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Autore: virgily    10/09/2013    1 recensioni
-Voi non siete umana- disse, con un misto tra stupore e curiosità che riuscirono a farlo sorridere -Ma giuro che scoprirò che cosa siete…-
-Chissà, forse un giorno ci riuscirete. Non dimenticatevi, nel frattempo, che sono uno spirito di non poco conto, mio caro- si cucciò su di lui, accorciando pericolosamente le loro distanze. Riario riusciva a percepire il suo fiato caldo carezzargli il volto, e il suo profumo quasi palpabile. Silenziosamente, il conte cominciò a pregare il suo dio, chiedendogli di essere forte. Detestava doverlo ammettere, ma saperla così vicina al suo misero corpo di essere umano e indegno, legato ancora agli istinti primordiali della terra, era come la più piacevole delle torture. Si inumidì le labbra, socchiudendo appena le palpebre quando sentì le sue labbra sfiorargli il lobo sinistro:
-Prendetevi cura di ciò che mi spetta. Ho riposto molta fiducia in voi- e sollevandosi di pochi centimetri, audacemente rubò un bacio a fior di labbra al giovane conte, per la prima volta inerme sotto di lei.
Genere: Erotico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Girolamo Riario, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Io amo le sfide

Di primo mattino Firenze mostrava un chiassoso via vai dal sapore rustico e piacevole. Mercati affollati,  stoffe pregiate, spezie esotiche e donne con prole al seguito che si mostravano in tutta la loro semplicità, dipingendo una panoramica della rivale di Roma piuttosto tranquilla; serena sebbene i suoi vizzi, più che le sue virtù, fossero ben conosciuti in tutta la penisola  sotto il nome dei De Medici. Il palazzo che Riario e le sue guardie solevano occupare, durante le loro incursioni, era stato acquistato dal conte stesso sotto falso nome, e grazie alla sua posizione strategica, poco al di fuori delle mura, gli era permesso un alloggio confortevole e allo stesso tempo tattico per i suoi affari per conto della santa chiesa. Era tutta la mattina che cavalcavano senza sosta, lui e la sua scorta. Madonna Ermia cavalcava al suo fianco, tenendo egregiamente il suo passo tutt’altro che rilassato. Come suo solito, non vi erano schiavi che potessero badare a lei, ma da quel poco che aveva intuito, Ermia non doveva necessitare di alcun aiuto, e inoltre la casa era già dotata di servitù, pertanto altre persone totalmente inutili per la spedizione sarebbero state solamente un peso. Girolamo distolse per un istante lo sguardo dal sentiero, osservando la giovane che montava uno splendido esemplare di Cavallo del Delta: robusto, con il manto grigio e un temperamento vivace e coraggioso, proprio come la donna che portava in sella. Sebbene indossasse una pesante mantella scura e il cappuccio sollevato sul capo, Riario riusciva comunque ad intravedere i lineamenti dolci del suo viso al di sotto della cappa. Si stava maledicendo per quello che era successo. Lui, austero, rigoroso e spietato si era lasciato soggiogare da un bel paio di occhi e una bocca rosea. Era stato debole, e questo non doveva più accadere, soprattutto ora che avrebbero dovuto convivere sotto lo stesso tetto. Ne valeva del suo orgoglio, e della sua integrità. Eppure non poteva far a meno di detestare se stesso ogni qual volta che cadeva nella tentazione di guardarla, anche sol di sfuggita, proprio come stava facendo in quel momento. Per qualche decimo di secondo diede la colpa alla natura ultraterrena della donna; celava il segreto di cosa si trova al di là della volta celeste, pertanto la sua curiosità e le capacità ammaliatrici della ragazza avevano fatto tutto. Ma per quanto volesse cercare di giustificare il fatto e lavarsene le mani, doveva vergognosamente ammettere che mai aveva provato un desidero così struggente. Avanzarono mantenendo un andazzo stabile e deciso per un’altra mezz’ora, giungendo infine al modesto casolare con ampio giardino che per tutta la loro permanenza li avrebbe accolti. Ermia era stata scortata verso le sue stanze mentre il conte, assieme al curatore degli archivi segreti del Vaticano, Lupo Mercuri, si erano diretti nello studio privato di Riario per discutere sul da farsi. Girolamo non era tipo da lanciarsi in missioni prive di senso e impetuose. Al contrario era un abile temporeggiatore e stratega. Pianificava sin nel minimo dettaglio la sua mossa con subdola tenacia e arguzia.
-Sembra che voi abbiate una predilezione nel far entrare in scena delle donne nei vostri piani, Riario- sogghignò beffardo e tutt’altro che sereno l’uomo di nero vestito che entrò nella stanza senza neanche degnarsi di chiudere la porta. L’ambiente non era arredato con gli stessi gusti della sua reale abitazione, ma era pur sempre presentabile e bene o male degna del portamento di un conte.
-Purtroppo, caro Mercuri, non ho avuto altra scelta. Sono più scettico di voi riguardo alla presenza di Madonna Ermia qui a Firenze. Tuttavia, sua eminenza ha riposto molta fiducia in lei…- rispose il conte volgendogli le spalle, portando le mani dietro la schiena, passeggiando lungo il perimetro dello studio con lo sguardo sperso nel vuoto. Non stava perdendo tempo con pensieri futili o disdicevoli, come spesso gli era capitato ultimamente, ma piuttosto pensava ad un buon piano per infiltrare la donna e mantenere la sua posizione ben equilibrata.
-Sì, e sono certo di sapere anche in che modo sua eccellenza gliel’abbia riposta questa sua “fiducia”- bisbigliò l’altro, sedendosi pesantemente sulla seggiola di velluto scura imbottita. Attirato dalla frase tutt’altro che benevola di Lupo, il labbro di Riario assunse un ghignetto divertito.
-Disse l’uomo che l’ultima volta che ha accarezzato il corpo di una donna era disegnato su un manoscritto vecchio di centinaia di anni…- un sospiro melodioso e al contempo affilato giunse all’udito dei due, che immediatamente si voltarono in direzione della soglia della stanza: impiegando meno del tempo previso, Ermia aveva fatto un cambio d’abito, indossando una veste sobria e leggera, e si era presentata al loro cospetto, ascoltando buona parte della loro conversazione senza che potessero accorgersene. Per il conte non fu poi una tale sorpresa dopo quelle che ne aveva passate, ma Mercuri al contrario era impallidito di colpo, inorridito dall’affermazione schietta e del tutto inopportuna per una donna da pronunciare. Constatando che i due uomini si erano finalmente ammutoliti, la giovane donna espose un sorriso fastidioso e canzonatorio, compiaciuta dell’effetto sortito dalla sua entrata.
-Ebbene? Non avete nient’altro da dire o posso andare?-
-Andare dove, mia signora?- domandò Mercuri inarcando il candido sopracciglio verso l’alto.
-Andare a cerare questo Da Vinci, per esempio-
-Non siate stupida. Ci serve un piano.- ribatté il giovane conte, fissandola intensamente. Non l’avrebbe mandata in giro per Firenze senza sapere cosa le passava in mente. Papa Sisto IV era stato chiaro, e non poteva rischiare di inciampare in errori che poteva ben evitare.
-Perfetto. Voi elaborate un piano. Io, nel frattempo, agisco- e così dicendo, senza neanche lasciargli il tempo di rispondere, la donna aveva già lasciato lo studiolo, chiudendosi la porta alle spalle. Girolamo allora digrignò i denti, e quasi ringhiando raggiunse con ampie e pesanti falcate l’uscio dalla stanza, e sotto gli occhi del curatore corse in contro alla fanciulla che tanto detestava e che tanto gli dava del filo da torcere. Quella dannata creatura era la sua croce, troppo istintiva, irriflessiva per natura. Ma non le avrebbe permesso di fare di testa sua e rovinare tutto, non ora che era lui a tenere in mano le redini della situazione. Eccola, a pochi passi da lui, canticchiava quasi come per prenderlo in giro, con la mantella che si gonfiava man a mano che proseguiva dritta per il corridoio principale che portava direttamente all’uscita dall’abitazione. Riario fece uno scatto poderoso in avanti, e con forza riuscì a bloccarla, afferrandola per un braccio e strattonandola violentemente a sé. Ermia sbatté contro il suo petto, restando successivamente infilzata dallo sguardo carico di disprezzo e furia del giovane. Aveva la faccia contrita, marcata dai segni della sua collera, e più si guardavano più si rendeva conto che la sua presa si stava facendo più forte e vigorosa, quasi da lasciarle dei segni sulla morbida pelle.
-Che cosa pensi di fare?- disse trattenendola contro il suo corpo, impedendole i movimenti sebbene la donna non stesse opponendo alcuna resistenza, ma al contrario restava immobile ad osservare quella sua reazione con occhi beati e un ghigno di sfida:
-Faccio quello che so fare meglio. Voi piuttosto, mio caro Riario, cosa pensate di fare? Avete già tentato di fermarmi… E se non ricordo male non vi è andata molto bene…- e mantenendo il contatto visivo intenso e vivido, Ermia avvicinò pericolosamente il viso contro quello del giovane uomo. Per un attimo Girolamo sentì un brivido caldo lungo la schiena, facendolo inconsciamente inarcare contro di lei, ma tutto a un tratto la traiettoria del suo ovale cambiò, portando le sue labbra fine premute contro il lobo del suo orecchio, lasciando che il suo fiato tiepido lo accarezzasse e lasciasse crescere una marea di formicolii indesiderati ma suadenti.
-Tuttavia, devo ammettere che l’ultima volta aveva preso un risvolto alquanto… Eccitante- la sua voce pareva il canto di una sirena appollaiata su di uno scoglio, desiderosa e affamata di una nuova vittima. L’uomo scosse il capo, e scostandola appena riacquistò una distanza decorosa e , certamente, più sicura.
-Siete disgustosa- disse, fulminandola con lo sguardo.
-E voi sapete essere rude, viscido e insensibile come un serpente. Quindi, a ognuno il suo- ribatté ricambiando il suo sguardo. Sapeva che non doveva guardarla troppo in quei grandi occhi incantatori, ma tuffarvici all’interno e affogare in quel denso e caldo color ambra stava diventando quasi una folle ed insana ossessione.
-Ora, lasciatemi- senza dire nulla allora, soltanto sfiorandosi con gli sguardi, il conte lasciò la presa sulle sue esili braccia. Inesorabilmente si diede del debole. Allora si morse un labbro, quasi assaporando il gusto amaro del suo stesso sangue, e avanzando di qualche passò Riario fu di nuovo su di lei, questa volta prendendola per i fianchi e sbattendola con non curanza contro una delle pareti che delimitava lo stretto corridoio. Molti quadri vibrarono per l’impatto, ma dalle labbra della donna non fuoriuscì nulla; non un sussulto, non un gridolino striminzito. Era riuscito a rivoltare la circostanza in suo favore, e adesso quello a sussurrare al suo orecchio con fermezza e autorità era proprio lui:
-Vedete di non combinare guai, madonna. Altrimenti prometto che non mi darò pace e cercherò di distruggervi, con ogni mezzo non importa quale esso sia- Ermia rimase immobile, schiacciata tra il muro e il corpo asciutto e prestante di Girolamo, fissandolo come mai aveva fatto prima: ardore, fierezza, desiderio, stizza, ira. Eppure la sua espressione era serena, se non addirittura affascinata; ma dopotutto era proprio per questo che era rimasta accattivata da quell’uomo.
-Sapete, non sono una donna che ama sentirsi dire quello che deve fare- rispose piano, inumidendosi le labbra,
-Ma farò come dite. Non posso rischiare che il papa vi faccia fuori per un ennesimo insuccesso, giusto?-
-Bene…- disse l’altro, lasciandola finalmente andare –Ora che ci siamo chiariti: fate attenzione, madonna-
La fanciulla sorrise, e sospirando appena se ne andò per la sua strada, voltandogli definitivamente le spalle. Non si fidava di lei, ma qualcosa nel profondo del suo animo sapeva che tuttavia non lo avrebbe deluso.

***
Il meriggio stava per svanire al di là delle colline che circondavano la bella ed ebra Firenze, pronto a cedere il suo posto al manto della notte che si preannunciava limpida e serena. L’ora del coprifuoco nel frattempo vi avvicinava sempre più spietatamente, ma questo al giovane artista e alla sua piccola banda di amorevoli canaglie questo non importava molto. Dopotutto era famoso in tutta la città per la sua propensione a non seguire le regole. Come suo solito, sedeva su una delle sudice panche della vecchia locanda, bevendo e scarabocchiando su fogli di pergamena ingialliti e stropicciati, ascoltando tuttavia con orecchio vigile e ben attento i discorsi futili e piacevolmente privi di senso dei suoi compagni.
-Perché non fate una pausa, maestro?- gli domandò poi il su fido assistente, sedendosi impacciatamente al suo fianco, passandosi distrattamente una mano tra i suoi folti boccoli dorati.
-Sì. Leo, Nico ha ragione. Per una buona volta smettila di disegnare e vai a farti una dormita come si deve. Sei distrutto…- constatò il secondo giovane della pelle olivastra e gli occhi penetrati seduto innanzi a lui. Leonardo sollevò l’angolo destro delle sue labbra ma non si degnò minimamente di rispondergli. Al contrario, si concentrò ulteriormente sulla realizzazione di quell’apertura alare che studiava ormai da mesi.
-Che poi mi chiedo cosa ci troverai mai di così interessante nel disegnare uccelli. Sono sicuro che te li sogni anche di notte…- sbuffò nuovamente Zoroastro
-Oh sì, ci puoi contare! Ma non sono gli uccelli che pensi tu, mio caro-
-Lo spero proprio per te, Leo!- rise bevendo tutto ciò che ne restava nel suo boccale. Rimasero lì ancora, a commentare le manie ossesse sugli schizzi del loro giovane amico, bevendo e implorandolo che la smettesse, ma niente poteva fermarlo. Se c’era una cosa ormai risaputa tra i suoi compagni, era che Leonardo Da Vinci era un gran testardo, neanche una minaccia di morte sarebbe riuscito a distoglierlo dal suo tanto amato lavoro.
-Davvero, maestro. Dovete riposarvi…- aggiunse nuovamente Nico.
-Sono ancora in piedi, quindi vuol dire che non ne ho bisogno…- disse il moro studiando attentamente il suo operato con precisione e occhio altamente critico, andando alla ricerca anche del minimo errore, isolandosi totalmente da tutto e da tutti. Rendendosi conto del fatto che oramai il loro amico li stava ignorando, Zoroastro e il giovane apprendista capirono che non c’era più nulla da fare.
-Fai come ti pare, ma noi non ti ci riaccompagniamo a casa! Sappilo Leo!- e così dicendo lo lasciarono solo, con le sue mille riflessioni, i suoi dubbi e le sue constatazioni. Avevano mantenuto la loro parola, Leonardo si ritrovò solo qualche ora più tardi a vagare per i vicoli scuri e silenziosi di Firenze, passeggiando sbandierando in lungo e in largo i suoi grandi occhi limpidi. Conosceva alla perfezione ogni strada, angolo o viale della sua città, eppure non riusciva a non guardarsi intorno con la speranza di scoprire sempre qualcosa di nuovo, qualcosa che potesse tornargli utile un giorno. Una leggerissima brezza carezzò la sua pelle accaldata, e il suo petto messo lievemente in vista dallo scollo della casacca. Non mancava molto per arrivare a casa sua, ma proprio come sperava, qualcosa catturò la sua attenzione. Un’ombra, o meglio una figura che con l’oscurità della notte pareva più simile ad un’ombra, vagava avanti e indietro innanzi la porta del suo studio. Indossava un lungo mantello nero, doveva essere pesante e aveva la cappa tirata sul capo, impedendogli di vedere chi fosse. Era misterioso, e certamente non ispirava molta fiducia così di primo impatto. L’uomo allora si avvicinò con cautela, facendo scivolare le sue lunghe dita affusolate attorno l’elsa della spada che gli incorniciava la cintola stretta. Nella sua testa aveva già elaborato due o tre manovre per stenderlo e renderlo inoffensivo, ma prima di passare alle maniere brusche e rozze, il suo buon senso gli suggeriva di tentare un approccio più ortodosso:
-Chi siete?- domandò direttamente giungendogli alle spalle. La figura si voltò di scatto, come presa alla sprovvista .
-Siete voi Leonardo Da Vinci?- era una voce delicata, suadente e docile al tempo stesso. Una donna senz’altro, ma non era una voce riconoscibile.
-Forse, che cosa volete? E cosa ci fa una donna sola a quest’ora della notte?- domandò aggrottando le ciglia, cercando di sforzarsi per intravedere la sua figura al di là della spessa ombreggiatura creata dal cappuccio sollevato. Quella voce, c’era qualcosa in lei… Ma non sapeva spiegarlo.
-A dire il vero è da questo pomeriggio che vi aspetto… O meglio, che aspetto il signor Da Vinci-
-E perché mai?-
-Devo commissionargli un dipinto- alla sua affermazione, il giovane artista rise, scettico e divertito al tempo stesso
-E non potevate aspettare domani mattina? È strano che una donna rimanga tutte queste ore in strada fino a tarda notte solo per fare una commissione…- incrociò le braccia al petto, convinto del fatto che c’era qualcosa che non andava in tutta questa faccenda
-Sfortunatamente per voi, sono una fanciulla particolarmente testarda- quella voce, adesso, da fragile e per certi versi intimidita aveva accentuato una sfumatura di sicurezza e di sprezzo che colse in pieno l’uomo, allettando ulteriormente quella curiosità che cresceva lentamente dentro di lui.
-Ah davvero? Peccato che al momento i servigi di Da Vinci sono rivolti solo ed esclusivamente alla casa De Medici…- non che davvero lavorasse anima e corpo per la casata reggente della città, ma la sua volontà d’animo sembrava molto interessante, e Leonardo era del tutto deciso a voler vedere fino a che punto una donna tanto determinata quanto strana potesse spingersi.
-Sarebbe ben pagato…-
-Conoscendolo bene, non sono i soldi la sua preoccupazione. Ma il soggetto che da ritrarre… Per chi lavorate?-
Silenzio. Leonardo era sicuro di averla sotto scacco oramai. Era divertente, sembrava un gioco bizzarro ed intrigante, e tutto ciò non faceva alto che assetare il suo desiderio di indagare, e scoprire sempre di più. Un soffio di vento gentile accompagnò i movimenti lenti e aggraziati di due piccole e pallide mani che fuoriuscirono da quella mantella corvina.
-Per nessuno. Sono io che voglio commissionare l’opera-  Con eleganza, queste dita sottili si strinsero alla morbida stoffa del cappuccio, chinandolo sulle gracili spalle della donna. Onde brune si sparsero per l’aria, incorniciando un delicato ovale gentile, che illuminato dai pallidi sguardi della luna mostravano due occhi dalle lucide sfumature ambrate e dei lineamenti graziosi. Era bella, ma dalle occhiate che la donna gli riservava intuiva che non si trattava di una bellezza del tutto innocente. Non seppe con precisione per quale motivo sentì l’irrefrenabile impulso di muovere la sua mano affusolata e tramante contro il suo viso, ma gli bastò un sol passo in avanti per giungere ad una vicinanza che gli permettesse di sfiorarle le gote rotonde e tiepide. Sbatté più volte le palpebre, e solo in quell’istante si rese conto di quello che aveva appena fatto. Abbassò violentemente la mano e indietreggiò sotto la melodia di una risata leggera e affabile:
-Ebbene? Vi preoccupa ancora il soggetto, signor Da Vinci?- gli domandò con una tenerezza quasi disarmante
-Non vi ho detto di essere lui. Ho detto che forse ero lui, mia signora…- rispose guardandola nuovamente fissa in quelle grandi iridi. Erano particolari, penetranti. Guardavano lontano, oltre l’apparenza fisica di una persona. E proprio per questo era difficile togliergli gli occhi di dosso. La fanciulla allungò le sue mani, invitando l’artista a porgergli le sue. Per qualche decimo di secondo stentò appena, ma subito dopo fece scivolare le sue dita sporche su quelle soffici di lei. Le loro mani s’intrecciarono assieme, e portandole più vicine, la donna le osservò con precisione, studiandole.
-Queste- disse poi, sorridendo con un sussulto dolcissimo –Sono mani capaci di fare grandi cose. Quindi so per certo che siete voi Leonardo Da Vinci- i loro sguardi s’incrociarono ancora una volta, e un brivido fece sì che l’uomo si discostasse da lei, come se quel brevissimo contatto tra le loro pelli in realtà fosse durato più del previsto, come se quelle stesse dita sottili si fossero aggrappate per un istante a qualcosa che per lui era di vitale importanza: la sua anima.
-Bene…- affermò esponendo un sorrisino sghembo e fanciullesco –Mi avete scoperto, madonna. Tuttavia io ancora non so chi siete…- la bruna annuì e inchinandosi quasi solennemente pronunciò un nome che per Leonardo sarebbe stato difficile da dimenticare:
-Ermia. Messer Da Vinci. Solo Ermia-
 
La bottega di Leonardo era buia, molto polverosa. Decisamente poco curata. Tuttavia la giovane donna non poteva dire che fosse poco vissuta. Ogni angolo dell’umile ambiente infatti era tappezzato da tanti piccoli fogli di pergamena. Bozzetti con il carboncino, piccoli assaggi di vita quotidiana che avevano catturato l’occhio attento dell’artista. Ermia vagava per il suo studio osservando affascinata quella marea di schizzi, constatando la loro immensa varietà e la loro certosina precisione: armi, statue, persone, nuove e stravaganti invenzioni. Quell’uomo con il suo ingegno, doveva ammetterlo, era a dir poco straordinario.
-Di che genere di dipinto stiamo parlando, mia signora? Suppongo si tratti di un ritratto…- domandò lui scrutandola mentre con i suoi occhi incantati si guardavano intorno, come se fosse entrata in un luogo dove la meraviglia e l’incanto erano gli unici sovrani.
-A dire il vero…- cominciò fermandosi dal suo fascinoso volteggiare, fissandolo direttamente –Si tratta di un nudo- un secondo ed estenuante brivido lo percosse per tutta la colonna vertebrale, mentre un risolino beffardo e tutt’altro che ingenuo si scolpì sulla sua bocca barbata. Era audace, forse anche troppo per lo status sociale al quale sembrava appartenere.
-Non amate molto le convenzioni sociali, non è così mia signora?- rise, grattandosi impacciatamente la testa. In realtà non osava neanche immaginare come potesse essere il suo corpo al di sotto di quelle vesti in tinte pastello. Era misteriosa, e per tanto voleva riservarsi questo piacere per un secondo momento.
-No. Decisamente no. Allora, accettate oppure dovrei dedurre che siete un artista di sani principi morali e vi rinunciate di ritrarmi nuda?- domandò secca e diretta come sempre si era mostrata. Leonardo si sentì oltremodo affascinato quanto divertito da questo atteggiamento, per certi versi, affine al suo.
-Assolutamente. Vedrò di compiacervi non appena mi sarà possibile, mia signora- rispose il moro guardandola mentre lasciava che l’angolo destro del suo labbro s’incurvasse appena, in un ghignetto loquace e scaltro.
-Quel “appena mi sarà possibile” non è di mio gradimento…- cominciò sfiorandosi lentamente le candide mani, avvicinandosi all’artista con passi lenti, ancheggiando appena al di sotto delle pregiate vesti. I suoi occhi sorridevano e al contempo parlavano a quelli del giovane inventore: sussurri, dolci ed enfatiche preghiere, un richiamo difficile da ignorare. Ermia riprese a parlare soltanto quando finalmente lo raggiunse, fiancheggiandolo.
-Ma sono sicura che contro ogni previsione noi ci rivedremo molto presto…- era piacevole questa sua incauta sicurezza, e poi doveva ammettere che se non avesse dovuto accontentare Lorenzo, con le sue mille richieste per trovare sempre un nuovo espediente per difendersi dalle mire del papato, certo non si sarebbe tirato indietro da un lavoro così… Interessante.
-Ne siete davvero così certa, mia signora?- si guardarono ancora, e questa volta Leonardo cercava in quegli occhi grandi e incomparabilmente luminosi, anche il più misero segno di timidezza, tipico delle donne del suo tempo. Ma proprio come sperava, non ne vide alcuno. Persino madonna Lucrezia, durante il loro primo incontro, aveva mostrato uno sguardo lascivo, che sfuggiva ma al tempo stesso bramava. E ancora a distanza di molti mesi, durante i loro amorosi ritrovi notturni, un duplice velo di mistero e conflitto mascherava i suoi occhi. Questa Ermia, invece…  così diversa, unica nel suo genere. Era così strano, e allo stesso tempo così affascinante osservare da vicino quella donna simile e allo stesso tempo aliena agli usi e ai comportamenti di tutte le altre.
-Sì- affermò repentinamente la donna, ricambiando le occhiate indagatrici dell’inventore con un ghigno spavaldo.
-Perché mi sembra di percepire una certa aria di sfida nei vostri atteggiamenti, mia signora?- Leonardo teneva le mani posate sulla polverosa tavola di legno che sostava imponente nella bottega, e con le labbra appena dischiuse persisteva nel mantenere il loro contatto visivo sempre costante, non rendendosi conto del fatto che istintivamente si era cucciato di pochi centimetri contro di lei, affondando nel colore ambrato e feroce delle sue iridi. Avrebbe voluto disegnarle, immortalare su pergamena quelle sfumature dinamiche e seducenti, come lingue di fuoco incandescenti.
-Semplicemente perché mi piace rendere più divertenti certe situazioni- rispose la bruna avvicinandosi a sua volta contro di lui, stuzzicando ulteriormente i tizzoni ardenti nell’animo dell’artista. Leonardo non le rispose, valutando per bene in che razza di guaio sarebbe andato a cacciarsi stavolta. Al contrario, la ragazza sorrise
-Non ditemi che a un uomo abile e valoroso come voi non piacciono le sfide…-
-Io amo le sfide- affermò l’uomo contraddicendola immediatamente.
-È quello che volevo sentirmi dire- ridacchiò appena mascherandosi le labbra sottili dietro le pallide dita affusolate. Sospirò piano, compiaciuta del suo operato, cominciando ad avviarsi verso l’uscio della bottega dicendo:
-Sono certa che ci divertiremo molto io e lei, artista. Oh, quasi dimenticavo…- rovistando tra le maniche della morbida mantella scura, la donna sfoderò un piccolo sacchetto di stoffa del medesimo colore della sua veste appena rosata. Era gonfio, e tintinnava tra le sue mani quando lo lanciò in direzione di Leonardo, che abilmente lo afferrò al volo. Quella piccola sacca elegante era assai pesante, e non fu difficile per l’ingegnere intuire di cosa si trattasse.
-Consideratelo un piccolo incentivo…- disse voltandogli le spalle prima di fermarsi allo stipite della porta, posando le mani su di essa mentre si voltava di scatto per fissarlo un’ultima volta ancora:
-Buona notte Messer Da Vinci- i suoi occhi brillavano, e il giovane e scapestrato artista sorrise appena sotto i baffi, divertito. Fece appena roteare i suoi grandi occhi limpidi prima di puntare le sue cristalline iridi contro di lei.
-Buona notte, mia signora- e finalmente la misteriosa donna uscì dalla sua modesta casa, chiudendosi la porta alle spalle. Senza perdere ulteriore tempo allora, Leonardo tornò al suo consueto lavoro. Oramai era notte inoltrata, ma di concedere del meritato riposo al suo corpo non ci pensava neanche: si mise seduto allo scrittoio, alla luce soffusa e calda delle candele. Disegnò per quasi tutta la notte, portando allo stremo delle sue forze le sue povere mani callose e macchiate dal carbone. Un sospiro pesante e stanco si fece largo tra le sue labbra, seguito a ruota da uno sbadiglio. Quella notte Leonardo Da Vinci non aveva disegnato aperture alari di uccelli; ma capelli sottili e delicati, un ovale pallido dalle labbra serrate, disegnate con sapiente cura, e occhi languidi quanto ardenti, folgorati dal pallido scintillare di quella candela che poco dopo si spense. 


*Angolino di Virgy*
Finalmente! Dopo molto, molto, molto tempo sono riuscita ad aggiornare la storia. L'estate oramai è quasi finita, perciò si torna a scrivere (yeeeeeeah!)
Spero che il capitolo vi piaccia, e spero di essere riuscita a rendere il primo incontro tra Ermia e Leonardo affascinante, o almeno decente XD 
Grazie per la lettura.
Un bacio
-V-
  
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