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Autore: saitou catcher    11/09/2013    8 recensioni
In un mondo dominato dagli unici individui in grado di usare la magia, la giovane Deine sconta la sua condanna ai lavori forzati, in una vita ormai priva di ogni speranza di libertà. Almeno fino a quando l'incontro con un giovane ribelle sconvolgerà la sua vita, portando alla luce la sua voglia di lottare...
Primo capitolo di una trilogia, spero vi piaccia!
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Saga del Cristallo'
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-In piedi! Forza! Forza!

Le voci dei sorveglianti della Cava, rieccheggiarono con violenza nel dormitorio, accompagnate dallo schiocco ritmico dei bastoni e delle fruste che battevano sui corpi dei forzati e dai tonfi degli stivali sul pavimento di metallo.

Deine, nella sua branda, era sveglia, ma non aprì gli occhi, non si mosse nemmeno. Tanto sarebbero comunque venuti a svegliarla troppo presto, e allora tanto valeva godersi quei pochi minuti di sonno che ancora le rimanevano.

-In piedi! In piedi!

Le voci dei sorveglianti si avvicinavano, gli schiocchi di frusta si facevano più violenti e così anche i gemiti dei forzati strappati bruscamente al loro sonno. Deine si ragomitolò ancora più su se stessa, premendo la schiena contro il muro gelido. Da qualche parte, dentro di lei, albergava ancora l'infantile convinzione che, se si fosse nascosta in quel modo, i sorveglianti non l'avrebbero mai trovata. Ma non aveva funzionato l'ultima volta e non funzionò nemmeno allora.

-IN PIEDI!

Il colpo di bastone sulla spalla arrivò più violento del previsto e Deine sussultò, aprendo gli occhi di scatto. Si mise immediatamente a sedere, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco.

-In piedi, sgualdrinella, qui si lavora- mentre parlava, il sorvegliante che l'aveva colpita si era già allontanato, dirigendosi a passi frettolosi verso un'altra branda.

Lentamente la ragazza si mise in piedi, abbassando lo sguardo per osservare il danno. La spalla pulsava e sulla pelle stava già comiciando a formarsi un livido bluastro. Faceva male, ma di sicuro facevano molto più male le frustate di Basser il Capo Sorvegliante. Non era raro che gli operai che finivano sotto la frusta di Basser ne uscissero senza essere più in grado di lavorare. E quelli erano gli operai che scomparivano misteriosamente, gettati, si diceva, nei forni crematori della Batteria.

Deine era una delle poche persone che potevano vantarsi di non aver mai assaggiato la frusta di Basser, e non aveva certo intenzione di cominciare ora. Per questo si alzò di scatto e si diresse a passo svelto verso l'ingresso del dormitorio, lì dove i forzati avevano cominciato a disporsi in fila indiana, tendendo il braccio destro perché i Sorveglianti potessero assicurare loro al polso la catena che li assicurava al membro precedente e a quello successivo della fila.

Deine si posizionò, tese il braccio, e un anello di ferro si chiuse con uno scatto attorno al suo polso, strappandole un piccolo gemito. Lentamente, stese il braccio lungo il fianco e aspettò che dietro di lei si chiudesse la fila, cercando disperatamente di resistere al desiderio di stropicciarsi gli occhi.

Lo schiocco di frusta di un sorvegliante attirò di nuovo la sua attenzione. -Dirigersi all'uscita, forza!

Lentamente, la fila di detenuti cominciò a muoversi, accompagnata dal metallico tintinnio delle catene e dai passi impazienti dei sorveglianti. Attraversarono un lungo corridoio, fino a giungere a una porta che uno dei sorveglianti aprì con una chiave che teneva assicurata alla cintura.

Dopo pochi minuti, furono fuori, e in quel momento il sole salì improvvisamente dall'orizzonte, e il paesaggio attorno a loro si accese improvvisamente di una luce rossastra, mentre, tutto attorno, ogni dettaglio andava disegnandosi alla vista in linee di fuoco.

Alle spalle dei forzati, la catena dei Monti delle Ossa emergeva lentamente dal buio della notte, mentre i raggi violenti del sole ne definivano i contorni, illuminando un'immensa catena di monti che si estendeva fino al cielo, andandosi a chiudere su di loro quasi come un gigantesco anello di roccia. Ai piedi delle montagne, il dormitorio della Cava: un imponente edificio di cemento dalla forma rettangolare, circondato da altre costruzioni in legno più piccole, ammassate disordinatamente ai suoi lati. E proprio in quel momento, le porte di quegli edifici si aprirono, per vomitare all'esterno lunghe file di forzati.

Avanzano in silenzio, a testa china, e la luce del sole, posandosi su di loro, illuminava ogni dettaglio di quelle misure figure: i volti incavati, la testa rasata, le casacche strappate, da cui si intravedevano i corpi di una magrezza impossibile, devastati dai segni delle percosse e dalla fatica. Tenevano le teste basse e le spalle curve, quasi cercando di attirare il meno possibile l'attenzione dei sorveglianti che camminavano al loro fianco, roteando i bastoni con aria minacciosa. Accompagnati dal ritmico tintinnio delle catene, s'incamminavano in silenzio verso uno spazio rotondo posto di fronte al dormitorio, al centro del quale era stata innalzata una piccola pedana: la cosidetta Piazza della Cava.

Una volta arrivati alla Piazza, i forzati si disposero ordinatamente in sei file e lì rimasero, in posizione d'attenti. In piedi sulla pedana, con gli occhi pieni di disprezzo fissi su di loro, c'era Dodgers, il capo della Cava.

Era un ometto piccolo e magro, dai modi untuosi e dalla voce stridula, che non si rivolgeva mai forzati se non per riprenderli, e sempre con tono pieno di disgusto. Si vociferava che in gioventù, quando era stato a capo della sorveglianza di quella stessa Cava, avesse ucciso quasi mille forzati, imponendo loro ritmi di lavoro talmente disumani da portarli alla morte. Era crudele, arrogante e spietato. Un uomo, insomma, di cui tutti avrebbero avuto paura, se accanto a lui non ci fosse stato il Capo Sorvegliante Basser.

Se ne stava in piedi sulla pedana accanto a Dodgers, le braccia incrociate sul petto, il pugno destro stretto attorno al manico di un frustino. Alto, imponente, con una muscolatura taurina e un viso impassibile, segnato sul lato destro da una lunga cicatrice biancastra. Gli occhi, piccoli e neri, erano accesi da una strana scintilla di ferocia, che ne rendeva lo sguardo estremamente inquietante. In quello sguardo si concentrava tutta a violenza repressa e l'odio che Basser sfogava sugli operai, tutto il sadico piacere che traeva dalle loro grida, dal sangue che strappava con la sua frusta. Amava le punizioni, Basser, e non esitava ad approffittare di qualsiasi per poter mettere in atto quelli che lui chiamava “provvedimenti disciplinari”.

Guarda giù, guarda giù, non guardarlo negli occhi, si disse Deine, abbassando di scatto lo sguardo. C'era gente che era finita sotto la frusta per molto meno.

-Forzati- la voce disgustata di Dodgers interruppe il corso dei suoi pensieri. -Oggi alla Cava è un altro giorno. Ed ora vi ricorderò perché siete qui, e perché siete ancora vivi, invece di essere tre metri sotto terra a marcire, come meritereste.

Deine si dispose immediatamente all'ascolto. Non che le interessasse quel discorso che udiva ripetere uguale ogni mattina da due anni, ma sapeva bene che il minimo segno di disattenzione valeva dieci colpi di frusta. E di certo lo sapeva anche Basser.

-Se siete ancora vivi, e in grado di assolvere il vostro dovere verso la società, è solo grazie alla clemenza e alla giustizia dei venticinque signori di questa terra: gli Aldermen.

Un mormorio reverente, privo di qualunque sincerità, percorse la folla dei forzati.

-Come voi ben sapete, gli Aldermen sono gli unici esseri in tutto il continente di Aretha in grado di controllare ed utilizzare, senza l'ausilio di macchinari, l'energia del Cristallo. Il Cristallo- e a queste parole, Dodgers fece un ampio gesto con il braccio, indicando i monti alle loro spalle, -che cresce nelle profondità delle Montagne, e grazie all'energia del quale la nostra società prospera e vive in pace. Non così era trentacinque anni fa, quando le nostre terre erano governate da un re perverso e tirannico, che teneva tutta per sé l'energia del Cristallo e a cui i suoi sudditi giustamente si ribellarono, dando inizio ad una terribile guerra civile che insaguinò la terra di Aretha per vent'anni.

A questo punto, Dodgers fece una pausa ad effetto e lasciò scorrere lo sguardo sulle file di forzati ai suoi piedi, forse cercando un segno di commozione o partecipazione, che non trovò. Una smorfia di disgusto distorse i suoi lineamenti, e quando riprese a parlare la sua voce era ancora più carica di disprezzo.

-Ma quando ormai ogni speranza sembrava perduta, venticinque guerrieri, provenienti da entrambi gli schieramenti, imposero la pace grazie al loro immenso potere. Furono loro a dividere la terra di Aretha in venticinque città, ognuna governata da un Alderman. È grazie a loro che oggi prosperiamo, ed è a loro che dovete la vostra sopravvivenza: invece di essere giustiziati per i vostri crimini, venite mandate qui, a scontare la vostra pena e contribuire alla sopravvivenza della nostra società.

Ma io non sono qui per i miei crimini. Deine si permise un sorrisetto sarcastico. Era una legge più vecchia degli Aldermen quella che imponeva che, in caso un criminale fosse morto prima di scontare la pena, toccava al membro più anziano della sua famiglia sostituirlo nella punizione. Una legge di cui Deine non aveva mai saputo nulla, almeno fino al giorno in cui un gruppo di soldati era venuto a prenderla per portarla in prigione, al posto di suo padre, trovato morto dopo essere stato condannato per furto.

-E quindi, ringraziate di essere vivi ancora oggi e rispondete all'appello.

Dodgers tese un braccio e uno dei sorveglianti gli passò una tavoletta, da cui il direttore della Cava prese a leggere i numeri di serie dei forzati. Li macinava in fretta, quasi disgustato dal doverli pronunciare, mentre, al suo fianco, Basser seguiva con lo sguardo le file dei galeotti, gli occhi che scintillavano ogniqualvolta uno dei forzati esitava a rispondere. Evitare di rispondere per tre volte all'appello equivaleva a cinque colpi di frusta, e Basser lo sapeva. Del resto, era una regola che aveva stabilito lui.

-10642.

Deine alzò svogliatamente il braccio destro, mostrando il polso su cui il suo numero di serie era tatuato in cifre azzurrine. -Presente- rispose.

Una volta finito l'appello, Dodgers riconsegnò la tavoletta al Capo Sorvegliante e scese rapidamente dalla pedana. Ad un cenno di Basser, gli altri sorveglianti cominciarono disordinatamente a togliere le catene ai forzati, dividendoli in gruppi. I più forti, quelli destinati alla miniera, vennero fatti salire sulla navetta che li avrebbe condotti alle pendici delle montagne, da cui partivano i tunnel che si diramavano all'interno della roccia, percorsi dalle venature del Cristallo. Deine e le altre donne, invece, erano destinate alla Batteria, il luogo in cui si produceva l'energia che alimentava i macchinari dell'intera Cava.

Nel momento in cui le venne ordinato di dirigersi verso la Batteria, la mente di Deine si spense e si svuotò automaticamente di ogni pensiero. Stava per cominciare una giornata uguale a tutte le altre che per due anni l'avevano preceduta, e a tutte le altre che l'avrebbero seguita per dieci anni. E l'unico modo che aveva per sopravvivere a quell'inferno era andare avanti senza pensare, e fingere, almeno per lo spazio di una giornata, di vivere.

 

Buonasera a tutti!

Questa è la prima storia originale che pubblico su EFP e sono molto emozionata. Sarò sincera, il capitolo non mi piace, ma sicuramente è meglio della prima versione che avevo scritto. In ogni caso, lascio giudicare a voi. Mi farebbe piacere se lasciaste una recensione per dirmi cosa ne pensate e farmi notare eventuali errori.

Detto questo, vi saluto e buona lettura!

Un bacio a tutti,

Saitou

Ps per i love penguin: nel capitolo ci sono due citazioni di Lés Miserables: se riesci a trovarle, la prossima volta che c'incontriamo avrai da me un... biscottino! *tira fuori una tavoletta di cioccolata Milka* Lo so, in realtà è cioccolata. Freghenbauer.

 

 

 

 

 

 

  
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