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Autore: DameOfWax    12/09/2013    0 recensioni
La storia di una bambina che ha paura del mare perché la tiene lontana dal suo papà;
i brevi viaggi dei pescatori che si spostano dall'isola su cui vivono alla città, affrontando i pericoli del mare;
l'amore di un uomo che è sopravvissuto a tutte le persone che gli erano più care. Un racconto malinconico che racchiude nello sfondo tutto il sapore del mare.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Selene, sei l’ombra del mare. Vai e vieni, ritorni all’infinito e non te ne vai mai per davvero. Non riesci a scappare. Selene, fai trattenere il respiro. Ti allontani e il respiro si blocca, poi ritorni e riprendo a respirare. Ma ogni nuovo respiro è sempre più doloroso. Si sta male anche quando le persone ritornano, delle volte, perché è un dolore terribile quando qualcuno ritorna e non sai cosa dire, cosa fare, come odiare. Quando non sai cos’è che il suo sguardo ti nasconde, è una ferita a fior di pelle. Anche l’anima ha una pelle ed è profonda. Mi hai detto che ti dispiace, ma chissà… tu non sai che la superficie è facile a guarire, che è per quello che c’è dentro che tu speri finché respiri, che se sei tu a far gli errori è più facile tornare, perdonare invece è dura.
Selene, sei l’ombra dell’acqua. Sei uno specchio, sei una superficie. Sei un vetro colorato. Non sei preziosa, Selene. Non sei preziosa per chi ti raccoglie, ma come un vetro riesci a tagliare. E io t’ho raccolta e t’ho tenuta, anche se non eri preziosa per gli altri, e tu hai lasciato che i tuoi angoli mi tagliassero lo stesso. Non sei solo tagliente come il vetro, Selene. Come il vetro sei anche fredda.
Selene, hai gli occhi di cristallo. Mi hai guardato tante volte e Dio solo sa quante volte ho pregato perché quello sguardo non andasse in frantumi da un momento all’altro. Sai essere dura, Selene, ma come il cristallo dei tuoi occhi sei anche fragile. Ti portavo sulla spiaggia sollevandoti di peso, ma tu vedevi il mare e volevi andare via, ti dimenavi, mi tiravi pugni sulla schiena ed io ti gridavo sta calma, ma tu non volevi ascoltarmi. Pensavo che i tuoi occhi azzurri non erano adatti all’oscurità delle montagne, Selene, pensavo che con gli occhi azzurri avresti visto meglio il mare. C’era un tempo in cui mi raccontavi tutto. In cui ti abbandonavi alle lacrime e al calore delle mie braccia e mi buttavi addosso tutto il peso della tua vita, del tuo passato, del tuo dolore. C’era un tempo in cui anche tu, come gli altri, sapevi parlarmi del mare, mi dicevi che era bello e grande e misterioso, mi dicevi che volevi svelarne i segreti ma che ti faceva paura perché lui si era preso tuo padre. E allora piangevi e ti dimenavi e dicevi che il mare era egoista e che si prendeva sempre tutto. Poi diventavi fredda come il vetro e vedevo nei tuoi occhi il gelo dell’artico e ti addormentavi esausta con il naso sotto il mio braccio. Selene, tu hai gli occhi del ghiaccio e dell’acqua del mare che non ghiaccia mai. Sei un ossimoro, a volte. Tutte le sante volte in cui la tua bellezza è terribilmente straziante. Tutte le sante volte che scappi e poi ritorni. La bellezza non dovrebbe far male, Selene. Non dovrebbe affatto.
Selene, hai il nome della distruzione. Hai il nome della luna che porta l’alta marea. Selene, tu e il mare siete la stessa cosa, anche se non capisci, anche se scappi, anche se non lo vuoi. Selene tu sei un pesce, sei un marinaio, tu sei quello che vuoi, sei un sasso, una conchiglia, un’onda del mare. Ma per ultimo sei una donna. Per ultimo. Ricordo di quel viaggio in barca dall’isola verso la città; ricordo di quanto eri entusiasta e i tuoi occhi brillavano limpidi come l’acqua del mare, che schiumava sotto il legno della barca; i tuoi capelli erano morbidi e si gonfiavano come le vele di una nave; eri tu a quel tempo che portavi me ed eri così leggera, eri libera, Selene, ricordo benissimo quant’eri libera. Facevi quello che volevi e amavi il mare perché era quello che desideravi, mentre adesso sei diventata sua prigioniera, prigioniera del suo vagabondare, della sua litania, della sua oscurità quando scende la notte e tutto diventa cupo.  Ricordo quel tramonto bellissimo e il tuo corpo mozzafiato contro il cielo insanguinato, ti sei spogliata mentre stavi zitta e mi fissavi, poi sei scoppiata a ridere e ti sei tuffata nell’acqua, mentre io rimanevo senza parole e ti guardavo, incantato. L’acqua ti scorreva sulla pelle, ti scivolava allegra e ti avvolgeva dolcemente. Ricordo che pensai che nessuno poteva essere del mare come lo eri tu, ricordo di aver avuto paura di mettere i piedi nell’acqua perché credevo che il mare non mi avrebbe voluto con sé, che  mi avrebbe respinto e non mi avrebbe abbracciato come faceva con te. Tu invece eri sua ed eri felice di esserlo, i tuoi capelli lunghissimi fluttuavano sulla superficie dell’acqua e io ne ero stregato. In quel momento eri prima di tutto una donna. Ma adesso, tu lo sei come ultima cosa. Adesso non ha più importanza, perché il mare ti ha preso via tutto, perché il mare è egoista e avido e riesci solo a odiarlo.
Selene, mi spezzi il cuore. Lo afferri e lo getti nell’acqua salata, quella che sgorga dai tuoi occhi, quando piangi perché vuoi andare via. E non ci riesci mai. Selene tu fai del male. Ma tu il male non lo vuoi. Sei una ferita che si rimargina lentamente. Sei la ferita del mare. Il giorno in cui mi sono innamorato di te c’era la festa sull’isola, quella che gli abitanti festeggiano ogni anno il primo giorno d’estate; era la festa del mare e tu avevi i capelli morbidi che ricordavano le sue onde quando il vento lo increspa. Ma poi intrecciasti le conchiglie fra quelle freschissime ciocche, com’è usanza per le donne durante la festa, e allora ricordo che si trasformarono in piccole dune di sabbia, dorate e bellissime. Non scorderò mai i tuoi capelli dorati. Forse è da lì che cominciò tutto. Compresa la tua sofferenza.
Selene, hai la pelle lattea come la luna che porta l’alta marea. Tua madre, quando ti portava in grembo, conosceva il dolore che avresti portato. Tuo padre, quando la guardava, si spezzava. Poi morì in un naufragio e tua madre da quel momento non si prese mai cura di te. Il dolore può far perdere la testa. Ella non si dava pace ed amava sempre di più il mare quanto più la privava delle sue cose più care: sembrava l’unica cosa che riuscisse anche lontanamente a consolarla, forse perché sapeva che era nel mare, in fondo, che si trovava ciò che restava di suo marito. Quando crescesti, tua madre si ammalò. Ricordo che era dopo quella festa, e tu stetti vicino a lei per molto tempo. Portavi granelli di sabbia ovunque, Selene, sulla pelle, nei capelli, nell’animo delle persone. Anche un granello di sabbia sa far sentire la sua presenza. Anche un granello di sabbia sa essere insopportabile. Tua madre era piena dei tuoi granelli di sabbia e del dolore di entrambe, ed ecco perché morì. Morì in una giornata di settembre e Sienna la portò in riva al mare, mentre tu raccoglievi i datteri per venderli. Da quando tuo padre era morto tua madre era diventata povera. Non avresti voluto che Sienna la portasse là, ti infuriasti, le urlasti contro; c’era tua  madre che le moriva in grembo mentre l’acqua del mare voleva portarsela via e tu non lo sopportavi: non sopportavi che se ne andasse via come aveva fatto papà e che il mare fosse così avido ed egoista; non capivi che era tua madre che non poteva fare a meno del mare e non il mare che non poteva fare a meno delle persone. Lei era esattamente come te. Tua madre aveva voluto morire con l’acqua del mare e lontana da te, insieme a tuo padre che ormai era nel cuore del mare da molti anni. Ma tu non l’hai capito mai. Non l’hai capito, Selene, perché tu il dolore lo porti, ma non lo comprendi, e per questo non riesci a smettere di procurarlo alle altre persone. La rabbia invece la capisci, te la porti dentro e la scagli con i sassi contro l’acqua e con i calci alla sabbia e le imprecazioni alla luna che porta il tuo stesso nome solo che in una lingua diversa. E portate entrambe l’alta marea.
Sei una conchiglia, Selene, anzi no, sei una perla. Ma non sei come le altre. Sei una perla nera fra le bianche. Adesso ti chiudi nella tua conchiglia, pensi che sia il momento più opportuno, ma in realtà è quello in cui ne hai più bisogno per scappare dal mondo a cui sei indissolubilmente legata. Eppure non ci appartieni. Non appartieni al mondo, non appartieni a nessuno, forse soltanto al mare che ti culla: lui si che si prenderebbe cura di te se glielo permettessi, proprio come ho cercato di fare io, ma tu non hai mai capito queste cose. Non hai mai capito chi ti voleva bene.
Selene, quanto male mi fai, ma non riesco a smettere di amarti. E’ difficile staccarsi dalle tue lentiggini e le macchie del sole dietro la schiena, dietro le quali mi sono nascosto una volta, quella volta in cui abbiamo fatto l’amore. Uno, due, tre, le contavo e le memorizzavo, ti conoscevo Selene, ma adesso quelle macchie sono sparite e tu sei lattea come la luna che porta l’alta marea e io nemmeno ti riconosco più. Mi spezzi il cuore e non ti riconosco più.
Almeno una volta lascia che sia io a farlo, Selene, lasciami ferirti. Lo farei ogni giorno della mia vita, pur sapendo che ogni pugnalata a te è una pugnalata a me. Lasciami ferirti, perché un uomo ferito sa solo ferire a sua volta, perché niente per lui ha più importanza. Lascia che ti porti nel mare, quel mare che hai temuto tanto; lascia che ti immerga, le gambe lunghe, le braccia esili, il viso triste e le tue lentiggini e le tue macchie scomparse, i tuoi capelli di sabbia; lascia che ti anneghi nell’acqua gelida, che ponga fine al tuo dolore, che ponga fine al dolore di tutti quelli che t’hanno conosciuta e che ti hanno dovuta lasciare, perché tu come l’acqua del mare tornavi sempre e ad abbandonare non riuscivi mai. Selene, non mi hai mai capito. E nessuno mai l’ha fatto con te. Porti l’alta marea.
Il mare è una musica triste, adesso. Una litania, un canto disperato. Avverte il tuo disagio, la tua paura per ciò che avverrà. Non sei stata affatto coraggiosa, Selene, ma non lo si è mai quando qualcosa ci è sconosciuta. Ascolto la risacca e respiro l’odore della salsedine. Guardo la luna lattea mentre scrivo una lettera che non leggerai mai.
Ricordo una frase che mi avevi detto quando ancora eri felice, mentre cerco le parole migliori per dirti addio. Non le trovo. “Il mare canta e incanta”, mi dicesti. Rimango incantato e in silenzio.
Il mare è un segreto. La bellezza delle cose segrete si svela soltanto a chi ne ha veramente bisogno.

Soldato.
  
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