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Autore: PassengerXX    09/09/2013    2 recensioni
Jay. Sammy. Vic.
Tre chitarre, tre voci accomunate da un sogno: sfondare nella musica.
Questa è la storia di tre ragazze che contattate da una grandissima casa discografica Newyorkese firmano un contratto e si scontrano contro il loro sogno. Impareranno a conoscersi, a stringere profondi legami, a credere in se stesse e in quello che vogliono.
Da una parte c'è Vic la "bella" del gruppo, voce chiara e potente, dall'altra parte c'è Sammy la "doce" del gruppo, la più sensibile, il cuore pulasante, poi c'è Jay ... E beh per descrivere Jay basta una parola "problematica".
La trama oltre ad essere incentrata sul tema del rendere possibile ciò che si ritiene impossibile si concentra principalmente sulla relationship Jay/Sammy poi capirete perchè ..
WARNING:
Nonostante sia una storia molto leggera, si affronteranno argomenti quali: violenza, omosessualità, autolesionismo, droga.
Non sono particolarmente brava nelle introduzioni ma spero di avervi convinto!
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                    The Three Guitars Wet

 
 

Capitolo 1.

Yeah, I’m Endlessing Caving in a Turning Iside Out

 
 
Ogni persona che ama definirsi normale, usa come sveglia il classico “Dinn”, o qualcosa che si avvicini a quest’ultimo. Be’, io non uso decisamente il classico “Dinn”, quindi suppongo di non essere propriamente molto normale.
Le note di Hysteria dei Muse, mi fracassano il cervello nel primo mattino… se così lo si poteva definire. Fatto sta che la sveglia suonò proprio come avevo stabilito la notte prima… ovvero poche ore prima, visto che mi ero ritirata alle quattro passate.
<< Cazzo >> affermai guardandomi intorno.
La mia stanza era un completo porcile: la coperta del letto giaceva a terra insieme ai vestiti che avevo indossato la sera precedente, ai piedi del letto vi erano le mie scarpe piene di fango, le quali erano anche le colpevoli delle impronte di un bel quaranta, ormai secche. Sì, portavo il quaranta e me ne vergognavo profondamente.
Sbadigliai rumorosamente e guardai la sveglia: le 7:30. Come un automa misi a fare il caffè, per poi infilarmi subito sotto la doccia, combattendo agguerritamente contro Morfeo. Mi scappò una risata sarcastica quando realizzai che ero entrata nella cabina con ancora l’intimo e i calzini.
Non appena l’acqua gelata si schiantò sul mio viso e sulla mia schiena, realizzai veramente la situazione: Luke mi aveva chiamato il giorno prima decisamente molto più eccitato del solito, ed è tutto dire se consideriamo che il suo umore era sempre talmente frizzante da dover essere considerato illegale.
Molti di quelli che mi vedevano in sua compagnia, non comprendevano il ruolo che aveva nella mia vita. Troppo giovane per essere mio padre, troppo grande per essere il mio ragazzo, troppo diverso per essere mio fratello. Era strano rispondere “è un mio amico” alla gente, perché effettivamente lo consideravo qualcosa di più. Uno zio, forse? Non mi era chiaro, ma lo era il sapere che lui era l’unica persona davvero importante nella mia vita, nonostante possa apparire davvero strano e inusuale che a diciotto anni l’unica persona importante della tua vita fosse un trentacinquenne, ma così era.
Non avevo mai conosciuto i miei genitori, avevo vissuto per diversi anni in un collegio, tuttavia, essendo una bambina, furono in molte le famiglie a lottare per la mia custodia, ma il destino ha voluto che fossero i Kennett ad adottarmi. In principio era andato anche bene, ma poi le cose cambiano… Fatto sta che cambiai una decina di famiglie, e devo ammettere che non fu sempre colpa di quest’ultime… Nonostante conoscessi Luke da poco più di due anni lui, era l’unica figura della mia vita che potevo accostare alla parola “famiglia”. Infatti era proprio Luke che mi aveva procurato un lavoro nell’ultimo anno (barista in uno dei suoi bar) e un piccolissimo appartamento, proprio sopra dove lavoravo.
Amavo il mio appartamento. Sarà perché non possedevo molte cose, sarà per il ritrovato senso di libertà e il poter vivere da sola, ma semplicemente amavo quel piccolo posto che amavo definire “casa mia”. Come dicevo, non era molto grande, giusto un piccolo salotto con un piccolo angolo cottura (inutilizzato, tra l’altro, dato il mio essere completamente negata ai fornelli), un divano blu che contrastava decisamente con le pareti accoglienti gialle scure della camera, e un’immensa libreria dove, oltre ai libri, vi era praticamente tutto quello che possedevo, DVD, cofanetti speciali di film, e la mia immensa collezione di dischi.
Nel caso in cui la mia totale passione per la musica non trapelasse da quella notevole collezione di CD, certo ciò non accadeva quando, guardando la stanza, si notavano la bellezza di tre strumenti musicali: una batteria, un basso e una chitarra elettrica. In aggiunta nella mia camera da letto, era possibile trovare la mia chitarra acustica.
Si potrebbe che, quando qualcosa mi piaceva, non esistevano limiti per me. Se da un certo punto di vista “vivi della tua passione”, non vuoi forse coltivarla al meglio?
Dopo aver indossato un jeans e una t-shirt nera, mi precipitai giù dalle scale, come al solito saltando la colazione. Mancavano cinque minuti alle otto, e il mio appuntamento con Luke era previsto proprio per le otto, nel suo ufficio agli studi della Island Records. Sì, perché dopo sedici anni di “merda più totale”, quella che in molti definiscono la “ruota della vita”, iniziò finalmente a girare in mio favore. Conobbi Luke nel periodo più buio della mia vita, ma fu proprio in quel momento che qualcosa iniziò ad andare bene, quando la ruota prese a girare dalla mia parte.
A cavallo della mia moto, sfrecciai alla velocità della luce per le strade di New York (per quanto fosse possibile, visto e considerato il traffico pazzesco con i taxi che tagliavano la strada). Parcheggiai nel mio solito posto, fuori dall’ingresso secondario vicino al colonnato, il posto dove, ormai, trascorrevo più tempo in assoluto.
Le otto erano passate da una decina di minuti, quindi feci una corsa fino all’ufficio del mio amico/zio/datore di lavoro, e riuscii stentatamente a salutare Mrs. Williams, la donna anziana che svolgeva il ruolo di segretaria da almeno cinquant’anni, a quanto dicevano.
<< Lo so, sono in fottuto ritardo ma ho avuto una nottataccia >> affermai, aprendo la porta ed entrando nella piccola stanza, portando il mio sguardo su Luke dall’altra parte della scrivania. Solo dopo qualche secondo realizzai che due ragazze mi stavano fissando dalle loro sedie. Una sembrava leggermente più grande di me, e mi guardava divertita. A occhio non era particolarmente alta, la pelle abbastanza abbronzata (nonostante fosse appena giugno), i capelli le cadevano lisci e lunghi sulle sue spalle… ma erano gli occhi a stupire: di un azzurro scuro mai visto, e mi stavano guardando, espressivi al punto da portarmi ad intuire che stava sorridendo, prima ancora di notarlo dalle sue labbra.
“L’ho già vista prima”, riflettei. “Amerian Idol? X factor? The voice?”
Tuttavia i miei occhi si posarono solo qualche secondo su di lei. La mia attenzione venne del tutto rapita dalla ragazza seduta a qualche metro da lei.
“Porca troia!” pensai non appena la riconobbi.
Cosa ci faceva in quella stanza Sammy Scottgerard?!
Io e Sammy avevamo frequentato la scuola insieme da bambine, stando nella stessa classe. L’immagine di quella bambina esile e bionda con le treccine e un libro sempre sotto il braccio, prese possesso della mia testa, rendendomi schiava di quel ricordo. Eravamo state nella stessa classe, per quanto? Quattro anni? Cinque, forse? Una volta andate alle superiori, non l’ho più rivista perché lei era tornata a Nashville nel suo paese di origine, con mio grandissimo sollievo.
Fatto sta che adesso mi fissava a dir poco stupita, rispecchiando forse quella che doveva essere stata la mia espressione nel riconoscerla. Anche se seduta, non ci voleva di certo un genio per capire che quella ragazza fosse altissima, i capelli biondi non erano più lunghi come me li ricordavo, e le ricadevano ondulati sulle esili spalle. Era cambiata, ma il suo sguardo era lo stesso di tanti anni prima. Seppur imbarazzata e rossa in viso, non distoglieva le sue iridi di quel colore così indefinito tra l’azzurro e il verde dal mio viso.
<< Jay, la puntualità non è mai stata il tuo forte >> sospirò Luke, prendendo la parola e scambiando probabilmente la mia reazione per pura e semplice sorpresa.
<< Sei impegnato, torno dopo >> dissi, ma Luke, ridendo, mi fece cenno di entrare.
Sebbene titubante, chiusi la porta alle mie spalle, e notai che tutti gli occhi dei presenti erano ancora puntati su di me.
<< Che succede? >> chiesi, cercando di focalizzarmi solo su Luke.
<< Perché non ti siedi? Stavo giusto iniziando a spiegare la mia idea alle tue colleghe! >>
“Colleghe? Che significa?”.
Trascinai la sedia vicino alla scrivania, sedendomi apposta il più lontano possibile dalle due ragazze. Appoggiai il casco a terra e mi passai nervosamente una mano fra i corti capelli neri.
<< Vic, Sammy, lei è Jay Wallas! >> affermò Luke, con un sorriso decisamente spiccato.
Vic, che era la più vicina a me, mi allungò immediatamente la mano, dicendo “Piacere”, e lo stesso lo fece subito Sammy, ma risposi unicamente con un cenno e le ragazze ritirarono le mani con somma confusione.
<< Allora >> iniziò Luke, prendendo immediatamente in mano la situazione. << Dopo la bellezza di cinque anni, sono riuscito a convincere finalmente la Island a intraprendere un progetto che maturavo nella mia testa da quando ero un ragazzo giovane come voi >> spiegò, facendo un occhiolino scherzoso. << Tre voci, tre chitarre, tre giovani ragazze alle prime armi >> concluse, gonfiando il petto per la soddisfazione.
Il mio primo pensiero fu quello che, dal quanto lo vedevo felice, potesse venirgli un infarto, ma poi realizzai ciò che aveva appena detto. Il mio sguardo si posò di nuovo sulle ragazze, che sembrano sorprese quanto me.
Sbarrai gli occhi. << Che cosa?! >>
  
NOTA  E PREMESSE AUTRICE :
Premetto dicendo che questa è la prima long-fic che pubblico su Efp. Ho deciso di intraprendere questa nuova avventura perché quando mi è venuta in mente la trama di questa storia ho capito subito che era un qualcosa che andava condiviso con voi altri. Questo diciamo che è un capitolo di passaggio, che serve a conoscere un po’ meglio il personaggio di Jay. Sono consapevole che più che presentare il personaggio ho solo fatto sorgere tanti dubbi e domande ma quando si parla di Jay d’altronde è invitabile.
Il nome del capitolo è una frase della canzone Hysteria dei Muse che cito anche nel capitolo, e ad ogni capitolo che posterò corrisponderà un pezzo di una canzone che se volete specificherò poi nelle note.
La storia si svilupperà in un crescendo, sarà incentrata sul tema del rendere possibile ciò che si crede impossibile questo aspetto non è legato unicamente al sogno di sfondare nella musica ma sarò anche la costante del rapporto tra Jay e Sammy, rapporto che crescerà sempre di più col svilupparsi della storia.
Non volevo cadere nel clichè descrivendo Jay ma i personaggi allegri e spensierati mi hanno sempre annoiato.
Non faccio promesse ma se vedo che la storia riscontra pubblico e recensioni cercherò di aggiornare anche due capitoli a settimana.
Mi scuso per gli eventuali errori ma non ho avuto il tempo di rileggere e vi chiedo solo di darmi un parere con una piccola recensione, vi abbraccio tutti per essere passati di qui!
Alla prossima ;)
  
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