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Autore: germogliare    10/09/2013    17 recensioni
Mi sentivo morire dentro ogni volta.
Nessuno mi dava pace.
Nessuno mi conosceva davvero.
Ed ero solo, perché nessuno mi aveva mai capito.
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a Chiara, mia cugina.
Grazie per sopportarmi sempre.
Ti voglio bene. 

 

 

10.37 a.m.

Stavo osservando quella striscia che serviva per marchiare i bordi nell’asfalto nero pece in continuazione: una lunga linea infinita, di un bianco sbiadito, quasi trasparente.

Non sapevo dove ero diretto né volevo saperlo. Mia madre mi aveva svegliato alle cinque del mattino, ordinandomi di preparare le valigie in fretta. Come sempre, io le obbedii, infilando tutto quello che avevo in quella mia piccola stanza in varie valigie, di un marrone pastello intenso. Erano nuove, o almeno usate poche volte per andare in vacanza durante le festività.

Vivo da solo con mia madre, ho tre sorelline ma mio padre se le è portate via dopo il divorzio. Io  per lui sono un peso, come per tutti alla fine, in quel maledetto paese, Canterbury. 
Sguardi di fuoco, di disgusto, facce inorridite. Tutti mi conoscevano come “Il frocio di Canterbury”. 
Abbassavo ogni volta lo sguardo, camminando velocemente, sperando di non venire picchiato. C’erano i bulletti a scuola che mi deridevano ogni volta che mi vedevano. 
Hei, frocio!
Hei, marmocchio!
Fai schifo, perché non muori?” E risate, risate in continuazione.
Mi sentivo morire dentro ogni volta.
Nessuno mi dava pace.
Nessuno mi conosceva davvero.
Ed ero solo, perché nessuno mi aveva mai capito.
Nessuno nel mio paese era come me e non capivo, cosa c’è di sbagliato se ad un ragazzo piacciono i ragazzi?
“Niente, Louis.” Mi ripeteva sempre mia madre, quando le porgevo quella banale domanda. E io lo sapevo, sapevo che non c’era nulla di sbagliato ma per tutte quelle persone là fuori, era come un reato, come se io avessi ucciso qualcuno.

 
Speravo con tutta l’anima che la nuova città o paese, dove eravamo diretti, fosse migliore.
Mamma era astuta, quando voleva. E’ una donna autonoma, buona e soprattutto comprensiva.
Lei, poi, mi difendeva sempre. Non che io non lo sapessi fare, ma con quelle vecchiette bisbetiche non volevo minimamente averci a che fare.

Mi stava osservando dallo specchietto retrovisore, dato che ero seduto dietro, ed era visibilmente preoccupata. Lo notavo dai suoi grandi occhi color castano chiaro. Io avevo preso il color azzurro cristallino da mio padre ma a contornare la pupilla c’erano delle sfumature di quel marroncino chiaro, ereditato da mia madre.
L’unica cosa che amo di me sono proprio i miei occhi; a volte rimango a specchiarmi solo per scrutarli meglio, per vedere se nel profondo me c’è qualcosa di giusto.

 

***

 

Dopo cinque ore di macchina, tre passate a dormire sui sedili posteriori e due a fissare i paesaggi che cambiavano ad ogni ora, siamo arrivati in un paesino in riva al mare.
Dalla strada vedevo le onde che si infrangevano sugli scogli, l’acqua era limpidissima, la sabbia di un colore davvero perfetto. Non proprio giallo, ma un colore simile al bianco con delle sfumature canarino.
Me n’ero già innamorato, possibile? E poi, ora, nessuno era a conoscenza del mio orientamento sessuale, anche se già sapevo mi avrebbero preso di mira perché ero “quello nuovo”. Speravo tanto la mia supposizione fosse sbagliata.

“Tesoro, siamo arrivati.” La voce eccitata di mia madre mi fece uscire dallo stato di trance in cui ero entrato appena avevo visto quel perfetto paesaggio. O meglio, quel meraviglioso mare dove avrei nuotato ogni giorno per scacciare i ricordi del paese in cui abitavo.
“Ho visto, ma’.” Speravo la casa fosse abbastanza accettabile, la precedente era ridotta peggio di una catapecchia a mio parere, ma ci si viveva.
“Comunque  ho trovato un lavoro, la casa è qui vicino, spero ti piaccia.” Mia madre mi sorrise dallo specchietto retrovisore, ora era felice.
“Ma in che posto siamo?” Chiesi curioso, iniziando a tamburellare i polpastrelli delle dita sulle ginocchia.
“Siamo a Ipswich, tutto l’opposto di Canterbury, come puoi vedere. Qui c’è questo mare, la spiaggia, ti divertirai un sacco o almeno lo spero, tesoro!” Mi rispose frettolosamente, come se desiderasse spiegarmi tutto in pochi secondi.
Dopo le sue parole, tornai a fissare fuori dal finestrino in attesa di vedere la nostra nuova abitazione.

 

***

La nuova casa era simile ad una villetta, non era vicino alla spiaggia ma circa dieci minuti in bici e ci si arrivava.

Era di un meraviglioso colore tendente al bordeaux; i cornicioni di un bianco puro e frizzante che risaltavano i contorni della casa, dove ai lati c’erano delle grondaie di rame, oramai consumate dal tempo.
Due ampie finestre scorrevoli erano poste a un lato della porta d’ingresso, color mogano chiaro.
Il giardinetto che contornava la casa aveva un’erbetta di un verde smeraldo, tagliata rasoterra che emanava un buon profumo di fresco. C’era poi una quercia alta vari metri con foglie di diverse sfumature di verde che riempivano gran parte della chioma. Ad un ramo si intravedevano due catene di ferro che ricadevano fino a distare mezzo metro da terra, dove si univano tramite una tavoletta rettangolare di legno. Un’altalena stile Heidi era appesa a quella possente quercia.
L’ombra della sua chioma arrivava a coprire metà giardino, compresa la parte dove sopra era sistemata, in un angolo cementato, vicino alla staccionata che divideva la casa da quella del vicino, un dondolo di legno.

 

Dopo aver ammirato per un po’ di minuti quella casa così perfetta, guardai mia madre, intenta a prendere le valigie dal bagagliaio della macchina. Si stava dando da fare ed io, come un demente, ero ancora in auto ad osservare fuori.

“Louis! Vieni ad aiutarmi, caspiterina!” Urlò, appena le cadde la valigia, troppo pesante, dalle mani.
Decisi allora di scendere e darle una mano, per gentilezza e per non sembrare troppo pigro.
Dopo aver preso due delle mie valigie, mi diressi verso la porta della casa, sempre guardandomi attorno. Le posai all’entrata e finché aspettavo che mia madre arrivasse con le chiavi, mi sistemai il beanie grigio che indossavo dalla mattina alla sera e gli occhiali da vista neri che usavo per vedere da lontano.
“Ma’, le chiavi.” Mormorai, sapendo che nonostante il mio tono basso, lei mi avrebbe sentito. Avevo una voce stridula, quasi femminile. Una scusa in più per deridermi, a quanto sembrava.
“Arrivo, tesoro.” Mia madre, con più di due valigie sottobraccio, stava camminando in modo impacciato e irrequieto lungo il vialetto di piastrelle, verso di me.
Risi.
A volte quella donna era così divertente! In quel momento stava facendo facce strane, il suo viso si contorceva in smorfie, appesantita da quelle borse.
Dopo aver salito i tre gradini che portavano all’ingresso di casa, posò le valigie, sospirando di sollievo e prendendo fiato. Prese dalla tasca del suo giacchetto bianco panna le chiavi e aprì la porta.
“Finalmente.” Sibilai con un sorriso che andava ad increspare le mie labbra sottili. Non vedevo l’ora di vedere l’interno.

Durante il viaggio mia madre mi aveva spiegato che aveva comperato la casa già completa di arredamento, altrimenti sarebbero serviti più di dieci camion per tutti i mobili che c’erano nella casa precedente. Quest’ultima l’aveva data in affitto ad una coppia americana che non trovava alloggio, ma a prezzo economico, così si faceva un po’ di soldi senza approfittarne troppo.

 

Entrammo in casa con le valigie che poi posammo sul parquet ed io spalancai la bocca dallo stupore. Era fantastica.
Un arco, alla mia sinistra, divideva l’atrio dalla cucina; a destra, c’era il salone arredato perfettamente.
Un secondo, invece, si affacciava sul corridoio dove si intravedevano le scale bianche legnose che portavano al piano superiore. Feci un passo in avanti e spiai la cucina: un bancone al centro della stanza era contornato da alcune sedie, o meglio da piccoli sgabelli alti quasi quanto il suo piano in marmo bianco.
“Allora, tesoro, come ti sembra questa casa?” Mi chiese mia madre, dopo essersi avvicinata a me da dietro e aver posato le mani sulle mie spalle.
“Mi piace e non vedo l’ora di vedere camera mia.” Risposi in un sussurro, sistemandomi gli occhiali.
“Prendi le valigie e inizia a riempire il tuo armadio, io finisco di portare le altre in casa.” Io annuii e afferrai le mie valigie, dirigendomi al piano superiore. Salii le scale e guardai dentro la prima stanza che trovai. Era quella giusta. 
Lanciai le valigie sul letto e studiai la mia nuova stanza.
Era spaziosa, mi piaceva. Addossato al muro alla mia sinistra c’era un letto da una piazza e mezza, perfetto per me. Una poltrona era situata in mezzo alla stanza, sottostante un tappeto e davanti una televisione abbastanza grande e a schermo piatto. Sempre adagiati al muro sinistro, c’erano una scrivania e un piccolo scaffale color mogano chiaro. Al lato opposto una porta faceva da angolo. Probabilmente portava al bagno. 
Un bagno personale? Finalmente, non ce la facevo più ad aspettare ogni volta il mio turno, anche se c’era solo mia madre dovevo attendere sempre più di mezz’ora la mattina per prepararmi. Nella parete alla mia destra c’era un grande armadio di un color nocciola, con le ante già aperte, pronte per sistemare i miei abiti.

Dopo l’osservazione, mi decisi di aprire le valigie ed iniziare a riempire il mio armadio. Posai il mio portatile sulla scrivania, i libri sullo scaffale e l’x-box sul mobiletto sotto la tv. Riposi, avendo finito di riordinare, le valigie sotto l’armadio.
Scesi, in seguito, in cucina ad aiutare mia madre nel riporre gli oggetti e il cibo nei mobiletti per più di mezz’ora.
Sbuffai. Ero esausto.
“Ma’, posso riposarmi? Dopo sistemo il salone.” Urlai per farmi sentire, dato che mia madre era ormai andata nella sua stanza, al piano superiore, a svuotare le valigie.
“Certo, mangia qualcosa ora che questa mattina non hai fatto colazione!” Gridò lei in risposta.
Sentii dei rumori, presumevo fossero cadute le valigie dal letto.
Mi preparai un panino con prosciutto, formaggio e insalata, sedendomi infine su uno sgabello per iniziare a mangiarlo. Diedi un solo morso e sentii il campanello della porta suonare. 
Andai fino all’ingresso e guardai dallo spioncino.

 

 




Spazio autrice. 


Eccomi qui con una nuova fic. La prima seria che ho deciso di scrivere. Non la lascerò a tre capitoli, quattro ma la finirò. 
Ne sono certa. Inanzitutto è una fic Larry. lol
Che dire poi, questo è il primo capitolo, spiega un po' com'è la situazione di Louis, il trasferimento e il suo carattere.
Spero non vi abbia annoiato questo capitolo, dato che i colpi di scena non ci sono, ma giustamente è solo il primo e per quelli c'è tempo e tanto. :') 

Faccio banner su richiesta, per ora ne ho fatto solamente uno a Mars, la sua storia potete trovarla qui The time of our lives. (Passate, è stupenda. djgd. P.s. Mi ha pure aiutato a correggere la mia storia. ) Un grazie a mia cugina Chiara che mi ha corretto la storia dall'inizio e ha perso tempo per me. <3 e ringrazio anche un paio di persone che l'hanno letta e mi hanno detto la loro opinione. 

Se mi volete contattare (dubito :" ) scrivetemi qui nextolarry twitter
Sarei grata se mi lasciaste qualche recensione, così per andare avanti e sapere come trovate la mia fiction.uu
Ora vi lascio, mi sto dilungando troppo, aiuto.
Al prossimo capitolo, babies! 

-Ket. 

   
 
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