Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica
Ricorda la storia  |      
Autore: Ailisea    08/09/2013    13 recensioni
Dal testo: "Osservando meglio la spiaggia in lontananza, la ragazza si accorse di una figura apparentemente umana che andava via via avvicinandosi, lentamente. La marea si era alzata, l’acqua ormai le arrivava alle caviglie, l’aria si era fatta davvero fredda e la luce stava svanendo da quel cielo così etereo. Un senso di inquietudine cominciò ad invaderle la mente ed il cuore, stavolta era diverso, qualcosa non quadrava."
[Hints KyoSaya; AU; Tematiche Delicate]
Prima classificata e vincitrice delle menzioni "Miglior personaggio femminile" e "Miglior grammatica" al contest "L'inizio della Fine" indetto da Cosmopolita1996.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Kyoko Sakura, Sayaka Miki | Coppie: Kyoko/Sayaka
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

“Looking up from underneath,
Fractured moonlight on the sea.
Reflections still look the same to me,
As before I went under.”

 

Il rumore delle onde si propagava fino alle sue orecchie, i cinque sensi erano ovattati, anestetizzati. Aveva gli occhi chiusi, ma riusciva a ricostruire alla perfezione lo scenario che le si sarebbe presentato d’innanzi: il colore dell’acqua avrebbe potuto tingere persino quel cielo grigio che si stagliava infinito all’orizzonte fino a confondersi con il mare, un limbo indefinito in cui soffocare i propri ricordi.
La ragazza sollevò lentamente le palpebre, il riverbero del sole le ferì gli occhi, appoggiò una mano sulla sabbia calda e il tatto le restituì una sensazione lontana di calore materno. Pian piano i sensi cominciarono a risvegliarsi, la sua vista si colmò di colore, il respiro di aria e lo spirito di luce. La visuale del mare le riempì come sempre gli occhi di lacrime, era un luogo tangibile ma al tempo stesso immaginario, davvero troppo bello per poter essere vero.
Allungò una mano verso il sole coperto dalle nuvole ed osservò la sagoma delle sue dita magre: piccoli graffi incidevano la superficie di quella pelle bianca e perfetta, le unghie erano corte e spezzate, le vene evidenti e bluastre. Lentamente si alzò, le gambe magre riuscivano a malapena a sostenerla e più volte dovette aiutarsi con le braccia prima di raggiungere un equilibrio stabile.
I capelli del colore del mare profondo le ondeggiavano ai lati del viso e la sottile veste bianca celava a malapena le forme esili del suo corpo provato.
Il sole era un disco bianco al di là delle nuvole, non riscaldava e non trasmetteva nessuna gioia, una sensazione molto familiare. Un vento freddo cominciò a soffiare e la ragazza si voltò lentamente verso sinistra: il cielo ad ovest era nero e carico di pioggia. Osservando meglio la spiaggia in lontananza, la ragazza si accorse di una figura apparentemente umana che andava via via avvicinandosi, lentamente. La marea si era alzata, l’acqua ormai le arrivava alle caviglie, l’aria si era fatta davvero fredda e la luce stava svanendo da quel cielo così etereo. Un senso di inquietudine cominciò ad invaderle la mente ed il cuore, stavolta era diverso, qualcosa non quadrava. La figura ormai era più vicina ma non riusciva assolutamente a distinguerne i lineamenti, capiva però che stava cercando di comunicarle qualcosa indicando un punto imprecisato verso il mare. La ragazza si voltò verso la direzione indicata dalla figura e con terrore vide che una gigantesca onda era sorta e puntava dritta verso la spiaggia, verso di lei.


“Sayaka.”
Una voce fastidiosa la risvegliò dal limbo. Aprì gli occhi e nessuna luce di alcun sole le graffiò le retine, al suo posto il freddo bagliore delle lampade al neon la salutò insieme ad un’altra interminabile giornata che sarebbe stata uguale a tutte le precedenti, come da un anno a quella parte.
“Svegliati, devi prendere le tue medicine.”
L’infermiera era scortese come sempre, le era risultata insopportabile sin dal primo giorno. Sayaka si girò lentamente su un fianco con un mugolio e la fissò con uno sguardo vuoto, spento. Non ci si poteva aspettare affetto in un ospedale psichiatrico, questo lo sapeva, ma le mancavano le giornate spensierate del passato, le giornate precedenti a quel disastro che erano stati i suoi ventuno anni. Si alzò di malavoglia mettendosi a sedere sul materasso e mise una mano a coppa davanti a sé, aspettando di ricevere la sua razione mattutina di pillole dall’aria così innocua ma capaci di offuscare qualsiasi pensiero, di addormentare l’anima.
Prese il bicchiere pieno d’acqua appoggiato sul suo comodino e mandò giù le sue pillole, un sorrisetto compiaciuto si dipinse per un secondo sul volto dell’infermiera che si sbrigò a farla alzare dal letto con poca grazia ed a portarla fuori dalla sua camera. Il corridoio del suo reparto era bianco -come qualunque cosa lì dentro- ed asettico, le lampade al neon la seguivano in ogni suo movimento, non c’era stanza che conservasse un angolo, anche minuscolo, di buio. La fredda luce bianca osservava tutto e tutti.

Entrò nello studio del suo psichiatra per la visita giornaliera e si accomodò sulla sedia di fronte alla scrivania. Il medico che le stava d’innanzi la osservava da dietro le lenti spesse dei suoi occhiali, il blocco note che aveva fra le mani era ormai usurato dal troppo scrivere; spesso durante le loro sedute non degnava la ragazza di uno sguardo, si limitava ad annotare freddamente tutto ciò che usciva dalla sua bocca, senza curarsi di consolarla quando piangeva o di sorridere con lei quando un ricordo felice faceva capolino dalla nebbia della sua mente annebbiata dagli psicofarmaci.

“Buongiorno Sayaka, come stai stamattina?”
“Come al solito.” la ragazza spostò lo sguardo di lato nervosamente, gli occhi dello psichiatra la mettevano a disagio, sembravano scandagliarle l’anima in cerca di segreti da carpire, della ragione profonda dietro al perché una ragazza di soli ventidue anni dovrebbe trovarsi chiusa in un ospedale psichiatrico. Era ansioso di trovare il covo del demone nella sua testa, il nucleo della pazzia.
“Hai sognato stanotte?”
“No.” mentì “Dopo aver preso le medicine non riesco mai a sognare.”
Il medico la fissò per qualche secondo senza dire nulla, poi scrisse qualcosa sul suo blocco note.
“Sei riuscita a dormire bene? Non hai più spasmi muscolari?”
“Mi sono svegliata qualche volta, la ragazza della camera accanto alla mia urla sempre di notte.” Sayaka evitò accuratamente di rispondere alla seconda domanda, la terapia contro gli spasmi muscolari era troppo dolorosa e non aveva intenzione di sperimentarla di nuovo.
“Capisco, dovrò prescriverle dei sedativi più potenti, magari dei barbiturici.” il medico borbottò fra sé e sé ma non sembrò intuire il tentativo della ragazza di dirottare il discorso, era meno furbo di quanto sembrasse “Bene, allora se non ci sono problemi e non hai nulla da dirmi ci rivediamo per la visita di stasera.”
Sayaka annuì, ormai lo psichiatra si era rassegnato alla sua scarsa loquacità. Da parte sua non c’era mai stata una particolare voglia di collaborare: quando era stata ricoverata in ospedale, dopo un’iniziale ed inutile lotta portata avanti con le unghie e con i denti per farsi ascoltare, la sua apatia si era accentuata sempre di più; adesso non parlava con nessuno, non aveva amici e le ore nella sala comune del reparto le passava a leggere libri o a guardare fuori dalla finestra. A volte una voce nella sua testa – una voce del passato – le teneva compagnia nei suoi lunghi silenzi.
Mentre si alzava dalla sedia, il medico chiamò a sé l’infermiera e le sussurrò qualcosa all’orecchio, Sayaka riuscì ad intuire solamente le parole “terapia” e “ragazza” leggendo il labiale dell’uomo. L’infermiera fece un cenno di assenso con la testa, poi si avviò verso Sayaka e strattonandola di malagrazia la condusse al corridoio che portava alla mensa.
Durante il tragitto che ormai conosceva da tempo a memoria, la ragazza notò un certo movimento nel reparto, cosa insolita per un luogo così tranquillo. Le infermiere parlottavano concitate fra loro e le pazienti nella sala comune erano in fermento, c’era tensione nell’aria e non riusciva a capire perché.

La giornata passò velocemente, dopo la colazione si erano susseguite le terapie di gruppo, le attività individuali ed i due pasti principali. Tornata in camera, Sayaka si stese sul letto. I farmaci le rendevano il corpo e la testa pesanti, tanto che dopo un’attività che in teoria non avrebbe dovuto comportare alcuno sforzo, si sentiva già stanca come se avesse scalato una montagna. Odiava sentirsi fiacca ed inutile. Dopo aver fissato le crepe dell’intonaco sul soffitto per un po’, chiuse gli occhi, preparandosi a tornare nel suo amato limbo.
Ma il limbo non arrivò, al suo posto la colse un sonno profondo e silenzioso, uno di quei sonni simili alla morte. Quando si svegliò le sembrò di aver dormito per dieci anni. Era strano, pensò, non c’erano state notti o giorni durante i quali fosse riuscita a dormire un sonno senza sogni –o incubi che fossero– sin da quando era stata ricoverata. La perplessità che l’aveva accompagnata durante il suo risveglio si dissolse non appena sentì dei passi nel corridoio. Fece per mettersi a sedere, tuttavia venne colta da un capogiro e da una strana nausea, avvertiva un odore salmastro nell’aria ma non riusciva ad attribuirgli una provenienza ben definita.

Qualcuno inserì le chiavi nella serratura della porta e l’aprì lentamente, la solita infermiera entrò nella camera, il flacone con le medicine in una mano e le chiavi nell’altra. Qualcosa però era diverso dal solito, l’essenza salmastra che aveva percepito poco prima permeava ancora la stanza. Da sotto la porta Sayaka poteva scorgere l’ombra di due piedi: la donna non era sola.
“È l’ora delle medicine.” l’infermiera le si avvicinò velocemente e le porse le solite pillole. Sayaka cercava di piegare la testa lateralmente per scorgere chi fosse la persona sull’uscio, ma il corpo dell’infermiera le copriva il campo visivo.
“Questa è Sayaka Miki, la paziente di cui le ho parlato prima.” la donna corpulenta si era allontanata in direzione della porta per parlare con la figura misteriosa. “Capisco, è possibile parlare con lei?”
“In effetti non so se sia una buona…” l’infermiera non fece in tempo a finire la frase. Sayaka si era alzata dal letto vinta dalla curiosità ed ora si trovava alle sue spalle.

La giovane sulla porta osservò la paziente: profonde occhiaie le segnavano il viso ed il colorito pallido della pelle era accentuato dalla sfumatura scura del blu dei suoi occhi e capelli.
“Ciao Sayaka, piacere di conoscerti. Sono la nuova assistente del dottor Kajiwara, Kyoko Sakura, mi sono laureata da poco e adesso lavoro qui.” la giovane le porse la mano sorridendo. Sayaka la guardò riluttante, non si fidava dei medici. Adesso capiva il motivo dell’agitazione di pazienti ed infermiere, quel reparto era un ambiente chiuso, un vicolo cieco dal quale si entra ma non si esce, sempre le stesse persone tutti i giorni, l’arrivo di una nuova dottoressa era un evento che portava caos ed agitazione, come un’onda anomala.
Sayaka non strinse la mano della giovane dottoressa ma si limitò ad osservarla: aveva un viso tondo e guance rosee. I lunghi capelli rosso scuro erano legati in una coda alta e i grandi occhi castano-rossicci sembravano brillare di luce propria.
Quand’era stata l’ultima volta che aveva visto una persona sorridere in quel modo?
Kyoko abbassò lentamente la mano “Non ti piace molto parlare, eh? Non preoccuparti, avremo molto tempo per conoscerci.” fece un cenno di saluto con la testa ed uscì dalla camera, il suo sorriso non s’incrinò minimamente, sembrava una persona molto sicura di sé. Dopo di lei uscì anche l’infermiera, che chiuse la camera lasciando la ragazza sola coi suoi pensieri.

L’incontro con la nuova dottoressa l’aveva lasciata confusa, non capitava quasi mai di trovare un medico così ben disposto nei confronti delle pazienti, generalmente tendevano tutti a considerare lei e le altre come bestie, gente senza diritti. Prima che la porta si chiudesse, Sayaka era riuscita a cogliere gi sguardi eloquenti delle infermiere al passaggio di Kyoko, e da ciò aveva compreso che la giovane non era ben vista, probabilmente adoperava dei metodi troppo all’avanguardia in fatto di psichiatria e forse il suo rapporto con i pazienti non si limitava ad un paio di sterili visite al giorno, come invece succedeva con gli altri medici.


***

Le giornate si susseguirono lente e passò una settimana dall’arrivo della novità nel reparto.
Le foglie autunnali ormai cominciavano a cadere ed i boschi intorno all’ospedale si erano tinti delle calde tonalità dell’arancione e dell’ocra. Il cielo era quasi sempre coperto durante il giorno, mentre verso sera si apriva per lasciare il posto ad un bellissimo tramonto infuocato che inondava ogni cosa di luce.
Le teorie su Kyoko si erano rivelate veritiere: spesso si recava nelle camere delle pazienti e parlava con loro, portava qualcosa in dono o le invogliava a passeggiare assieme a lei nel giardino della struttura. I medici, dal canto loro, avevano semplicemente deciso di ignorarla, si limitavano a salutarla con finta cortesia quando passava, ma Sayaka aveva notato le occhiate che le lanciavano appena la dottoressa si voltava di spalle. Ipocriti, dal primo all’ultimo.
La giovane era nella sala comune ed osservava le nuvole che si rincorrevano veloci negli strati più alti dell’atmosfera, quando udì una sedia del suo tavolo spostarsi. Mosse lo sguardo verso la fonte del rumore e vide una delle pazienti che le si era seduta vicina, troppo vicina per i suoi gusti.
“Cosa vuoi Mitsuyo?” il tono seccato era accompagnato da un’occhiata molto significativa.
“Niente, volevo solo sedermi vicino a te per ammirare il tramonto. Hai visto che bello?” mentre parlava avvolgeva una ciocca di capelli attorno all’indice destro: era il suo tic nervoso.
Mitsuyo era una ragazza problematica, Sayaka ricordava di aver sentito dire che soffrisse di disturbo bipolare. Era stata ricoverata da poco più di tre mesi, ma era già nota per aver aggredito diverse ragazze e per aver insultato pesantemente una delle infermiere, oltre che per il singolare hobby di spaventare le nuove arrivate e le ragazze più fragili mentalmente. Nessuno la sopportava davvero ma quasi tutti avevano paura di lei là dentro, in più era anche figlia di un funzionario potente, quindi nessuno poteva fare niente a parte ammonirla verbalmente.
La ragazza aveva perennemente stampati sul volto un’aria di superiorità e un odioso sorrisetto che Sayaka odiava. Si truccava spesso ed aveva i capelli sempre in ordine (cosa che stonava tremendamente con il camice da paziente che indossava), ma guardandola attentamente negli occhi sfuggenti si distinguevano chiaramente le ombre che si agitavano dentro di lei, sotto l’apparenza di ragazza perfetta ed elegante. Nessuno avrebbe mai voluto fare amicizia con una persona del genere.
“Sì, il tramonto è bellissimo, ma tu sei troppo vicina. Se non hai niente da fare a parte infastidirmi ti pregherei di andartene.” la ragazza mantenne il tono più calmo che le riuscì, ma la vicinanza di quella strana figura la metteva a disagio, c’era qualcosa in lei che le faceva scattare un campanello di allarme nel cervello.
“Oh, perché dovrei? Dopotutto non abbiamo mai avuto molte occasioni per conoscerci e, sai, tu mi piaci parecchio. Sembri molto simile a me.” inclinò la testa di lato, cosa che la rese ancora più inquietante. I grandi occhi neri sembravano due pozzi di oscurità all’apparenza tranquilli, ma prestando molta attenzione si potevano intuire le forme scure che si muovevano in quella quiete fittizia.
“Non siamo simili, non lo siamo neanche un po’. Io non mi diverto a spaventare le persone, vattene prima che mi arrabbi sul serio.” la calma che riusciva ad ostentare stava pian piano svanendo, quella ragazza metteva a dura prova la sua pazienza.
“Ooh attenzione a non far arrabbiare la signorina Miki!” il tono canzonatorio che usò fece stringere i pugni a Sayaka. Si era ripromessa di non essere più violenta, non dopo ciò che aveva combinato quella volta, ma la sua condiscendenza stava venendo meno e la voce nella sua testa premeva per uscire, reclamava giustizia. O sangue?

“Sayaka.”
La ragazza si risvegliò dalla sua trance, lo sguardo corse veloce verso la direzione dalla quale proveniva la voce e lì incontrò Kyoko che la guardava con un misto di agitazione e sgomento.
“Sayaka, lasciala.”
La voce di Kyoko era calma ma perentoria, la ragazza vide gocce di sudore imperlarle la fronte.
Lasciarla? Cosa avrebbe dovuto lasciare?
D’improvviso avvertì qualcosa di umido e appiccicoso sulla mano destra. Lentamente fece scorrere lo sguardo dalla dottoressa alla sua mano sinistra, per trovarla avvinghiata al colletto del vestito di Mitsuyo, che la guardava terrorizzata. Aveva un labbro spaccato e un occhio gonfio, cercava di svincolarsi dalla presa di Sayaka, ma senza successo. Si accorse di avere del sangue sull’altra mano, il sangue di Mitsuyo.
“Lasciala, forza.”
Sentiva gli sguardi delle altre pazienti e delle infermiere su di sé, la giudicavano, era sicura che ridessero di lei e del suo poco autocontrollo.
Frenesia.
Venne colta da un capogiro e senza volerlo lasciò andare l’altra ragazza, che indietreggiò strisciando sul pavimento per poi correre via spaventata mentre Sayaka si accasciava a terra con la testa fra le mani. Stava appena cercando di riprendersi dallo shock, quando due medici ed un’infermiera la tirarono su di peso, bloccandole le braccia e trascinandola via con forza.
“Lasciatemi! Non ho fatto nulla!”
Sayaka si sgolò dimenandosi, cercando di far capire agli altri che non era stata colpa sua - perché non poteva essere colpa sua, giusto?- ma ottenne in riposta solamente le occhiate gelide del personale e quelle impaurite delle altre pazienti. Annaspando in cerca di uno sguardo di comprensione cercò Kyoko con gli occhi, ma quando la trovò non vide alcun segno di indulgenza in lei. Cominciò ad iperventilare e le lacrime le inumidirono gli occhi: anche stavolta nessuno l’avrebbe ascoltata, era sola. Con un misto di rassegnazione e disperazione chiuse gli occhi, lasciandosi portare via dai medici.

Solo quando la ragazza venne trascinata fuori dalla sala comune Kyoko si concesse un respiro di sollievo, per poi passarsi una mano sul viso. Era stanca, le cose in quel posto erano più difficili di come se le era immaginate, in particolare quando si trattava di Sayaka. Avrebbe voluto aiutarla, consolarla e proteggerla, ma il direttore le aveva intimato di non lasciarsi coinvolgere e di non dare modo alla ragazza di stringere un rapporto con lei. Non ne sarebbe scaturito nulla di buono, aveva detto. La dottoressa ovviamente non era d’accordo, ma non poteva fare nulla se non obbedire in silenzio.


***

Sayaka non ricordava da quante ore era sdraiata sul suo letto a fissare il soffitto. Non aveva toccato né cibo né acqua, le infermiere avevano provato ad imboccarla ma lei aveva sempre sputato tutto quanto, non avrebbe mai accettato la pietà altrui, non in quel luogo.
Ormai era buio, la luce della luna filtrava attraverso le tendine appese alla finestra, illuminando a malapena una piccola parte della camera mentre nel corridoio regnava uno strano silenzio. Provò ad addormentarsi, ma incubi le infestavano la mente appena entrava nel dormiveglia, così rinunciò al sonno e si sedette, a fatica, sul letto.
Trovava difficile mantenere l’equilibrio: l’effetto dell’iniezione di psicofarmaci che le avevano fatto dopo l’accaduto nella sala comune le annebbiava ancora i riflessi ed i contorni della camera erano sfumati e cangianti, come in sogno.
Lentamente, prima lieve poi più nitido, un rumore simile a passi sulla neve percorse il corridoio. Il tonfo sordo e veloce dei piedi ricordava molto un animale in fuga che cercava di seminare un predatore. Sayaka rimase in ascolto, aspettando di veder comparire la solita infermiera da un momento all’altro, tuttavia il suono di quei piedi era sinistro, troppo ovattato. Il chiarore della luna aveva assunto un’aria spettrale, il raggio che illuminava la stanza cadeva dritto sulla porta e da sotto l’uscio s’intravedeva l’ombra di due piedi. La ragazza era sicura di star sperimentando un dejà-vu, qualcosa del genere era già successo in passato, ma non riusciva assolutamente a ricordare né come, né quando. Pian piano cominciò a non rammentare più dove si trovasse, sapeva solamente che le ombre attorno a lei si stavano allungando e dal buio negli angoli della stanza provenivano strani sussurri, rumori striscianti e flebili risate infantili. D’un tratto la camera le sembrò stretta e soffocante, sapeva di dover uscire di lì alla svelta, in un modo o nell’altro.
Alzandosi barcollante dal letto si avviò verso l’uscio prestando attenzione a non fare rumore, ma ad ogni passo rimbombava nell’aria una sorta di eco, come se si trovasse in un’enorme sala. I suoi movimenti erano molto rallentati ed impiegò non poca fatica per raggiungere la soglia senza cadere, ma quando arrivò sulla porta la paura le impedì di aprirla, le gambe le tremavano e aveva la pelle d’oca. La figura al di là della porta era silenziosa ed immobile.

Sayaka appoggiò l’orecchio alla porta per cercare di captare un suono o una voce al di là di essa, ma tutto ciò che percepì fu il silenzio assordante della notte. Stava quasi per decidersi ad aprire la porta, quando un vocio indistinto cominciò a crescere sempre più rapidamente, fino a diventare assordante.
“Cos’è questo rumore?! Basta!” la ragazza si coprì le orecchie con le mani nel tentativo di scacciare quel frastuono sinistro, ma il brusio non ne voleva sapere di cessare: le martellava il cervello, suggestionandola ancora di più; adesso era sicura di aver visto qualcosa muoversi in un angolo buio della stanza. Le affiorarono alla mente visioni terrificanti, ricordi di un passato orrendo e di speranze infrante, troppo da sopportare persino per lei.
Quando era ormai sul punto di perdere il controllo, però, qualcosa accadde. Il vociare cessò di colpo, come se non fosse mai esistito, e la serratura della porta cominciò a girare lentamente, guidata dall’esterno. Quando la chiave finì la sua mandata e la serratura fece un ultimo scatto, la porta si aprì a fessura e un ricordo saettò improvvisamente nella mente di Sayaka: aveva visto l’ombra di quei piedi al di sotto della porta il giorno in cui aveva incontrato Kyoko. Adesso cominciava a recuperare il controllo delle proprie emozioni, il sangue non le pulsava più nelle orecchie ed il respiro tornò regolare.
Non doveva avere paura, Kyoko era lì per salvarla, adesso sarebbe andato tutto bene, pensò.
Afferrò decisa la maniglia della porta e la tirò a sé, spalancandola.

Un odore salmastro le invase le narici, ma stavolta c’era un'altra essenza mascherata sotto al profumo del sale e dell’acqua di mare, un effluvio dolciastro e nauseabondo. La figura al di là della porta era di spalle, Sayaka si avvicinò lentamente e le posò una mano su una spalla, ma la carne era molle e con orrore si accorse che la poca pelle visibile era devastata da macchie e piaghe nerastre, come quelle su un corpo immerso per troppo tempo nell’acqua. Spostò immediatamente la mano e indietreggiò, ma i piedi erano bloccati fino alle caviglie da una sabbia che prima non c’era; l’acqua aveva invaso la camera ed il suo livello stava inesorabilmente salendo. La ragazza fu colta dal panico.
“Non puoi scappare, adesso.”
Una voce roca e distorta provenne dalla figura di spalle, che lentamente cominciò a voltarsi verso la ragazza. Quando si girò del tutto, Sayaka fu certa che non si trattava di Kyoko, ma non riusciva ad identificarla a causa del buio.
“Non puoi scappare, adesso.”, stavolta il tono si era fatto più cupo ed echeggiante, l’acqua continuava a salire e Sayaka era del tutto immobilizzata. La figura si avvicinò a lei e finalmente venne illuminata dalla luce della luna, al che la ragazza si lasciò andare ad un urlo di terrore.
L’altra Sayaka la fissava con orbite vuote ed uno strano ghigno sul volto deturpato dall’acqua.


“Sayaka, svegliati!”
Il suono delle sue grida di paura accompagnò la ragazza durante il risveglio, probabilmente aveva urlato anche fuori dall’incubo, se qualcuno l’aveva svegliata in modo così concitato. Stavolta non poteva tollerare un’altra scortesia da parte dell’infermiera; l’adrenalina che aveva in corpo le donò una sorta di coraggio malsano e con esso la forza per scagliarsi contro di lei, ma al suo posto, seduta vicino a lei, c’era la dottoressa Sakura.
“Ma cosa…” Sayaka fermò il pugno a mezz’aria e spalancò gli occhi, sorpresa.
“Stavi sognando, hai dormito per tre giorni dopo che...” non finì la frase “Ero di turno e ti ho sentita urlare, così mi sono precipitata qui.” Kyoko non sembrò scomporsi alla vista del pugno che avrebbe potuto ricevere, anzi la spinse ad avvicinarsi di più alla paziente, tanto da prenderle una mano fra le sue.
“Gli incubi stanno peggiorando, non è vero? Ti avevo sentita spesso lamentarti, ma mai urlare in questo modo.”

L’aveva “sentita spesso”? Cosa voleva dire?
“Cosa… cosa stai dicendo? Mi hai spiata?” la ragazza si mise subito in allerta, come faceva sempre quando non si fidava di qualcuno.
“In un certo senso potremmo dire di sì. Il direttore mi ha proibito di avvicinarmi troppo a te, ma io sento di poterti aiutare, voglio essere tua amica Sayaka, non la tua aguzzina.”
Sayaka la guardò negli occhi, sembrava sincera ma non poteva fidarsi ciecamente di un medico.
“Vuoi aiutarmi? Allora perché non mi hai aiutata nella sala comune?”
“Lo sai che non potevo, ti ho appena spiegato che…”
“Bugiarda! Sei un medico, non un’infermiera qualunque!” era saltata in piedi e la guardava dall’alto, ma a Kyoko non fece alcun effetto.
“Vero, sono un medico, ma non sono Dio! Se il direttore mi dà un ordine non posso ignorarlo ed agire come se nulla fosse! Non sei l’unica che soffre qui dentro, devi imparare a collaborare!”
Non l’aveva mai vista arrabbiata, per la prima volta qualcuno si confrontava con lei invece di liquidarla senza una spiegazione. Sayaka ne fu piacevolmente colpita.
“Cosa intendi con collaborare?” la guardò sospettosa.
“Intendo curarti, o almeno provarci. So che non ho molta esperienza, ma ho svolto il mio tirocinio sotto un grande psichiatra, uno dei migliori del nostro Paese. Questa persona ha lavorato per anni su un nuovo metodo di diagnosi e cura, ma ovviamente non è stato approvato ufficialmente e di conseguenza non si può esercitare sui pazienti.” dicendo questo la dottoressa assunse un’aria amareggiata.
“…È doloroso?”
Kyoko sollevò la testa e vide la speranza negli occhi di Sayaka, qualcosa l’aveva convinta a fidarsi, almeno un poco, di lei.
“No, certo che no. Si tratta di un metodo psicoterapeutico chiamato Ipnosi Regressiva, permette al medico di indagare nella mente del paziente e di scoprire i traumi e gli eventi che l’hanno portato a soffrire di certi… problemi.” misurò accuratamente le parole.
“Quindi mi consulterai come si sfoglia un fascicolo?”
Kyoko soffocò una risata. “No, non posso leggerti nel pensiero. Ti indurrò uno stato d’ipnosi in cui, tramite le mie parole, rivivrai alcuni episodi del tuo passato. Devo avvisarti però, saranno ricordi dolorosi e traumatizzanti. Questo è necessario ai fini della terapia. Lo capisci, vero?”
Sayaka ci pensò su. Tutto desiderava fuorché pensare di nuovo a certe cose del proprio passato, ma era stanca degli incubi, della gente di quel posto e delle loro terapie inutili. Dopotutto, cosa aveva da perdere? Poteva fidarsi, almeno stavolta? Decise di sì.
“Va bene, posso provarci.” disse sottovoce. Il sorriso di Kyoko sbocciò come un fiore di ciliegio a primavera, il suo cognome le calzava davvero a pennello.
“Grazie.” la dottoressa si alzò in piedi e l’abbraccio improvvisamente, stringendola a sé.
“Vedrai che insieme ce la faremo, non sarai più sola.”
Sayaka ebbe una fitta al cuore e fece per abbracciarla a sua volta, poi ricordò la promessa che aveva fatto a sé stessa: si era imposta di non affezionarsi mai più a nessuno, altrimenti avrebbe ricevuto solo altre cocenti delusioni. A malincuore non ricambiò l’abbraccio.


***

Passò ancora qualche altro giorno prima che le due ragazze avessero l’occasione di incontrarsi di nuovo, dovevano essere caute per non far scoprire che stavano macchinando qualcosa. Inizialmente Kyoko riusciva a parlare con Sayaka solamente tramite bigliettini nascosti accuratamente nella federa del suo cuscino o fra un cassetto e l’altro del comò, ma quando aveva sorpreso un’infermiera a raccogliere un foglietto da terra ed aveva dovuto affrettarsi a strapparglielo di mano con una scusa, si rese conto che bisognava trovare un metodo di comunicazione più sicuro.
Scelse di recarsi dalla ragazza di notte, nel momento in cui le infermiere del giorno smontavano il turno e subentravano quelle notturne. Per una decina di minuti il reparto sarebbe rimasto scoperto, solamente allora avrebbe potuto agire e portare Sayaka fuori della sua stanza, per poi riportarla indietro al cambio di turno successivo.
Sarebbe stata sicuramente una mossa rischiosa, poteva verificarsi un qualsiasi tipo di imprevisto: un cambio di turno posticipato, qualche medico che si aggirava per il reparto o chissà quale altro fatto dettato dalla sfortuna, ma Kyoko si sentiva fiduciosa, aveva deciso di aiutare la sua paziente e l’avrebbe fatto a qualsiasi costo, ormai era una questione di principio.
Uscì dallo studio molto cautamente e si diresse verso il corridoio delle pazienti, cercando di fare il minor rumore possibile e di rimanere nelle zone d’ombra; fortunatamente le luci dei corridoi di notte erano attenuate e gli interstizi fra le porte ed i muri rimanevano bui: un’ottima chance per passare inosservati. Con molta fatica riuscì a raggiungere la stanza di Sayaka e tirò fuori dalla tasca la copia della chiave che aveva rubato nella stanza delle infermiere, inserendola nella toppa e girando molto lentamente. Per fortuna la serratura non emise alcun cigolio particolarmente acuto e la ragazza riuscì ad introdursi nella stanza senza essere scoperta. Nel cono di luce prodotto dalle lampade esterne Kyoko individuò la sagoma della paziente alzarsi dal letto e dirigersi verso di lei, esitante. “Vieni, non c’è nessuno fuori, ho controllato io.” la dottoressa parlava quasi sibilando.

Uscirono entrambe dalla stanza e Kyoko richiuse piano la porta, sperando che il tempo a disposizione le bastasse per tornare al suo studio senza farsi vedere dalle infermiere. Percorsero il corridoio a ritroso, ma poco prima di raggiungere la meta sentirono delle voci venire verso di loro dalla direzione opposta: le infermiere della notte erano già arrivate.
“Dannazione!” imprecò Kyoko sottovoce “Svelta nasconditi qui e non fiatare per nessun motivo, non devi muovere un muscolo, intesi?” parlò velocemente mentre faceva accovacciare Sayaka in un angolo buio e le si metteva davanti, sperando che la vista delle due donne non fosse così aguzza. Fece appena in tempo a prendere il cellulare dalla tasca per far finta di scrivere un messaggio che le infermiere sbucarono dall’angolo del corridoio e vennero verso di lei, parlottando fra loro. Quando la raggiunsero le rivolsero un saluto sbrigativo e proseguirono oltre, ma poco dopo una di loro si fermò bruscamente. “Dottoressa Sakura?”
Kyoko sobbalzò e quasi non riuscì a trattenersi dall’imprecare di nuovo. “S-sì? Mi dica.” cercò di mantenere il tono più calmo che le riuscì, ma non era molto brava in queste cose.
“Non ho trovato il direttore, quindi le cartelle cliniche dei pazienti dimessi le ho lasciate sulla sua scrivania, potrebbe chiuderle lei e metterle negli archivi appena ha un attimo di tempo?”
Per fortuna non si era accorta di nulla. “Ma certo, lasci fare a me!” inarcò gli angoli della bocca in un sorriso teso, ma la poca luce - o la noncuranza - impedirono all’infermiera di farci troppo caso, quindi si congedò con un saluto e proseguì assieme alla collega per il corridoio. Solo quando furono fuori dal suo campo visivo, Kyoko si concesse un sospiro di sollievo. “Abbiamo rischiato grosso.”
Fece alzare Sayaka ed aprì in fretta lo studio, facendola entrare prima di lei per poi richiudere a chiave la porta alle sue spalle. “Che serata movimentata!” l’ansia era già svanita dal suo volto ed era stata sostituita da uno dei suoi soliti sorrisi quasi infantili.
“Purtroppo non possiamo temporeggiare, dobbiamo fare in fretta.” Kyoko preparò il lettino e fece sdraiare la ragazza, che la guardò con aria preoccupata “Fidati di me, andrà tutto bene.” la dottoressa le posò le mani sulle spalle e la guardò negli occhi con sguardo determinato. Sayaka ricambiò lo sguardo ed annuì con la testa. “Adesso dovrò indurti uno stato di torpore e tu entrerai in una sorta di dormiveglia, dove i tuoi sensi saranno isolati da ciò che avviene all’esterno. Ora rilassati.”

Kyoko prese una sedia e si sedette vicino alla ragazza, poi le passò una mano sugli occhi per chiuderglieli e aspettò che si rilassasse completamente. “Ora dormirai ma potrai parlare e ascoltare ciò che dico. Stai viaggiando su un treno, sporgendoti dal finestrino puoi vedere tutti i ricordi della tua vita scorrerti davanti, focalizzati sul ricordo che stiamo cercando, tu sai qual è. Riesci a vederlo?”
Sayaka non rispose, ma la dottoressa aspettò: sapeva che le reazioni dei pazienti ipnotizzati erano rallentate. “Sì, lo vedo.” la voce era impersonale, come assonnata. Tutto nella norma.
“Bene. Adesso il treno si è fermato e puoi scendere. Vai verso quel ricordo, devi entrarci dentro.”
“Sono entrata nel ricordo. E’ tutto molto indistinto, non vedo bene.” Sayaka aggrottò le sopracciglia
“Perché hai scelto di non vedere. Metti a fuoco il paesaggio attorno a te, cosa vedi?” la incalzò.
“Sì, ora ci riesco. Sono nel giardino di casa mia assieme ad un ragazzo e ad una ragazza.”
“Chi sono?” “Il mio fidanzato e la mia migliore amica.”
“Cosa state facendo?” “Scherziamo, giochiamo. Sono felice e anche loro sembrano esserlo.”
“Sono loro i protagonisti del ricordo che ti affligge?” “Sì.”
“Dobbiamo andare avanti, immagina di sfogliare un calendario e vai fino al giorno che conosci.”
“Non voglio!” scosse energicamente la testa, rimanendo ad occhi chiusi.
“Devi proseguire. Vai avanti, fai scorrere i tuoi ricordi fino a quel giorno.”

Sayaka si sentiva intorpidita, sapeva di doversi muovere ma non voleva farlo, la vista delle persone che un tempo erano state ciò che di più caro aveva al mondo le faceva male al cuore. Non voleva spingersi oltre, non voleva rivivere quell’episodio. Sapeva però di doverlo fare, l’aveva promesso a sé stessa e a Kyoko. Basta incubi e basta paure. Lentamente si concentrò e si immerse nel fiume di ricordi. Rimase quasi senza fiato mentre riviveva una serie di momenti particolarmente intensi, alcuni addirittura dimenticati. Quando giunse al ricordo fatidico provò l’impulso di voltarsi e tornare indietro, ma si costrinse a non scappare, doveva essere forte. Era il momento della verità.

La pioggia e le lacrime si confondevano sul suo viso. L’ombrello era a terra, ormai quasi completamente sporco di fango. Sentiva freddo, tanto freddo, i vestiti intrisi d’acqua erano gelidi e pesanti, come il suo cuore in quel momento. Non riusciva a guardare in faccia il ragazzo in piedi davanti a lei, quello stesso ragazzo che aveva amato per tanto tempo, convinta che anche lui provasse dei sentimenti sinceri nei suoi confronti. “Mi dispiace, Sayaka. Ho provato a dirtelo tante volte, ma…”
“Non puoi fare sul serio.” la voce era flebile e incerta. Era convinta che Kyosuke, il suo Kyosuke, non avrebbe mai potuto farle una cosa del genere. Allora perché, perché non le diceva che si trattava solamente di uno scherzo di cattivo gusto? Perché si limitava a fissarla senza fare nulla?
“Sono serissimo, mi dispiace.” non c’era risentimento nella sua voce, nessuna tenerezza. Come poteva aver dimenticato tutto ciò che avevano passato assieme? Tutti i ricordi felici, le promesse, il matrimonio imminente ed il progetto di costruire una famiglia assieme?
Trovò la forza di alzare il viso e di guardarlo negli occhi, voleva una spiegazione, voleva vedere con quale coraggio il suo futuro marito la stava lasciando per la sua migliore amica.
“Kyosuke, ti rendi conto di ciò che stai facendo? Potrebbe essere una cotta momentanea, io posso perdonarti… non mandare all’aria tutto ciò che abbiamo costruito assie-”
“Sayaka, smettila!” il tono deciso di lui la fece trasalire. Faceva davvero sul serio, allora. “Mi dispiace, ma non posso ignorare i miei sentimenti. So di ferirti, ma credimi se ti dico che soffriremmo entrambi a sposarci con questi sentimenti nel cuore. Stiamo facendo la cosa giusta, abbiamo deciso tutto troppo in fretta.”
“Soffriremmo entrambi? Stiamo facendo la cosa giusta?” la voce le tremava dalla rabbia, le sembrava di perdere inesorabilmente il controllo sulla propria vita “Stai decidendo tutto tu e hai anche la faccia tosta di parlare al plurale?” stringeva i pugni talmente forte da fermare la circolazione sanguigna “Non vi vergognate neanche un po’, tu e Hitomi?!” sbottò urlando e gli diede uno schiaffo senza lasciargli il tempo di replicare, poi corse via piangendo “Giuro che la pagherete entrambi, lo giuro su me stessa.”

Il ricordo si spostò velocemente ad un’altra scena.

Hitomi era sul molo e guardava il mare al tramonto, Sayaka le si stava avvicinando alle spalle con un’aria sconvolta in viso. “Cercavo proprio te.” La voce di Sayaka era un sibilo rabbioso.
“Sayaka?” l’altra era sorpresa di vederla “Hai parlato con Kyosuke, v-vero?” l’aria disperata della ragazza l’aveva spaventata, era fuori di sé “Senti mi dispiace sul serio, non so come sia potuto succedere, ma noi siamo veramente innamorati e…” cercò di giustificarsi, ma Sayaka la fissava senza ascoltarla, una furia cieca si dibatteva in lei per uscire e la ragazza non riusciva più a controllarla. “Non mi interessano le tue scuse, hai distrutto la nostra amicizia e i miei progetti per il futuro, cosa vuoi che m’importi ormai?” la sua voce era isterica e la risata nervosa che seguì la frase fece venire la pelle d’oca ad Hitomi, che cercava di spostarsi di lato per scappare.
“Sayaka ti prego, in nome della nostra amicizia…”
“Amicizia? Un’amica non si porta a letto il futuro marito della propria migliore amica!” la ragazza si mosse di lato per bloccarla, non aveva intenzione di lasciarla andar via.
“Un’amica non tradisce, non pugnala alle spalle.” la voce si era fatta più minacciosa e Sayaka si avvicinava sempre di più “Ora dammi un solo motivo per il quale dovrei perdonarti, Hitomi.”
Ma la ragazza non aveva motivazioni da offrire, la paura s’impadronì di lei e non riuscì più a dire nulla. L’amica che Sayaka era stata per lei era scomparsa sotto un’altra entità, un qualcosa di oscuro che non riconosceva e che probabilmente era stata lei stessa a creare.
Solo allora si accorse di non avere più scampo, era finita.
“So che non sai nuotare, Hitomi. Che ne diresti se t’insegnassi io?”

 

La ragazza venne ritrovata poche ore dopo, il corpo era stato riportato a riva dalla corrente. Sulla pelle aveva delle escoriazioni, probabilmente era caduta sugli scogli battendo la testa per poi affogare dopo aver perso i sensi.
Sayaka non provava alcun rimorso, era rimasta seduta sul molo fino all’arrivo della polizia e dell’ambulanza. Era cosciente di aver perso la testa, di non essere più sé stessa, ma non le importava. Una vita senza ciò che aveva sempre desiderato non valeva la pena di essere vissuta. Quando la portarono via si compiacque nel vedere la disperazione di Kyosuke che piangeva sul corpo freddo di Hitomi e un ghigno distorto le illuminò il viso. Sapeva che la vendetta non portava mai a niente di buono, ma in quel momento le sembrava un nettare così dolce da non volersene separare assolutamente. Ora, finalmente, tutto era al posto giusto.

Kyoko ascoltò esterrefatta la confessione di quel delitto. Non faticò a capire il perché del forte esaurimento nervoso di Sayaka, ma nonostante tutto si stupì di come i medici non fossero riusciti ad intuire un movente così ovvio. Probabilmente l’avevano giudicata incapace d’intendere e di volere, per cui la verità era stata insabbiata e la ragazza fatta passare per incurabile.
Lentamente fece uscire Sayaka dall’ipnosi e si preparò a fare i conti con la sua reazione, ma stranamente non successe nulla di ciò che si era immaginata. La ragazza si risvegliò e, guardandola negli occhi, cominciò a piangere disperatamente. Kyoko si ritrovò impreparata, non pensava sarebbe stato così semplice sciogliere il nodo alla radice di tutto, probabilmente Sayaka aveva solo bisogno che qualcun altro vedesse coi suoi occhi, che capisse la ragione profonda di ciò che aveva fatto. La dottoressa ovviamente non giustificava la sua scelta, ma poteva comprenderla. La disperazione a volte porta l’essere umano a fare cose tremende e quasi certamente Sayaka non era mai stata ascoltata veramente. D’improvviso un moto di commozione le inumidì gli occhi e si ritrovò ad abbracciare la paziente, accarezzandole la schiena e sussurrandole parole di conforto.
Sayaka, stavolta, si rannicchiò contro di lei abbracciandola e si lasciò andare ad un lungo pianto liberatorio.

Finalmente era libera.


***

Era ormai passato parecchio tempo dalla loro prima seduta d’ipnosi. Ci vollero parecchi anni prima che Sayaka potesse definirsi completamente guarita – i medici non seppero mai spiegarsi il perché e non scoprirono mai le loro visite segrete – e altri anni ancora in cui dovette scontare la pena che le era stata inflitta per l’uccisione di Hitomi, ma alla fine di quell’inferno la ragazza, ormai giovane donna, poté definirsi vincente.
Con Kyoko ormai si era creato un legame davvero speciale, una volta uscita di prigione Sayaka si era stabilita da lei, dato che non aveva intenzione di ritornare alla sua vecchia vita. Il dolore per la perdita di Kyosuke e per ciò che aveva fatto non se ne andò mai via, ma pian piano imparò a conviverci. Le ferite così profonde non si rimarginano, al contrario di ciò che sosteneva il famoso proverbio.

Era un caldo pomeriggio estivo. Sayaka era seduta in cucina e leggeva, ma da qualche minuto continuava a soffermarsi sulla stessa riga, evidentemente era troppo deconcentrata per leggere. Chiuse il libro e si stiracchiò all’indietro, buttando un occhio sulla figura seduta sul divano che mangiava un gelato davanti al ventilatore, guardando la tv.

“Kyoko?”
“Mh? Che scè?” la ragazza si girò e guardò Sayaka con la bocca piena di gelato.
“Stavo pensando alla prima volta che ti ho conosciuta. Quando sei entrata nella mia stanza ho sentito un forte odore salmastro, ma ad oggi ancora non so spiegarmi il perché. Porti un profumo salino o qualcosa del genere?” rovesciò la testa all’indietro facendosi aria col libro a mo’ di ventaglio.
“Ahah no, niente del genere!” Kyoko mandò giù il boccone e rise forte “Probabilmente è il mio odore natio!”
“Il tuo cosa?” Sayaka la guardò perplessa inclinando la testa
“Il mio odore natio! Ognuno di noi ne ha uno, serve per far capire agli altri da dove proveniamo. Tu ad esempio sai di boschi e rugiada.” le si avvicinò annusandole i capelli e Sayaka arrossì violentemente.
“Ma che fai, scema!” la spinse via giocosamente e si voltò lateralmente per non farle vedere il rossore delle sue guance. Non voleva ammetterlo ma il paese in cui era nata, in effetti, si trovava davvero in montagna, in mezzo ai boschi. “Quindi tu proverresti da una città di mare?”
“Esattamente! È un bellissimo posto, la mia casa è praticamente in riva al mare. Perché non ci andiamo assieme? Se vuoi da domani ho un paio di giornate libere e con la macchina non impiegheremmo più di due, tre ore a raggiungerlo.” Kyoko era raggiante ma Sayaka ripensò all’ultima volta che era stata in un posto di mare, il giorno in cui Hitomi era morta.
“Non so se è una buona idea…” si mostrò titubante con l’obiettivo di scoraggiare l’amica, ma l’altra le si avvicinò e appoggiò la fronte sulla sua “Cos- ehi Kyoko, che fai?!” era arrossita di nuovo.
“Non devi preoccuparti, stavolta ci sono io con te, non succederà nulla di male.” il suo tono era tranquillizzante, si ritrovò a guardarla negli occhi senza volerlo e, suo malgrado, capì di essere costretta ad accettare l’offerta.
“Va bene, andiamo.”

***


Arrivarono in città nel tardo pomeriggio, la calura estiva rendeva i vestiti appiccicosi e neanche le bibite riuscivano a scongiurare quel caldo soffocante.
“Kyoko, non mi avevi detto che faceva così caldo qui!” Sayaka boccheggiava per il caldo, indossava una canottiera e degli short di jeans, ma sentiva comunque caldissimo.
“Lo so, ma se te l’avessi detto non saresti mica venuta con me, no?” le fece l’occhiolino e sorrise, nessuno sarebbe riuscito ad arrabbiarsi con un faccino così tenero.
Avevano già depositato le borse con gli indumenti a casa di Kyoko – che le aveva presentato i suoi genitori e sua sorella Momo – e si erano dirette in macchina verso la spiaggia. Ormai Sayaka riusciva a sentire sulla pelle la brezza marina e l’odore salmastro che aleggiava addosso a Kyoko: era vero, su quella ragazza era rimasta impressa l’essenza del suo luogo natio.
“Eccoci siamo arrivate!” Kyoko parcheggiò la macchina e scese di gran fretta, piroettando nel vento marino che le scompigliò i lunghi capelli, Sayaka pensò di non aver mai visto una donna più bella.
“Dobbiamo solamente superare quelle dune di sabbia, poi saremo in spiaggia, vieni!” la prese per mano e corse in direzione della prima duna.
Cominciarono a scalarla, ma il caldo era insopportabile e Sayaka dovette fermarsi più volte. Kyoko non la lasciava mai indietro, si curava di aspettarla e la incoraggiava ad andare avanti saltellando e spronandola facendo battute scherzose sulla sua poca resistenza fisica.
Quando le sembrò di non farcela più, si accorse di aver raggiunto la cima dell’ultima duna, e ciò che vide la lasciò senza fiato dallo stupore, quasi da farla piangere.

Il mare si stagliava all’orizzonte confondendosi con il cielo, il colore dell’acqua era intenso come lo ricordava nei suoi sogni e la sabbia del bagnasciuga era candida come la neve. Non poteva sbagliarsi, quello era il paesaggio del suo limbo, adesso ricordava la provenienza di quell’odore salmastro. Il paesaggio era talmente bello da farle male al cuore, in qualche modo aveva sempre saputo che un posto del genere esisteva, ma non avrebbe mai pensato di riuscire a vederlo con i propri occhi. Un senso di pace l’avvolse e lacrime cominciarono a spillarle dagli occhi.
“Sayaka? Che hai?” Kyoko le si avvicinò preoccupata.
“Niente, ho finalmente visto qualcosa che aspettavo da tempo di vedere.” rispose enigmatica, sorridendo “Adesso sono davvero felice.” scese dalla duna correndo e si sedette sulla sabbia.
Kyoko non chiese nient’altro e si limitò a sorridere a sua volta, poi la raggiunse e si sedette vicino a lei, chiudendo gli occhi per godersi la brezza pomeridiana.
Sayaka la osservò mentre la ragazza non poteva vederla. Ormai si era innamorata del suo profilo, dei suoi capelli morbidi e dei suoi modi bruschi e gentili al tempo stesso. Le era grata per averla tirata fuori dal suo inferno e per esserle ancora vicina dopo tutti quegli anni, ormai non poteva immaginare una vita senza di lei. Nonostante tutto, però, aveva deciso di non dichiararsi. Voleva fare le cose con calma, capire bene i suoi sentimenti e quelli di Kyoko, se c’erano, nei suoi confronti. Non avrebbe più rovinato un altro rapporto per la troppa fretta. Chiuse gli occhi anche lei e inspirò a fondo l’aria salmastra.

Ormai, aveva tutto il tempo del mondo davanti.

 

 

“And the arms of the ocean are carrying me,
And all this devotion was rushing out of me,
And the crashes are heaven for a sinner like me,
But the arms of the ocean delivered me.”




***

 

Note dell’autrice~

Vorrei fare delle piccole premesse, dato che la storia è molto particolare per essere un’AU. I prompt che ho ricevuto nel contest al quale ho partecipato erano “X finisce in un centro per malati mentali” e “X capisce di amare Y”. Comprenderete quindi la mia scelta di scrivere una shot così lunga, dato l’abisso fra questi due prompt. Detto questo, avrete sicuramente intuito che in questa storia non esistono né le Puellae, né gli Incubator né tantomeno le Streghe. Non ne ho parlato, ma penso s’intuisca che non esistono neanche Madoka, Mami ed Homura.
Tenevo particolarmente a descrivere Kyoko nelle sue sfaccettature più gentili, quelle che mostra solamente a Sayaka durante le ultime puntate dove appaiono, prima di tutto perché sono una grande fan della KyoSaya, ma soprattutto perché avendo aumentato l’età delle protagoniste ho pensato che Kyoko sarebbe potuta maturare un po’. Non linciatemi per questo, ho cercato di rimanere il più IC possibile. ;_;
Le ripetizioni di elementi o di frasi nelle diverse parti della storia sono assolutamente volute in quanto le ritengo un po’ le chiavi di volta della trama. In particolare, sarei molto felice se notaste la ripetizione dello scenario marittimo che ho inserito sia all’inizio che alla fine, un po’ come a chiudere un ipotetico cerchio emotivo di Sayaka.
Ho cercato di essere molto delicata nel descrivere l’ospedale psichiatrico, i sentimenti di Sayaka e le terapie, ciò che ho scritto l’ho sperimentato –in un certo senso– sulla mia pelle, dato che una persona molto vicina a me sta avendo problemi di quel tipo. Spero di non aver fatto sfondoni di alcuna sorta, nel caso ci fossero stati vi prego di perdonarmi.

Sono contenta che il mio ritorno su questo sito (manco dal 2008 come scrittrice, anche se sono sempre stata presente come lettrice) sia stato segnato dalla fortuna, non ringrazierò mai abbastanza Cosmopolita1996 per il bellissimo commento/giudizio che mi ha lasciato, sono davvero commossa.
Un ringraziamento speciale va a Nat_Matryoshka per il sostegno e l’incoraggiamento. Sai che non sono brava nell’esprimere i miei sentimenti, ma sei un’amica insostituibile e una sorella dell’anima. Grazie per esserci sempre. <3
L’ultimo ringraziamento va a Florence Welch, cantautrice di straordinaria bravura che riesce sempre ad emozionarmi e ad ispirarmi. Le strofe che ho usato all’inizio e alla fine della storia sono tratte dalla canzone “Never let me go”, ascoltatela perché merita veramente molto, come tutte le sue composizioni.

Ringrazio in anticipo chiunque leggera o recensirà questa storia, vi sarei grata nel caso voleste lasciarmi un commento (sono ben accette anche le critiche costruttive): non fatemi sentire sola, suvvia. ;_;
Spero di scrivere ancora molte cose in questo fandom, sento di avere ancora qualcosa da dire sui suoi fantastici personaggi

Ecco, infine, il bellissimo banner che ho ricevuto, made by Cosmopolita1996.
Annegate anche voi nella bellezza della KyoSaya, muahahah. (?)

TsunadeShirahime

 

   
 
Leggi le 13 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Puella Magi Madoka Magica / Vai alla pagina dell'autore: Ailisea