narrano i libri che leggete ai vostri
bambini per farli
addormentare. Mi pare giusto raccontarti come sono andate le cose- Fece
cenno a
Dibel di raggiungerlo, e la attirò a sé con un
braccio, cingendole affettuosamente
le spalle. -Tanto tempo fa, prima che il padre di tuo padre nascesse,
uno
stregone gettò su di me una maledizione. Io vivevo
felicemente con Dibel in una
casa molto lontano da qui, e ci amavamo molto. Ci
conoscemmo…beh, non importa-
Si lasciò scappare una risata innocente, e Dibel lo
seguì a ruota. Herles era
sempre più disorientato. -Un giorno uno stregone si
innamorò della ragazza che
amavo, e, per averla per sé, mi fece precipitare negli
abissi di una terribile
maledizione. Il mio corpo ritornò quello di un neonato,
mentre il mio spirito
manteneva la sua consapevolezza. Per finire mi gettò in un
fiume…ma evito di
raccontare il resto, non ha rilevanza. Ti basti sapere che il mio corpo
invecchiava ad un decimo della velocità di un qualsiasi
altro uomo.
Dibel
carezzò il volto del suo
amato, riconoscendo le sofferenze alle quali aveva dovuto arrendersi
per
secoli. -Ma non era finita- proseguì Gramond -Lo stregone
lanciò anche su Dibel
una maledizione: impose al suo corpo di smettere di invecchiare,
sicché restasse
bella e nel fiore degli anni ignorando lo scorrere del tempo.
Così la costrinse
a trasferirsi nella sua dimora, un castello fatiscente e desolato. Ebbe
un
figlio, e questi ne ebbe uno a sua volta, e così via, mentre
il potere della
sua famiglia si imponeva sulle genti dando vita al regno delle Terre
Orientali.
In questo modo la sua discendenza si dispiegò nei secoli; ma
la principessa del
castello restava la stessa, ignorata da questo o sfruttata da
quell’altro. Puoi
immaginare quale perfido destino le è spettato?
Herles si
strinse nelle spalle,
scosso da un brivido freddo, incapace di proferire parola.
-Finché
un giorno…-Gramond
incrociò gli occhi verdi di Dibel, e le scoccò un
rapido bacio sulle labbra. -Ci
incontrammo. Lei riuscì ad eludere la sorveglianza del suo
castello, io diedi
ascolto al mio fiuto, o per meglio dire, al mio cuore…e ci
trovammo nel mezzo
del bosco, proprio là dietro- disse indicando una radura
poco distante. -Ma qui
non c’è più bisogno che mi dilunghi. La
storia la conosci anche tu, dal momento
che sei apparso dal nulla e ti sei sentito in potere di padroneggiare
su di me.
Di importi come promesso sposo di
Dibel, mentendo riguardo a fasulle
promesse di matrimonio!- Gramond dovette farsi forza per non permettere
alla
rabbia di avere la meglio su di lui.
Herles si
guardò intorno alla
ricerca dei suoi tirapiedi, ma non avevano perso tempo ed erano
fuggiti,
nessuno escluso. Era da solo, innanzi alla schiacciante
verità.
Deglutì
sonoramente, fissandosi
i piedi. -Sei…siete l’eroe che cinquecento anni fa
combatteste al fianco del Re
Leone Fiamma in Petto? E…e scacciaste la minaccia dei
Corvoceronti e del
loro signore malefico?- esclamò tutto
d’un fiato, come se avesse bisogno di ulteriori conferme. Non
gli bastava
l’aspetto di Gramond, quello che ogni libro di storia e delle
favole
raffigurava minuziosamente?
L’eroe
storse la bocca in un
umile sorriso. -Bravo, esatto. Proprio così-
Mollò una pacca sulla spalla del
principe, facendolo sobbalzare. -Quella fu la mia ultima battaglia,
prima
di…insomma, poi tornai al villaggio, da Dibel, e decidemmo
di trasferirci nel
bosco del regno di Narmelde, che allora era chiamato in altro modo. Le
promisi
che non l’avrei più abbandonata, non avrei mai
più appesantito il suo cuore con
il terrore del pensiero della mia morte in battaglia.
Dibel si
allontanò da lui e gli
strinse le mani. -L’importante è che la
maledizione sia stata spezzata, amore mio.
Possiamo stare insieme, adesso.
-Si-
soggiunse Gramond
sottovoce -Possiamo vivere come desideravamo, prima che quel mostro
scindesse i
nostri destini legati.
-E
quell’uovo, e il fiore di
luce? E quei colori…cosa è successo?
Come…come è…- proruppe Herles, non
contento del resoconto ottenuto. Probabilmente non era in grado di
capacitarsi
appieno della situazione, di rendersi conto dello smacco che il suo
egocentrico
carattere aveva subito.
La coppia
rise amabilmente.
Dibel prese parola, scuotendo energicamente il capo. -Non lo sappiamo,
e non ci
importa. Suppongo sia stato il nostro amore perdurato nel tempo, e
soprattutto
il fatto che fossimo insieme quando è
avvenuto…l’impensabile- La sua voce
s’incrinò al rievocare l’immagine del
suo amato con una spada conficcata nel
cuore. -Vedi, principe, quando trovi il vero amore…quando
incontri quella
persona speciale, il tuo specchio…quando percepisci il
legame, che va al di là
di tutto, vita e morte…niente è impossibile.
Gramond le
carezzò i capelli,
commosso. -Anche il buio si inchina di fronte all’amore, come
la maledizione.
Non ci ho
capito un accidente,
pensò la mente adulta di
Herles. Forse se questa fosse stata più infantile,
più giocosa e riconoscente
delle piccole cose della vita, se fosse stata educata a riconoscere
l’amore in
un seme di quercia, come si faceva nei tempi antichi, nei tempi di
Dibel e
Gramond, forse avrebbe compreso le loro parole.
Ma era sulla
buona strada. In
cuor suo una scintilla era stata deposta dalle parole uscite dalle
bocche dei
due giovani, e presto avrebbe germogliato.
-Ora
va’, Herles- esclamò
Gramond, in tutta la sua regale, spontanea teatralità.
-Torna a casa e racconta
di quello che hai visto e sperimentato. Parla al tuo regno della
discendenza
dello stregone, istruiscilo e mettilo in guardia dalla piovra nera che
è il
potere che ammorba le Terre Orientali- Poi addolcì lo
sguardo, lasciando
emergere la parte migliore del suo animo. -Cerca di combinare
finalmente
qualcosa di buono, eh?- Mollò una seconda sberla sulla
spalla di Herles.
Questi non
poté far altro che
assentire, con gli occhi di bambino persi su quella che era la sua
spada, icona
di un potere sepolto dalla nuova consapevolezza che aveva acquisito in
quel
giorno, in quell’incontro.
-Addio-
disse Dibel, rivolgendo
al principe un sorriso. Venne presa per mano da Gramond ed insieme
scomparvero
dietro i bracci degli arbusti del bosco fiorente, accompagnati da
solitari
animaletti che celebravano la loro riunione cantando e volando,
sgattaiolando e
compiendo archi in cielo in loro onore.
Ditemi cosa ne pensate se vi va, mi aiuta e mi fa più che piacere! :)
WingSam