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Autore: A_P    13/09/2013    1 recensioni
Le orme di un uomo invisibile... – ebbe il tempo di pensare, prima di alzare gli occhi e vedere che Sherlock Holmes lo stava fissando da sopra la porta aperta del frigorifero.
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes , Sig.ra Hudson
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!
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Uno strato di polvere ricopriva gli oggetti stipati sul piccolo tavolo di legno, incastrato alla bell'e meglio tra il divano e la libreria traballante. Una pila di abiti lavati chissà quando e mai stirati giaceva in un angolo della stanza, come un fagotto di stracci abbandonati.
In condizioni normali Sherlock Holmes non avrebbe tollerato un tale disordine attorno a sè. La sua innata pignoleria e mania di controllo lo portavano a condurre un'esistenza rigorosa, strutturata, priva di spazio per le relazioni sociali, il divertimento e a quanto pareva anche l'ordine.
Di fatto, da due settimane a quella parte, la normalità così come Holmes la conosceva era evidentemente stata spazzata via: qualcosa dentro di lui era cambiato per sempre, questo poco ma sicuro. Pensieri e sensazioni senza nome gli ottenebravano lo sguardo, lo rendevano inquieto, distante e schivo. Più schivo del solito, almeno.
A questo stava pensando John Watson mentre cullava tra le mani la sua tazza da tè di Hello Kitty, lo sguardo fisso sulla parete di fronte.
Che sia...innamorato? – pensò tra sè e sè, rabbrividendo impercettibilmente al pensiero e facendosi più piccolo sotto il cappuccio della vestaglia di ciniglia color pesca.
Per un istante gli si formò nitidissima in mente l'immagine di Sherlock in boxer e con i lucidi peli della schiena al vento, focosamente avvinghiato ad una figuretta con i capelli lunghi. D'un tratto la figura con i capelli lunghi aveva il volto della signora Hudson, e la scoperta lo fece sobbalzare versandosi buona parte della bevanda bollente addosso. 
Soffocò un'imprecazione e si alzò per dirigersi in cucina alla ricerca di uno straccio per pulire vestaglia, poltrona e pavimento.
«No, non può essere...no, non può essere...» borbottò mestamente mentre attraversava a grandi passi il soggiorno.



Quando Sherlock comparve sulla soglia del salotto qualche minuto dopo, zuppo di pioggia e col fiato corto, John Watson sedeva al tavolo della cucina e stava pucciando distrattamente il Blackberry nel tè, fissando fuori dalla finestra. Sembrava non essersi nemmeno accorto del suo ingresso.
Da qualche tempo, in effetti, per la precisione dodici giorni, quattro ore e venti minuti scarsi, Watson gli era sembrato molto strano, riflettè Sherlock sfilandosi il soprabito con cautela ma senza staccare gli occhi dal coinquilino. 
E se fosse per via di una donna... o un gatto?
Per un momento ponderò l'idea, immobilizzandosi nell'atto di slacciarsi le scarpe, gli occhi ridotti a due fessure per lo sforzo mentale richiesto dall'operazione. 
Ma no, un gatto non può essere! – risolse, rimettendosi in piedi con le Oxford mezze slacciate, calciando via le pantofole di tweed senza tante cerimonie.
Tirò dritto ed entrò nella cucina, passando per il salotto, lasciando dietro di sè orme di pioggia, immediatamente assorbite dal pesante tappeto di pura lana delle isole Vergini della signora Hudson. Watson si accorse finalmente di lui e il suo sguardo pensieroso vagò alle decine di peli che lì in basso si appiattivano sotto il peso del suo geniale amico e un istante dopo ritornavano alla loro condizione naturale. Le orme di un uomo invisibile... – ebbe il tempo di pensare, prima di alzare gli occhi e vedere Sherlock Holmes che da sopra la porta aperta del frigo lo stava fissando.
I loro sguardi non si incrociarono mai, ma il tempo che Sherlock impiegò a muoversi per richiudere il frigo e tirarne fuori un cartone di pizza con dentro del fish and chips stantio ed una sacca di sangue, a Watson sembrò uno, forse due secondi più lungo del solito, e improvvisamente si rese conto di cosa questo significava. Sherlock Holmes sapeva.
«Non c'è nessuno» esclamò Sherlock.
Sembrava indirizzato al dipinto di Sirius e Remus che camminavano nudi mano nella mano nelle campagne del Sussex che faceva bella mostra di sè accanto all'orologio a pendolo della signora Hudson, o forse alla confezione di fish and chips che stava infilando nel microonde. Il flusso dei pensieri di Watson si interruppe bruscamente ed egli dominò il forte impulso di stringere avidamente le natiche, cercando una risposta logica a una esclamazione per nulla logica.
«Ci sarei io, veramente, ma se per te non sono nessuno...» Dannazione John, dannazione, ti sembra la cosa migliore da dire! – si rammaricò Watson nello stesso istante in cui finiva la frase, ma dominò di nuovo quell'impulso, questa volta più a fatica.
«E dobbiamo rubare un taxi» aggiunse con noncuranza Sherlock mentre guardava fuori dalla finestra il traffico che scorreva lento lungo Baker Street fino all'angolo con Chestermill, senza cambiare il tono di voce normalmente asettico, registrando mentalmente che nel palazzo di fronte, sotto la finestra del primo piano, un uomo era seduto sulla tazza coi pantaloni abbassati fino alle caviglie e una giacca di tweed e leggeva il Financial Times.
«Non... non potremmo pagarlo come fanno tutti? » Watson cercava di stare dietro razionalmente alle dichiarazioni del suo coinquilino, ma accidenti a lui se riusciva a spiazzarlo ogni volta.
«Beh, tecnicamente non sarebbe proprio rubare, potremmo definirlo più un prenderlo in prestito» replicò Sherlock.
Watson fissava l'uomo di spalle in controluce ritto in piedi davanti alla finestra della cucina, la sua figura elegante e snella,  i capelli ricci e scompigliati che erano una sua caratteristica e ne vide uno particolarmente fuori posto, come la sua crema depilatoria messa sbadatamente accanto al dentrificio - era stata la sua amara scoperta della sera prima- e decise che doveva appigliarsi a qualcosa, qualsiasi cosa, pur di sentirsi fare conversazione con una persona sana di mente.
«In effetti, prenderlo in prestito è già meglio che rubare, ma... scusami se ti sembrerò ripetitivo, ma per quale motivo non potremmo pagarlo come tutti?»
Sherlock si voltò completamente e guardò John. Sembrava lievemente spazientito, cosa che John aveva imparato ad associare ai momenti in cui l'investigatore più famoso al mondo coincideva con l'investigatore più fastidioso al mondo, perchè doveva spiegare agli altri dei concetti evidenti.
Evidenti per lui, ovvio.
Watson si agitò nervosamente sulla sedia in vimini wengè della signora Hudson, l'impulso stava quasi per fregarlo. Ma ce la fece anche questa volta. Ebbe il tempo di chiedersi se la prossima avrebbe mandato al diavolo ogni stoicità serrando del tutto le natiche e rendendo vano ogni tentativo di Holmes di leggergli dentro come la rubrica dei Perchè di Cioè, prima che Sherlock lo riportasse con la mente nel salotto buono che condividevano.
«C'è una chiazza di tè di fianco alla poltrona in salotto, la tua vestaglia in ciniglia ha una larga macchia sulla manica, il che indica che ti sei rovesciato addosso il tè per uno scatto improvviso, probabilmente hai pensato a qualcosa di sconvolgente mentre lo sorseggiavi, il fatto che continui ad agitarti nervosamente sulla tua sedia in vimini mentre ti parlo mi induce a pensare che ha qualcosa a che fare con me. Quindi sei preoccupato per me, la cosa dovrebbe farmi piacere ma non è necessaria, e dobbiamo andare in centro a comprarti un nuovo Blackberry, visto che hai scambiato il tuo per un biscotto Atene lasciandolo galleggiare nella tua tazza di Hello Kitty. Io ho in tasca poco più di trecento sterline e tu ne hai spese più di seicento ieri per quella piastra arricciacapelli e le lozioni emollienti, che fanno esattamente novecento sterline, che sono esattamente l'ammontare dell'assegno del nostro ultimo caso, del MIO ultimo caso. Il che ci porta a dover andare al negozio dei Baskerville dove per poco più di trecento sterline compreremo il tuo nuovo cellulare, e questo ci lascia senza soldi per prendere il taxi, ecco perchè dobbiamo... prenderne uno in prestito. E per la cronaca, John, non c'è nessuno. Nè ora nè in futuro. Nemmeno un gatto».
Watson era sbalordito e irritato. A metà fra l'insorgere del rossore per la vergogna dei suoi pensieri e un alquanto strano stato di eccitazione per la facilità con cui Sherlock aveva capito così chiaramente le sue azioni, abbassò lo sguardo e vide il proprio cellulare annegare sempre più nel tè.
Pensò al negozio dei Baskerville, ritrovò la voce e disse, iniziando flebilmente ma continuando a voce sempre piu' sostenuta: «Sherlock... i Baskerville hanno quel mastino gigante e... e io... beh, non vado molto d'accordo coi cani giganti, lo sai. Non potremmo... » lasciò cadere la frase mentre sentiva il 'ding' del microonde.
«E' a questo che serve il fish and chips», disse Sherlock Holmes annodandosi la sciarpa.
Watson, ormai rassegnato, si alzò e si diresse verso il microonde. Pochi minuti dopo erano sul marciapiede, al freddo, alla ricerca di un taxi fermo.
  
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