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Autore: BloodyMoon    19/03/2008    6 recensioni
"La voce era perfettamente riconoscibile, così familiare. Dal canto suo, lui smise di accarezzarsi l’arto ferito, e alzò appena lo sguardo, indifferente."
SPOILER episodio 4x12!
Genere: Romantico, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Greg House, James Wilson
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Note dell’autrice: Non sono solita scrivere fan fiction su telefilm o affini, più che altro per una questione visiva: i telefilm si guardano, mi fa strano leggerne. Fatto sta che dopo la puntata 4x12 ho sentito la necessità di scrivere qualcosa. Chi ha visto la puntata capirà, e spero apprezzerà; chi, invece, non ha visto questo episodio, è pregato di non continuare nella lettura se non vuole rovinarsi la sorpresa con degli spoiler. Sono, inoltre, presenti accenni all’omosessualità: chi non gradisce certe tematiche è pregato di evitare di leggere. Lettore avvisato…

A tutti gli altri buona lettura! Tengo solo a ribadire che si tratta di un esperimento… Un ringraziamento particolare a Simo per avermi aiutata con alcuni dialoghi (mi sembrano poco “House” in certi punti, ma ditemi voi xD).

Il titolo della fan fiction si riferisce al titolo dell’episodio sopraccitato.

 

 

*          *          *

 

 

«Wait a second. This isn't just about the sex. You like her personality. You like that she's conniving.

You like that she has no regard for consequences. You like that she can humiliate someone if it serves… Oh my god. You're sleeping with me.»

(House, 4x12)

 

 

Don’t Ever Change

 

 

Osservò la pillola bianca che teneva tra le dita, giocherellandoci, lo sguardo assorto. Si trovava nel suo ufficio, comodamente seduto sulla sedia girevole, i piedi appoggiati sul bordo della scrivania, come al solito in una posizione scomposta e stravaccata. Senza mutare espressione, lentamente, abbassò il braccio, fino a lasciar cadere la pillola di Vicodin nel suo contenitore. Quella sbatacchiò pigramente contro le sue simili. House richiuse il piccolo recipiente arancione, sistemandoselo poi in tasca, in viso un’espressione vagamente perplessa.

 

Come per rilassare i muscoli facciali a cancellare quell’espressione e anche i pensieri che gli riempivano la mente, scosse leggermente la testa, ed effettivamente, dopo quel gesto, sul viso non rimase segno della smorfia precedente. Abbassò con un gesto agile le gambe dalla scrivania, appoggiandosi al bastone, cominciando a camminare a passi rapidi verso l’uscita. Dopo appena poche falcate, però, l’incedere rallentò, fino a fermarsi. Tenne il viso basso, sembrando concentrato su qualcosa, l’espressione tipica di quando veniva illuminato su un caso clinico. Caso che, al momento, non aveva.

 

Appoggiò il bastone sulla scrivania, e si voltò, quindi, con sguardo determinato, prendendo a percorrere la distanza che lo separava dalla porta con passo malfermo, com’è ovvio che sia per uno zoppo. Dopo pochi passi la gamba cedette e lui si ritrovò a terra, semi inginocchiato sulla moquette.

 

Gemette frustrato, massaggiandosi delicatamente la gamba, senza però cambiare posizione, tentando di riprendere forza sulle gambe. Fortuna che aveva abbassato le imposte dell’ufficio, prima di darsi a quelle prove di maratona. Percepì la porta aprirsi, ma non ce la fece ad alzarsi, così rimase dov’era, come se niente fosse. L’ospite probabilmente rimase leggermente spiazzato, data la pausa di silenzio che segui all’entrata.

 

 «House. Che diavolo stai facendo?»

 

La voce era perfettamente riconoscibile, così familiare. Dal canto suo, lui smise di accarezzarsi l’arto ferito, e alzò appena lo sguardo, indifferente.

 

«Stavo prendendo in considerazione l’idea di pregare verso la Mecca, ma ho notato che per uno zoppo non è il massimo della comodità.» disse solamente, ironico, con una specie di sorriso gioviale. Alzò lo sguardo sull’amico, ma subito, ignorando il dolore alla gamba, si alzò in piedi, apparendo per un attimo a disagio.

 

«Tutto bene?» domandò perplesso, una mano ancora sulla maniglia della porta, l’altra a tenere fogli e cartelle.

 

«Certo. Tu, piuttosto, che fai da queste parti?» domandò, riprendendo il suo tipico tono indifferente, mentre afferrava il bastone lasciato poco prima sulla scrivania. Vi si appoggiò con noncuranza, voltando il viso verso di lui, in attesa.

 

Wilson, dal canto suo, lo osservò per qualche attimo, accigliato, prima di parlare.

 

«Mi chiedevo come mai non accetti casi da così tanto tempo. Hai assunto tre medici e li usi solo per mandarli a prendere il pranzo o per far uscire di testa la Cuddy!» esclamò James, senza cambiare né posa né espressione.

 

«Non accetto casi perché l’influenza di un bambino di otto anni non mi interessa. E poi io non faccio quelle cose, sono un bravo bambino, io. Il pranzo lo prendo da te, e la Cuddy ha sempre adorato i giochi a tre. La faccio solamente divertire un po’…» ribatté prontamente, inarcando le sopracciglia, parlando con il solito tono ironico. Nel frattempo, tornò verso la scrivania, sedendosi sulla sedia nella stessa posizione di prima, stravaccato, e iniziando la stancante attività di giocare a lanciare e riprendere l’amata pallina che teneva nel suo ufficio.

 

«Nell’ultimo periodo non mi sembra tu mi abbia rubato il pranzo…» mormorò Wilson pensieroso, assottigliando gli occhi, forse cercando di ricordare tutti gli scherzi di cattivo gusto che aveva subito nell’ultimo periodo, per verificare se fosse accaduto o meno.

 

«Vero.» concesse House. «Non toccherei mai il cibo che tu e la Stronza Tagliagole vi preparate con così tanto amore.» Afferrò la pallina al volo, tenendola ferma tra le mani, per girarsi a guardare l’amico per qualche attimo. Sporse il labbro leggermente in fuori e sgranò gli occhi, a comporre l’immagine dell’innocenza. O così sarebbe dovuto sembrare vagamente, ma, trattandosi di House, non poteva che essere una presa in giro.

 

Wilson parve irrigidirsi per un secondo per poi scuotere la testa.

 

«Dì la verità, il fatto è che pensi ci sia qualche veleno nel cibo.» commentò l’oncologo, con un sorrisetto incerto, sebbene il tono fosse apparentemente divertito.

 

«C’è una ragione se si chiama Stronza Tagliagole.»

 

«Si chiama Amber. Ma, in ogni caso, credi davvero che mi avvelenerebbe? O avvelenerebbe te attraverso il mio cibo?» domandò James scettico.

 

«No, non lo farebbe mai. Scommetterei i soldi ancora ti devo sulla sua buona fede.» Annuì il diagnosta sarcastico.

 

Wilson mantenne quel sorrisetto incerto sulle labbra, facendo poi mezzo passo indietro, come per allontanarsi; cambiò subito idea, tornando sui suoi passi e, anzi, muovendosi all’interno della stanza, lasciando che la porta si richiudesse alle sue spalle.

 

«Lo sai qual è il tuo problema? Non sai accettare le critiche. Come tu stesso hai detto, Amber è te al femminile e, vedendo i suoi difetti, trovi anche i tuoi, ma non vuoi accettarlo.» commentò James, con espressione nuovamente accigliata, come faticando a comprendere del tutto un concetto che riteneva facilmente alla sua portata.

 

     «Se vuoi rinfacciare le cose, allora inizia a ridarmi indietro il tagliaerba!» esclamò l’altro, finto indignato, dopo una breve pausa, sempre tenendo il gioco tra le mani.

 

«Io non ti ho mai preso il tagliaerba...» considerò Wilson perplesso. «Mi ricordo un tagliaunghie, ma non un tagliaerba.» sottolineò, inarcando le sopracciglia.

 

«Solo perché non ne hai avuto l'occasione!» disse in risposta House. Wilson si limitò a ricambiare lo sguardo dell’altro, che pian piano perse quel luccichio  divertito, l’espressione che si rabbuiava impercettibilmente, mentre l’oncologo borbottava tra sé qualcosa che assomigliava a un «Ma perché gli do corda…»,

 

«Davvero se ti avessi “guardato prima con questi occhioni” mi avresti preso in considerazione?» domandò House, improvvisamente, dopo qualche attimo di silenzio, le parole della loro ultima discussione ancora impresse nella mente; anche se, in quell’occasione, il primario di Oncologia non era stato serio. Wilson ricambiò lo sguardo con tanto d’occhi, prima di esclamare: «Oh, sì, ho sempre adorato i cuccioli bisognosi d’affetto… Stai scherzando, vero?!» dapprima ironico, poi si poteva percepire quasi una nota di panico.

 

House rimase in silenzio ad osservarlo, a scrutarlo, senza dire nulla; lo sguardo sostò qualche istante sulle sue labbra, prima di correre ai suoi occhi, dove si fissò. Solo pochi istanti dopo – ma che sembrarono molti di più – rispose.

 

«Certo che scherzavo.» ribatté, piegando le labbra in un sorriso obliquo. L’espressione di James passò dal confuso a qualcosa che House non riuscì a – o non volle, nemmeno lui lo sapeva, ormai – comprendere, forse sollievo. Fece un cenno del capo, mentre si avviava nuovamente verso la porta. House ricambiò il gesto, tornando ad avvicinarsi alla sua scrivania. Wilson mise la mano sulla maniglia, ma si bloccò, voltandosi nuovamente verso House.

 

«Non riuscirai mai ad andare d’accordo con lei, vero?»

 

«Certo che sì. Te l’ho detto, è la mia migliore amica donna.» rispose pacatamente, la mente ancora a quell’ultima discussione. Represse una smorfia nel ricordare come la Stronza Tagliagole fosse realmente cambiata, e come lui non si era potuto esimere dal trattenere un piccolo sorriso, quando aveva cercato di “ricattarla”.

 

Wilson gli lanciò un’occhiata tra il diffidente e il divertito, prima di rivolgergli un ulteriore cenno di saluto con la mano che ancora teneva fogli e cartelle, e uscire definitivamente dalla stanza.

 

House sospirò, sprofondando ancor di più nella sedia; la sua postura dava comunque un’idea di rigidità.

 

Ho deciso che potevi far peggio che trovarti una mia replica al femminile. Non era vero, era una delle cose peggiori che Wilson avrebbe potuto fargli.

 

Una mano corse quasi automaticamente alla tasca della giacca, estraendone, lentamente, il piccolo recipiente arancione, ed osservandone il contenuto.

 

Dopotutto loro erano davvero una coppia, come gli aveva detto Wilson durante quella famosa conversazione, ed era vero. Facevano tutto insieme – da parte di House perché era il suo unico e migliore amico, da parte di James forse perché doveva ricrearsi una nuova vita sociale dopo i vari divorzi. Eppure aveva esibito un’espressione quasi sconvolta nel sentirlo parlare così, ed era stata sincera, perché aveva avuto paura; lo stesso terrore che aveva provato Wilson poco prima, quando aveva temuto fosse serio. Ma sarebbe stato poi così fuori dal mondo non pensare a un senso unicamente metaforico ma a qualcosa… –

 

No, non doveva neanche prendere in considerazione la cosa.

 

Lentamente aprì il contenitore, estraendo una pillola di Vicodin con cui iniziò a giocherellare, osservandola, proprio come aveva fatto fino a poco prima.

 

«È bello sapere di avere tante amiche.» commentò a mezza voce, tra sé e sé, osservando tutte quelle pastiglie bianche con sguardo vacuo.

 

Poi si portò il palmo alla bocca, ingoiando la pasticca che teneva in mano, emettendo un sospiro soddisfatto.

 

E lui che aveva anche pensato di cercare di smettere… Patetico.

 

Dopotutto le persone non cambiano. Mai.

 

 

Fine

 

 

 

 

Ripeto, è una storia senza pretese. Ma per certi versi sono piuttosto soddisfatta, come le espressioni dei personaggi: in questo caso ho proprio bene impresse nella mente le facce degli attori. Come per esempio quando House guarda qualcuno – solitamente Wilson – con sguardo fisso (difficile spiegare esattamente, ma se siete fan assidui dovreste aver capito a cosa mi riferisco, spero): in quel caso è perché non riesce a negare qualcosa. Ovviamente ci saranno mille sfaccettature diverse nel telefilm, ma alcune mi sono rimaste particolarmente impresse; e spero di essere riuscita a riportarle fedelmente in questa storiella.

Ah, per quanto riguarda la “Cutthroat bitch” mi piace più “S*****a”, piuttosto che “B******a”: scusate, licenza poetica xD

Ora vi saluto, non voglio annoiarvi oltre. Ma se vorreste essere così gentili da lasciarmi un commentino per dirmi come vi sembra, ve ne sarei immensamente grata! Un bacio.

  
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