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Autore: evenstar    12/09/2013    4 recensioni
Mi sono sempre chiesta cosa fosse successo a Venezia, all'hotel Cipriani. Questa storia è la risposta che mi sono data. Ambientata pre Iron Man 1.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harold 'Happy' Hogan, Tony Stark, Virginia 'Pepper' Potts
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Non voglio tornare a casa. Annulliamo la mia festa di compleanno e… siamo in Europa. Andiamo a Venezia, al Cipriani. Ricorda?
Questo mi sta dicendo Tony sull’aereo tornando da una disastrosa vacanza a Monaco, tentando di convincermi a staccare la spina per qualche giorno. Rifugiarsi lontano dalle telecamere, ricaricare le batterie per qualche tempo e riprendere il controllo delle nostre vite.
Della sua vita.
Non mi ha detto nulla di preciso, ma lo conosco da troppo tempo per non capire che c’è qualcosa che non va. Lo vedo nei suoi occhi, lo leggo nei suoi movimenti. E, ovviamente, il fatto che per convincermi abbia usato proprio il Cipriani dimostra come anche lui mi conosca. Sa perfettamente che, se ha anche solo una minima possibilità di farmi mollare tutto per seguirlo da qualche parte, questa possibilità è Venezia ed è il Cipriani, il ricordo di quei due giorni di qualche anno fa.
Ma io sono la responsabile tra i due, soprattutto adesso che mi ha di fatto regalato le sue industrie. Tocca a me mantenere una parvenza di controllo e, per quanto Tony sostenga che ho diritto ad una vacanza, non si rende conto che noi stiamo già tornando da una vacanza. Disastrosa, pericolosa e terribile, ma quella che agli occhi di tutti è stata una vacanza in Europa.
Dobbiamo tornare a casa e questo è quanto.
- Non tutti funzionano a batteria, Tony – gli rispondo all’ennesimo tentativo di farmi cambiare idea, mentre sotto di noi scorre la costa. Chiude gli occhi e si immerge nei propri pensieri e io mi ritrovo a fare la stessa cosa, il viaggio è ancora lungo e so per esperienza che non lo passeremo a chiacchierare. Non mi rimane altro che fare un sospiro e godermi la mia ennesima vittoria su di lui. Si torna a casa penso mentre mi immergo nel ricordo di Venezia e del Cipriani.
 
Ricordo quando mi ha detto che saremmo andati a Venezia quel weekend, così senza preavviso, come sempre succede con lui. Non il tempo di organizzarmi, quasi non il tempo di fare le valigie, semplicemente salire sul jet privato e partire. Questo possono i miliardi, non c’è bisogno di progettare, di preparare, di organizzare nulla, si salta sul proprio aereo con un nutrito seguito di guardie del corpo, l’assistente e l’autista e si saluta l’America, direzione Mondo.
Nulla importa che quello sia il weekend di carnevale nella città europea capitale del carnevale, nulla importa che l’hotel scelto sia teoricamente chiuso in quel periodo dell’anno, né tanto meno che tutti gli altri siano assolutamente completi. Una carta di credito, una voce suadente (la mia) e tutto si risolve. Si prenota un intero piano di uno degli alberghi più esclusivi di Venezia con attracco privato sul Canal Grande, a due passi da Piazza San Marco, e si comunica al pilota del jet che le sue agognate ferie sono saltate, grazie. Troverà un lauto compenso nel prossimo stipendio, nel frattempo saluti la famiglia e si prepari a partire.
Badate che non mi sto lamentando, mi piace il mio lavoro, mi piace anche lo stile di vita miliardario che di riflesso mi investe. Certo, non sono io che decido dove e quando, ma ci sono. Nei ristoranti di lusso, negli hotel ad un numero imprecisato di stelle, quelli che quando guardi l’ingresso e cerchi di contarle sull’insegna ti si incrociano gli occhi dopo la quarta, al che rinunci, fai un sorriso ed entri. Essere la baby sitter del bambino più cresciuto e più ricco del mondo (va bene, non so se sia proprio il più ricco, c’è sempre qualche sceicco che scopre un nuovo pozzo petrolifero e scombina le classifiche) ha i suoi pregi, ma anche molti, molti difetti. Sono disponibile 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno mentre ogni tanto vorrei solo immergermi mezz’ora nella vasca da bagno con un buon libro ed essere sicura che il telefono non suonerà.
Entriamo nell’hotel come una delegazione. Ognuno di noi ha il suo posto e lo mantiene con efficienza. Happy davanti a tutti, che scruta la situazione: guardia del corpo, autista, amico di sempre. Poi Tony: sorriso ironico, passo sicuro di chi sa di avere il mondo a disposizione. Qualche passo indietro arrivo io, in genere con tanto di tablet e qualche milione di appunti svolazzanti in mano, ma sempre pronta ed efficiente, in fondo è per quello che mi paga così bene, e poi il resto delle guardie del corpo che Tony cerca sempre, senza successo, di seminare.
Come sempre un numeroso gruppo di ragazze, spuntate da chissà dove, comincia a sorridere, mormorare, cerca di attirare l’attenzione del mio affascinante capo e io lancio loro un sorriso sprezzante e un’occhiata indagatrice. Quale sarà quella che dovrò buttare fuori la mattina dopo? La biondina con il vestito rosso? O la mora con i jeans attillati? Non mi interessa più di tanto, lo trovo squallido, ma è uno dei miei compiti, esattamente come prendere appuntamenti a cui Tony poi mancherà e gestire una collezione d’arte che non ha mai neanche visto. Osservandole e vedendo lui penso che sarà la solita vacanza all’insegna di alcol e sesso (per lui, ovviamente), ma poi torneremo a casa e saremo sempre noi. Durata media di una relazione Stark: 4 ore.
Non avevo idea in quel momento di quanto mi stessi sbagliando.
Vedo Tony che, invece che intrattenersi con qualche dolce fanciulla poco vestita, si dirige con passo svelto all’ascensore e Happy ed io lo seguiamo, quasi colti alla sprovvista da tutta quella fretta, infilandoci con lui nel lussuoso vano dotato di panca imbottita e musica da camera. Non lo ammetterò mai, ma è quasi più grande del mio appartamento a Los Angeles dove comunque dormo molto di rado.
- Piano, Potts? – chiede Tony con un sopracciglio alzato, come se ci fosse bisogno di fare quella domanda.
- Attico, ovviamente – rispondo quasi offesa.
- Solo il meglio – mi dice compiaciuto.
- Come sempre. Ha idea di quanto le costi l’attico di questo albergo? – chiedo giusto per cercare di inculcargli un po’ di buonsenso.
- No, e francamente non mi interessa. E non dovrebbe interessare neanche a lei, Potts. In fondo sono soldi miei.
Sbuffo, ma non ribatto. Ha ragione anche se ritengo che un penultimo piano sarebbe andato bene lo stesso.
- Chiavi? – mi chiese allungando la mano. Gli passo la sua chiave magnetica poi mi giro e do a Happy la sua, ovviamente è la camera di fianco a quella di Tony, la mia è in fondo al corridoio. Pura fortuna, non l’ho fatto apposta.
- Sta cercando di evitarmi, Potts? – chiede Tony il cui radar femminile funziona anche con me.
- Assolutamente no, signor Stark. Pensavo volesse avere i suoi gorilla vicino – dico sapendo perfettamente che è una pessima scusa e sentendomi un po’ in colpa per la definizione poco gentile che comprende anche Happy.
- Così mi offende. Crede che preferisca la vicinanza di qualche guardia del corpo alla sua, per caso?
Faccio finta di niente e mi dirigo verso la mia suite, per fortuna ho sempre avuto la prerogativa di poter ignorare le sue battutine. – Pepper? – mi richiama prima che riesca ad intrufolarmi nella camera.
- E’ tutto, signor Stark? – chiedo con lo stesso tono di voce di un bambino che sa perfettamente di aver combinato qualche pasticcio, ma che vuole cercare in tutti i modi di evitare la punizione.
- No. E’ presto, che ne dice di un giro in città prima della festa di questa sera? – mi chiede con voce suadente, come se fossi una di quelle sciacquette che pendono dalle sue labbra.
- Veramente pensavo… - provo a svicolare, ma so già che sarà inutile. Mi guarda con l’espressione tipicamente Stark da “non mi rovini la vacanza” e non posso fare altro che deviare in corsa. - … ma ovviamente sarà lieta di accompagnarla – finisco con un sorriso forzato.
E tanti saluti al bagno caldo nella vasca ad idromassaggio.
- Tra mezz’ora nella hall – mi dice infilandosi nella camera.
Lo imito seguita dallo sguardo di Happy. E’ compassione quella che gli leggo in volto?
Mezz’ora dopo sono pronta vestita da perfetta assistente, l’abbigliamento meno consono ad una visita in città che possa immaginare, ma d’altra parte lo stile è stile e non posso certo andare in giro in jeans e scarpe da ginnastica. Scendo nella hall e trovo Tony stranamente in un angolo da solo, che mi aspetta. Il fatto che sia puntuale mi sconvolge, il fatto che sia solo mi lascia del tutto senza parole.
- Dobbiamo aspettare Happy? – chiedo anche se so perfettamente che se lui non è qui è perché Tony non ha intenzione di girare con la scorta.
- No, gli ho dato il pomeriggio libero. Volevo fare un giro tranquillo.
- Con me – dico giusto per rimarcare come Happy possa avere un pomeriggio libero e io non possa farmi un bagno.
- Ovviamente.
- Certo – sospiro sentendomi davvero come una baby sitter. – Allora, che cosa vuole fare?
- Non lo so. E’ carnevale, sembra che la città si animi a carnevale, facciamo un giro. Come due semplici turisti – mi risponde svagato.
Tralascio di fargli notare come Venezia sia sempre animata, come entrambi sembriamo tutto tranne che due “semplici” turisti e che fare un giro vorrà dire rimanere imbottigliati in mezzo alla calca di veri turisti e maschere. Usciamo e in breve il mio malumore viene cancellato dalla folla festante, dai colori e dalla partecipazione delle persone. Non è una sfilata di maschere, è la città stessa che si maschera, si trasforma e abbandona il grigiore delle case e dei ponti per un caleidoscopio di colori. Maschere tradizionali elaborate passeggiano accanto all’ultimo eroe di cartoni animati, uomini, donne e bambini, nessuno è più se stesso, ma si trasforma magicamente in quello che vuole essere. In breve, stranamente trascinata anche dal buon umore di Tony, mi lascio prendere da quella folla festante e mi dimentico l’efficienza e la serietà finendo persino per farmi convincere ad acquistare una maschera elaborata, azzurra e bianca, da indossare alla festa prevista per la serata.
- Allora, che ne pensa di Venezia?  - mi chiede Tony mentre scendiamo dal battello che ci ha riportati davanti all’albergo.
- E’ stupenda – dico ammirata.
- E vedrà questa sera! – mi risponde tutto eccitato dalla prospettiva di un party.
- Non credevo che il carnevale le piacesse così tanto, Tony.
Siamo ormai arrivati nella hall e noto, dallo sguardo profondo e intenso che mi sta lanciando, che il mio commento del tutto innocente in realtà ha scatenato un turbine di pensieri nel mio capo. Apre la bocca per rispondere, ma poi la richiude mentre entriamo nell’ascensore e io mi convinco che la domanda non avrà mai una risposta.
- Qui e ora – mi dice quando infine arriviamo al piano, prima di separarci.
- Come?
- Il carnevale. Permette di essere qualcun altro. Di sfuggire da noi stessi, tutto è concesso. Siamo nascosti dietro ad una maschera e possiamo fare quello che vogliamo.
Sorrido. – Tony, lei fa sempre quello che vuole. Non ha bisogno di una maschera per farlo – gli dico perché so di poterlo fare. Sembra un commento poco consono detto da un’assistente ad un capo, ma fa parte del nostro segreto accordo: posso dire quello che penso e lui mi sta ad ascoltare. Poi ovviamente fa quello che vuole.
- Sì beh, forse questa sera vorrei essere qualcun altro – mormora.
Lo guardo e sorrido, poco convinta da quello sprazzo di onestà.
- Venga con me alla festa – mi dice poi.
- Lo sa che verrò – gli rispondo corrugando un po’ la fronte. Sono giorni che mi parla del ballo, sa perfettamente che ci sarò. Ineccepibile, impeccabile ed assolutamente efficiente come al solito.
- No – scuote la testa e mi guarda fisso negli occhi e, per la prima volta da quando lo conosco, faccio fatica a mantenere il contatto con lui, sembra quasi che mi stia leggendo l’anima e la cosa non mi piace, mi sento vulnerabile sotto quello sguardo ambrato. – Vuole venire al ballo con me? – chiede poi come un eroe di altri tempi, un principe azzurro che domanda alla ragazza di partecipare al ballo. Ma lui non è un principe.
Rimango perplessa dalla richiesta, sempre incantata da quello sguardo magnetico. – Sì – mormoro prima di rendermi conto di quello che sto facendo. E’ il mio capo, la cosa non va bene, non va bene per niente. Le distante vanno rispettate, altrimenti è la fine.
- Perfetto! – rispose allegro tornando ad essere il solito Tony e io mi tranquillizzo. Mi rendo conto che arriveremo insieme e dopo 10 minuti lui sarà scomparso tra la folla, lo vedrò ricomparire a tratti sempre con una ragazza diversa al braccio, finché non si sarà stufato di essere adulato e blandito e sparirà per il resto della notte. Per quanto mi riguarda tornerò in albergo con uno dei ragazzi della scorta e la mattina dopo dovrò dare il benservito alla sfortunata di turno.
Tutto normale.
- La passo a prendere alle 8 – mi dice e scompare nella sua camera.
Fisso l’orologio al polso e mi rendo conto di avere ben un paio d’ore per me. Io e la vasca ad idromassaggio finalmente, poi il tempo di infilarmi il vestito, un trucco veloce e via. Posso persino azzardare di avere un po’ più di tempo del previsto, Tony non è mai stato puntuale in vita sua. La maschera comprata nel pomeriggio giace dimenticata in un sacchetto appeso ad una sedia mentre cerco di convincere in capelli a stare raccolti. Il vestito che ho scelto è sobrio ma elegante, nulla di appariscente. Quando sono quasi pronta do un’occhiata allo specchio e mi ritrovo con la spazzola a mezz’aria, a fissare il mio volto pallido e a ripensare a quello che ha detto Tony.
Essere quello che si vuole, per una sera abbandonare i panni della perfetta assistente per essere… chi? Cenerentola che va al ballo? Scuoto la testa e mi sono quasi persuasa di essere una stupida quando il mio sguardo è attirato dalla busta da cui fa capolino una piuma azzurra.
Non so come cambio idea.
Lascio che i capelli mi ricadano in morbide onde sulle spalle, accantono il vestito scelto e ne prendo un altro color crema, decisamente più audace del precedente. Sarebbe troppo chiaro se non avessi intenzione di abbinarlo alla maschera, invece lo faccio e quello che ne viene fuori è una persona che io stessa faccio fatica a riconoscere. Un ultimo ritocco al trucco e sento un bussare discreto alla porta.
Le otto in punto.
Vado ad aprire impreparata allo spettacolo che mi ritrovo davanti agli occhi. Tony con un completo bianco che gli calza alla perfezione e una maschera rosso fuoco che gli copre parte del volto, da cui ammiccano due iridi nocciola.
- Pronta? – mi chiede con un sorriso e io rimango a fissarlo, incapace di dire una parola. Certo sarebbe stato meglio se fosse stato lui quello a rimanere senza fiato alla mia vista, ma poi torno sulla terra e mi rendo conto di come quello davanti a me sia Tony Stark, con i suoi precedenti è normale che non rimanga stupito vedendomi. Insomma non che abbia una bassa opinione di me stessa, ma non sono di certo una modella. – E’ magnifica – mi dice comunque e in qualche modo capisco che non mi sta solo facendo un complimento, lo pensa davvero.   
- Grazie, anche lei sta bene – borbotto cercando di recuperare la voce.
Lui non fa altro che sorridere e mi porge il braccio. Lo guardo sorpresa.
- Andiamo? – mi chiede.
- Sì, certo – rispondo mentre lentamente torno in me immaginando che questo durerà giusto il tempo del viaggio fino alla villa, poi tutto tornerà normale, ne sono convinta, nel frattempo decido di partecipare al gioco del carnevale finché ne ho la possibilità.
- Ho una richiesta – mi dice mentre entriamo nell’ascensore e io penso di essermi sbagliata, è già tutto finito. Maschera o meno sono tornata la sua assistente e lui non è altro che il mio capo.
- Mi dica, signor Stark – dico cercando di ottenere il mio miglior tono efficiente mentre sento che comunque un po’ di rammarico si fa strada in me. Avevo quasi creduto alla mia favola.
- Per questa sera… lasciamo qui il boss e l’assistente. Siamo solo… noi – mi dice.
Lo guardo perplessa, senza capire. – Noi? – chiedo.
- Tony e Virg… no – dice poi sorridendo e scuotendo la testa. – Così non mi sembra neanche lei. Tony e Pepper. Da domani tornerà ad essere la mia efficientissima assistente e io il suo meraviglioso capo…
Sbuffo, ma sorrido alla sua provocazione.
- … ma per questa sera lasciamo stare tutto. E’ carnevale, siamo chi vogliamo essere – mi dice e io annuisco perché so già chi vuole essere e so che tutto questo durerà fino alla prima, seconda se vogliamo essere molto generosi, donna affascinante che incontreremo. Poi io resterò la misteriosa ragazza con la maschera azzurra, perché è questo che voglio essere questa notte, e lui tornerà ad essere Tony.
Poca fiducia? Forse.
- D’accordo, Tony – rispondo comunque con un sorriso mentre ci dirigiamo alla barca privata che ci porterà a destinazione, incuriosita dall’atmosfera festosa che percepisco nella notte.
Ovviamente la festa non è una banale festa in maschera, ma l’evento della stagione a Venezia. Sono invitati tutti i miliardari presenti in città e l’ambiente è quanto di più sfarzoso ed elegante abbia mai visto. Lampadari di cristallo brillano illuminando sale affrescate, centinaia di persone sobriamente mascherate si aggirarono con calici di champagne in mano o volteggiano per la sala, felici.
Tony mi afferra una mano. – Balliamo – e capisco dal suo tono di voce che non è una richiesta. Sto per protestare, ma poi annuisco e mi lascio condurre in pista, sono nascosta dalla mia maschera e poco importa che chiunque mi possa riconoscere dai capelli ramati. Questa sera sono solo Pepper.
Mi diverto, bevo champagne e assaggiò ottimi stuzzichini, ballo con Tony godendomi la sensazione delle sue braccia che mi stringono senza pensare a quanto sia sconveniente e solo quando sento la testa che gira e il caldo farsi fastidioso nonostante sia febbraio mi rendo conto di che ore siano. Tony è ancora al mio fianco, mi guarda e non accenna a muoversi nonostante io stessa non faccia fatica a riconoscere più di una ragazza che tenta in tutti i modi di attirare la sua attenzione. – Credo di aver bisogno di un po’ d’aria – dico.
- Certo – risponde prima di accompagnarmi su un terrazzino che si affaccia sulla laguna. – Come si sente? – mi chiede scrutandomi con lo stesso sguardo profondo che già una volta quel giorno mi ha lasciato senza parole.
- Io… - sono imbarazzata, ma poi ricordo il mio ruolo nel gioco e sorrido. – Sto benissimo – dico sorseggiando un goccio di vino anche se mi rendo conto di come non sia la cosa più saggia da fare in quel momento. Con mia sorpresa lo sento trattenere il fiato e osservarmi come se non mi avesse mai visto prima, come se fossi io la ragazza che ha puntato, quella con la quale passare la serata.
- Che ne dice di fare due passi? – mi chiede osservando il cielo stellato sopra di noi.
Sorrido per la richiesta bizzarra. Le prima coppie hanno cominciato ad abbandonare la festa già da qualche tempo, sarebbe ora di tornare a casa. – Sì, mi piacerebbe – rispondo invece facendomi condurre fuori. Mi guardo intorno e noto alcuni sguardi incuriositi e altri quasi irati e mi rendo improvvisamente conto che sono io quella che sta andando via con Tony Stark, questa sera.
All’improvviso ho paura di quello che sta per succedere, mi volto verso Tony con l’intenzione di dirgli che no, non ho voglia di passeggiare, ma solo di tornare all’albergo, quando incrocio il suo sguardo e mi blocco. Sta sorridendo e per la seconda volta in questa strana giornata sento come se potesse leggermi dentro.
- Si fida di me, Pepper? – mi chiede prima di incamminarsi lungo un vicolo deserto.
Annuisco. Mi fido.
Ci avviamo per le stradine deserte, illuminate da lampioni d’altri tempi, con lo sciabordio delle onde che ci accompagna costantemente.
- Che strana città – dico per rompere il silenzio anche se non c’è nulla di imbarazzante in esso.
- Già, come se fosse sospesa nel tempo. Sembra impossibile che nello stesso momento esistano posti come questo e come New York – mi risponde Tony osservando un ponticello che attraversa un canale.
- Era mai stato a Venezia?
- Sì, una volta. Al casinò. Prima.
- Prima?
- Prima di lei – mi chiarisce.
Sorrido. – Che cosa fa? Divide la sua vita in PPP e DPP?
Questa volta è lui a sorridere. – Tradotto?
- Prima di Pepper Potts e Dopo Pepper Potts – rispondo sorridendo a mia volta.
- Nessun dubbio che mi abbia aggrovigliato la vita – mi risponde ironico.
- Cosa? Al massimo ho messo ordine nel suo caos… ma non avevamo detto di lasciar stare boss e assistente?
- E’ stata lei a chiedere, e poi chi le dice che stessi parlando del suo ruolo? – mi chiede e io non so cosa rispondere. Non ho mai pensato di far parte della vita di Tony, non di quella parte di vita che non fosse pubblica, ma questo commento mi ha spiazzato e rimango un attimo senza parole.
- Non volevo metterla in difficoltà, Pepper – si scusa e la cosa non fa che spiazzarmi ancora di più. – Allora. Non parla mai della sua famiglia…
- Neanche lei – gli rispondo e troppo tardi mi rendo conto come non sia la cosa adatta da dire.
- C’è poco da dire sulla mia. La sua invece mi interessa.
- Dice davvero? – chiedo sorpresa.
- Certo. Madre? Padre? Fratelli? Sorelle? Gelosissimi fidanzati? – chiede a raffica e capisco al volo dove vuole andare a parare.
- Madre, figlia unica – rispondo lasciandolo cuocere un po’.
- Gelosissimi fidanzati? – mi chiede e sono sicura di sentire una nota di speranza nella sua voce.
- No.
- Non sono gelosi?
- Non sono fidanzati – crollo alla fine sentendomi, mio malgrado, felice del suo sorriso compiaciuto. Perché lui può spassarsela impunemente tutte le notti e io non posso avere un fidanzato? La risposta la conosco benissimo, ma non sono ancora pronta a riconoscerla e adesso, a distanza di anni ripensando a quella sera, mi rendo conto che non lo sarei stata ancora per parecchio tempo.
- Oh andiamo, non ci credo. Nessuno?
- Che cos’è questo improvviso interesse per la mia vita sentimentale? – chiedo mentre sento il rossore salirmi al volto, fortunatamente nascosto dal buio e dalla maschera che ancora indosso.
- Beh, lei della mia sa tutto.
- Più di quanto vorrei, a volte.
- Inopportuno? – mi chiede.
- Senza dubbio. Ma… - mi blocco e poi scuoto la testa divertita. - … divertente altre volte – ammetto ricordando la sensazione che provo tutte le volte che accompagno alla porta la ragazza di turno.
Tony sorride e lascia correre.
- Non si stanca mai? – chiedo pensando a quanto sia strano essere qui, in piena notte, a discutere della vita sentimentale del mio capo.
- No, perché dovrei?
- Non ha mai voglia di avere qualcuno con cui condividere le cose? Per più di 4 ore, intendo.
Lui scrolla le spalle. – Ho lei – mormora.
E questa volta sono io che lascio correre. Come prima, non sono pronta a rispondere.
- Le sta bene il rosso – dico tanto per cambiare argomento, sapendo che tanto i complimenti sono sempre graditi.
- Dice? – mi chiede perplesso come se non fosse sicuro di quello che sto dicendo e francamente vedere Tony insicuro di qualunque aspetto della propria immagine mi lascia di stucco.
- Sì, mette in risalto gli occhi – mi ritrovo a dirgli e, per la seconda volta in pochi minuti, sono felice di avere una maschera sul volto.
- Mi sento un po’ strano con una maschera sulla faccia, mi sembra di essere tornato bambino quando giocavo a fare il supereroe mascherato.
- Lei giocava? – chiedo senza riuscire a trattenere una risata, ma non di scherno solo perché mi sembra strano immaginare Tony Stark bambino che fa cose normali come giocare.
- Le sembrerà impossibile, Pepper, ma sono stato bambino anche io – mi risponde e dal suo tono capisco che non se l’è presa.
- Che sia stato bambino non lo metto in dubbio. Ma a 6 anni non stava costruendo il suo primo motore? – chiedo ricordandomi la sua biografia che ho letto prima di essere assunta. Allora mi era parsa inverosimile, dopo averlo conosciuto non ho faticato a credere a tutto quello che vi era scritto.
- Sì beh, ho giocato prima – mi risponde e forse si rende conto di quanto quell’affermazione può risultare strana perché scrolla la testa. – Lei non giocava da piccola?
- Certo. Solo che la mia infanzia è durata un po’ di più della sua – dico e improvvisamente mi sento come se fossi io quella strana con la mia fanciullezza assolutamente normale e banale.
- E a cosa giocava la piccola Pepper? – chiede Tony incuriosito.
Non gli faccio notare che Pepper allora non esisteva, e non sarebbe esistita almeno per altri 15 anni. - Le solite cose a cui giocano le bambine immagino. Bambole, principesse, castelli incantati.
- E c’era il principe azzurro? – mi chiede a bruciapelo.
- No, non credo di essere mai stata il tipo di ragazza che aspetta di essere salvata. E poi avevo l’esclusiva sull’azzurro, non avrei tollerato concorrenti – gli rispondo lasciando che, per una volta, l’autocompiacimento pervada anche le mie parole, guardandolo con quello che spero che sia uno sguardo magnetico. Certo, non fosse stata notte avrebbe fatto più effetto.
Restiamo in silenzio per qualche momento mentre continuiamo a girellare senza meta per la città ormai addormentata, sotto la luce aranciata dei lampioni. – Supereroe? – chiedo poi.
- Oh sì, ma a dire il vero è durata poco come fase. Mai stato il tipo eroico – ammette e non posso dargli torto. Non riesco ad immaginare una persona meno altruista e pronta a sacrificarsi per gli altri di lui. – Comunque non ci credo che non ci sia nessuno – torna a dirmi fermandosi in mezzo alla strada e guardandomi negli occhi.
- Non ho tutto questo tempo per gli appuntamenti galanti – mi ritrovo a rispondere anche se avevamo deciso di non parlare di lavoro.
- Sono sicuro che quando troverà la persona giusta ci metterà meno di un secondo per piantarmi in asso – mi risponde Tony con una nota di rammarico nella voce.
- Allora deve fare in modo che non mi venga voglia di scappare.
- Sono già affascinante e irresistibile, che altro dovrei fare? – mi chiede con un sorriso disarmante, ma capisco che sta scherzando e sorrido anche io.
- Oh, non credo che queste siano le sue uniche carte. Comunque nel frattempo siamo noi. Giusto? – non so questa da dove mi sia uscita, fatto sta che l’ho detta ed è stato solo con un grande sforzo di volontà che subito dopo non mi sono gettata al volo nel canale, sopraffatta dalla vergogna. Fortunatamente il freddo della notte e l’umidità tipica della città vengono in mio aiuto e inizio a tremare. – Fa freddino, torniamo indietro? – propongo non ammettendo che parte del tremore non dipende affatto dal clima.
Tony mi afferra una mano a sorpresa non facendo che peggiorare il mio tremito, e sorride.
- I cappotti Armani non sono l’ideale per le passeggiate notturne? – mi chiede osservando il mio stupendo indumento molto candido e molto costoso, ma poco caldo.
- Pare di no – rispondo.
– Sì, torniamo o domani non avrò più un’assistente! – mi dice quindi voltandosi indietro sicuro. Solo in quel momento mi rendo conto di non aver assolutamente fatto attenzione alla strada, sono semplicemente andata avanti, troppo presa dalla conversazione e dalla serata per fare attenzione. Spero ardentemente che Tony abbia una vaga idea di dove siamo e, dal modo in cui si incammina sicuro poco dopo, mi convinco subito che abbia più di una semplice idea. Fortunatamente lo sa.
- Ci ha mai pensato? – mi chiede mentre torniamo rapidamente verso l’albergo.
- A cosa?
- A piantarmi in asso.
Resto in silenzio per qualche momento. – Domani torniamo ad essere boss e assistente? – chiedo di rimando senza apparentemente un filo logico con quello che mi è stato domandato. Ma lui afferra dove voglio arrivare.
- Ovvio – mi risponde come se fosse scontato.
- E tutto questo?
- Sarà dimenticato nell’oblio dell’alcol.
- Non ho bevuto così tanto. E neanche lei, ora che ci penso – riesco a dire perplessa. Credo che sia una delle poche feste a cui partecipa che non lo vede completamente ubriaco ben prima della fine.
Tony sorride. – Grazie – mormora un po’ indispettito.
- Beh…
- No, ha ragione – ammette sventolando la mano. – Comunque possiamo sempre fare finta che sia così.
Ci penso  ancora qualche secondo e poi decido. Ho la maschera, giusto? E’ carnevale e posso fare quello che voglio, dire quello che penso e credere che domani non ci penseremo più. - Ci ho pensato? Certo, più di una volta. Lo farei davvero? No, non credo. Perché? Non lo so – ammetto.    
- Perché sono irresistibile – mi dice ridendo e tornando ad essere quasi il solito Tony.
- Forse. O forse perché so che non resisterebbe una settimana senza di me.
- Concordo. Grazie.
- Per cosa? – chiedo anche se so che ci sono almeno un milione di cose per cui dovrebbe ringraziarmi ogni giorno.
- Non lo sa?
- Ne approfitto, visto questo sprazzo di umiltà.
- Ora non esageriamo, Pepper.
Rido e scorgo dietro al prossimo ponte la massa imponente della chiesa di San Marco. Siamo quasi arrivati. – No, ha ragione. La notte sta per finire.
- Le spiace? – mi chiede e dal tono sembra che a lui in fondo dispiaccia e questo mi colpisce.
- Forse un po’. A lei?
- Sì.
- Può cambiare, non è troppo tardi, Tony – mi esce così, l’ultima confessione della serata.
- No, non credo. Questo è solo un delirio alcolico in fondo, giusto? – dice e non riesco a fare a meno di annuire, anche se non ne sono convinta.
Arriviamo nella hall e prendiamo l’ascensore per l’attico in silenzio, tutti e due consci che la nottata è finita. E’ tempo di togliere la maschera e tornare ad essere quello che siamo sempre stati: un capo e la sua assistente. Quando arriviamo Tony non accenna ad avvicinarsi alla mia camera e d’altra parte non mi invita nella sua e per questo gli sono grata, ma lo stesso si ferma in mezzo al corridoio e mi guarda mentre mi dirigo verso la porta, rimanendo intento ad osservarmi aprire e in qualche modo ne sono felice. Sembra quasi che voglia vedermi entrare sana e salva, proprio come un cavaliere d’altri tempi.
Quando richiudo la porta dietro di me faccio appena in tempo a togliere maschera e vestito prima di crollare addormentata sul letto. Sono quasi le 5 del mattino e sono distrutta. Vengo svegliata dal suono del cellulare e, prima di capire che ore sono, mi ritrovo a maledire quel dannato aggeggio. Solo quando rispondo e mi ritrovo a parlare con Happy, il quale mi informa che la nostra barca per lasciare la laguna parte di lì ad un’ora, mi rendo conto che sono le tre del pomeriggio.
Ho dormito tutto il giorno senza essere disturbata.
 
Riapro gli occhi sull’aereo e vedo che Tony è ancora assopito al suo posto, una ruga di preoccupazione che gli solca la fronte e un ciuffo ribelle di capelli che gli ricade scompostamente sugli occhi. La cosa che vorrei fare adesso è alzarmi e andare vicino a lui, abbracciarlo, scostargli i capelli dalla fronte e dirgli che andrà tutto bene. La cosa che faccio è guardare il piatto del mio pranzo aereo e fare un sorriso stanco, non so cosa sta succedendo, ma sta succedendo. Da due anni ormai ho capito che quella che pensavo fosse la mia maschera di carnevale in realtà sono io, la vera maschera è quella che ho portato fino al giorno in cui l’ho visto barcollare fuori dall’aereo militare che lo ha riportato a casa. Poi, nei mesi seguenti, quella maschera si è rotta, pezzo per pezzo, scivolandomi via dal volto finché non ne è rimasto più niente lasciando emergere la Pepper di quella sera. Tony invece in questi anni ha fatto quello che si era ripromesso anche se c’è voluto del tempo, si è costruito una sua identità sulla base di quello che voleva essere e, sebbene ancora non sia arrivato alla conclusione della sua opera, so che riuscirà perché ha sempre fatto tutto quello che voleva e se vuole cambiare, lo farà.
Devo solo aspettarlo.     


E' un anno che mi chiedo cosa fosse successo di così memorabile a Venezia, ma non mi veniva mai in mente nulla. Sapevo che c'entravano in qualche modo il carnevale e delle maschere, ma poi tutto sfumava in una nebbia fastidiosa. Finalmente Pepper mi ha raccontato cosa è davvero successo e così ve l'ho riportato, parola per parola. 
Spero che vi sia piaciuta, a presto
Even 
  
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