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Autore: K a m i l a h    13/09/2013    4 recensioni
Ol'ga, Tat'jana, Marija, Anastasija.
Quattro granduchesse, quattro ragazze, quattro sorelle, quattro figlie.
Quattro adolescenti, quattro fiabe, una per ciascuna di loro.
Nessun lieto fine.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista, Il Novecento
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- Questa storia fa parte della serie 'Миф о Романовых ≡ Il mito dei Romanov'
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4. Анастасия - Феи драже
Anastasia - La fata dei confetti

"Era la Fata dei Confetti la padrona di quel regno,
tutto fatto interamente di dolci, caramelle, biscotti e marzapane,
e tutti le ballavano attorno in un cerchio grandissimo"



I campanelli tintinnarono ancora un’ultima volta, deliziandola in una maniera indicibile con quella leggerezza scherzosa che li teneva sospesi e li faceva volteggiare per l’intera stanza; i violini presero a cullarli, con teneri pizzichi d’archetto e una melodia di tale delizia che la piccola si ritrovò a sorridere euforica mettendo in mostra i minuscoli denti bianchi, scintillanti nella penombra al pari dei fiocchi che cadevano fuori. Ed era loro che stava imitando Anastasija, ballava assieme a loro in un vortice di tenera spensieratezza, volteggiando per la stanza incurante della lunga veste che ricadeva sino ai piedi fasciati in morbide babbucce di raso. S’alzava sulle punte, saltando con l’intraprendenza di un cosacco e la leggerezza di una fata dispettosa, torturando il povero tappeto di damasco che si stendeva per tutto il pavimento. Allungava le braccia, quasi pareva che volesse librarsi per l’aria e da lì proseguire nei suoi giochi, al pari della ballerina di porcellana che piroettava nel carillon della nyanya; alta, flessuosa, una farfalla fatta di neve, con lunghe gambe e fronte diritta. Il malumore di poco prima s’era totalmente dissipato oramai, e la strigliata della zarina era solo un vago ricordo che svaniva sempre più inghiottito dai vivaci trilli emessi dal fonografo: nemmeno il fastidioso shvibzik, che solo pochi minuti prima le martellava in testa incalzante, la toccava più, così come lo sguardo severo che le aveva riservato papi; mica era stata colpa sua poi, che la kuzina Nina s’era presa un calcio sugli stinchi. La colpa era stata tutta della Georgievna, che l’aveva resa preda di un gran malumore perché era stata tanto sfacciata da superarla in altezza nonostante fosse più piccola di ben due giorni. L’aveva fatta correre via in lacrime dopo neanche cinque minuti di gioco con gran plauso, ed ora finalmente aveva scacciato completamente quella sensazione di fastidio. 
Che ci provasse ora a venirle vicino, pensava soddisfatta la piccina mentre si puntellava sui piedi lasciandosi trasportare da quell’amore di danza. Le pareva quasi di giocare con le note stesse, di vederle prender forma nella stanza e osservarle rincorrersi mentre l’avvolgevano come fiocchi in nevicata; non una nevicata comune, era una nevicata di zucchero quella. Quella musica aveva il sapore dei dolci spolverati con lo sciroppo, del kompot immerso nei canditi. Era una pioggia di confetti, una danza su prati di marzapane assieme a farfalle con ali di burro e caramello. 
Era lei la regina di quella danza, era per lei che gli archi incalzavano e i campanelli saltellavano frizzanti, intrecciandosi in acrobazie da mozzar il fiato e sciogliere il cuore. Era il suo gioco segreto, il rifugio della sua straripante fantasia: avrebbe desiderato rimanervi per sempre, per sempre a volteggiare su quel tappeto che improvvisamente da stoffa verdastra diveniva un prato di viole. Poi però, sapeva bene che la favola doveva terminare e il fonografo veniva spento, ridotto all’insopportabile silenzio. Ma lei tornava, tornava sempre ad accenderlo in quelle grandi stanze vuote e silenziose, perché sapeva quanto in realtà tutti desiderassero poterlo riascoltare ancora una volta assieme ai suoi passi. 

  
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