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Autore: DulceVoz    10/09/2013    8 recensioni
Ad un mese dalla scomparsa di Maria, l’incubo non sembra ancora terminato: messaggi minacciosi cominciano a tormentare la vita delle persone a cui la famosa cantante aveva voluto bene… e se a questo vi si aggiungono misteriose scomparse la vicenda si complica ulteriormente… e se quello della maggiore delle Saramego non fosse stato un incidente? Se Violetta e Angie rischiassero tanto in una situazione davvero troppo complicata? La loro protezione, affidata a due bodyguards davvero speciali, cambierà le loro esistenze e nulla sarà più come prima… chi sarà il folle misterioso degli inquietanti avvertimenti? Riusciranno le nostre protagoniste a salvarsi dalle ire di qualcuno che vuole solo vendicarsi per motivi sconosciuti? Una storia di intrighi, azione e amore per gli amanti del giallo e del mistero.
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Leon, Pablo, Un po' tutti, Violetta
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Era passato poco, solo un mese dalla sua scomparsa e la sua presenza era ancora viva nelle persone che l’avevano tanto amata. In primis in sua figlia, Violetta Castillo, una splendida ragazza di 16 anni che amava la musica con tutta sé stessa, proprio come lei, la sua mamma, Maria Saramego, la famosa cantante deceduta in un incidente stradale solo poco tempo prima. Un’altra persona cara alla celebre artista era sua sorella minore, Angeles Saramego. Lei non era più la stessa dopo la scomparsa di Maria… prima era l’insegnante perfetta, tanto posata e tranquilla, amata da tutti i suoi allievi e ben voluta dai colleghi… adesso… adesso era cambiata. Il colpo era stato troppo forte per lei, non riusciva più ad essere quella di un tempo, quella donna solare e allegra che era sempre stata. La scomparsa di sua sorella, in un certo senso, stava spegnendo anche lei. E, in ultimo, ma non meno importante, c’era lui: German Castillo. Non era facile per lui, vedovo da poco, fingersi sereno davanti alla figlia, cercare di tirarle su il morale quando, in alcuni momenti, avrebbe avuto bisogno lui di ritrovare il sorriso… l’aveva perso, insieme all’unica donna che avesse mai amato davvero. Tutto cominciò, o meglio ricominciò, per caso, nel giorno del primo anniversario della scomparsa di Maria. German era seduto a tavola, cercando di non pensare a quella maledetta data in cui la sua vita era andata in pezzi, assieme a quella della sua amata e faceva colazione, attendendo di vedere anche la sua bambina scendere a mangiare qualcosa. “- Ciao papà…” salutò, mestamente, la giovane. Non aveva più la luce negli occhi di un tempo… continuava a frequentare lo Studio 21, dove lavorava sua zia, ma non aveva la voglia di andarci sempre dopo quello che era successo. “- Ciao tesoro. Dormito bene?” chiese, premuroso, il padre, facendole un dolce sorriso che però risultò forzato e cupo.
“- Non molto…” si limitò a dire lei, sedendosi per bere giusto un succo d’arancia. “- I soliti incubi?” chiese lui, pentendosene subito. Voleva farle dimenticare quel periodaccio ma, la sua solita ansia e il suo spiccato senso di protezione nei confronti della sua piccola, l’avevano portato a fare quella domanda. “- Sì. Ancora notti insonni… sempre da quando lei non c’è più, ogni notte.” Disse la giovane, abbassando lo sguardo sul legno color ciliegio del tavolo. “- Lo so. Dobbiamo farci forza, tesoro… la vita continua ed io sono qui, ci faremo coraggio a vicenda.” Esclamò lui, serio, incupendosi di colpo al solo dover pronunciare quella frase… e come potevano riuscire a farsi forza dopo quello che era successo? Era pienamente consapevole che, per quanto avesse aiutato la sua bambina, riprendere la quotidianità, la vita di sempre, non fosse affare semplice. “- Mi manca.” balbettò la Castillo, fissando nel vuoto davanti a sé. La ricordava bene, la sua mamma. Osservava la sedia su cui di solito c’era lei, sorridente, che faceva colazione con loro e la invitava a sbrigarsi per andare all’accademia di musica. Le prime settimane aveva deciso di mollare tutto, di non volerci più tornare. In fondo la musica le aveva portato via la persona più importante della sua vita e non voleva più saperne di quella scuola d’arte, lo Studio 21. Per fortuna, le sue amiche del cuore, Camilla e Francesca, l’avevano convinta a tornare qualche volta, provando a distrarla non solo a scuola ma in tutti i modi possibili: uscite, pigiama party… niente. La sua aria triste sembrava non voler più sparire dal suo viso e, per quanto apprezzasse gli sforzi delle due, non riusciva a pensare ad altro che alla tragedia che l’aveva colpita da poco. “- La porta! Vado io!” urlò Olga, la governante, andando ad aprire con calma. “- Salve! Violetta è pronta? Oggi la portiamo a scuola! Non vogliamo sentire ragioni! Nessuna scusa che tenga!” disse Camilla, abbozzando un sorriso triste. “- Certo, venite! Entrate, ragazze care! Le farà bene venire con voi e tornare allo Studio, prego!” disse la mora affettuosamente, accogliendo felice Francesca e la Torres che si avvicinarono al tavolo dove German le salutò con un cenno del capo. “- Tu devi venire con noi, andiamo!” disse la Rossini, decisa, prendendo la borsa di Violetta appoggiata al bordo della sedia. “- Io veramente… non ho voglia di andare a scuola, oggi…” balbettò la giovane, fissando le due che prima si lanciarono una rapida occhiata e dopo qualche secondo, di colpo, ripresero a fissare l’amica. “- No, Vilu! Devi reagire! Vieni! Gli altri ragazzi e professori ti stanno aspettando! Ti vogliamo tutti bene, lo sai!” tentò di rassicurarla Camilla, osservandola alzarsi e dirigersi verso il padre che annuì, come per suggerirle di seguire le due ragazze. “- Ci vediamo a pranzo… oggi non devo andare in ufficio, quindi ti posso passare a prendere se vuoi…” ma la ragazza lo fissò sconvolta. Passarla a prendere voleva significare solo una cosa: automobile e quel mezzo di trasporto era diventato per lei solamente sinonimo di pericolo. Da settimane, ormai, la giovane si rifiutava di salire su una macchina e non aveva intenzione di ritornare a farlo, almeno fino a quando non si fosse sentita pronta. “- No, papà… torno con loro due, a piedi.” sottolineò la giovane, abbassando gli occhi sul pavimento. “- Va bene, sta’ attenta e…” “- Chiamami quando arrivi. Lo so.” Continuò la  frase la ragazza, facendo un mezzo sorriso e schioccando un bacio sulla guancia all’uomo che la strinse forte. “- Ti voglio bene, tesoro.” Le sussurrò suo padre, mentre lei si lasciò abbracciare forte… ne aveva davvero bisogno. “- Anch’io, papà! A dopo!” esclamò lei, allontanandosi verso la porta, seguita dalle due amiche che fissavano la tenerezza della scena quasi con gli occhi lucidi. “- Arrivederci signor Castillo!” salutarono quasi in coro Camilla e Francesca. “- Ciao ragazze, buona scuola!” disse lui, prima di dirigersi nel suo ufficio e di preparasi a starci delle ore. Ancora si fissava a guardare la foto di lui, lei e la loro bambina, scattata alcune estati precedenti... Erano così felici, così sereni… eppure era tutto finito e la ferita faceva ancora troppo male. Si alzò e afferrò quella cornice tra le mani, una lacrima gli solcò una guancia e mentre un’altra, sfuggendo al suo controllo, bagnò il vetro che proteggeva l’immagine. “- Mi manchi, amore mio…” sussurrò piano, guardando il sorriso luminoso di Maria che irradiava la foto, quasi illuminandola completamente. “- Signore, il caffè… ah, mi scusi io…” Olga, ferma come immobilizzata sull’uscio porta ed era, come al solito, arrivata senza bussare, con un vassoio tra le mani su cui erano poggiati una tazza con un piattino e un cucchiaino d’argento che scintillava anche a distanza di metri. German si voltò per asciugarsi gli occhi con la manica della giacca e, senza alzare lo sguardo, torno a sedersi, ringraziando la cuoca che, accortasi della brutta situazione in cui era arrivata, si volatilizzò, capendo che l’uomo volesse essere lasciato solo.
 
 
“- Violetta! Sei tornata e spero che questa volta tu sia venuta per restare! Siamo felici di riaverti alle lezioni, sperando che riprenderai costantemente a seguirle!” Antonio, il preside e il direttore della scuola, le si avvicinò nell’atrio dello Studio 21, fissandola con sguardo quasi paterno e comprensivo. “- Sì, ci proverò, almeno…” sorrise lei, con una tristezza negli occhi che a nessuno dei ragazzi sfuggì. Thomas subito le si avvicinò, felice di riabbracciarla. “- E’ bello rivederti qui, con noi!” le sussurrò all’orecchio, abbracciandola forte. Non erano fidanzati ma il ragazzo era cotto da tempo indefinito della bella Castillo che lo reputava da sempre un amico fedele. Lei era convinta di non provare nulla, non lo aveva mai provato, a maggior ragione ora che aveva ben altro per la testa ma, in quel periodo aveva bisogno del sostegno di qualcuno ed era certa che quell’abbraccio non poteva che farle bene. “- Grazie…” balbettò lei, cercando poi, con lo sguardo, una persona. C’erano tutti: intorno a lei erano corsi gli amici, Maxi, Federico, Andres, Andrea, Nata, Lena, Napo… persino Ludmilla che non la sopportava poi molto, c’erano anche i professori… ma ne mancava uno. Jackie, Beto e persino Gregorio le sorridevano con gioia ma una faccia familiare mancava all’appello.
“- Dov’è Angie? Non è tornata più, vero?” chiese, all’orecchio di Francesca che scosse il capo, con aria rassegnata. “- E’ da settimane che non sta venendo più… non abbiamo ancora un sostituto perché Antonio spera sempre di riuscire a convincerla a tornare ma niente. Sembra non voler tornare più qui. Ci è venuta qualche volta ma non ce la fa a restare… scappa sempre via senza nemmeno terminare le lezioni.” A quelle parole la ragazza sbiancò, sgranando gli occhi con fare confuso. Che significava? Anche la sua adorata zia voleva abbandonare tutto, proprio come lei? Voleva davvero perdere il lavoro, la sua vita di sempre? Mentre rifletteva su ciò, ancora nell’atrio con tutti gli altri accanto a lei, un rombo di una automobile fece voltare tutti verso il giardino: una donna salutò un biondo e scese con classe dalla vettura. Era splendida: alta, bionda, occhiali da sole neri a coprirle gli occhi ma viso triste e quello, purtroppo, non era riuscito a nasconderlo. “- Angie! Sei tornata!” urlò qualcuno dei ragazzi, mentre lei non si scompose minimamente.
“- Sapevo che non ci avresti mai abbandonati!” esclamò Camilla, andandole in contro. La donna abbozzò un sorriso tiratissimo e, senza pronunciare parola, andò di colpo ad abbracciare Violetta che rimase colpita da quella stretta. Dopo la scomparsa di Maria, sua zia era sempre in casa, non la vedeva da settimane, né, a quanto sembrava, era tornata a scuola da tempo. Sciolse l’abbraccio dopo qualche secondo e, senza guardare in faccia a nessuno, si allontanò verso la sua aula, a passo deciso e spedito. “- Ma è così…” iniziò Maxi, sottovoce, temendo di terminare in maniera sbagliata quella frase che, però, tutti pensarono nel suo stesso modo… “- …Diversa!” esclamò Andres, grattandosi il capo confuso e facendo annuire gli altri. “- Ha subito un trauma non indifferente, è normale che reagisca così… credo…” disse, timidamente, Francesca.
Angie era cambiata: lei non era mai così fredda, non si vestiva in quel modo così succinto, non andava in giro su quei bolidi con alla guida bell’imbusti biondi in stile modello da copertina. Era diversa, aveva ragione Andres. Violetta era rimasta immobile a fissarla, anche lei sconvolta da quell’atteggiamento. Nemmeno ascoltava i commenti degli amici, nemmeno si rese conto che stessero ancora parlando… era troppo presa a guardare la sua adorata zia filare in classe, come se nulla fosse. “- Devo parlarle… scusate.” Disse, d’un tratto, la giovane, andando verso l’aula in cui avrebbe avuto lezione la donna. Arrivò sull’uscio e si bloccò. La Saramego fissava la tastiera senza avere il coraggio di sfiorare quei tasti, come se non avesse mai voluto che alcuna melodia venisse fuori da quello strumento. “- Zia…” balbettò Violetta, facendola sobbalzare.
“- Tesoro… ciao.” Disse, freddamente, la donna, rivolgendole finalmente un sorriso. “- Come stai?” chiese timidamente la giovane avvicinandosi a lei con passo incerto. “- Bene... tu?” mentì  spudoratamente lei.
“- Ok… credo.” Esclamò la ragazza, anche lei affermando una bugia. Si stavano mentendo, lo sapevano, ne erano pienamente consapevoli ma era l’unica cosa fattibile in quel momento. “- Mi hanno detto che non sei venuta a scuola per molto…” disse la Castillo, sedendosi alla tastiera accanto alla donna. “- Mi hanno detto lo stesso di te.” Si limitò a rispondere lei, seccamente ma cingendole le spalle con un abbraccio a cui la ragazza si lasciò andare, poggiando la testa sulla spalla della bionda che, a quel contatto, sorrise amaramente. Una lacrima rigò rapida il viso della giovane e non riuscì a fermarla. Restarono così, immobili per qualche minuto, senza dire nulla, fino a quando la campanella non suonò all’impazzata e le due furono costrette ad allontanarsi. “- Mi chiedo se riuscirò a concentrarmi sulle lezioni.” Disse la ragazza, alzandosi e avviandosi alla porta e asciugandosi il volto con un gesto rapido della mano. “- Mi chiedo se riuscirò a farne una decente…” disse la bionda, con una risata nervosa e spenta. “- Buona giornata.” Si limitò a salutarla lei, ormai nel corridoio, pronta per andare nell’aula di musica, prima ora: lezione con Beto ma una voce la interruppe e la fece tornare indietro di colpo.
“- Violetta! Aspetta, per favore!” urlò la Saramego, facendo rientrare in aula di canto la ragazza che si fermò sulla porta e la fissava sorpresa. “- Mi dispiace se sono stata distante ma… avevo bisogno di stare sola. Non riuscivo a vedere nessuno e sono mortificata di ciò. Avrei dovuto esserti vicina ma non ce l’ho fatta.” Si scusò la donna abbassando lo sguardo sullo strumento di fronte a lei, facendo sì che la ragazza prendesse a fissarla con aria un po’ più serena. Aveva avuto paura che la zia l’avesse dimenticata, che non avesse, in qualche maniera, voluta esserle accanto, che in qualche modo lei le ricordasse troppo Maria e che volesse allontanarla per non dover affrontare quel ricordo doloroso… invece, ora, era tutto più chiaro. “- Lo so. E’ stato lo stesso per me e per papà. Tranquilla.” Disse, con calma, la ragazza. “- Sai che ti voglio bene, vero?” chiese la donna, sorridendole con la solita tristezza negli occhi. “- Lo so, e anch’io. Ti adoro, zia!” esclamò la giovane, avviandosi verso la sua lezione. “- Buona giornata, tesoro. Ci vediamo dopo.” Disse la donna, ritornando a correggere alcuni spartiti ma con la testa chissà dove.
La giornata proseguì con tranquillità, tra una materia e l’altra, il tempo volò via in fretta fino all’ultima ora che fu proprio con l’insegnante Saramego che, a differenza delle altre volte, non suonò neppure per un secondo, né cantò qualcosa, come spesso, in passato, aveva fatto per la gioia degli allievi. “- Maxi, vieni qui. Suona questi… e voi cantate questo brano!” ordinò, distribuendo delle fotocopie ai ragazzi che la fissarono staranti, Ponte più di tutti. “- Prof, mi scusi ma questi accordi sono troppo difficili e io non so se…” iniziò, titubante, fissando quella sorta di geroglifici, Maxi. Era un brano per un insegnante, troppo complesso per un giovane allievo e il rapper non aveva alcuna intenzione di fare una figuraccia davanti a tutta la classe al gran completo. “- Te la caverai e se non ci riesci ti sostituirà qualcun altro!” disse, quasi stizzita, la bionda.
“- Levati, incapace! Ci penso io, prof!” si offrì Ludmilla, ancheggiando verso la tastiera e scostando Maxi con un gesto nevrotico della mano, facendolo quasi ruzzolare al suolo. “- Grazie, Ferro…” sorrise la Saramego portandosi una mano alla fronte con aria stanca. “- Voi iniziate io… vado un secondo al distributore.” Disse ancora la donna, avviandosi fuori dall’aula sotto lo sguardo stupito della classe che però, non disse nulla e, in silenzio, si preparò a cominciare.
Angie era immobile, fuori dalla macchinetta, senza neppure avere la forza di inserire le monete che stringeva in mano. Ad un tratto passò di lì Antonio, che la osservò prima da lontano e poi, preoccupato, le si avvicinò con calma. “- Angie…” balbettò, facendola voltare di scatto. “- Sì, dovrei essere in classe, lo so.” Disse stizzita lei, sorseggiando un succo di arancia. “- No, non sono qui per questo. Devi essere forte. So che lo sei.” Sentenziò l’anziano preside, osservando i suoi occhi verdi e spenti come non li aveva mai visti.
“- Sembra facile per voi… beh, non lo è, non lo è affatto.” Esclamò, nervosa, la donna, prendendo un altro sorso della bibita. “- Non ho detto che lo sia. Devi affrontare la situazione. Il fatto che tu sia venuta, per me, è già un grande passo avanti…” disse, quasi sottovoce, Antonio Fernandez con aria paterna e pacata. “- …E forse l’unico che farò.” Rispose seccamente lei, abbassando lo sguardo. “- Non dire così. Io credo in te… sei sempre stata la migliore insegnante che si potesse desiderare! Non avevo trovato nessuno degno di sostituirti, lo sai questo? Ma, per fortuna, sei qui e non avrò bisogno di qualcuno che occupi il tuo posto.” Spiegò l’uomo, analizzando la sua espressione imperturbabile. “- Mi guardi: non riesco neppure a suonare qualche stupido accordo o ad intonare qualche nota. Io ho provato a riaffrontare la situazione ma non ci riesco.” Ribatté lei, cupa in volto e stizzita, sistemandosi una ciocca bionda, ricadutale sul viso, dietro l’orecchio. “- E’ troppo presto, cara. E’ normale che sia così. Continua a venire qui e vedrai che la situazione cambierà, in meglio. Te lo prometto.” Disse con tono rassicurante l’uomo, poggiandole una mano sulla spalla. “- Torno in classe… buongiorno.” Rispose lei, gelida come il ghiaccio. Antonio la fissò allontanarsi e si intristì rendendosi pienamente conto di qualcosa che già sospettava da un po’: Angeles Saramego non era più la stessa.
 
 
Le lezioni terminarono e i ragazzi andarono verso gli armadietti allegramente, facendo il solito baccano.
“- Stasera c’è una festa! Al locale karaoke! Ci dobbiamo andare!” sorrise Maxi, riponendo degli spartiti in una cartelletta blu. “- Io ci sto!” sorrise subito Nata e lo stesso disse DJ, un nuovo alunno, dandogli il cinque e fissando poi Camilla, sperando che anche lei accettasse. Dopo che Broadway era andato via era così cambiata… non faceva altro che starsene con Francesca a confabulare sul suo ragazzo che l’aveva lasciata lì per tornarsene in Brasile, solo per correre dietro ad una ballerina di samba, conosciuta al suo stesso corso di studi. “- Ci siamo anche noi!” dissero la Torres e la Rossini, in coro, sorridendo poi a Vilu che non disse nulla. “- Io ci sarò, of course! E vi schiaccerò tutti come formichine!” gracchiò la Ferro, con la sua solita vocina stridula e irritante agitando la chioma dorata. “- E chi ti ha invitato, scusa?” borbottò Lena, scostandosi un ciuffo biondo ricadutole davanti agli occhi e indispettendo Ludmilla che stava per dire qualcosa ma fu interrotta dalla voce di Thomas. “- Dai, andiamoci anche noi… sarà divertente!” esclamò Heredia, avvicinandosi alla giovane Castillo... sapeva che doveva distrarsi e lui voleva mettercela tutta per riuscire a farla sorridere di nuovo, sorridere davvero. “- No io…” ma gli altri la interruppero. “- Niente se, o ma… stasera sei dei nostri.” Disse, categorico, Federico, facendo sorridere e annuire tutti gli altri. “- Se lo dite voi…” ribatté la ragazza, appoggiandosi con le spalle all’armadietto. “- Sì, lo diciamo noi! E tu ci ascolterai!” la corresse Francesca, facendole l’occhiolino. “- E va bene!” esclamò, più convinta, la Castillo, abbozzando finalmente un sorriso. “- Bene, noi andiamo che è tardi! A stasera!” salurarono Lena, Nata e Napo, venendo seguiti a ruota da Maxi, Andres, Andrea, Dj e Ludmilla. “- Noi ci vediamo dopo, torno a casa con Angie… suppongo.” Disse la ragazza, salutando Camilla e Francesca che, dopo un ennesimo sguardo premuroso, si avviarono fuori seguite da Federico e Thomas. Violetta sperava di poter essere riaccompagnata dalla zia, così avrebbero potuto chiacchierare un po’ e avrebbe fatto bene ad entrambe.
“- Ok, allora ciao! Ti passiamo a prendere stasera… ci andiamo a piedi tanto è un locale qui vicino, vedrai ti piacerà!” la salutarono le due amiche, sorridendo con dolcezza. Quando le ragazze uscirono dalla sala, la giovane aprì l’armadietto per riporvi delle cartelline e, non appena lo sbloccò e tirò verso sé l’anta viola, un foglietto le cadde davanti ai piedi. Incuriosita si inginocchiò per afferrarlo e, quando lo aprì, ne rimase sconcertata tanto da farlo ricadere al suolo con aria spaventata, facendo un balzo all’indietro e appoggiandosi con le spalle al freddo delle altre porticine in metallo che si trovavano sulla parete opposta. Una spartito di un testo di una canzone, stranamente di sua madre, era sul pavimento, alcune lettere del testo erano cerchiate con un pennarello rosso… la scritta che ne veniva fuori era raccapricciante e fece rabbrividire la Castillo: “LA FINE, COME PER MARIA, E’ VICINA.” La ragazza si accasciò, terrorizzata e cominciò a piangere disperata e terrorizzata.
In quello stesso istante, nello stesso modo, Angie, che stava sistemando gli spartiti ritrovò uno di essi piegato in due in mezzo agli altri. Lo aprì tentando di capire di cosa si trattasse e ne rimase scioccata: lo lasciò cadere davanti a sé prendendo a fissarlo con le lacrime agli occhi: si guardò intorno cercando di capire chi gliel’avesse potuto lasciare… cosa ci faceva, lì, un testo di Maria? Pensò ad uno scherzo dei suoi allievi, in effetti era stata parecchio acida durate quelle prime lezioni ma nessuno aveva potuto essere così meschino da lasciarle quella sorta di minaccia. Tentò di mantenere la calma e, raccattando in fretta tutti quei fogli e la sua borsa, si precipitò fuori dall’aula, spaventata. Si incamminò nel corridoio vuoto e desolato ma, ad un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione. Passò davanti agli spogliatoi e vide la nipote che piangeva disperata, davanti a lei, quelle stesse lettere cerchiate, quello stesso avvertimento minaccioso.
 “- Violetta!” esclamò lei, andandole incontro, turbata. “- ZIA! Portami via di qui!” disse lei, tra i singhiozzi, alzandosi di colpo e abbracciandola forte. “- Sì, tesoro mio, sì. ce ne andiamo subito… ma sta’ tranquilla. Sarà solo lo scherzo di qualche idiota!” esclamò lei, senza accennare al fatto che avesse ricevuto anche lei un messaggio identico. “- Passa a prendermi Matias con la macchina, andiamo a casa tua, andrà tutto bene, calmati.” Sussurrò la donna all’orecchio della giovane che la stringeva ancora a sé, piangendo e tenendosi forte alle spalle della donna. “- Va bene, andiamo fuori di qui, però!” esclamò, senza nemmeno preoccuparsi del fatto di dover salire su quel bolide con quello squilibrato con cui probabilmente, stava uscendo la zia in quel periodo.
 
 
“- Papà! Papà stai bene? Che bello vederti, sano e salvo!”. La Ferrari si fermò con una brusca frenata sul marciapiede di fronte villa Castillo e la ragazza fece un balzo per correre via da quella macchina così pericolosa e da quell’autista che sembrava fin troppo spericolato.
“- Piccola, tutto bene? Siete strane… tu e anche la mocciosetta!” anche il ricco La Fontaine si era accorto di troppe stranezze in quel viaggio di ritorno. “- Scusami… voglio andare dentro, Vilu è sconvolta e, anche se non vorrei data la considerazione che ha di me attualmente, devo parlare con suo padre…” disse senza troppe spiegazioni, la Saramego. “- Solo lei è sconvolta? Tu no?” chiese lui, con un mezzo sorrisetto, prima di avvicinarsi per baciarla ma, suo malgrado, non fece in tempo. La donna era già scesa e richiuse con un rumore sordo la portiera dell’auto. “- No, io sto benone. Ci vediamo.” Salutò lei, mentre Matias, deluso, si allontanò con un rombo degno della sua autovettura. “- Sono preoccupato, tesoro! Stavo venendo a prenderti io… sei… tu sei salita su quella macchina?” esclamò l’uomo, osservando il bolide rosso allontanarsi a gran velocità e ricordando il fatto che la giovane odiasse le auto dopo l’incidente di sua madre. “- Sì, ma non è questo il punto!” urlò Angie, arrivando sul vialetto del giardino e agitando un foglio che teneva saldamente stretto nella mano destra. “- Cos’è?” chiese, teso e confuso, l’uomo, afferrando lo spartito ripiegato e cominciando a leggere in mente con aria scioccata. “- Dobbiamo partire, subito. Non possiamo restare più a Buenos Aires, è troppo pericoloso e non c’è altro tempo da perdere. Hai il passaporto pronto? Ce la fai a preparare le valige per domani mattina?” urlò, nel panico, l’uomo, andando avanti e indietro e componendo un numero sul cellulare. “- Calmati! Potrebbe solo essere lo scherzo di qualche alunno!” lo rincuorò Angie, mentre Violetta li fissava, scioccata dalla decisione del padre ma che, per una volta, le sembrava giusta. “- Non puo’ esserlo…” sospirò lui, afferrando il tablet dal tavolinetto bianco da giardino e cercando qualcosa nervosamente in quell’affare. “- Chi te lo dice?” chiese lei, fissando l’aria sconvolta dell’uomo. “- Me lo dice questa mail con allegato che ho ricevuto.” Disse serio German, aprendo l’immagine di una foto ricevuta per posta, proprio quella mattina: lo stesso testo, le stesse lettere cerchiate, senza indirizzo, con mittente bloccato. “- Allora non è un caso...” Aggiunse subito Angie, tentando di apparire tranquilla come non lo era per nulla. “- Dobbiamo solo andarcene via da qui!” urlò, severo, Castillo, riponendo l’aggeggio elettronico sul tavolo con stizza.
“- Calmati e non urlare, papà. Andiamo in commissariato, subito!” esclamò la figlia, preoccupata e nervosa. “- Sì, hai ragione. Avevo comunque già chiamato il commissario Lisandro, sarà qui tra poco.” Le abbozzò un sorriso nervoso l’uomo, abbassando finalmente il tono della voce. “- Ero così preoccupato per te! Ero in giardino perché stavo per venirti a prendere! Poi sei arrivata, sana e salva ed io… mi sono finalmente rassicurato, almeno un po’!” stava dicendo German, stringendo forte la figlia, impaurita e tremante. Angie, intanto, si era seduta su un dondolo, all’ombra del cipresso che svettava nel cortile davanti villa Castillo. Quel messaggio aveva scioccato anche lei, non solo perché temeva per l’incolumità della sua nipotina e di suo cognato, ma anche perché aveva paura di saperne di più su quella faccenda. Come mai, dopo tutto quel dolore, qualcuno ce l’aveva con loro? Cosa volevano da quella famiglia, già straziata dal dolore? Non se lo spiegava, ma continuò a riflettere, in disparte da padre e figlia. Ad un tratto una volante della polizia si fermò davanti alla casa con le luci blu accese ma con le sirene spente. Un uomo altissimo, con gli occhiali e fare distinto scese dalla vettura e si avviò verso German, stringendogli la mano con foga. “- Signor Castillo!  Purtroppo dobbiamo già rivederci!” disse, con aria cupa, riferendosi alla morte della più grande delle Saramego. “- E’ successa una cosa terribile, signor Lisandro. E la cosa che più mi fa star male e che qualcuno ce l’abbia con la mia bambina, oltre che con me.” Disse, a bassa voce, German cosa che fu inutile perché comunque la ragazza sentì chiara e forte quella frase. “- Capisco…” sentenziò, serio il commissario, prendendo a fissare poi la giovane e, in lontananza, la zia. “- Entriamo tutti dentro, prego.” Fece strada German, dirigendosi verso la porta d’entrata alla casa. “- Angie, tu non vieni?” disse la ragazza, voltandosi ad osservare la donna, ancora assorta nei suoi pensieri. “- Sì. Arrivo.” Disse seria lei, alzandosi e prendendo a camminare lentamente dietro al gruppo.
Entrarono in casa e subito il padrone della villa condusse tutti in soggiorno, su un grande e spazioso divano bianco, in una stanza ben arredata e dallo stile moderno. “- Si vede che lei è un architetto. Questa casa è magnifica, maestosamente moderna e ben costruita.” Constatò Roberto, sedendosi comodamente. “- Olga, prepara dei caffè.” Ordinò German, facendo correre la cuoca che annuì con decisione per poi ritornare in cucina, curiosissima però, di sapere cosa fosse accaduto e di perché il commissario fosse lì. “- Bene, adesso con calma, raccontatemi cosa è accaduto.” Disse l’uomo, mentre un agente, accanto a lui, iniziò a scribacchiare su un blocchetto, attendendo che German Castillo iniziasse a raccontare cosa fosse successo in quella mattina così movimentata.
 
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Buon pomeriggio! Vi ricordate di me? Pensavate di esservi sbarazzati della sottoscritta? E invece no! Muhahahaha :) Eccoci ad un giallo misterioso ed anche un po’ pauroso, vi avverto! E’ la prima storia che scrivo di questo genere, quindi siate clementi! XD Allora, la scomparsa di Maria, a differenza del telefilm, è accaduta da poco, e la cosa ha cambiato radicalmente la vita di Violetta e di Angie… quest’ultima in particolare è diventata un’altra persona, come vedrete in seguito ma già da ora si puo’ comprendere qualcosa… (cioè esce con Matias… rendiamoci conto! O.O). Sono arrivati dei messaggi inquietanti nel giorno dell’anniversario della scomparsa della maggiore delle Saramego… chi li avrà inviati? Cosa deciderà il commissario? Da notare che mancano ancora due protagonisti alla storia: Leon e Pablo che avranno, già dal prossimo capitolo, un ruolo più che fondamentale… (saranno i due protagonisti maschili…) bene, se vi incuriosisce questa ff continuate a seguirmi! Io spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e attendo commenti! Ciao! :)
  
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