Wrecking Ball
Esausto,
come se avesse appena combattuto la più temibile
minaccia tra i vampiri; come se si fosse scontrato con un qualcosa di
peggio
che un’Originale, superiore persino alla sua forza. Come se
avesse dovuto
affrontare l’ira dei suoi fratelli, tutti insieme contro di
lui, e fosse perito
nello scontro, pronto ad esalare l’ultimo respiro. Invece no,
era vivo ma
non si sentiva tale
e perciò avrebbe
voluto solo lasciarsi andare.
Dannato,
ecco cos’era. Dannato a vivere per
l’eternità, a
vagare senza meta, a ritenersi fortunato per quella esistenza che aveva
trovato
un senso e che adesso gli scivolava via dalle dita. Sapeva che se fosse
morto avrebbe
potuto mettere finalmente un punto a quella vicenda, a sé
stesso, ma non
riusciva a farlo. Non osava.
Sarebbe
stato meglio riuscire a buttarsi via come avevano
fatto altri in passato, come aveva letto in diari che era solito
scrivere il
suo amico, the Reaper, Stefan. Ma lui era nato per combattere, per
cacciare,
per vivere eppure proprio
quest’ultima
cosa era pronto a lasciarla.
Ci
stava pensando da mesi mentre vagava per il mondo,
senza meta, errante e senza più forze, eppure tornava sempre
all’unico posto
che per lui valeva dire fine, in ogni sua forma: Mystic Falls.
Sapeva
dall’inizio a cosa stava andando incontro già
quando
aveva incrociato gli occhi di lei; quando si era avvicinato troppo e
aveva
potuto sentire l’odore dello shampoo agli agrumi usato per
quei capelli biondi
e soffici, onde d’oro che riflettevano la luce del sole.
Senza un perché si era
lentamente interessato a lei, amando quei pochi scambi di battute
– frecciatine
quasi, e insulti da parte sua. Gli piaceva provocarla, gli piaceva
persino
quando le rispondeva male; era sempre sinceramente divertito di ogni
risposta
colorita che usciva da quelle labbra che negavano un sorriso e una
parola
gentile solo a lui.
Sapeva
che era sbagliato affezionarsi a Caroline Forbes, a
volerla a tutti i costi solo per vedere quell’ibrido pronto a
tirare fuori i
canini; perché questo era lei all’inizio per lui:
un’esca, un modo come un
altro per provocare una rissa. Per sentire qualcosa in combattimento.
Klaus
non sentivo un brivido da tanto, troppo tempo; decenni,
secoli. Sapeva che agonia sarebbe stata rimettere in moto quel cuore
che non aveva
esalato un battito dopo tutto quel tempo; che dolore avrebbe provato al
petto
se avesse fatto sì che qualcosa, qualcuno, lei
vi fosse entrata.
Avrebbe
potuto affrontare chiunque a mani nude ma avrebbe
sempre messo la mano sul fuoco che la bionda l’avrebbe fatto
soccombere con uno
schiocco di dita.
Bramata,
desiderata. Bruciava di passione per lei e l’avrebbe avuta a
tutti i costi. Aveva
allontanato l’amore della sua vita per poter stare con
lei; aveva trovato ogni scusa plausibile per incatenarla a
sé. Aveva provato a
comprarla persino ma nulla era servito; nulla era stato abbastanza.
Aveva
lottato? No.
Aveva fatto semplicemente ciò che gli riusciva meglio:
aggirare gli ostacoli, abbattere chi si imbatteva nel suo cammino verso
il suo
obiettivo e.. no, non aveva conquistato, non aveva ottenuto
l’oggetto del
desiderio e spesso perdeva di vista chi fra i due fosse la preda e chi
il
cacciatore.
Eppure..
eppure lei aveva imparato a farlo entrare nella
sua vita, forse nel suo cuore; nella sua cerchia. Nei suoi pensieri,
era certo.
Ma non avrebbe mai potuto vincere.
La
sentiva piangere, la vedeva crollare, giorno dopo
giorno perché era stato lui a togliergli tutto, lentamente.
Amici, sogni,
speranze; assieme a quella vita da vampira che le era sembrata
eccitante all’inizio
e che piano piano la lasciava sola, vuota. Com’era vuoto lui finché
non l’aveva
incorciata nel suo destino.
Si
era chiuso ai sentimentalismi, si era chiuso all’amore.
E poi c’era stata lei che aveva curato, protetto, salvato.
Aiutato fino alla
fine, anche quando ormai si era gettato a terra; quando ormai non
sapeva
neanche più il motivo per cui continuava a sperare.
Era
scappato persino, da lei o da sé stesso poco
importava. Sapeva solo che quella ragazza lo aveva aperto. In due,
squarciato
dentro, nel profondo. Aveva affondato le mani dentro di lui per
riportare in vita
organi che non avevano abbastanza sangue per funzionare davvero. Era
come se
Caroline fosse un’ingegnere del cervello e avesse rimesso a
posto i fili che
gli facevano provare quelle dannate farfalle nello stomaco che credeva
fossero
morte in lui; morte per acido, per mancanza di ossigeno, di acqua, di
polline,
di qualsiasi cosa di cui avessero bisogno e di cui lui faceva a meno
ogni
giorno della sua vita.
Klaus
era il palazzo e Caroline la palla da demolizione.
Era arrivata e aveva raso al suolo convinzioni e precetti di una vita;
abitudini e atteggiamenti. Non si sarebbe mai aspettato che assieme a
quelle
avrebbe raso al suolo anche l’unico organo che era riuscita a
far ripartire
proprio lei che adesso sembrava farlo a pelli, lentamente e con estrema
cura,
quasi maniacale mentre graffiava i tessuti, mentre li strappava con
forza
affinché uscissero le ultime gocce di sangue rappreso che
potevano ancora
esserci.
Quello
era il male che aveva evitato da tutta una vita;
era la sensazione che si era ripromesso di non sentire mai neanche da
immortale. A quanto pare neanche Niklaus
Mikaelson ne era stato esente alla fine. E stava soccombendo,
senza poter fare nulla.
I never meant
to start a war
I just wanted you to let me in
And instead of using force
I guess I should’ve let you in
I can’t live
a lie, running for my life
I will always want you
I never hit so hard in love
All you ever did was wreck me
Aveva corso, aveva nuotato, si era
mosso per riuscire a
mettere più distanza possibile tra lei e lui. Era scappato
come se avesse avuto
la coda fra le gambe pur di non sentirsi di nuovo a pezzi, come solo
Caroline avrebbe
potuto ridurlo.
Aveva respirato solo quando aveva messo piede a New Orleans
eppure l’unica cosa che non lo faceva respirare a pieni
polmoni era proprio una
piccola parte di cuore mancante, un graffio troppo profondo che glielo
impediva. Il graffio di Caroline, la sua demolizione
interiore.