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Autore: S t r a n g e G i r l    10/09/2013    4 recensioni
Hannah ha dieci anni. Capelli vaporosi che profumano di frutti di bosco e calze sempre rotte all'altezza del ginocchio.
Camden ha dieci anni. Una bicicletta un po' sgangherata e un'espressione buffa in faccia, che usa sempre per far ridere la sua Nanà.
E' a quell'età che Hannah riceve, proprio da Cam, il regalo più incredibile che qualcuno le abbia mai fatto: un assaggio di libertà.
Adesso, di anni, ne hanno entrambi venti: lei continua a vivere in un mondo dorato dalle grandi aspettative e rigide regole sociali; lui è ancora immerso nel suo disordine ed il suo più grande amore è il cibo.
Eppure, anche se Hannah non sa di panna e non può essere addentata, può esserci la possibilità che Cam anteponga il cuore allo stomaco una volta tanto?
Forse sì... sempre che un accordo prematrimoniale non si metta di mezzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Cianuro


Il vento è freddo sulla pelle arrossata di pianto delle mie guance, ma non abbasso la testa per ripararmi.
Il mondo -un mondo di luci abbaglianti, melodie dolci e profumi invitanti- mi circonda e quindi cerco di riempirmi il petto con ogni cosa che riesco a scorgere: piccole botteghe vivaci, lampioni bagnati di un ocra chiaro, autobus a due piani, taxi, persone con ombrelli o cani, cartelloni pubblicitari, insegne di neon fluorescenti.
Solo gli edifici più alti e scuri, creature enormi di cemento e vetro, hanno l'aria vagamente minacciosa; stringo di più le mani piccole sull'addome di Camden e lui accelera, pedalando con più energia.
Quando si ferma, sulla cima di una collina bassa e ricca di alberi rigogliosi e fiori colorati, mi aiuta a scendere dal sellino della bicicletta e, tutto fiero, mi mostra con la mano il panorama.
Mi ha portata nel punto più alto della città per far sì che fossi talmente sbalordita dalla vista da smettere di piangere.
Odia vedere i miei occhi azzurri sfumarsi di grigio per via della tristezza, dice sempre col broncio, e si sente in dovere di farmi ridere o, perlomeno, di distrarmi dai pensieri brutti.
Per quello, credo, mi ha portato via.
Per quello, credo, l’ho seguito.
Anche se io ho protestato, all’inizio, e gli ho fatto notare che siamo troppo piccoli per andare in giro da soli di notte.
Anche se è il mio compleanno e c’era in corso una festa.
Anche se mamma e papà poi mi sgrideranno e impediranno di vedere i Muppet per punizione.
« Ti piace? » mi chiede incerto Camden, poggiando la bicicletta sul cavalletto.
Sotto di noi, un mare sconfinato di vita e calore si spande a perdita d'occhio.
Spalanco la bocca in un'espressione di incredula meraviglia e mi sporgo dal parapetto, come se pensassi di tuffarmi nel mondo per poterne fare finalmente parte.
« Non ho mai visto niente di più bello. » esclamo e lui si batte una mano sul petto, orgoglioso.
« Ne ero sicuro! »
« Grazie, Cam. » mormoro piano, abbracciandolo poi di getto.
Lui barcolla sotto il peso di quel gesto improvviso, poi ricambia la stretta, affondando il viso nei miei capelli.
« Sai di frutti di bosco, Nanà. » mi confida come fosse un segreto inconfessabile ed io sbuffo sulla sua maglietta, spingendolo via un poco.
« Pensi sempre a mangiare, tu! Hai lo stomaco più grande del cervello. » lo rimprovero, fingendomi offesa.
Non siamo mai stati capaci di andare d'accordo, io e lui, e di non battibeccare per più di cinque minuti.
« E quindi? Hai paura che voglia mangiare anche te? Ah già, tu non sei affatto buona. » replica con tono insolente ed una pernacchia.
Mio malgrado, rido perchè Camden, senza rendersene conto, fa delle smorfie buffissime.
E quando io rido, ride anche lui.
Così, senza un vero motivo.
« Ammettilo: questo è il regalo migliore che ti sia stato fatto in tutta la tua vita. »
Cam torna a guardare la città ai nostri piedi ed io lo imito, rimangiandomi la risposta acida che mi è salita alle labbra.
Non riesco ad essere troppo perfida dopo che lui mi ha donato la cosa che mai nessuno, in dieci anni di vita, aveva mai saputo darmi: la libertà.
« Sì. » confermo in un mormorio appena udibile. « Lo è, davvero. »
***
Un aereoplanino di carta atterra sul mio banco con un fruscio sottile, quasi inudibile.
Alzo gli occhi sul professore e lo trovo ancora intento a scrivere alla lavagna formule aritmetiche, così mi affretto ad accartocciare l'aereo prima di venire sgridata.
« Pssst! Pssst! » mi volto, richiamata da qualcuno alla mia sinistra, e, con disappunto, vedo che Camden indica con un dito e l'aria cospiratrice proprio il foglio appallottolato in mano mia.
Ridistendo la pagina di quaderno, piena di disegni stilizzati di panini, gelati e impiccagioni di professori saccenti, e leggo con irritazione crescente la frase centrale scritta in rosso nella grafia disordinata di Cam.
Disordinata come i suoi capelli e la sua divisa scolastica.
Disordinata come la sua stanza e tutta la sua vita.
Io odio il disordine e cerco sempre di tenermene alla larga, ma alle volte mi risulta difficile, avendo Camden nella stessa classe. E, soprattutto, nel cuore.
"Che cosa hai per pranzo? Muoio di fame!"
Volto il foglio stropicciato e scrivo in grande un'unica parola, poi ricontrollo l'insegnante -ancora di spalle- e mi giro appena, mostrando la risposta al diretto interessato.
"Cianuro".
Lui ride senza far rumore e mi fa l'occhiolino, dicendomi a gesti che allora, dopo, avremmo pranzato insieme.
Sbuffo e torno a seguire la lezione per quei pochi minuti prima della campanella.
Ho già copiato diligentemente gli appunti sulla lavagna, così, stanca di scrivere l'ennesimo esercizio dimostrativo, mi metto a disegnare.
Ma non panini, pizzette, gelati o stickman impiccati come Cam.
Fiorellini, farfalle, ghirigori intorno al ‘72 della data... i classici disegni femminili da perdita di tempo, insomma.
Quando suona la campanella, faccio per chiudere il quaderno, ma mi accorgo di aver scarabocchiato anche altro: dei cuoricini di diverse dimensioni ed un nome attorno a cui girano foglie di edera.
Cavolo!
« Allora? Andiamo? » la voce, appartenente a colui che risponde a quel nome, mi fa sobbalzare come un pupazzo a molla nella scatola.
Chiudo di fretta il quaderno e lo infilo in borsa, correndo fuori dall'aula con Camden alle calcagna.
« Nanà, tutto ok? Sei strana oggi. » lui mi si affianca, le braccia incrociate dietro la testa, l'aria rilassata sul viso.
« Hai solo una percezione distorta delle cose dovuta alla fame. Sto benissimo. » replico acida.
Negli anni ho affilato il bordo delle rispostacce che gli rifilo, rendendole sempre più taglienti.
Alle volte, quando le parole non bastano a ferirlo, lo picchio anche.
Un pizzico sul braccio, un pugno sulla schiena, un calcio sui fianchi, quel che mi capita insomma.
A fargli male davvero, però, non riesco mai.
Sono troppo debole per ferirlo sul serio e, perciò, quella che rimane più lesa dai nostri scontri sono proprio io.
« Sarà... comunque ancora non hai imparato, dopo tutti questi anni, che sei una pessima bugiarda? Ti smaschero sempre, alla fine. »
Accelero il passo, uscendo nel cortile talmente in fretta da urtare un paio di ragazzi del primo anno.
Mi mordo le labbra e mi siedo al primo tavolo libero che vedo, con le parole di lui che mi rimbalzano da una parte all'altra del cranio, fino quasi a spaccarmelo.
Pessima bugiarda. Pessima bugiarda. Ti smaschero sempre. Ti smaschero sempre.
Quello che ha detto è vero: non sono mai stata capace di mentire, men che meno a Camden.
Ma ogni regola ha la sua eccezione ed io lo so fin troppo bene.
Scemo, superficiale e insensibile, lui, diventa premuroso, acuto ed attento solo quando si tratta di me. Peccato che ci sia un segreto che gli sfugga da sempre. O che finge appositamente di non vedere, chissà.
E' talmente evidente e palese che se ne sono accorti persino tutti i nostri amici, ma non lui.
Forse l'unico vero amore che Cam conosce è quello per il cibo. Spazio per me, che non posso essere addentata e non so di panna, non ce n'è.
Tiro fuori il pranzo e, senza neppure degnarlo di un'occhiata, passo i contenitori a Camden, che si è appena seduto al mio fianco.
« Ecco perchè ti adoro! » esclama galvanizzato, infilzando con la forchetta un pezzo di bistecca.
Io, invece, ti amo.
« Spero che ti vada di traverso. » biascico infastidita, salutando con una mano Alexis che si avvicina al tavolo assieme a Colin.
Lei si siede compostamente, piegando la gonna sotto di sé, e poi passa lo sguardo da me a Cam, dalla mia bocca serrata in una linea alla sua gonfia di cibo, alzando gli occhi al cielo esasperata.
Da una gomitata a Colin, distraendolo dalla sua lettura, e gli sussurra qualcosa all'orecchio.
« Tuo padre sta organizzando la solita mega festa per il tuo compleanno, Nanà? » chiede quindi lui, con uno sguardo incoraggiante rivolto verso Camden e non a me, che sono la diretta interessata.
« Ehi! » protesta quello, tra una masticata e l’altra « Solo io posso chiamarla così! »
Quella rivendicazione di possesso mi brucia un pezzo di cuore.
Cosa sono? Un cane a cui ha affibbiato un nomignolo affettuoso?
Non mi ha mai chiamato col mio nome intero, mai. Ai suoi occhi, probabilmente, sono rimasta la bambina con i codini vaporosi, le mani piccole e grassocce e le calze sempre rotte sulle ginocchia.
D’improvviso mi rendo conto che detesto essere chiamata Nanà. Detesto che mi ci chiami lui.
« Nessuno ti ha mai autorizzato. E, tra l'altro, è un soprannome orrendo. Smettila di usarlo. Non sono più la tua compagna di giochi! » sbotto, alzandomi in piedi con uno scatto, tanto da far traballare il tavolo.
Me ne vado senza salutare nessuno, gli occhi che già si bagnano di lacrime.
Mi fermo dietro il primo angolo, non lontana da dove sono rimasti gli altri.
Lascio cadere lo zaino a terra e appoggio la testa contro il muro color salmone della scuola.
Come pensavo, non mi ha seguita.
Non gl’importa di niente che non sia commestibile, accidenti a lui!
« Io l'ho detto che era strana... » commenta Cam e la sua voce forte arriva chiara fino a me.
Vorrei andar via, ma resto dove sono. Fin troppo lontana, non abbastanza vicina.
Sento Alexis porre una domanda col suo tono materno, ma non capisco bene cosa abbia chiesto.
« Pensavo di dare i soldi a te e affidarmi ai tuoi gusti. Tanto non potrò neppure venire. Devo studiare per gli esami di metà semestre se non voglio perdere la borsa di studio. Il posto in questa scuola me lo devo guadagnare, io. »
E’ la risposta di lui ed io intuisco che stanno parlando del mio regalo.
Scivolo lungo il muro, fino a cadere in ginocchio sull’erba; fa il solletico ed è bagnata d’acqua dell’irrigatore, ma non m’importa.
Non verrà, non verrà.
Preferisce studiare.
Poteva, perlomeno, trovare una scusa meno pessima e più credibile. E, soprattutto, poteva venirmelo a dire in faccia, invece di lasciare l’incomodo alla mia migliore amica.
« Che cosa cavolo significa? E' di Hannah che parliamo! Non verrai bocciato solo perchè non hai studiato una sera! » esclama rabbiosa lei, sbattendo i palmi delle mani sul tavolo.
Spero che gli salti al collo e lo strozzi.
E spero che qualcuno faccia lo stesso al mio amore per quell’idiota, facendolo morire per asfissia.
Non parla più nessuno per un po’ e le ragazze che mi passano davanti mi guardano incuriosite, senza però fermarsi.
State alla larga, per carità, sono un cane rabbioso.
Un cane rabbioso che si chiama Nanà.

Infine colgo un bisbiglio.
Cam mormora qualcosa ed io non lo capisco.
Mi sporgo dal muro per sbirciare la scena e vedo che ha la testa china sul piatto vuoto, le mani strette a pugno con i resti della forchetta di plastica fra le dita.
« E sarebbe questo il problema? Il fatto che non hai i nostri soldi? Dio, cos’hai nel cervello? Patate fritte? Come se ce ne fosse mai importato... come se fosse mai importato ad Hannah! » Alexis scatta in piedi e fa per andarsene, come ho fatto io qualche minuto prima, poi si ferma ed aggiunge « Sai, Cam, qui quello che non capisce sei solo tu. »
Prende le sue cose e marcia nella mia direzione, sorpassandomi senza, tuttavia, vedermi.
Anche Camden spesso mi cammina al fianco e non sono certa mi veda davvero. Non come vorrei mi vedesse.


Guardo lo specchio, liscio le pieghe del vestito turchese e la mia immagine riflessa fa lo stesso.
Tiro su i corti capelli ricci in un piccolo chignon, poi li lascio ricadere con uno sbuffo.
Per quale motivo li ho scorciati?
Ah già, Cam una volta mi aveva confidato che gli piacevano le ragazze con il taglio che andava tanto in quel periodo: alla maschietto. Ed io volevo che si accorgesse di me.
Quanto sei sciocca, Hannah.
Sollevo la cornetta del telefono a disco e la rimetto giù dopo aver avuto la conferma che la linea non è occupata.
E patetica, oltretutto.
« Amore, posso entrare? »
Inspiro profondamente, facendo una smorfia allo specchio.
Rispondo di sì, mentre infilo le scarpe col tacco abbinate all'abito.
Mio padre si affaccia nella stanza e sorride compiaciuto.
« Sei bellissima. » si complimenta, abbracciandomi poi con trasporto.
Lo ringrazio frettolosamente, fissando al di sopra della sua spalla, quel maledetto telefono che non da segni di vita da giorni.
Io e Camden non abbiamo mai litigato davvero.
Ci punzecchiamo, ci urliamo insulti in faccia, ci facciamo il solletico a vicenda o dispetti infantili... ma non è mai calato un silenzio tanto lugubre fra noi.
Dopo che me ne sono andata di corsa dal cortile, quasi una settimana fa, non ci siamo più rivolti parola.
Io aspetto lui, lui aspetta me. E la prima mossa non la fa nessuno dei due.
Cam segue le lezioni con attenzione e poi passa il tempo libero con Colin, Trevor e Billy, stando ben attento a non rimanere mai solo con me.
A malapena mi saluta quando mi incrocia nei corridoi al mattino.
Forse ho esagerato. Forse dovrei chiedergli scusa per prima.
Possibile che gli stia così a cuore quel soprannome, tanto da spingerlo a ignorarmi?
Possibile che davvero non capisca quale sia il problema di fondo, fra noi?
Lui mi adora quando gli do il mio pranzo o gli passo i compiti d’inglese.
Io lo amo tutto il tempo.

« Devo darti una notizia, tesoro. » mi comunica mio padre dopo un po', mentre si stacca da me.
Ha un sorriso un po' forzato sulle labbra contornate di barba bianca e non mi piace: è lo stesso di quando mi aveva riferito che il mio canarino era morto o di quando, dopo quella scappatella con Camden all'età di dieci anni, ero stata poi messa in punizione per mesi, con il divieto di vedere lui e non i Muppet.
Avrei fatto volentieri a cambio.
« Oggi, alla tua festa, sarà presente anche il figlio del senatore Ross, Matthew. Sii carina con lui. Io e suo padre ci auguriamo di poter combinare un bel matrimonio fra voi. »
Boccheggio spaesata.
Guardo papà, cercando una traccia di sarcasmo sul suo viso segnato dal tempo, ma non ne trovo.
E’ serio; così serio che mi inquieta, quasi.
Hanno già fatto un accordo prematrimoniale alle spalle mie e di quel Matthew?
Il mio sguardo terrorizzato corre di nuovo al telefono muto e, infine, torna a fissarsi sul pavimento.
Forse è arrivato il momento di troncare quel cordone ombelicale con Cam.
E' una strada senza uscita, la nostra, che non conduce a nessun "E vissero per sempre felici e contenti".
Non insieme, perlomeno.
Mi sforzo di sorridere e mio padre pare sollevato.
Se non posso accontentare me stessa, accontenterò lui, quantomeno.
« Va bene, papà. » acconsento infine.
Lui mi prende per mano e mi guida verso il corridoio quasi correndo.
« Vieni, scendiamo dai nostri ospiti. »
Lo seguo, inciampando sulle gambe tremule, e, assieme al telefono senza messaggi in segreteria, abbandono in quella stanza anche le speranze di un futuro con Camden.


« ...e quest'anno, a Natale, sono stato a Dubai. »
Matthew Ross è un ragazzo interessante e simpatico, devo ammettere mio malgrado.
Ad Alexis sembra piacere molto.
Tanto quanto dovrebbe piacere a me.
Solo che, per quanto bello e praticamente perfetto, non riesco a farmelo andare a genio.
Ha i capelli pregni di gelatina che non si spostano di un millimetro, neppure quando scuote energicamente il capo, e gli occhi piccoli e troppo scuri, contornati da ciglia corte e color cenere.
Lo guardo e mi chiedo da quando ho iniziato a preferire ragazzi dal look più trasandato.
E, soprattutto, mi chiedo perchè più fisso Matthew, più mi sembra di vedere Camden.
Lui e i suoi capelli castani sempre scompigliati. Lui e i suoi occhi color miele, quasi dorati con la luce del sole. Lui e i suoi jeans strappati sul ginocchio.
Lui, che va in giro come se si fosse appena alzato dal letto e risulta comunque talmente bello da farmi male agli occhi. E al cuore.
« Hannah? Hannah, ci sei? » Jenna mi passa una mano davanti al viso e Matthew torna ad essere Matthew, col suo completo di alta sartoria ed il calice di champagne in mano.
« Sì. » rispondo, bevendo d'un sorso il mio cocktail.
Affogo il ricordo di un compleanno diverso di dieci anni prima nell’alcool e mi mordo le labbra che sanno di vodka al melone.
« Tieni. » Cat mi porge un pacchetto, avvolto in una carta rossa, ed un biglietto dello stesso colore con poche righe.
Sorrido calorosa e scarto il regalo con curiosità scoprendo, all'interno di una scatolina di velluto, un grazioso bracciale di perle.
Abbraccio commossa uno ad uno i miei amici e, quando stringo fra le braccia Alexis, quella mi sussurra qualcosa all'orecchio.
Qualcosa che mi fa tremare tanto da rischiare di far cadere il bicchiere.
« E' anche da parte di Camden. »
Stringo con forza le mani sul pacchetto e inspiro forte, aspettando che l'inaspettata stilettata di dolore passi.
Sarebbe stato sempre così, d’ora in avanti, ogni volta che avrei sentito il suo nome?
« Ehi, ti va di fare quattro passi con me, festeggiata? » propone Matthew, prendendomi gentilmente per un gomito.
Io cerco di sottrarmi e rifiutare con cortesia ma, alle spalle del figlio del senatore Ross, colgo l'occhiata compiaciuta di mio padre e allora mi lascio trascinare all'aperto, in giardino, dove qualche sporadica coppia si è appartata.
Matthew sembra avere una riserva infinita di parole e io me ne ubriaco, sperando che così facendo mi sarà più facile calarmi in quella vita disegnata su misura per me dai miei genitori.
Peccato che la taglia sia sbagliata e ad ogni movimento un po' esagerato, rischi di soffocare.
« Hannah, mi stai ascoltando? » chiede Matthew ed io annuisco distratta, guardando lontano, sentendo tutto tranne le chiacchiere vuote di lui.
Due ragazze, alla mia destra, parlano di un bel tipo in completo verde oliva vicino al tavolo dei dolci; un grillo nell'erba canta allegramente e, fuori la villa, sta passando una moto che fa un casino micidiale.
« Tu che ne pensi? » insiste Matthew ed io devo trattenermi dal tirargli in faccia il contenuto del suo stesso flûte.
« Beh... » comincio, poi qualcosa mi abbaglia e le mie orecchie vengono aggredite dal rombo di un motore a pochi metri da me.
Una moto.
La moto di Camden.
« Nanà, andiamo! » mi grida lui, lanciandomi il suo casco e sgasando.
Io mi muovo prima ancora di averci pensato su, ignorando i richiami di Matthew.
Monto dietro Cam con agilità e mi stringo addosso a lui, lasciando che mi porti via.


Il vento è freddo sulla pelle arrossata delle mie guance, ma non abbasso la testa per ripararmi.
Come dieci anni prima, bevo ogni schizzo di colore e di vita che riesco a scorgere.
La moto è più veloce della bici che avevamo usato la prima volta, ma non m’importa di non riuscire a distinguere le cose o le persone.
Mi basta sentire il tessuto di cotone della maglietta di Cam fra le dita e i suoi capelli un po' lunghi che mi solleticano il viso. Nient’altro.
Lui guida sicuro, senza decelerare mai, come se temesse che rallentando potrei chiedergli di farmi scendere o di riportarmi indietro.
Si ferma, infine, sulla stessa collina dove mi aveva portata per il mio decimo compleanno e mi aiuta a smontare dalla moto e a togliermi il casco.
« Non pensavo di vederti stasera. » lo aggredisco, senza mezzi termini.
Sono arrabbiata. Sono così arrabbiata che lo bacerei.
Non mi volto neppure a guardare il panorama: ho paura di trovarlo profondamente cambiato, così come me. Come noi.
Cam si gratta la nuca imbarazzato e guarda altrove.
« Non pensavo di venire, in effetti. » ammette controvoglia, calciando un sassolino ai suoi piedi.
« E sentiamo... cos'è che ti ha fatto cambiare idea? Il buffet? » domando sarcastica, sulla difensiva.
« Smettila! Credi che sia facile per me? »
« Fare cosa? »
Camden spalanca le braccia, esasperato.
« Stare qui, con te. »
Indietreggio appena, come se lui mi avesse schiaffeggiata.
« Nessuno ti costringe. »
« Carino, il tuo futuro marito. » borbotta, d'improvviso, infilando le mani nelle tasche dei jeans.
« E tu cosa ne sai ? » domando, presa in contropiede, sentendomi colpevole senza ragione.
Non riesco a capire il motivo di quel nostro litigio; non so quale sia la causa né le conseguenze che si porterà dietro.
E la cosa mi terrorizza.
« Brad mi ha chiamato. E' ricco, il tipo, vero? Spero che sarai felice con lui. » sibila rabbioso, stringendo i pugni nelle tasche.
« Tu prima mi ignori una settimana intera, poi hai anche la faccia tosta di venir a mettere bocca su chi frequento? Se davvero ti sta a cuore la mia felicità, potevi dimostrarlo venendo alla mia festa di compleanno, ad esempio! »
Sto gridando e non so nemmeno quando ho iniziato.
Sto piangendo e lui mi fissa attonito, come se ora, a schiaffeggiarlo, fossi stata io.
« Perchè ti ostini a non capire, maledizione?! » sembra disperato, ha la voce rotta ed io ho paura di avere in viso lo stesso tormento che mostra anche lui.
« Sei tu che non hai mai capito! » ritorco fra i singhiozzi.
« L'ha detto anche Alexis. » commenta piano Cam, voltandomi le spalle.
D’istinto, mi tolgo una scarpa e gliela lancia contro.
Lui impreca, si massaggia la nuca colpita e si volta per aggredirmi ancora, ma me ne sto già andando, scalza.
« Nanà! » mi chiama, correndomi dietro.
Torna a casa, Lessie. Anzi no, torna a casa, Nanà, da brava.
« Lasciami in pace! Voglio stare da sola! » ringhio quasi, sperando che basti a tenerlo a distanza.
Sento chiaramente lo scalpiccio dei passi di lui finire, perciò proseguo imperterrita non so nemmeno io verso dove.
La ghiaia mi si conficca nella pelle dei piedi e forse mi procura qualche taglio.
Fa male camminare, così mi fermo su una panchina sotto un lampione spento, raccogliendo le ginocchia al petto, e maledico me stessa per l'impulsività e la cattiveria con cui mi sono rivolta a lui.
Volevo compisse il primo passo e, una volta ottenutolo, l’ho mandato a farsi friggere.
Complimenti, Hannah.
Perchè, perché non possiamo tornare a quello stesso giorno di dieci anni prima?
Perchè siamo dovuti crescere?
Con la maturità sono arrivati i problemi dovuti alla differenza di ceto sociale, le incomprensioni, le parole grosse, i sentimenti...
Continuo a piangere, il viso premuto sulle mani, il cuore che affoga nelle lacrime dentro il petto.
« Perchè mi sono dovuta innamorare proprio di uno stupido, insensibile, vigliacco, superficiale come... »
« ... me? » è la voce di Cam a concludere il mio mormorio incomprensibile.
Sobbalzo, come quando mi era arrivato alle spalle mentre guardavo il suo nome scritto sovrappensiero sul quaderno e incorniciato di cuoricini.
Trattengo il respiro e lo vedo comparire di fronte a me, dopo aver fatto il giro della panchina.
« Nanà, è vero? » mi chiede, piegandosi sulle gambe fino ad arrivare alla mia altezza.
« No! » nego ostinata, orripilata dall'idea che lui mi rifiuti, che mi derida, che mi ferisca ancor di più.
Come se fosse possibile.
Non possiamo stare insieme e quindi tanto vale salvare il salvabile.
Ti voglio nella mia vita, anche solo come eterno migliore amico.

Camden si sporge e mi prende il viso fra le mani, asciugandomi le guance bagnate con i pollici.
Le sue dita sanno di biscotti e caffè.
« Peccato. Sarebbe stata una buona occasione per smettere di fingere che mi basti esserti amico. Se non avessi temuto una denuncia da parte di un pezzo grosso come il padre del bell'imbusto che ti affiancava alla festa, gli avrei spaccato la faccia, sai? »
Batto le palpebre freneticamente, credendo di star sognando.
Forse ero talmente stravolta che su quella panchina mi ci sono addormentata.
Forse sono anche morta per assideramento, chissà.
Sono spiegazioni sicuramente più credibili del discorso di Cam.
« Dì qualcosa, ti prego. Non sono bravo con questa roba e ho paura di dire qualcosa che ti ferirà di nuovo. Insultami, mandami al diavolo... ma non chiedermi di riportati da quello lì. Nanà, resta con me. Stai con me. »
« No... » è tutto quello che riesco ad articolare, immobile fra le sue mani calde.
Ho paura anche solo di respirare. Temo di svegliarmi, di spezzare quel sogno meraviglioso.
Camden mi lascia andare, come se quell'unica mia sillaba l'avesse spinto via.
Allora, allungo un braccio fino a lui, scoprendo di essere sveglia e di star rischiando di trasformare un sogno idilliaco in un incubo.
Il mio peggiore: perdere Cam.
La mia mano si ferma sulla nuca di lui e l'attrae a me.
Sbigottito, Camden si ritrova le mie labbra sulle proprie e ci impiega qualche secondo per ricambiare quel bacio inaspettato con dolcezza, assaggiando la mia bocca un po' alla volta.
Mi auguro che la trovi più buona di qualsiasi cosa abbia mai mangiato.
« Sai di melone. » mi dice quando ci stacchiamo.
Sbuffo e poi rido e infine singhiozzo.
« Sai pensare solo al cibo, tu! Hai lo stomaco più grande del cervello. » asserisco sorridendo, riproponendogli una frase simile a quella detta dieci anni prima.
« E non hai visto ancora il pezzo forte. Quello si che è grosso! » replica lui con un'espressione maliziosa.
Io gli tiro un pugno giocoso sulla spalla, lui mi bacia la fronte.
« Parlo del cuore, scema. E' grosso così. » allarga le braccia, come fanno i bambini, e poi mi abbraccia forte.
Così forte da riparare a tutti quegli abbracci che non mi ha mai dato.
« Mi spieghi che ci trovo in te? » gli chiedo, sospirando teatralmente e asciugandomi i residui delle lacrime dagli angoli degli occhi.
« Dimmelo tu. Io davvero non lo so. Potevi avere chiunque, anche il tizio impomatato della festa. »
« Spero sia annegato nella ciotola del punch. »
« Ho sempre pensato di non essere abbastanza per te, Nanà. Sapevo che tuo padre avrebbe cercato di accasarti con qualcuno d'alto rango e... »
« Oddio, se l'amore ti rende così smielato e loquace, preferisco rimanere tua amica. » alzo gli occhi al cielo e rido.
Lui mi pizzica il naso, offeso, e fa per rispondermi per le rime, ma lo zittisco con un bacio.
« Dì la verità: stai testando la mia resistenza in apnea, vero? Speri che muoia baciandoti. »
Gli scompiglio i capelli già disordinati.
Odio il disordine, ma se è lui a scombinare la perfezione della mia vuota vita, allora mi sta bene.
Meglio il caos che il rigido ordine.
« Non sarebbe un bel modo di morire? » domando, stringendomelo addosso.
« Il migliore. » Cam mi bacia a lungo, poi mi prende in braccio con slancio e torna verso la moto.
Mi accoccolo sul suo petto e sento il cuore di lui che batte, batte forte. Per me, da chissà quanto tempo.
« Buon compleanno, Nanà. » mormora al mio orecchio, dopo avermi messa seduta sul sellino ed avermi baciata di nuovo.
Ancora e ancora, come se non fosse mai soddisfatto.
« Il più bello della mia vita, senza dubbio. »


Ho una scadenza giovedì, il che significa che a lavoro ho l'acqua alla gola... e cosa faccio, invece di lavorare diligentemente?
Mi metto a scrivere, mi pare giusto.
E non le due long che ho in corso, ma una One-shot originale senza capo nè coda, nata per noia e voglia di cambiare aria per un po'.
All'inizio la storia era in terza persona, ma dopo una più che giusta strigliata da parte di Emi, l'ho riveduta e messa dal punto di vista della protagonista, che decisamente mi è più consono.
Mi sono follemente innamorata del personaggio che io stessa ho creato.
Adoro Hannah ed il suo soprannome *-*
Sì, ok, non sto tanto bene se fanghirlo su ciò che io stessa metto su carta -virtuale-.
In ultimo volevo aggiungere, per coloro a cui non fosse chiaro, che la storia è ambientata in America negli anni Settanta.
Ci sono dei piccoli indizi qui e lì che potevano portarvi nell giusta direzione, mi auguro li abbiate colti tutti... più o meno XD
Ora la smetto di tediarvi e torno a lavorare, che è meglio.
Un forte abbraccio.
Spero di leggere tante recensioncine :3
Strange

Ps: Emi non rompere per il titolo. Siamo state tre quarti d'ora a discuterne XD Va benissimo quello u.u
   
 
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